Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d'oro e Rabicano drizza.
la lancia d'oro e Rabicano drizza.
Ariosto - Orlando Furioso
—
Continuando il vecchio i detti suoi,
fece meravigliare il duca assai,
quando scoprendo il nome suo, gli disse
esser colui che l'evangelio scrisse:
58
quel tanto al Redentor caro Giovanni,
per cui il sermone tra i fratelli uscìo,
che non dovea per morte finir gli anni;
sì che fu causa che 'l figliuol di Dio
a Pietro disse: — Perché pur t'affanni,
s'io vo' che così aspetti il venir mio? —
Ben che non disse: egli non de' morire,
si vede pur che così volse dire.
59
Quivi fu assunto, e trovò compagnia,
che prima Enoch, il patriarca, v'era;
eravi insieme il gran profeta Elia,
che non han vista ancor l'ultima sera;
e fuor de l'aria pestilente e ria
si goderan l'eterna primavera,
fin che dian segno l'angeliche tube,
che torni Cristo in su la bianca nube.
60
Con accoglienza grata il cavalliero
fu dai santi alloggiato in una stanza;
fu provisto in un'altra al suo destriero
di buona biada, che gli fu a bastanza.
De' frutti a lui del paradiso diero,
di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza
scusa non sono i duo primi parenti,
se per quei fur sì poco ubbidienti.
61
Poi ch'a natura il duca aventuroso
satisfece di quel che se le debbe,
come col cibo, così col riposo,
che tutti e tutti i commodi quivi ebbe;
lasciando già l'Aurora il vecchio sposo,
ch'ancor per lunga età mai non l'increbbe,
si vide incontra ne l'uscir del letto
il discipul da Dio tanto diletto;
62
che lo prese per mano, e seco scorse
di molte cose di silenzio degne:
e poi disse: — Figliuol, tu non sai forse
che in Francia accada, ancor che tu ne vegne.
Sappi che 'l vostro Orlando, perché torse
dal camin dritto le commesse insegne,
è punito da Dio, che più s'accende
contra chi egli ama più, quando s'offende.
63
Il vostro Orlando, a cui nascendo diede
somma possanza Dio con sommo ardire,
e fuor de l'uman uso gli concede
che ferro alcun non lo può mai ferire;
perché a difesa di sua santa fede
così voluto l'ha costituire,
come Sansone incontra a' Filistei
costituì a difesa degli Ebrei:
64
renduto ha il vostro Orlando al suo Signore
di tanti benefici iniquo merto;
che quanto aver più lo dovea in favore,
n'è stato il fedel popul più deserto.
Sì accecato l'avea l'incesto amore
d'una pagana, ch'avea già sofferto
due volte e più venire empio e crudele,
per dar la morte al suo cugin fedele.
65
E Dio per questo fa ch'egli va folle,
e mostra nudo il ventre, il petto e il fianco;
e l'intelletto sì gli offusca e tolle,
che non può altrui conoscere, e sé manco.
A questa guisa si legge che volle
Nabuccodonosor Dio punir anco,
che sette anni il mandò il furor pieno,
sì che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno.
66
Ma perch'assai minor del paladino,
che di Nabucco, è stato pur l'eccesso,
sol di tre mesi dal voler divino
a purgar questo error termine è messo.
Né ad altro effetto per tanto camino
salir qua su t'ha il Redentor concesso,
se non perché da noi modo tu apprenda,
come ad Orlando il suo senno si renda.
67
Gli è ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,
che dei pianeti a noi più prossima erra,
perché la medicina che può saggio
rendere Orlando, là dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via. —
68
Di questo e d'altre cose fu diffuso
il parlar de l'apostolo quel giorno.
Ma poi che 'l sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor levò la luna il corno,
un carro apparecchiòsi, ch'era ad uso
d'andar scorrendo per quei cieli intorno:
quel già ne le montagne di Giudea
da' mortali occhi Elia levato avea.
69
Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l'aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
76
Passando il paladin per quelle biche,
or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vesiche,
che dentro parea aver tumulti e grida;
e seppe ch'eran le corone antiche
e degli Assiri e de la terra lida,
e de' Persi e de' Greci, che già furo
incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro.
77
Ami d'oro e d'argento appresso vede
in una massa, ch'erano quei doni
che si fan con speranza di mercede
ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
ed ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
versi ch'in laude dei signor si fanno.
78
Di nodi d'oro e di gemmati ceppi
vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,
l'autorità ch'ai suoi danno i signori.
I mantici ch'intorno han pieni i greppi,
sono i fumi dei principi e i favori
che danno un tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van col fior degli anni poi.
79
Ruine di cittadi e di castella
stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
congiura che sì mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
di monetieri e di ladroni l'opra:
poi vide bocce rotte di più sorti,
ch'era il servir de le misere corti.
80
Di versate minestre una gran massa
vede, e domanda al suo dottor ch'importe.
— L'elemosina è (dice) che si lassa
alcun, che fatta sia dopo la morte. —
Di vari fiori ad un gran monte passa,
ch'ebbe già buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se però dir lece)
che Costantino al buon Silvestro fece.
81
Vide gran copia di panie con visco,
ch'erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte l'occurrenze nostre:
sol la pazzia non v'è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.
82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
ch'egli già avea perduti, si converse;
che se non era interprete con lui,
non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno: e n'era quivi un monte,
solo assai più che l'altre cose conte.
83
Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l'altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.
84
E così tutte l'altre avean scritto anco
il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco;
ma molto più maravigliar lo fenno
molti ch'egli credea che dramma manco
non dovessero averne, e quivi dénno
chiara notizia che ne tenean poco;
che molta quantità n'era in quel loco.
85
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de' signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d'altro aprezze.
Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n'era molto.
86
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
lo scrittor de l'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,
e par che quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin da indi in qua confesse
ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
ma ch'uno error che fece poi, fu quello
ch'un'altra volta gli levò il cervello.
87
La più capace e piena ampolla, ov'era
il senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non è sì leggiera,
come stimò, con l'altre essendo a monte.
Prima che 'l paladin da quella sfera
piena di luce alle più basse smonte,
menato fu da l'apostolo santo
in un palagio ov'era un fiume a canto;
88
ch'ogni sua stanza avea piena di velli
di lin, di seta, di coton, di lana,
tinti in vari colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femina cana
fila a un aspo traea da tutti quelli,
come veggiàn l'estate la villana
traer dai bachi le bagnate spoglie,
quando la nuova seta si raccoglie.
89
V'è chi, finito un vello, rimettendo
ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
un'altra de le filze va scegliendo
il bel dal brutto che quella confonde.
— Che lavor si fa qui, ch'io non l'intendo? —
dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:
— Le vecchie son le Parche, che con tali
stami filano vite a voi mortali.
90
Quanto dura un de' velli, tanto dura
l'umana vita, e non di più un momento.
Qui tien l'occhio e la Morte e la Natura,
per saper l'ora ch'un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha l'altra cura,
perché si tesson poi per ornamento
del paradiso; e dei più brutti stami
si fan per li dannati aspri legami. —
91
Di tutti i velli ch'erano già messi
in aspo, e scelti a farne altro lavoro,
erano in brevi piastre i nomi impressi,
altri di ferro, altri d'argento o d'oro:
e poi fatti n'avean cumuli spessi,
de' quali, senza mai farvi ristoro,
portarne via non si vedea mai stanco
un vecchio, e ritornar sempre per anco.
92
Era quel vecchio sì espedito e snello,
che per correr parea che fosse nato;
e da quel monte il lembo del mantello
portava pien del nome altrui segnato.
Ove n'andava, e perché facea quello,
ne l'altro canto vi sarà narrato,
se d'averne piacer segno farete
con quella grata udienza che solete.
CANTO TRENTACINQUESIMO
1
Chi salirà per me, madonna, in cielo
a riportarne il mio perduto ingegno?
che, poi ch'uscì da' bei vostri occhi il telo
che 'l cor mi fisse, ognor perdendo vegno.
Né di tanta iattura mi querelo,
pur che non cresca, ma stia a questo segno;
ch'io dubito, se più si va scemando,
di venir tal, qual ho descritto Orlando.
2
Per riaver l'ingegno mio m'è aviso
che non bisogna che per l'aria io poggi
nel cerchio de la luna o in paradiso;
che 'l mio non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,
nel sen d'avorio e alabastrini poggi
se ne va errando; ed io con queste labbia
lo corrò, se vi par ch'io lo riabbia.
3
Per gli ampli tetti andava il paladino
tutte mirando le future vite,
poi ch'ebbe visto sul fatal molino
volgersi quelle ch'erano già ordite:
e scorse un vello che più che d'or fino
splender parea; né sarian gemme trite,
s'in filo si tirassero con arte,
da comparargli alla millesma parte.
4
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
che tra infiniti paragon non ebbe;
e di sapere alto disio gli nacque,
quando sarà tal vita, e a chi si debbe.
L'evangelista nulla gliene tacque:
che venti anni principio prima avrebbe
che col . M. e col . D. fosse notato
l'anno corrente dal Verbo incarnato,
5
E come di splendore e di beltade
quel vello non avea simile o pare,
così saria la fortunata etade
che dovea uscirne al mondo singulare;
perché tutte le grazie inclite e rade
ch'alma Natura, o proprio studio dare,
o benigna Fortuna ad uomo puote,
avrà in perpetua ed infallibil dote.
6
— Del re de' fiumi tra l'altiere corna
or siede umil (diceagli) e piccol borgo:
dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna
d'alta palude un nebuloso gorgo;
che, volgendosi gli anni, la più adorna
di tutte le città d'Italia scorgo,
non pur di mura e d'ampli tetti regi,
ma di bei studi e di costumi egregi.
7
Tanta esaltazione e così presta,
non fortuìta o d'aventura casca;
ma l'ha ordinata il ciel, perché sia questa
degna in che l'uom di ch'io ti parlo, nasca:
che, dove il frutto ha da venir, s'inesta
e con studio si fa crescer la frasca;
e l'artefice l'oro affinar suole,
in che legar gemma di pregio vuole.
8
Né sì leggiadra né sì bella veste
unque ebbe altr'alma in quel terrestre regno;
e raro è sceso e scenderà da queste
sfere superne un spirito sì degno,
come per farne Ippolito da Este
n'have l'eterna mente alto disegno.
Ippolito da Este sarà detto
l'uom a chi Dio sì ricco dono ha eletto.
9
Quegli ornamenti che divisi in molti,
a molti basterian per tutti ornarli,
in suo ornamento avrà tutti raccolti
costui, di c'hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui soffolti
saran gli studi; e s'io vorrò narrar li
alti suoi merti, al fin son sì lontano,
ch'Orlando il senno aspetterebbe invano. —
10
Così venìa l'imitator di Cristo
ragionando col duca: e poi che tutte
le stanze del gran luogo ebbono visto,
onde l'umane vite eran condutte,
sul fiume usciro, che d'arena misto
con l'onde discorrea turbide e brutte;
e vi trovar quel vecchio in su la riva,
che con gl'impressi nomi vi veniva.
11
Non so se vi sia a mente, io dico quello
ch'al fin de l'altro canto vi lasciai,
vecchio di faccia, e sì di membra snello,
che d'ogni cervio è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empìa il mantello;
scemava il monte, e non finiva mai:
ed in quel fiume che Lete si noma,
scarcava, anzi perdea la ricca soma.
12
Dico che, come arriva in su la sponda
del fiume, quel prodigo vecchio scuote
il lembo pieno, e ne la turbida onda
tutte lascia cader l'impresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
ch'un minimo uso aver non se ne puote;
e di cento migliaia che l'arena
sul fondo involve, un se ne serva a pena.
13
Lungo e d'intorno quel fiume volando
givano corvi ed avidi avoltori,
mulacchie e vari augelli, che gridando
facean discordi strepiti e romori;
ed alla preda correan tutti, quando
sparger vedean gli amplissimi tesori:
e chi nel becco, e chi ne l'ugna torta
ne prende; ma lontan poco li porta.
14
Come vogliono alzar per l'aria i voli,
non han poi forza che 'l peso sostegna;
sì che convien che Lete pur involi
de' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli,
bianchi, Signor, come è la vostra insegna,
che vengon lieti riportando in bocca
sicuramente il nome che lor tocca.
15
Così contra i pensieri empi e maligni
del vecchio che donar li vorria al fiume,
alcuno ne salvan gli augelli benigni:
tutto l'avanzo oblivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni,
ed or per l'aria battendo le piume,
fin che presso alla ripa del fiume empio
trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
16
All'Immortalitade il luogo è sacro,
ove una bella ninfa giù del colle
viene alla ripa del leteo lavacro,
e di bocca dei cigni i nomi tolle;
e quelli affige intorno al simulacro
ch'in mezzo il tempio una colonna estolle,
quivi li sacra, e ne fa tal governo,
che vi si pôn veder tutti in eterno.
17
Chi sia quel vecchio, e perché tutti al rio
senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
e degli augelli, e di quel luogo pio
onde la bella ninfa al fiume viensi,
aveva Astolfo di saper desio
i gran misteri e gl'incogniti sensi;
e domandò di tutte queste cose
l'uomo di Dio, che così gli rispose:
18
— Tu déi saper che non si muove fronda
là giù che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
in terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,
veloce sì che mai nulla l'impaccia,
gli effetti pari e la medesima opra
che 'l Tempo fa là giù, fa qui di sopra.
19
Volte che son le fila in su la ruota,
là giù la vita umana arriva al fine.
La fama là, qui ne riman la nota;
ch'immortali sariano ambe e divine,
se non che qui quel da la irsuta gota,
e là giù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio;
e quel l'immerge ne l'eterno oblio.
20
E come qua su i corvi e gli avoltori
e le mulacchie e gli altri varii augelli
s'affaticano tutti per trar fuori
de l'acqua i nomi che veggion più belli:
così là giù ruffiani, adulatori,
buffon, cinedi, accusatori, e quelli
che viveno alle corti e che vi sono
più grati assai che 'l virtuoso e 'l buono,
21
e son chiamati cortigian gentili,
perché sanno imitar l'asino e 'l ciacco;
de' lor signor, tratto che n'abbia i fili
la giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
questi di ch'io ti dico, inerti e vili,
nati solo ad empir di cibo il sacco,
portano in bocca qualche giorno il nome;
poi ne l'oblio lascian cader le some.
22
Ma come i cigni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
così gli uomini degni da' poeti
son tolti da l'oblio, più che morte empio.
Oh bene accorti principi e discreti,
che seguite di Cesare l'esempio,
e gli scrittor vi fate amici, donde
non avete a temer di Lete l'onde!
23
Son, come i cigni, anco i poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni;
sì perché il ciel degli uomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
sì per gran colpa dei signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
che le virtù premendo, ed esaltando
i vizi, caccian le buone arti in bando.
24
Credi che Dio questi ignoranti ha privi
de lo 'ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la poesia gli ha fatto schivi,
acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
ancor ch'avesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi amica Cirra,
più grato odore avrian che nardo o mirra.
25
Non sì pietoso Enea, né forte Achille
fu, come è fama, né sì fiero Ettorre;
e ne son stati e mille e mille e mille
che lor si puon con verità anteporre:
ma i donati palazzi e le gran ville
dai descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi senza fin sublimi onori
da l'onorate man degli scrittori.
26
Non fu sì santo né benigno Augusto
come la tuba di Virgilio suona.
L'aver avuto in poesia buon gusto
la proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
né sua fama saria forse men buona,
avesse avuto e terra e ciel nimici,
se gli scrittor sapea tenersi amici.
27
Omero Agamennòn vittorioso,
e fe' i Troian parer vili ed inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi che 'l ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario l'istoria converti:
che i Greci rotti, e che Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.
28
Da l'altra parte odi che fama lascia
Elissa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
che riputata viene una bagascia,
solo perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar ch'io n'abbia ambascia,
e se di ciò diffusamente io dico.
Gli scrittori amo, e fo il debito mio;
ch'al vostro mondo fui scrittore anch'io.
29
E sopra tutti gli altri io feci acquisto
che non mi può levar tempo né morte:
e ben convenne al mio lodato Cristo
rendermi guidardon di sì gran sorte.
Duolmi di quei che sono al tempo tristo,
quando la cortesia chiuso ha le porte;
che con pallido viso e macro e asciutto
la notte e 'l dì vi picchian senza frutto.
30
Sì che continuando il primo detto,
sono i poeti e gli studiosi pochi;
che dove non han pasco né ricetto,
insin le fere abbandonano i lochi. —
Così dicendo il vecchio benedetto
gli occhi infiammò, che parveno duo fuochi;
poi volto al duca con un saggio riso
tornò sereno il conturbato viso.
31
Resti con lo scrittor de l'evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto,
quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
ch'io non posso più star su l'ali in alto.
Torno alla donna a cui con grave telo
mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai ch'avea con breve guerra
tre re gittati, un dopo l'altro, in terra;
32
e che giunta la sera ad un castello
ch'alla via di Parigi si ritrova,
d'Agramante, che rotto dal fratello
s'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che 'l suo Ruggier fosse con quello,
tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,
verso Provenza, dove ancora intese
che Carlo lo seguia, la strada prese.
33
Verso Provenza per la via più dritta
andando, s'incontrò in una donzella,
ancor che fosse lacrimosa e afflitta,
bella di faccia e di maniere bella.
Questa era quella sì d'amor traffitta
per lo figliuol di Monodante, quella
donna gentil ch'avea lasciato al ponte
l'amante suo prigion di Rodomonte.
34
Ella venìa cercando un cavalliero,
ch'a far battaglia usato, come lontra,
in acqua e in terra fosse, e così fiero,
che lo potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
come quest'altra sconsolata incontra,
cortesemente la saluta, e poi
le chiede la cagion dei dolor suoi.
35
Fiordiligi lei mira, e veder parle
un cavallier ch'al suo bisogno fia;
e comincia del ponte a ricontarle,
ove impedisce il re d'Algier la via;
e ch'era stato appresso di levarle
l'amante suo: non che più forte sia;
ma sapea darsi il Saracino astuto
col ponte stretto e con quel fiume aiuto.
36
— Se sei (dicea) sì ardito e sì cortese,
come ben mostri l'uno e l'altro in vista,
mi vendica, per Dio, di chi mi prese
il mio signore, e mi fa gir sì trista;
o consigliami almeno in che paese
possa io trovare un ch'a colui resista,
e sappia tanto d'arme e di battaglia,
che 'l fiume e 'l ponte al pagan poco vaglia.
37
Oltre che tu farai quel che conviensi
ad uom cortese e a cavalliero errante,
in beneficio il tuo valor dispensi
del più fedel d'ogni fedele amante.
De l'altre sue virtù non appertiensi
a me narrar; che sono tante e tante,
che chi non n'ha notizia, si può dire
che sia del veder privo e de l'udire. —
38
La magnanima donna, a cui fu grata
sempre ogni impresa che può farla degna
d'esser con laude e gloria nominata,
subito al ponte di venir disegna:
ed ora tanto più, ch'è disperata,
vien volentier, quando anco a morir vegna;
che credendosi, misera! esser priva
del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
39
— Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa
(rispose Bradamante), io m'offerisco
di far l'impresa dura e perigliosa,
per altre cause ancor, ch'io preterisco;
ma più, che del tuo amante narri cosa
che narrar di pochi uomini avvertisco,
che sia in amor fedel; ch'a fé ti giuro
ch'in ciò pensai ch'ognun fosse pergiuro. —
40
Con un sospir quest'ultime parole
finì, con un sospir ch'uscì dal core;
poi disse: — Andiamo; — e nel seguente sole
giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte da la guardia che vi suole
farne segno col corno al suo signore,
il pagan s'arma; e quale è 'l suo costume,
sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume:
41
e come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de l'arme e del destrier su ch'era,
al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa l'istoria vera,
come per lui morta Issabella giaccia,
che Fiordiligi detto le l'avea,
al Saracin superbo rispondea:
42
— Perché vuoi tu, bestial, che gli innocenti
facciano penitenza del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti:
tu l'uccidesti, e tutto 'l mondo sallo.
Sì che di tutte l'arme e guernimenti
di tanti che gittati hai da cavallo,
oblazione e vittima più accetta
avrà, ch'io te l'uccida in sua vendetta.
43
E di mia man le fia più grato il dono,
quando, come ella fu, son donna anch'io:
né qui venuta ad altro effetto sono,
ch'a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono,
che 'l tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sarò, di me farai
quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:
44
ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,
guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi,
e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte l'altre distaccar da' marmi;
e voglio che tu lasci ogni guerriero. —
Rispose Rodomonte: — Giusto parmi
che sia come tu di'; ma i prigion darti
già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
45
Io gli ho al mio regno in Africa mandati:
ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se m'avvien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch'io rimanga a piede,
farò che saran tutti liberati
in tanto tempo quanto si richiede
di dare a un messo ch'in fretta si mandi
e far quel che, s'io perdo, mi commandi.
46
Ma s'a te tocca star di sotto, come
piu si conviene, e certo so che fia,
non vo' che lasci l'arme, né il tuo nome,
come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
che spiran tutti amore e leggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti
che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
47
Io son di tal valor, son di tal nerbo,
ch'aver non déi d'andar di sotto a sdegno. —
Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo
che fece d'ira, più che d'altro, segno,
la donna, né rispose a quel superbo;
ma tornò in capo al ponticel di legno,
spronò il cavallo, e con la lancia d'oro
venne a trovar quell'orgoglioso Moro.
48
Rodomonte alla giostra s'apparecchia:
viene a gran corso; ed è sì grande il suono
che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia
può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fe' l'usanza vecchia;
che quel pagan, sì dianzi in giostra buono,
levò di sella, e in aria lo sospese,
indi sul ponte a capo in giù lo stese.
49
Nel trapassar ritrovò a pena loco
ove entrar col destrier quella guerriera;
e fu a gran risco, e ben vi mancò poco,
ch'ella non traboccò ne la riviera:
ma Rabicano, il quale il vento e 'l fuoco
concetto avean, sì destro ed agil era,
che nel margine estremo trovò strada;
e sarebbe ito anco su 'n fil di spada.
50
Ella si volta, e contra l'abbattuto
pagan ritorna; e con leggiadro motto:
— Or puoi (disse) veder chi abbia perduto,
e a chi di noi tocchi di star di sotto. —
Di maraviglia il pagan resta muto,
ch'una donna a cader l'abbia condotto;
e far risposta non poté o non volle,
e fu come uom pien di stupore e folle.
51
Di terra si levò tacito e mesto;
e poi ch'andato fu quattro o sei passi,
lo scudo e l'elmo, e de l'altre arme il resto
tutto si trasse, e gittò contra i sassi;
e solo e a piè fu a dileguarsi presto:
non che commission prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far l'effetto
dei prigion suoi, secondo che fu detto.
52
Partissi; e nulla poi più se n'intese,
se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
di costui l'arme all'alta sepoltura,
e fattone levar tutto l'arnese,
il qual dei cavallieri, alla scrittura,
conobbe de la corte esser di Carlo;
non levò il resto, e non lasciò levarlo.
53
Oltr'a quel del figliuol di Monodante,
v'è quel di Sansonetto e d'Oliviero,
che per trovare il principe d'Anglante,
quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno inante
mandati via dal Saracino altiero.
Di questi l'arme fe' la donna torre
da l'alta mole, e chiuder ne la torre.
54
Tutte l'altre lasciò pender dai sassi,
che fur spogliate ai cavallier pagani.
V'eran l'arme d'un re, del quale i passi
per Frontalatte mal fur spesi e vani:
io dico l'arme del re de' Circassi,
che dopo lungo errar per colli e piani,
venne quivi a lasciar l'altro destriero;
e poi senz'arme andossene leggiero.
55
S'era partito disarmato e a piede
quel re pagan dal periglioso ponte,
sì come gli altri ch'eran di sua fede,
partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
il cor; ch'ivi apparir non avria fronte:
che per quel che vantossi, troppo scorno
gli saria farvi in tal guisa ritorno.
56
Di pur cercar nuovo desir lo prese
colei che sol avea fissa nel core.
Fu l'aventura sua, che tosto intese
(io non vi saprei dir chi ne fu autore)
ch'ella tornava verso il suo paese:
onde esso, come il punge e sprona Amore,
dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d'Amone.
57
Poi che narrato ebbe con altro scritto
come da lei fu liberato il passo;
a Fiordiligi ch'avea il core afflitto,
e tenea il viso lacrimoso e basso,
domandò umanamente ov'ella dritto
volea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: — Il mio camino
vo' che sia in Arli al campo saracino,
58
ove navilio e buona compagnia
spero trovar da gir ne l'altro lito.
Mai non mi fermerò fin ch'io non sia
venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perché in prigion non stia,
più modi e più; che se mi vien fallito
questo che Rodomonte t'ha promesso,
ne voglio avere uno ed un altro appresso. —
59
— Io m'offerisco (disse Bradamante)
d'accompagnarti un pezzo de la strada,
tanto che tu ti vegga Arli davante,
ove per amor mio vo' che tu vada
a trovar quel Ruggier del re Agramante,
che del suo nome ha piena ogni contrada;
e che gli rendi questo buon destriero,
onde abbattuto ho il Saracino altiero.
60
Voglio ch'a punto tu gli dica questo:
— Un cavallier che di provar si crede,
e fare a tutto 'l mondo manifesto
che contra lui sei mancator di fede;
acciò ti trovi apparecchiato e presto,
questo destrier, perch'io tel dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
e che l'aspetti a far teco battaglia. —
61
Digli questo, e non altro; e se quel vuole
saper da te ch'io son, di' che nol sai. —
Quella rispose umana come suole:
— Non sarò stanca in tuo servizio mai,
spender la vita, non che le parole;
che tu ancora per me così fatto hai. —
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
62
Lungo il fiume le belle e pellegrine
giovani vanno a gran giornate insieme,
tanto che veggono Arli, e le vicine
rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
quasi de' borghi ed alle sbarre estreme,
per dare a Fiordiligi atto intervallo,
che condurre a Ruggier possa il cavallo.
63
Vien Fiordiligi, ed entra nel rastrello,
nel ponte e ne la porta; e seco prende
chi le fa compagnia fin all'ostello
ove abita Ruggiero, e quivi scende;
e, secondo il mandato, al damigello
fa l'imbasciata, e il buon Frontin gli rende:
indi va, che risposta non aspetta,
ad eseguire il suo bisogno in fretta.
64
Ruggier riman confuso e in pensier grande,
e non sa ritrovar capo né via
di saper chi lo sfide, e chi gli mande
a dire oltraggio e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
o possa domandar uomo che sia,
non sa veder né imaginare; e prima,
ch'ogn'altro sia che Bradamante, istima.
65
Che fosse Rodomonte, era più presto
ad aver, che fosse altri, opinione;
e perché ancor da lui debba udir questo,
pensa, né imaginar può la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto 'l resto
del mondo, con chi lite abbia e tenzone.
Intanto la donzella di Dordona
chiede battaglia, e forte il corno suona.
66
Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
ch'un cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era avante,
ed impetrò di vestir piastra e maglia,
e promesse pigliar questo arrogante.
Il popul venne sopra la muraglia;
né fanciullo restò, né restò veglio,
che non fosse a veder chi fêsse meglio.
67
Con ricca sopravesta e bello arnese
Serpentin da la Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese:
il destrier aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la donna cortese,
e per la briglia al Saracin lo tenne,
e disse: — Monta, e fa che 'l tuo signore
mi mandi un cavallier di te migliore. —
68
Il re african, ch'era con gran famiglia
sopra le mura alla giostra vicino,
del cortese atto assai si maraviglia,
ch'usato ha la donzella a Serpentino.
— Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia, —
diceva, udendo il popul saracino.
Serpentin giunge, e come ella commanda,
un miglior da sua parte al re domanda.
69
Grandonio di Volterna furibondo,
il più superbo cavallier di Spagna,
pregando fece sì, che fu il secondo,
ed uscì con minacce alla campagna.
— Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo;
che, quando da me vinto tu rimagna,
al mio signor menar preso ti voglio:
ma qui morrai, s'io posso, come soglio. —
70
La donna disse lui: — Tua villania
non vo' che men cortese far mi possa,
ch'io non ti dica che tu torni pria
che sul duro terren ti doglian l'ossa.
Ritorna, e di' al tuo re da parte mia,
che per simile a te non mi son mossa;
ma per trovar guerrier che 'l pregio vaglia,
son qui venuta a domandar battaglia. —
71
Il mordace parlare, acre ed acerbo,
gran fuoco al cor del Saracino attizza;
sì che senza poter replicar verbo,
volta il destrier con colera e con stizza.
Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d'oro e Rabicano drizza.
Come l'asta fatal lo scudo tocca,
coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
72
Il destrier la magnanima guerriera
gli prese, e disse: — Pur tel prediss'io,
che far la mia imbasciata meglio t'era,
che de la giostra aver tanto disio.
Di', al re, ti prego, che fuor de la schiera
elegga un cavallier che sia par mio;
né voglia con voi altri affaticarme,
ch'avete poca esperienza d'arme. —
73
Quei da le mura, che stimar non sanno
chi sia il guerriero in su l'arcion sì saldo,
quei più famosi nominando vanno,
che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno:
la più parte s'accorda esser Rinaldo:
molti su Orlando avrian fatto disegno;
ma il suo caso sapean di pietà degno.
74
La terza giostra il figlio di Lanfusa
chiedendo, disse: — Non che vincer speri,
ma perché di cader più degna scusa
abbian, cadendo anch'io, questi guerrieri. —
E poi di tutto quel ch'in giostra s'usa
si messe in punto; e di cento destrieri
che tenea in stalla, d'un tolse l'eletta,
ch'avea il correre acconcio, e di gran fretta.
75
Contra la donna per giostrar si fece;
ma prima salutolla, ed ella lui.
Disse la donna: — Se saper mi lece,
ditemi in cortesia che siate vui. —
Di questo Ferraù le satisfece,
ch'usò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: — Voi già non rifiuto,
ma avria più volentieri altri voluto. —
76
— E chi? — Ferraù disse. Ella rispose:
— Ruggiero; — e a pena il poté proferire,
e sparse d'un color come di rose
la bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi: — Le cui famose
lode a tal prova m'han fatto venire.
Altro non bramo, e d'altro non mi cale,
che di provar come egli in giostra vale. —
77
Semplicemente disse le parole
che forse alcuno ha già prese a malizia.
Rispose Ferraù: — Prima si vuole
provar tra noi chi sa più di milizia.
Se di me avvien quel che di molti suole,
poi verrà ad emendar la mia tristizia
quel gentil cavallier che tu dimostri
aver tanto desio che teco giostri. —
78
Parlando tuttavolta la donzella
teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
si sente rimaner mezzo conquiso,
e taciturno dentro a sé favella:
— Questo un angel mi par del paradiso;
e ancor che con la lancia non mi tocchi,
abbattuto son già da' suoi begli occhi. —
79
Preson del campo; e come agli altri avvenne,
Ferraù se n'uscì di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli ritenne,
e disse: — Torna, e serva quel c'hai detto. —
Ferraù vergognoso se ne venne,
e ritrovò Ruggier ch'era al cospetto
del re Agramante; e gli fece sapere
ch'alla battaglia il cavallier lo chere.
80
Ruggier non conoscendo ancor chi fosse
chi a sfidar lo mandava alla battaglia,
quasi certo di vincere, allegrosse;
e le piastre arrecar fece e la maglia:
né l'aver visto alle gravi percosse,
che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s'armasse, e come uscisse, e quanto
poi ne seguì, lo serbo all'altro canto.
CANTO TRENTASEIESIMO
1
Convien ch'ovunque sia, sempre cortese
sia un cor gentil, ch'esser non può altrimente;
che per natura e per abito prese
quel che di mutar poi non è possente.
Convien ch'ovunque sia, sempre palese
un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male, e viene a farsi
l'abito poi difficile a mutarsi.
2
Di cortesia, di gentilezza esempi
fra gli antiqui guerrier si vider molti,
e pochi fra i moderni; ma degli empi
costumi avvien ch'assai ne vegga e ascolti
in quella guerra, Ippolito, che i tempi
di segni ornaste agli nimici tolti,
e che traeste lor galee captive
di preda carche alle paterne rive.
3
Tutti gli atti crudeli ed inumani
ch'usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
(non già con volontà de' Veneziani,
che sempre esempio di giustizia foro),
usaron l'empie e scelerate mani
di rei soldati, mercenari loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi
ch'arson le ville e i nostri ameni lochi:
4
ben che fu quella ancor brutta vendetta,
massimamente contra voi, ch'appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
era d'assedio, ben sapea che spesso
per voi più d'una fiamma fu interdetta,
e spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
da villaggi e da templi, come piacque,
all'alta cortesia che con voi nacque.
5
Io non parlo di questo né di tanti
altri lor discortesi e crudeli atti;
ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
debbe poter, qual volta se ne tratti:
quel dì, Signor, che la famiglia inanti
vostra mandaste là dove ritratti
dai legni lor con importuni auspici
s'erano in luogo forte gl'inimici.
6
Qual Ettorre ed Enea sin dentro ai flutti,
per abbruciar le navi greche, andaro;
un Ercol vidi e un Alessandro, indutti
da troppo ardir, partirsi a paro a paro,
e spronando i destrier, passarci tutti,
e i nemici turbar fin nel riparo,
e gir sì inanzi, ch'al secondo molto
aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
7
Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo.
Che cor, duca di Sora, che consiglio
fu allora il tuo, che trar vedesti l'elmo
fra mille spade al generoso figlio,
e menar preso a nave, e sopra un schelmo
troncargli il capo? Ben mi maraviglio
che darti morte lo spettacol solo
non poté, quanto il ferro a tuo figliuolo.
8
Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
de la milizia? In qual Scizia s'intende
ch'uccider si debba un, poi che gli è preso,
che rende l'arme, e più non si difende?
Dunque uccidesti lui, perché ha difeso
la patria? Il sole a torto oggi risplende,
crudel seculo, poi che pieno sei
di Tiesti, di Tantali e di Atrei.
9
Festi, barbar crudel, del capo scemo
il più ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo e l'altro, e da l'estremo
lito degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofàgo, in Polifemo
la beltà e gli anni suoi trovar pietade;
ma non in te, più crudo e più fellone
d'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone.
10
Simile esempio non credo che sia
fra gli antiqui guerrier, di quai li studi
tutti fur gentilezza e cortesia;
né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
a quei ch'avea, toccando lor gli scudi,
fatto uscir de la sella, ma tenea
loro i cavalli, e rimontar facea.
11
Di questa donna valorosa e bella
io vi dissi di sopra, che abbattuto
avea Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
e ciascun d'essi poi rimesso in sella;
e dissi ancor che 'l terzo era venuto,
da lei mandato a disfidar Ruggiero,
là dove era stimata un cavalliero.
12
Ruggier tenne lo 'nvito allegramente,
e l'armatura sua fece venire.
Or mentre che s'armava al re presente,
tornaron quei signor di nuovo a dire
chi fosse il cavallier tanto eccellente,
che di lancia sapea sì ben ferire;
e Ferraù, che parlato gli avea,
fu domandato se lo conoscea.
13
Rispose Ferraù: — Tenete certo
che non è alcun di quei ch'avete detto.
A me parea, ch'il vidi a viso aperto,
il fratel di Rinaldo giovinetto:
ma poi ch'io n'ho l'alto valore esperto,
e so che non può tanto Ricciardetto,
penso che sia la sua sorella, molto
(per quel ch'io n'odo) a lui simil di volto.
14
Ella ha ben fama d'esser forte a pare
del suo Rinaldo e d'ogni paladino;
ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare
che val più del fratel, più del cugino. —
Come Ruggier lei sente ricordare,
del vermiglio color che 'l matutino
sparge per l'aria, si dipinge in faccia,
e nel cor triema, e non sa che si faccia.
15
A questo annunzio, stimulato e punto
da l'amoroso stral, dentro infiammarse,
e per l'ossa sentì tutto in un punto
correre un giaccio che 'l timor vi sparse,
timor ch'un nuovo sdegno abbia consunto
quel grande amor che già per lui sì l'arse.
Di ciò confuso non si risolveva,
s'incontra uscirle, o pur restar doveva.
16
Or quivi ritrovandosi Marfisa,
che d'uscire alla giostra avea gran voglia,
ed era armata, perché in altra guisa
è raro, o notte o dì, che tu la coglia;
sentendo che Ruggier s'arma, s'avisa
che di quella vittoria ella si spoglia
se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire inanzi, e averne il pregio stima.
17
Salta a cavallo, e vien spronando in fretta
ove nel campo la figlia d'Amone
con palpitante cor Ruggiero aspetta,
desiderosa farselo prigione,
e pensa solo ove la lancia metta,
perché del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor de la porta,
e sopra l'elmo una fenice porta;
18
o sia per sua superbia, dinotando
se stessa unica al mondo in esser forte,
o pur sua casta intenzion lodando
di viver sempremai senza consorte.
La figliuola d'Amon la mira; e quando
le fattezze ch'amava non ha scorte,
come si nomi le domanda, ed ode
esser colei che del suo amor si gode;
19
o per dir meglio, esser colei che crede
che goda del suo amor, colei che tanto
ha in odio e in ira, che morir si vede,
se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede,
non per desir di porla in terra, quanto
di passarle con l'asta in mezzo il petto,
e libera restar d'ogni suspetto.
20
Forza è a Marfisa ch'a quel colpo vada
a provar se 'l terreno è duro o molle;
e cosa tanto insolita le accada,
ch'ella n'è per venir di sdegno folle.
Fu in terra a pena, che trasse la spada,
e vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d'Amon non meno altiera
gridò: — Che fai? tu sei mia prigioniera.
21
Se bene uso con gli altri cortesia,
usar teco, Marfisa, non la voglio,
come a colei che d'ogni villania
odo che sei dotata e d'ogni orgoglio. —
Marfisa a quel parlar fremer s'udia
come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma sì per rabbia si confonde,
che non può esprimer fuor quel che risponde.
22
Mena la spada, e più ferir non mira
lei, che 'l destrier, nel petto e ne la pancia:
ma Bradamante al suo la briglia gira,
e quel da parte subito si lancia;
e tutto a un tempo con isdegno ed ira
la figliuola d'Amon spinge la lancia,
e con quella Marfisa tocca a pena,
che la fa riversar sopra l'arena.
23
A pena ella fu in terra, che rizzosse,
cercando far con la spada mal'opra.
Di nuovo l'asta Bradamante mosse,
e Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Ben che possente Bradamante fosse,
non però sì a Marfisa era di sopra,
che l'avesse ogni colpo riversata;
ma tal virtù ne l'asta era incantata.
24
Alcuni cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico, de la parte nostra,
se n'erano venuti dove, in mezzo
l'un campo e l'altro, si facea la giostra
(che non eran lontani un miglio e mezzo),
veduta la virtù che 'l suo dimostra;
il suo che non conoscono altrimente
che per un cavallier de la lor gente.
25
Questi vedendo il generoso figlio
di Troiano alle mura approssimarsi,
per ogni caso, per ogni periglio
non volse sproveduto ritrovarsi;
e fe' che molti all'arme dier di piglio,
e che fuor dei ripari appresentarsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
di Marfisa la giostra avea intercetta.
26
L'inamorato giovene mirando
stava il successo, e gli tremava il core,
de la sua cara moglie dubitando;
che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
si mosse l'una e l'altra con furore;
ma visto poi come successe il fatto,
restò maraviglioso e stupefatto:
27
e poi che fin la lite lor non ebbe,
come avean l'altre avute, al primo incontro,
nel cor profundamente gli ne 'ncrebbe,
dubbioso pur di qualche strano incontro.
De l'una egli e de l'altra il ben vorrebbe;
ch'ama amendue: non che da porre incontro
sien questi amori: è l'un fiamma e furore,
l'altro benivolenza più ch'amore.
28
Partita volentier la pugna avria,
se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia,
perché non vinca la parte di Carlo,
che già lor par che superior ne sia,
saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Da l'altra parte i cavallier cristiani
si fanno inanzi, e son quivi alle mani.
29
Di qua di là gridar si sente all'arme,
come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a piè, chi non è armato s'arme,
alla bandiera ognun faccia ritorno!
dicea con chiaro e bellicoso carme
più d'una tromba che scorrea d'intorno:
e come quelle svegliano i cavalli,
svegliano i fanti i timpani e i taballi.
30
La scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si possa imaginar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
a cui mirabilmente aggrava e incresce
che quel di ch'era tanto disiosa,
di por Marfisa a morte, non riesce;
di qua di là si volge e si raggira,
se Ruggier può veder, per cui sospira.
31
Lo riconosce all'aquila d'argento
c'ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
si ferma a contemplar le spalle e 'l petto,
le leggiadre fattezze, e 'l movimento
pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
imaginando ch'altra ne gioisse,
da furore assalita così disse:
32
— Dunque baciar sì belle e dolce labbia
deve altra, se baciar non le poss'io?
Ah non sia vero già ch'altra mai t'abbia;
che d'altra esser non déi, se non sei mio.
Più tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen l'inferno
poi mi ti renda, e stii meco in eterno.
33
Se tu m'occidi, è ben ragion che deggi
darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi,
che chi dà morte altrui debba esser morto.
Né par ch'anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, ohimè! ch'io muora;
ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora.
34
Perché non déi tu, mano, essere ardita
d'aprir col ferro al mio nimico il core?
che tante volte a morte m'ha ferita
sotto la pace in sicurtà d'amore,
ed or può consentir tormi la vita,
né pur aver pietà del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte:
vendica mille mie con la sua morte. —
35
Gli sprona contra in questo dir, ma prima:
— Guardati (grida), perfido Ruggiero:
tu non andrai, s'io posso, de la opima
spoglia del cor d'una donzella altiero. —
Come Ruggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com'era in vero,
la cui voce in memoria sì bene ebbe,
ch'in mille riconoscer la potrebbe.
36
Ben pensa quel che le parole denno
volere inferir più; ch'ella l'accusa
che la convenzion ch'insieme fenno,
non le osservava: onde per farne iscusa,
di volerle parlar le fece cenno:
ma quella già con la visiera chiusa
venìa dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e forse ove non era sabbia.
37
Quando Ruggier la vede tanto accesa,
si ristringe ne l'arme e ne la sella:
la lancia arresta; ma la tien sospesa,
piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, ch'a ferirlo e a fargli offesa
venìa con mente di pietà rubella,
non poté sofferir, come fu appresso,
di porlo in terra e fargli oltraggio espresso.
38
Così lor lance van d'effetto vote
a quello incontro; e basta ben s'Amore
con l'un giostra e con l'altro, e gli percuote
d'una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
di far onta a Ruggier, volge il furore
che l'arde il petto, altrove; e vi fa cose
che saran, fin che giri il ciel, famose.
39
In poco spazio ne gittò per terra
trecento e più con quella lancia d'oro.
Ella sola quel dì vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro.
Ruggier di qua di là s'aggira ed erra
tanto, che se le accosta e dice: — Io moro,
s'io non ti parlo: ohimè! che t'ho fatto io,
che mi debbi fuggire? Odi, per Dio! —
40
Come ai meridional tiepidi venti,
che spirano dal mare il fiato caldo,
le nievi si disciolveno e i torrenti,
e il ghiaccio che pur dianzi era sì saldo;
così a quei prieghi, a quei brevi lamenti
il cor de la sorella di Rinaldo
subito ritornò pietoso e molle,
che l'ira, più che marmo, indurar volle.
41
Non vuol dargli, o non puote, altra risposta;
ma da traverso sprona Rabicano,
e quanto può dagli altri si discosta,
ed a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor de la moltitudine in reposta
valle si trasse, ov'era un piccol piano
ch'in mezzo avea un boschetto di cipressi
che parean d'una stampa, tutti impressi.
42
In quel boschetto era di bianchi marmi
fatta di nuovo un'alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
che già non pose mente alla scrittura.
Ruggier dietro il cavallo affretta e punge
tanto, ch'al bosco e alla donzella giunge.
43
Ma ritorniamo a Marfisa che s'era
in questo mezzo in sul destrier rimessa,
e venìa per trovar quella guerriera
che l'avea al primo scontro in terra messa:
e la vide partir fuor de la schiera,
e partir Ruggier vide e seguir essa;
né si pensò che per amor seguisse,
ma per finir con l'arme ingiurie e risse.
44
Urta il cavallo, e vien dietro alla pesta
tanto, ch'a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
chi vive amando, il sa, senza ch'io 'l scriva.
Ma Bradamante offesa più ne resta,
che colei vede, onde il suo mal deriva.
Chi le può tor che non creda esser vero
che l'amor ve la sproni di Ruggiero?
45
E perfido Ruggier di nuovo chiama.
— Non ti bastava, perfido (disse ella),
che tua perfidia sapessi per fama,
se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo c'hai brama:
e per sbramar tua voglia iniqua e fella,
io vo' morir; ma sforzerommi ancora
che muora meco chi è cagion ch'io mora. —
46
Sdegnosa più che vipera, si spicca,
così dicendo, e va contra Marfisa;
ed allo scudo l'asta sì le appicca,
che la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo l'elmo in terra ficca;
né si può dir che sia colta improvisa:
anzi fa incontra ciò che far si puote;
e pure in terra del capo percuote.
47
La figliuola d'Amon, che vuol morire
o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia,
che non ha mente di nuovo a ferire
con l'asta, onde a gittar di nuovo l'abbia;
ma le pensa dal busto dipartire
il capo mezzo fitto ne la sabbia:
getta da sé la lancia d'oro, e prende
la spada, e del destrier subito scende.
48
Ma tarda è la sua giunta; che si trova
Marfisa incontra, e di tanta ira piena
(poi che s'ha vista alla seconda prova
cader sì facilmente su l'arena),
che pregar nulla, e nulla gridar giova
a Ruggier che di questo avea gran pena:
sì l'odio e l'ira le guerriere abbaglia,
che fan da disperate la battaglia.
49
A mezzo spada vengono di botto;
e per la gran superbia che l'ha accese,
van pur inanzi, e si son già sì sotto,
ch'altro non puon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue,
ma poco frutto han le parole sue.
50
Quando pur vede che 'l pregar non vale,
di partirle per forza si dispone:
leva di mano ad amendua il pugnale,
ed al piè d'un cipresso li ripone.
Poi che ferro non han più da far male,
con prieghi e con minaccie s'interpone:
ma tutto è invan; che la battaglia fanno
a pugni e a calci, poi ch'altro non hanno.
51
Ruggier non cessa: or l'una or l'altra prende
per le man, per le braccia, e la ritira;
e tanto fa, che di Marfisa accende
contra di sé, quanto si può più, l'ira.
Quella che tutto il mondo vilipende,
alla amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca,
corre alla spada, e con Ruggier s'attacca.
52
— Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
ma ti farò pentir con questa mano
che vo' che basti a vincervi ambedui. —
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera,
ch'un perder tempo ogni parlar seco era.
53
All'ultimo Ruggier la spada trasse,
poi che l'ira anco lui fe' rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
che così a' riguardanti dilettasse,
come dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.
54
La sua spada avea tolta ella di terra,
e tratta s'era a riguardar da parte;
e le parea veder che 'l dio di guerra
fosse Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è ch'un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.
55
Sapea ben la virtù de la sua spada;
che tante esperienze n'ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
l'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto:
sì che ritien che 'l colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure un tratto la pazienza;
56
perché Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che 'l capo difenda
Ruggiero, e 'l colpo in su l'aquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta:
e s'avea altr'arme che quelle d'Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio torre:
57
e saria sceso indi alla testa, dove
disegnò di ferir l'aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena più sostien l'aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta!
58
Io non vi so ben dir come si fosse:
la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e più ne l'arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sentì con esso
da quell'avel ch'in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir, ch'ogni mortale eccede.
59
Grida la voce orribile: — Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto ed inumano
ch'alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano:
in un medesimo utero d'un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.
60
Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galaciella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice,
senza guardar ch'avesse in corpo il pondo
di voi, ch'usciste pur di lor radice,
la fer, perché s'avesse ad affogare,
s'un debol legno porre in mezzo al mare.
61
Ma Fortuna che voi, ben che non nati,
avea già eletti a gloriose imprese,
fece che 'l legno ai liti inabitati
sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v'ebbe dati,
l'anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino,
a questo caso io mi trovai vicino.
62
Diedi alla madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in sì deserta arena;
e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
feci e lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.
63
Un giorno che d'andar per la contrada
e da la stanza allontanar m'occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d'Arabi (e ricordarvene de' forse),
che te, Marfisa, tolser ne la strada,
ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian più diligente.
64
Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti' predir le stelle fisse,
che tra' cristiani a tradigion morrai;
e perché il male influsso non seguisse,
tenertene lontan m'affaticai:
né ostare al fin potendo alla tua voglia,
infermo caddi, e mi mori' di doglia.
65
Ma inanzi a morte, qui dove previdi
che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi;
ed a Caron dissi con alti gridi:
— Dopo morte non vo' lo spirto levi
di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. —
66
Così lo spirto mio per le belle ombre
ha molti dì aspettato il venir vostro:
sì che mai gelosia più non t'ingombre,
o Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca al tenebroso chiostro. —
Qui si tacque; e a Marfisa ed alla figlia
d'Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui;
e ad abbracciarsi, senza offender quella
che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e rammentando de l'età novella
alcune cose: i' feci, io dissi, io fui;
vengon trovando con più certo effetto,
tutto esser ver quel c'ha lo spirto detto.
68
Ruggiero alla sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante;
e narrò con parole affettuose
de le obligazion che le avea tante:
e non cessò, ch'in grand'amor compose
le discordie ch'insieme ebbono avante;
e fe', per segno di pacificarsi,
ch'umanamente andaro ad abbracciarsi.
69
A domandar poi ritornò Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre;
e chi l'avesse morto, ed a che guisa,
s'in campo chiuso o fra l'armate squadre;
e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se già l'avea udito da fanciulla,
or ne tenea poca memoria o nulla.
70
Ruggiero incominciò, che da' Troiani
per la linea d'Ettorre erano scesi;
che poi che Astianatte de le mani
campò d'Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de' fanciulli coetani
per lui lasciato, uscì di quei paesi;
e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e dominò Messina.
71
— I descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiar de la Calabria parte;
e dopo più successioni andaro
ad abitar ne la città di Marte.
Più d'uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.
72
Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fe', come d'Atlante udir potesti,
di nostra madre l'utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
per l'istorie vedrai celebri al mondo. —
Seguì poi, come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d'Agramante;
73
e come menò seco una donzella
ch'era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gittò di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa,
e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
per la cognata arse d'incesto amore;
74
e che la patria e 'l padre e duo fratelli
tradì, così sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fer di lor tutti i portamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli
poser Galaciella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo,
quando fu tempestoso al maggior verno.
75
Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che 'l suo german facea:
ed esser scesa da la bella fonte
ch'avea sì chiari rivi, si godea.
Quindi Mongrana e quindi Chiaramonte
le due progenie derivar sapea,
ch'al mondo fu molti e molt'anni e lustri
splendide, e senza par d'uomini illustri.
76
Poi che 'l fratello al fin le venne a dire
che 'l padre d'Agramante e l'avo e 'l zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo poté più la sorella udire,
che lo 'nterroppe, e disse: — Fratel mio
(salva tua grazia), avuto hai troppo torto
a non ti vendicar del padre morto.
77
Se in Almonte e in Troian non ti potevi
insanguinar, ch'erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte,
ma vivi al soldo suo ne la sua corte.
78
Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio,
fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se più ti veggo fra le squadre
del re Agramante o d'altro signor Moro,
se non col ferro in man per danno loro. —
79
Oh come a quel parlar leva la faccia
la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che così faccia
come Marfisa sua ben l'ammonisce;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama,
ch'ancor guerrier senza alcun par lo chiama.
80
Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea
dandogli morte, e saria traditore;
che già tolto l'avea per suo signore.
81
Ben, come a Bradamante già promesse,
promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch'occasione, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non l'avea, non desse
la colpa a lui, m'al re di Tartaria,
dal qual ne la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu, come saper si debbe.
82
Ed ella ch'ogni dì gli venìa al letto,
buon testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
da l'una e da l'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, l'ultimo effetto
è che Ruggier ritorni alla bandiera
del suo signor, fin che cagion gli accada,
che giustamente a Carlo se ne vada.
83
— Lascialo pur andar (dicea Marfisa
a Bradamante), e non aver timore:
fra pochi giorni io farò bene in guisa
che non gli fia Agramante più signore. —
Così dice ella, né però devisa
quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenza, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero;
84
quando un pianto s'udì da le vicine
valli sonar, che li fe' tutti attenti.
A quella voce fan l'orecchie chine,
che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
e di quel che voglio io, siate contenti;
che miglior cose vi prometto dire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
CANTO TRENTASETTESIMO
1
Se, come in acquistar qualch'altro dono
che senza industria non può dar Natura,
affaticate notte e dì si sono
con somma diligenza e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n'è uscit'opra non oscura;
così si fosson poste a quelli studi
ch'immortal fanno le mortal virtudi;
2
e che per sé medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto,
ai quali astio ed invidia il cor sì rode,
che 'l ben che ne puon dir, spesso è taciuto,
e 'l mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.
3
Non basta a molti di prestarsi l'opra
in far l'un l'altro glorioso al mondo,
ch'anco studian di far che si discuopra
ciò che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
dico gli antiqui; quasi l'onor debbia
d'esse il lor oscurar, come il sol nebbia.
4
Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua
la gloria sì, che non ne resti parte;
ma non già tal, che presso al segno giunga,
né ch'anco se gli accosti di gran lunga:
5
ch'Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidoni e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl'Indi con vittoria scorse:
non fur queste e poch'altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.
Continuando il vecchio i detti suoi,
fece meravigliare il duca assai,
quando scoprendo il nome suo, gli disse
esser colui che l'evangelio scrisse:
58
quel tanto al Redentor caro Giovanni,
per cui il sermone tra i fratelli uscìo,
che non dovea per morte finir gli anni;
sì che fu causa che 'l figliuol di Dio
a Pietro disse: — Perché pur t'affanni,
s'io vo' che così aspetti il venir mio? —
Ben che non disse: egli non de' morire,
si vede pur che così volse dire.
59
Quivi fu assunto, e trovò compagnia,
che prima Enoch, il patriarca, v'era;
eravi insieme il gran profeta Elia,
che non han vista ancor l'ultima sera;
e fuor de l'aria pestilente e ria
si goderan l'eterna primavera,
fin che dian segno l'angeliche tube,
che torni Cristo in su la bianca nube.
60
Con accoglienza grata il cavalliero
fu dai santi alloggiato in una stanza;
fu provisto in un'altra al suo destriero
di buona biada, che gli fu a bastanza.
De' frutti a lui del paradiso diero,
di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza
scusa non sono i duo primi parenti,
se per quei fur sì poco ubbidienti.
61
Poi ch'a natura il duca aventuroso
satisfece di quel che se le debbe,
come col cibo, così col riposo,
che tutti e tutti i commodi quivi ebbe;
lasciando già l'Aurora il vecchio sposo,
ch'ancor per lunga età mai non l'increbbe,
si vide incontra ne l'uscir del letto
il discipul da Dio tanto diletto;
62
che lo prese per mano, e seco scorse
di molte cose di silenzio degne:
e poi disse: — Figliuol, tu non sai forse
che in Francia accada, ancor che tu ne vegne.
Sappi che 'l vostro Orlando, perché torse
dal camin dritto le commesse insegne,
è punito da Dio, che più s'accende
contra chi egli ama più, quando s'offende.
63
Il vostro Orlando, a cui nascendo diede
somma possanza Dio con sommo ardire,
e fuor de l'uman uso gli concede
che ferro alcun non lo può mai ferire;
perché a difesa di sua santa fede
così voluto l'ha costituire,
come Sansone incontra a' Filistei
costituì a difesa degli Ebrei:
64
renduto ha il vostro Orlando al suo Signore
di tanti benefici iniquo merto;
che quanto aver più lo dovea in favore,
n'è stato il fedel popul più deserto.
Sì accecato l'avea l'incesto amore
d'una pagana, ch'avea già sofferto
due volte e più venire empio e crudele,
per dar la morte al suo cugin fedele.
65
E Dio per questo fa ch'egli va folle,
e mostra nudo il ventre, il petto e il fianco;
e l'intelletto sì gli offusca e tolle,
che non può altrui conoscere, e sé manco.
A questa guisa si legge che volle
Nabuccodonosor Dio punir anco,
che sette anni il mandò il furor pieno,
sì che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno.
66
Ma perch'assai minor del paladino,
che di Nabucco, è stato pur l'eccesso,
sol di tre mesi dal voler divino
a purgar questo error termine è messo.
Né ad altro effetto per tanto camino
salir qua su t'ha il Redentor concesso,
se non perché da noi modo tu apprenda,
come ad Orlando il suo senno si renda.
67
Gli è ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,
che dei pianeti a noi più prossima erra,
perché la medicina che può saggio
rendere Orlando, là dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via. —
68
Di questo e d'altre cose fu diffuso
il parlar de l'apostolo quel giorno.
Ma poi che 'l sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor levò la luna il corno,
un carro apparecchiòsi, ch'era ad uso
d'andar scorrendo per quei cieli intorno:
quel già ne le montagne di Giudea
da' mortali occhi Elia levato avea.
69
Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l'aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
76
Passando il paladin per quelle biche,
or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vesiche,
che dentro parea aver tumulti e grida;
e seppe ch'eran le corone antiche
e degli Assiri e de la terra lida,
e de' Persi e de' Greci, che già furo
incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro.
77
Ami d'oro e d'argento appresso vede
in una massa, ch'erano quei doni
che si fan con speranza di mercede
ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
ed ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
versi ch'in laude dei signor si fanno.
78
Di nodi d'oro e di gemmati ceppi
vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,
l'autorità ch'ai suoi danno i signori.
I mantici ch'intorno han pieni i greppi,
sono i fumi dei principi e i favori
che danno un tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van col fior degli anni poi.
79
Ruine di cittadi e di castella
stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
congiura che sì mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
di monetieri e di ladroni l'opra:
poi vide bocce rotte di più sorti,
ch'era il servir de le misere corti.
80
Di versate minestre una gran massa
vede, e domanda al suo dottor ch'importe.
— L'elemosina è (dice) che si lassa
alcun, che fatta sia dopo la morte. —
Di vari fiori ad un gran monte passa,
ch'ebbe già buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se però dir lece)
che Costantino al buon Silvestro fece.
81
Vide gran copia di panie con visco,
ch'erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte l'occurrenze nostre:
sol la pazzia non v'è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.
82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
ch'egli già avea perduti, si converse;
che se non era interprete con lui,
non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno: e n'era quivi un monte,
solo assai più che l'altre cose conte.
83
Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l'altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.
84
E così tutte l'altre avean scritto anco
il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco;
ma molto più maravigliar lo fenno
molti ch'egli credea che dramma manco
non dovessero averne, e quivi dénno
chiara notizia che ne tenean poco;
che molta quantità n'era in quel loco.
85
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de' signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d'altro aprezze.
Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n'era molto.
86
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
lo scrittor de l'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,
e par che quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin da indi in qua confesse
ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
ma ch'uno error che fece poi, fu quello
ch'un'altra volta gli levò il cervello.
87
La più capace e piena ampolla, ov'era
il senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non è sì leggiera,
come stimò, con l'altre essendo a monte.
Prima che 'l paladin da quella sfera
piena di luce alle più basse smonte,
menato fu da l'apostolo santo
in un palagio ov'era un fiume a canto;
88
ch'ogni sua stanza avea piena di velli
di lin, di seta, di coton, di lana,
tinti in vari colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femina cana
fila a un aspo traea da tutti quelli,
come veggiàn l'estate la villana
traer dai bachi le bagnate spoglie,
quando la nuova seta si raccoglie.
89
V'è chi, finito un vello, rimettendo
ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
un'altra de le filze va scegliendo
il bel dal brutto che quella confonde.
— Che lavor si fa qui, ch'io non l'intendo? —
dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:
— Le vecchie son le Parche, che con tali
stami filano vite a voi mortali.
90
Quanto dura un de' velli, tanto dura
l'umana vita, e non di più un momento.
Qui tien l'occhio e la Morte e la Natura,
per saper l'ora ch'un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha l'altra cura,
perché si tesson poi per ornamento
del paradiso; e dei più brutti stami
si fan per li dannati aspri legami. —
91
Di tutti i velli ch'erano già messi
in aspo, e scelti a farne altro lavoro,
erano in brevi piastre i nomi impressi,
altri di ferro, altri d'argento o d'oro:
e poi fatti n'avean cumuli spessi,
de' quali, senza mai farvi ristoro,
portarne via non si vedea mai stanco
un vecchio, e ritornar sempre per anco.
92
Era quel vecchio sì espedito e snello,
che per correr parea che fosse nato;
e da quel monte il lembo del mantello
portava pien del nome altrui segnato.
Ove n'andava, e perché facea quello,
ne l'altro canto vi sarà narrato,
se d'averne piacer segno farete
con quella grata udienza che solete.
CANTO TRENTACINQUESIMO
1
Chi salirà per me, madonna, in cielo
a riportarne il mio perduto ingegno?
che, poi ch'uscì da' bei vostri occhi il telo
che 'l cor mi fisse, ognor perdendo vegno.
Né di tanta iattura mi querelo,
pur che non cresca, ma stia a questo segno;
ch'io dubito, se più si va scemando,
di venir tal, qual ho descritto Orlando.
2
Per riaver l'ingegno mio m'è aviso
che non bisogna che per l'aria io poggi
nel cerchio de la luna o in paradiso;
che 'l mio non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,
nel sen d'avorio e alabastrini poggi
se ne va errando; ed io con queste labbia
lo corrò, se vi par ch'io lo riabbia.
3
Per gli ampli tetti andava il paladino
tutte mirando le future vite,
poi ch'ebbe visto sul fatal molino
volgersi quelle ch'erano già ordite:
e scorse un vello che più che d'or fino
splender parea; né sarian gemme trite,
s'in filo si tirassero con arte,
da comparargli alla millesma parte.
4
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
che tra infiniti paragon non ebbe;
e di sapere alto disio gli nacque,
quando sarà tal vita, e a chi si debbe.
L'evangelista nulla gliene tacque:
che venti anni principio prima avrebbe
che col . M. e col . D. fosse notato
l'anno corrente dal Verbo incarnato,
5
E come di splendore e di beltade
quel vello non avea simile o pare,
così saria la fortunata etade
che dovea uscirne al mondo singulare;
perché tutte le grazie inclite e rade
ch'alma Natura, o proprio studio dare,
o benigna Fortuna ad uomo puote,
avrà in perpetua ed infallibil dote.
6
— Del re de' fiumi tra l'altiere corna
or siede umil (diceagli) e piccol borgo:
dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna
d'alta palude un nebuloso gorgo;
che, volgendosi gli anni, la più adorna
di tutte le città d'Italia scorgo,
non pur di mura e d'ampli tetti regi,
ma di bei studi e di costumi egregi.
7
Tanta esaltazione e così presta,
non fortuìta o d'aventura casca;
ma l'ha ordinata il ciel, perché sia questa
degna in che l'uom di ch'io ti parlo, nasca:
che, dove il frutto ha da venir, s'inesta
e con studio si fa crescer la frasca;
e l'artefice l'oro affinar suole,
in che legar gemma di pregio vuole.
8
Né sì leggiadra né sì bella veste
unque ebbe altr'alma in quel terrestre regno;
e raro è sceso e scenderà da queste
sfere superne un spirito sì degno,
come per farne Ippolito da Este
n'have l'eterna mente alto disegno.
Ippolito da Este sarà detto
l'uom a chi Dio sì ricco dono ha eletto.
9
Quegli ornamenti che divisi in molti,
a molti basterian per tutti ornarli,
in suo ornamento avrà tutti raccolti
costui, di c'hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui soffolti
saran gli studi; e s'io vorrò narrar li
alti suoi merti, al fin son sì lontano,
ch'Orlando il senno aspetterebbe invano. —
10
Così venìa l'imitator di Cristo
ragionando col duca: e poi che tutte
le stanze del gran luogo ebbono visto,
onde l'umane vite eran condutte,
sul fiume usciro, che d'arena misto
con l'onde discorrea turbide e brutte;
e vi trovar quel vecchio in su la riva,
che con gl'impressi nomi vi veniva.
11
Non so se vi sia a mente, io dico quello
ch'al fin de l'altro canto vi lasciai,
vecchio di faccia, e sì di membra snello,
che d'ogni cervio è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empìa il mantello;
scemava il monte, e non finiva mai:
ed in quel fiume che Lete si noma,
scarcava, anzi perdea la ricca soma.
12
Dico che, come arriva in su la sponda
del fiume, quel prodigo vecchio scuote
il lembo pieno, e ne la turbida onda
tutte lascia cader l'impresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
ch'un minimo uso aver non se ne puote;
e di cento migliaia che l'arena
sul fondo involve, un se ne serva a pena.
13
Lungo e d'intorno quel fiume volando
givano corvi ed avidi avoltori,
mulacchie e vari augelli, che gridando
facean discordi strepiti e romori;
ed alla preda correan tutti, quando
sparger vedean gli amplissimi tesori:
e chi nel becco, e chi ne l'ugna torta
ne prende; ma lontan poco li porta.
14
Come vogliono alzar per l'aria i voli,
non han poi forza che 'l peso sostegna;
sì che convien che Lete pur involi
de' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli,
bianchi, Signor, come è la vostra insegna,
che vengon lieti riportando in bocca
sicuramente il nome che lor tocca.
15
Così contra i pensieri empi e maligni
del vecchio che donar li vorria al fiume,
alcuno ne salvan gli augelli benigni:
tutto l'avanzo oblivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni,
ed or per l'aria battendo le piume,
fin che presso alla ripa del fiume empio
trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
16
All'Immortalitade il luogo è sacro,
ove una bella ninfa giù del colle
viene alla ripa del leteo lavacro,
e di bocca dei cigni i nomi tolle;
e quelli affige intorno al simulacro
ch'in mezzo il tempio una colonna estolle,
quivi li sacra, e ne fa tal governo,
che vi si pôn veder tutti in eterno.
17
Chi sia quel vecchio, e perché tutti al rio
senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
e degli augelli, e di quel luogo pio
onde la bella ninfa al fiume viensi,
aveva Astolfo di saper desio
i gran misteri e gl'incogniti sensi;
e domandò di tutte queste cose
l'uomo di Dio, che così gli rispose:
18
— Tu déi saper che non si muove fronda
là giù che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
in terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,
veloce sì che mai nulla l'impaccia,
gli effetti pari e la medesima opra
che 'l Tempo fa là giù, fa qui di sopra.
19
Volte che son le fila in su la ruota,
là giù la vita umana arriva al fine.
La fama là, qui ne riman la nota;
ch'immortali sariano ambe e divine,
se non che qui quel da la irsuta gota,
e là giù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio;
e quel l'immerge ne l'eterno oblio.
20
E come qua su i corvi e gli avoltori
e le mulacchie e gli altri varii augelli
s'affaticano tutti per trar fuori
de l'acqua i nomi che veggion più belli:
così là giù ruffiani, adulatori,
buffon, cinedi, accusatori, e quelli
che viveno alle corti e che vi sono
più grati assai che 'l virtuoso e 'l buono,
21
e son chiamati cortigian gentili,
perché sanno imitar l'asino e 'l ciacco;
de' lor signor, tratto che n'abbia i fili
la giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
questi di ch'io ti dico, inerti e vili,
nati solo ad empir di cibo il sacco,
portano in bocca qualche giorno il nome;
poi ne l'oblio lascian cader le some.
22
Ma come i cigni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
così gli uomini degni da' poeti
son tolti da l'oblio, più che morte empio.
Oh bene accorti principi e discreti,
che seguite di Cesare l'esempio,
e gli scrittor vi fate amici, donde
non avete a temer di Lete l'onde!
23
Son, come i cigni, anco i poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni;
sì perché il ciel degli uomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
sì per gran colpa dei signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
che le virtù premendo, ed esaltando
i vizi, caccian le buone arti in bando.
24
Credi che Dio questi ignoranti ha privi
de lo 'ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la poesia gli ha fatto schivi,
acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
ancor ch'avesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi amica Cirra,
più grato odore avrian che nardo o mirra.
25
Non sì pietoso Enea, né forte Achille
fu, come è fama, né sì fiero Ettorre;
e ne son stati e mille e mille e mille
che lor si puon con verità anteporre:
ma i donati palazzi e le gran ville
dai descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi senza fin sublimi onori
da l'onorate man degli scrittori.
26
Non fu sì santo né benigno Augusto
come la tuba di Virgilio suona.
L'aver avuto in poesia buon gusto
la proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
né sua fama saria forse men buona,
avesse avuto e terra e ciel nimici,
se gli scrittor sapea tenersi amici.
27
Omero Agamennòn vittorioso,
e fe' i Troian parer vili ed inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi che 'l ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario l'istoria converti:
che i Greci rotti, e che Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.
28
Da l'altra parte odi che fama lascia
Elissa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
che riputata viene una bagascia,
solo perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar ch'io n'abbia ambascia,
e se di ciò diffusamente io dico.
Gli scrittori amo, e fo il debito mio;
ch'al vostro mondo fui scrittore anch'io.
29
E sopra tutti gli altri io feci acquisto
che non mi può levar tempo né morte:
e ben convenne al mio lodato Cristo
rendermi guidardon di sì gran sorte.
Duolmi di quei che sono al tempo tristo,
quando la cortesia chiuso ha le porte;
che con pallido viso e macro e asciutto
la notte e 'l dì vi picchian senza frutto.
30
Sì che continuando il primo detto,
sono i poeti e gli studiosi pochi;
che dove non han pasco né ricetto,
insin le fere abbandonano i lochi. —
Così dicendo il vecchio benedetto
gli occhi infiammò, che parveno duo fuochi;
poi volto al duca con un saggio riso
tornò sereno il conturbato viso.
31
Resti con lo scrittor de l'evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto,
quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
ch'io non posso più star su l'ali in alto.
Torno alla donna a cui con grave telo
mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai ch'avea con breve guerra
tre re gittati, un dopo l'altro, in terra;
32
e che giunta la sera ad un castello
ch'alla via di Parigi si ritrova,
d'Agramante, che rotto dal fratello
s'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che 'l suo Ruggier fosse con quello,
tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,
verso Provenza, dove ancora intese
che Carlo lo seguia, la strada prese.
33
Verso Provenza per la via più dritta
andando, s'incontrò in una donzella,
ancor che fosse lacrimosa e afflitta,
bella di faccia e di maniere bella.
Questa era quella sì d'amor traffitta
per lo figliuol di Monodante, quella
donna gentil ch'avea lasciato al ponte
l'amante suo prigion di Rodomonte.
34
Ella venìa cercando un cavalliero,
ch'a far battaglia usato, come lontra,
in acqua e in terra fosse, e così fiero,
che lo potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
come quest'altra sconsolata incontra,
cortesemente la saluta, e poi
le chiede la cagion dei dolor suoi.
35
Fiordiligi lei mira, e veder parle
un cavallier ch'al suo bisogno fia;
e comincia del ponte a ricontarle,
ove impedisce il re d'Algier la via;
e ch'era stato appresso di levarle
l'amante suo: non che più forte sia;
ma sapea darsi il Saracino astuto
col ponte stretto e con quel fiume aiuto.
36
— Se sei (dicea) sì ardito e sì cortese,
come ben mostri l'uno e l'altro in vista,
mi vendica, per Dio, di chi mi prese
il mio signore, e mi fa gir sì trista;
o consigliami almeno in che paese
possa io trovare un ch'a colui resista,
e sappia tanto d'arme e di battaglia,
che 'l fiume e 'l ponte al pagan poco vaglia.
37
Oltre che tu farai quel che conviensi
ad uom cortese e a cavalliero errante,
in beneficio il tuo valor dispensi
del più fedel d'ogni fedele amante.
De l'altre sue virtù non appertiensi
a me narrar; che sono tante e tante,
che chi non n'ha notizia, si può dire
che sia del veder privo e de l'udire. —
38
La magnanima donna, a cui fu grata
sempre ogni impresa che può farla degna
d'esser con laude e gloria nominata,
subito al ponte di venir disegna:
ed ora tanto più, ch'è disperata,
vien volentier, quando anco a morir vegna;
che credendosi, misera! esser priva
del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
39
— Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa
(rispose Bradamante), io m'offerisco
di far l'impresa dura e perigliosa,
per altre cause ancor, ch'io preterisco;
ma più, che del tuo amante narri cosa
che narrar di pochi uomini avvertisco,
che sia in amor fedel; ch'a fé ti giuro
ch'in ciò pensai ch'ognun fosse pergiuro. —
40
Con un sospir quest'ultime parole
finì, con un sospir ch'uscì dal core;
poi disse: — Andiamo; — e nel seguente sole
giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte da la guardia che vi suole
farne segno col corno al suo signore,
il pagan s'arma; e quale è 'l suo costume,
sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume:
41
e come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de l'arme e del destrier su ch'era,
al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa l'istoria vera,
come per lui morta Issabella giaccia,
che Fiordiligi detto le l'avea,
al Saracin superbo rispondea:
42
— Perché vuoi tu, bestial, che gli innocenti
facciano penitenza del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti:
tu l'uccidesti, e tutto 'l mondo sallo.
Sì che di tutte l'arme e guernimenti
di tanti che gittati hai da cavallo,
oblazione e vittima più accetta
avrà, ch'io te l'uccida in sua vendetta.
43
E di mia man le fia più grato il dono,
quando, come ella fu, son donna anch'io:
né qui venuta ad altro effetto sono,
ch'a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono,
che 'l tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sarò, di me farai
quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:
44
ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,
guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi,
e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte l'altre distaccar da' marmi;
e voglio che tu lasci ogni guerriero. —
Rispose Rodomonte: — Giusto parmi
che sia come tu di'; ma i prigion darti
già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
45
Io gli ho al mio regno in Africa mandati:
ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se m'avvien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch'io rimanga a piede,
farò che saran tutti liberati
in tanto tempo quanto si richiede
di dare a un messo ch'in fretta si mandi
e far quel che, s'io perdo, mi commandi.
46
Ma s'a te tocca star di sotto, come
piu si conviene, e certo so che fia,
non vo' che lasci l'arme, né il tuo nome,
come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
che spiran tutti amore e leggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti
che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
47
Io son di tal valor, son di tal nerbo,
ch'aver non déi d'andar di sotto a sdegno. —
Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo
che fece d'ira, più che d'altro, segno,
la donna, né rispose a quel superbo;
ma tornò in capo al ponticel di legno,
spronò il cavallo, e con la lancia d'oro
venne a trovar quell'orgoglioso Moro.
48
Rodomonte alla giostra s'apparecchia:
viene a gran corso; ed è sì grande il suono
che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia
può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fe' l'usanza vecchia;
che quel pagan, sì dianzi in giostra buono,
levò di sella, e in aria lo sospese,
indi sul ponte a capo in giù lo stese.
49
Nel trapassar ritrovò a pena loco
ove entrar col destrier quella guerriera;
e fu a gran risco, e ben vi mancò poco,
ch'ella non traboccò ne la riviera:
ma Rabicano, il quale il vento e 'l fuoco
concetto avean, sì destro ed agil era,
che nel margine estremo trovò strada;
e sarebbe ito anco su 'n fil di spada.
50
Ella si volta, e contra l'abbattuto
pagan ritorna; e con leggiadro motto:
— Or puoi (disse) veder chi abbia perduto,
e a chi di noi tocchi di star di sotto. —
Di maraviglia il pagan resta muto,
ch'una donna a cader l'abbia condotto;
e far risposta non poté o non volle,
e fu come uom pien di stupore e folle.
51
Di terra si levò tacito e mesto;
e poi ch'andato fu quattro o sei passi,
lo scudo e l'elmo, e de l'altre arme il resto
tutto si trasse, e gittò contra i sassi;
e solo e a piè fu a dileguarsi presto:
non che commission prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far l'effetto
dei prigion suoi, secondo che fu detto.
52
Partissi; e nulla poi più se n'intese,
se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
di costui l'arme all'alta sepoltura,
e fattone levar tutto l'arnese,
il qual dei cavallieri, alla scrittura,
conobbe de la corte esser di Carlo;
non levò il resto, e non lasciò levarlo.
53
Oltr'a quel del figliuol di Monodante,
v'è quel di Sansonetto e d'Oliviero,
che per trovare il principe d'Anglante,
quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno inante
mandati via dal Saracino altiero.
Di questi l'arme fe' la donna torre
da l'alta mole, e chiuder ne la torre.
54
Tutte l'altre lasciò pender dai sassi,
che fur spogliate ai cavallier pagani.
V'eran l'arme d'un re, del quale i passi
per Frontalatte mal fur spesi e vani:
io dico l'arme del re de' Circassi,
che dopo lungo errar per colli e piani,
venne quivi a lasciar l'altro destriero;
e poi senz'arme andossene leggiero.
55
S'era partito disarmato e a piede
quel re pagan dal periglioso ponte,
sì come gli altri ch'eran di sua fede,
partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
il cor; ch'ivi apparir non avria fronte:
che per quel che vantossi, troppo scorno
gli saria farvi in tal guisa ritorno.
56
Di pur cercar nuovo desir lo prese
colei che sol avea fissa nel core.
Fu l'aventura sua, che tosto intese
(io non vi saprei dir chi ne fu autore)
ch'ella tornava verso il suo paese:
onde esso, come il punge e sprona Amore,
dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d'Amone.
57
Poi che narrato ebbe con altro scritto
come da lei fu liberato il passo;
a Fiordiligi ch'avea il core afflitto,
e tenea il viso lacrimoso e basso,
domandò umanamente ov'ella dritto
volea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: — Il mio camino
vo' che sia in Arli al campo saracino,
58
ove navilio e buona compagnia
spero trovar da gir ne l'altro lito.
Mai non mi fermerò fin ch'io non sia
venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perché in prigion non stia,
più modi e più; che se mi vien fallito
questo che Rodomonte t'ha promesso,
ne voglio avere uno ed un altro appresso. —
59
— Io m'offerisco (disse Bradamante)
d'accompagnarti un pezzo de la strada,
tanto che tu ti vegga Arli davante,
ove per amor mio vo' che tu vada
a trovar quel Ruggier del re Agramante,
che del suo nome ha piena ogni contrada;
e che gli rendi questo buon destriero,
onde abbattuto ho il Saracino altiero.
60
Voglio ch'a punto tu gli dica questo:
— Un cavallier che di provar si crede,
e fare a tutto 'l mondo manifesto
che contra lui sei mancator di fede;
acciò ti trovi apparecchiato e presto,
questo destrier, perch'io tel dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
e che l'aspetti a far teco battaglia. —
61
Digli questo, e non altro; e se quel vuole
saper da te ch'io son, di' che nol sai. —
Quella rispose umana come suole:
— Non sarò stanca in tuo servizio mai,
spender la vita, non che le parole;
che tu ancora per me così fatto hai. —
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
62
Lungo il fiume le belle e pellegrine
giovani vanno a gran giornate insieme,
tanto che veggono Arli, e le vicine
rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
quasi de' borghi ed alle sbarre estreme,
per dare a Fiordiligi atto intervallo,
che condurre a Ruggier possa il cavallo.
63
Vien Fiordiligi, ed entra nel rastrello,
nel ponte e ne la porta; e seco prende
chi le fa compagnia fin all'ostello
ove abita Ruggiero, e quivi scende;
e, secondo il mandato, al damigello
fa l'imbasciata, e il buon Frontin gli rende:
indi va, che risposta non aspetta,
ad eseguire il suo bisogno in fretta.
64
Ruggier riman confuso e in pensier grande,
e non sa ritrovar capo né via
di saper chi lo sfide, e chi gli mande
a dire oltraggio e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
o possa domandar uomo che sia,
non sa veder né imaginare; e prima,
ch'ogn'altro sia che Bradamante, istima.
65
Che fosse Rodomonte, era più presto
ad aver, che fosse altri, opinione;
e perché ancor da lui debba udir questo,
pensa, né imaginar può la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto 'l resto
del mondo, con chi lite abbia e tenzone.
Intanto la donzella di Dordona
chiede battaglia, e forte il corno suona.
66
Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
ch'un cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era avante,
ed impetrò di vestir piastra e maglia,
e promesse pigliar questo arrogante.
Il popul venne sopra la muraglia;
né fanciullo restò, né restò veglio,
che non fosse a veder chi fêsse meglio.
67
Con ricca sopravesta e bello arnese
Serpentin da la Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese:
il destrier aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la donna cortese,
e per la briglia al Saracin lo tenne,
e disse: — Monta, e fa che 'l tuo signore
mi mandi un cavallier di te migliore. —
68
Il re african, ch'era con gran famiglia
sopra le mura alla giostra vicino,
del cortese atto assai si maraviglia,
ch'usato ha la donzella a Serpentino.
— Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia, —
diceva, udendo il popul saracino.
Serpentin giunge, e come ella commanda,
un miglior da sua parte al re domanda.
69
Grandonio di Volterna furibondo,
il più superbo cavallier di Spagna,
pregando fece sì, che fu il secondo,
ed uscì con minacce alla campagna.
— Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo;
che, quando da me vinto tu rimagna,
al mio signor menar preso ti voglio:
ma qui morrai, s'io posso, come soglio. —
70
La donna disse lui: — Tua villania
non vo' che men cortese far mi possa,
ch'io non ti dica che tu torni pria
che sul duro terren ti doglian l'ossa.
Ritorna, e di' al tuo re da parte mia,
che per simile a te non mi son mossa;
ma per trovar guerrier che 'l pregio vaglia,
son qui venuta a domandar battaglia. —
71
Il mordace parlare, acre ed acerbo,
gran fuoco al cor del Saracino attizza;
sì che senza poter replicar verbo,
volta il destrier con colera e con stizza.
Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d'oro e Rabicano drizza.
Come l'asta fatal lo scudo tocca,
coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
72
Il destrier la magnanima guerriera
gli prese, e disse: — Pur tel prediss'io,
che far la mia imbasciata meglio t'era,
che de la giostra aver tanto disio.
Di', al re, ti prego, che fuor de la schiera
elegga un cavallier che sia par mio;
né voglia con voi altri affaticarme,
ch'avete poca esperienza d'arme. —
73
Quei da le mura, che stimar non sanno
chi sia il guerriero in su l'arcion sì saldo,
quei più famosi nominando vanno,
che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno:
la più parte s'accorda esser Rinaldo:
molti su Orlando avrian fatto disegno;
ma il suo caso sapean di pietà degno.
74
La terza giostra il figlio di Lanfusa
chiedendo, disse: — Non che vincer speri,
ma perché di cader più degna scusa
abbian, cadendo anch'io, questi guerrieri. —
E poi di tutto quel ch'in giostra s'usa
si messe in punto; e di cento destrieri
che tenea in stalla, d'un tolse l'eletta,
ch'avea il correre acconcio, e di gran fretta.
75
Contra la donna per giostrar si fece;
ma prima salutolla, ed ella lui.
Disse la donna: — Se saper mi lece,
ditemi in cortesia che siate vui. —
Di questo Ferraù le satisfece,
ch'usò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: — Voi già non rifiuto,
ma avria più volentieri altri voluto. —
76
— E chi? — Ferraù disse. Ella rispose:
— Ruggiero; — e a pena il poté proferire,
e sparse d'un color come di rose
la bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi: — Le cui famose
lode a tal prova m'han fatto venire.
Altro non bramo, e d'altro non mi cale,
che di provar come egli in giostra vale. —
77
Semplicemente disse le parole
che forse alcuno ha già prese a malizia.
Rispose Ferraù: — Prima si vuole
provar tra noi chi sa più di milizia.
Se di me avvien quel che di molti suole,
poi verrà ad emendar la mia tristizia
quel gentil cavallier che tu dimostri
aver tanto desio che teco giostri. —
78
Parlando tuttavolta la donzella
teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
si sente rimaner mezzo conquiso,
e taciturno dentro a sé favella:
— Questo un angel mi par del paradiso;
e ancor che con la lancia non mi tocchi,
abbattuto son già da' suoi begli occhi. —
79
Preson del campo; e come agli altri avvenne,
Ferraù se n'uscì di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli ritenne,
e disse: — Torna, e serva quel c'hai detto. —
Ferraù vergognoso se ne venne,
e ritrovò Ruggier ch'era al cospetto
del re Agramante; e gli fece sapere
ch'alla battaglia il cavallier lo chere.
80
Ruggier non conoscendo ancor chi fosse
chi a sfidar lo mandava alla battaglia,
quasi certo di vincere, allegrosse;
e le piastre arrecar fece e la maglia:
né l'aver visto alle gravi percosse,
che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s'armasse, e come uscisse, e quanto
poi ne seguì, lo serbo all'altro canto.
CANTO TRENTASEIESIMO
1
Convien ch'ovunque sia, sempre cortese
sia un cor gentil, ch'esser non può altrimente;
che per natura e per abito prese
quel che di mutar poi non è possente.
Convien ch'ovunque sia, sempre palese
un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male, e viene a farsi
l'abito poi difficile a mutarsi.
2
Di cortesia, di gentilezza esempi
fra gli antiqui guerrier si vider molti,
e pochi fra i moderni; ma degli empi
costumi avvien ch'assai ne vegga e ascolti
in quella guerra, Ippolito, che i tempi
di segni ornaste agli nimici tolti,
e che traeste lor galee captive
di preda carche alle paterne rive.
3
Tutti gli atti crudeli ed inumani
ch'usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
(non già con volontà de' Veneziani,
che sempre esempio di giustizia foro),
usaron l'empie e scelerate mani
di rei soldati, mercenari loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi
ch'arson le ville e i nostri ameni lochi:
4
ben che fu quella ancor brutta vendetta,
massimamente contra voi, ch'appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
era d'assedio, ben sapea che spesso
per voi più d'una fiamma fu interdetta,
e spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
da villaggi e da templi, come piacque,
all'alta cortesia che con voi nacque.
5
Io non parlo di questo né di tanti
altri lor discortesi e crudeli atti;
ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
debbe poter, qual volta se ne tratti:
quel dì, Signor, che la famiglia inanti
vostra mandaste là dove ritratti
dai legni lor con importuni auspici
s'erano in luogo forte gl'inimici.
6
Qual Ettorre ed Enea sin dentro ai flutti,
per abbruciar le navi greche, andaro;
un Ercol vidi e un Alessandro, indutti
da troppo ardir, partirsi a paro a paro,
e spronando i destrier, passarci tutti,
e i nemici turbar fin nel riparo,
e gir sì inanzi, ch'al secondo molto
aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
7
Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo.
Che cor, duca di Sora, che consiglio
fu allora il tuo, che trar vedesti l'elmo
fra mille spade al generoso figlio,
e menar preso a nave, e sopra un schelmo
troncargli il capo? Ben mi maraviglio
che darti morte lo spettacol solo
non poté, quanto il ferro a tuo figliuolo.
8
Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
de la milizia? In qual Scizia s'intende
ch'uccider si debba un, poi che gli è preso,
che rende l'arme, e più non si difende?
Dunque uccidesti lui, perché ha difeso
la patria? Il sole a torto oggi risplende,
crudel seculo, poi che pieno sei
di Tiesti, di Tantali e di Atrei.
9
Festi, barbar crudel, del capo scemo
il più ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo e l'altro, e da l'estremo
lito degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofàgo, in Polifemo
la beltà e gli anni suoi trovar pietade;
ma non in te, più crudo e più fellone
d'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone.
10
Simile esempio non credo che sia
fra gli antiqui guerrier, di quai li studi
tutti fur gentilezza e cortesia;
né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
a quei ch'avea, toccando lor gli scudi,
fatto uscir de la sella, ma tenea
loro i cavalli, e rimontar facea.
11
Di questa donna valorosa e bella
io vi dissi di sopra, che abbattuto
avea Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
e ciascun d'essi poi rimesso in sella;
e dissi ancor che 'l terzo era venuto,
da lei mandato a disfidar Ruggiero,
là dove era stimata un cavalliero.
12
Ruggier tenne lo 'nvito allegramente,
e l'armatura sua fece venire.
Or mentre che s'armava al re presente,
tornaron quei signor di nuovo a dire
chi fosse il cavallier tanto eccellente,
che di lancia sapea sì ben ferire;
e Ferraù, che parlato gli avea,
fu domandato se lo conoscea.
13
Rispose Ferraù: — Tenete certo
che non è alcun di quei ch'avete detto.
A me parea, ch'il vidi a viso aperto,
il fratel di Rinaldo giovinetto:
ma poi ch'io n'ho l'alto valore esperto,
e so che non può tanto Ricciardetto,
penso che sia la sua sorella, molto
(per quel ch'io n'odo) a lui simil di volto.
14
Ella ha ben fama d'esser forte a pare
del suo Rinaldo e d'ogni paladino;
ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare
che val più del fratel, più del cugino. —
Come Ruggier lei sente ricordare,
del vermiglio color che 'l matutino
sparge per l'aria, si dipinge in faccia,
e nel cor triema, e non sa che si faccia.
15
A questo annunzio, stimulato e punto
da l'amoroso stral, dentro infiammarse,
e per l'ossa sentì tutto in un punto
correre un giaccio che 'l timor vi sparse,
timor ch'un nuovo sdegno abbia consunto
quel grande amor che già per lui sì l'arse.
Di ciò confuso non si risolveva,
s'incontra uscirle, o pur restar doveva.
16
Or quivi ritrovandosi Marfisa,
che d'uscire alla giostra avea gran voglia,
ed era armata, perché in altra guisa
è raro, o notte o dì, che tu la coglia;
sentendo che Ruggier s'arma, s'avisa
che di quella vittoria ella si spoglia
se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire inanzi, e averne il pregio stima.
17
Salta a cavallo, e vien spronando in fretta
ove nel campo la figlia d'Amone
con palpitante cor Ruggiero aspetta,
desiderosa farselo prigione,
e pensa solo ove la lancia metta,
perché del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor de la porta,
e sopra l'elmo una fenice porta;
18
o sia per sua superbia, dinotando
se stessa unica al mondo in esser forte,
o pur sua casta intenzion lodando
di viver sempremai senza consorte.
La figliuola d'Amon la mira; e quando
le fattezze ch'amava non ha scorte,
come si nomi le domanda, ed ode
esser colei che del suo amor si gode;
19
o per dir meglio, esser colei che crede
che goda del suo amor, colei che tanto
ha in odio e in ira, che morir si vede,
se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede,
non per desir di porla in terra, quanto
di passarle con l'asta in mezzo il petto,
e libera restar d'ogni suspetto.
20
Forza è a Marfisa ch'a quel colpo vada
a provar se 'l terreno è duro o molle;
e cosa tanto insolita le accada,
ch'ella n'è per venir di sdegno folle.
Fu in terra a pena, che trasse la spada,
e vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d'Amon non meno altiera
gridò: — Che fai? tu sei mia prigioniera.
21
Se bene uso con gli altri cortesia,
usar teco, Marfisa, non la voglio,
come a colei che d'ogni villania
odo che sei dotata e d'ogni orgoglio. —
Marfisa a quel parlar fremer s'udia
come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma sì per rabbia si confonde,
che non può esprimer fuor quel che risponde.
22
Mena la spada, e più ferir non mira
lei, che 'l destrier, nel petto e ne la pancia:
ma Bradamante al suo la briglia gira,
e quel da parte subito si lancia;
e tutto a un tempo con isdegno ed ira
la figliuola d'Amon spinge la lancia,
e con quella Marfisa tocca a pena,
che la fa riversar sopra l'arena.
23
A pena ella fu in terra, che rizzosse,
cercando far con la spada mal'opra.
Di nuovo l'asta Bradamante mosse,
e Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Ben che possente Bradamante fosse,
non però sì a Marfisa era di sopra,
che l'avesse ogni colpo riversata;
ma tal virtù ne l'asta era incantata.
24
Alcuni cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico, de la parte nostra,
se n'erano venuti dove, in mezzo
l'un campo e l'altro, si facea la giostra
(che non eran lontani un miglio e mezzo),
veduta la virtù che 'l suo dimostra;
il suo che non conoscono altrimente
che per un cavallier de la lor gente.
25
Questi vedendo il generoso figlio
di Troiano alle mura approssimarsi,
per ogni caso, per ogni periglio
non volse sproveduto ritrovarsi;
e fe' che molti all'arme dier di piglio,
e che fuor dei ripari appresentarsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
di Marfisa la giostra avea intercetta.
26
L'inamorato giovene mirando
stava il successo, e gli tremava il core,
de la sua cara moglie dubitando;
che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
si mosse l'una e l'altra con furore;
ma visto poi come successe il fatto,
restò maraviglioso e stupefatto:
27
e poi che fin la lite lor non ebbe,
come avean l'altre avute, al primo incontro,
nel cor profundamente gli ne 'ncrebbe,
dubbioso pur di qualche strano incontro.
De l'una egli e de l'altra il ben vorrebbe;
ch'ama amendue: non che da porre incontro
sien questi amori: è l'un fiamma e furore,
l'altro benivolenza più ch'amore.
28
Partita volentier la pugna avria,
se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia,
perché non vinca la parte di Carlo,
che già lor par che superior ne sia,
saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Da l'altra parte i cavallier cristiani
si fanno inanzi, e son quivi alle mani.
29
Di qua di là gridar si sente all'arme,
come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a piè, chi non è armato s'arme,
alla bandiera ognun faccia ritorno!
dicea con chiaro e bellicoso carme
più d'una tromba che scorrea d'intorno:
e come quelle svegliano i cavalli,
svegliano i fanti i timpani e i taballi.
30
La scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si possa imaginar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
a cui mirabilmente aggrava e incresce
che quel di ch'era tanto disiosa,
di por Marfisa a morte, non riesce;
di qua di là si volge e si raggira,
se Ruggier può veder, per cui sospira.
31
Lo riconosce all'aquila d'argento
c'ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
si ferma a contemplar le spalle e 'l petto,
le leggiadre fattezze, e 'l movimento
pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
imaginando ch'altra ne gioisse,
da furore assalita così disse:
32
— Dunque baciar sì belle e dolce labbia
deve altra, se baciar non le poss'io?
Ah non sia vero già ch'altra mai t'abbia;
che d'altra esser non déi, se non sei mio.
Più tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen l'inferno
poi mi ti renda, e stii meco in eterno.
33
Se tu m'occidi, è ben ragion che deggi
darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi,
che chi dà morte altrui debba esser morto.
Né par ch'anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, ohimè! ch'io muora;
ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora.
34
Perché non déi tu, mano, essere ardita
d'aprir col ferro al mio nimico il core?
che tante volte a morte m'ha ferita
sotto la pace in sicurtà d'amore,
ed or può consentir tormi la vita,
né pur aver pietà del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte:
vendica mille mie con la sua morte. —
35
Gli sprona contra in questo dir, ma prima:
— Guardati (grida), perfido Ruggiero:
tu non andrai, s'io posso, de la opima
spoglia del cor d'una donzella altiero. —
Come Ruggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com'era in vero,
la cui voce in memoria sì bene ebbe,
ch'in mille riconoscer la potrebbe.
36
Ben pensa quel che le parole denno
volere inferir più; ch'ella l'accusa
che la convenzion ch'insieme fenno,
non le osservava: onde per farne iscusa,
di volerle parlar le fece cenno:
ma quella già con la visiera chiusa
venìa dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e forse ove non era sabbia.
37
Quando Ruggier la vede tanto accesa,
si ristringe ne l'arme e ne la sella:
la lancia arresta; ma la tien sospesa,
piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, ch'a ferirlo e a fargli offesa
venìa con mente di pietà rubella,
non poté sofferir, come fu appresso,
di porlo in terra e fargli oltraggio espresso.
38
Così lor lance van d'effetto vote
a quello incontro; e basta ben s'Amore
con l'un giostra e con l'altro, e gli percuote
d'una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
di far onta a Ruggier, volge il furore
che l'arde il petto, altrove; e vi fa cose
che saran, fin che giri il ciel, famose.
39
In poco spazio ne gittò per terra
trecento e più con quella lancia d'oro.
Ella sola quel dì vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro.
Ruggier di qua di là s'aggira ed erra
tanto, che se le accosta e dice: — Io moro,
s'io non ti parlo: ohimè! che t'ho fatto io,
che mi debbi fuggire? Odi, per Dio! —
40
Come ai meridional tiepidi venti,
che spirano dal mare il fiato caldo,
le nievi si disciolveno e i torrenti,
e il ghiaccio che pur dianzi era sì saldo;
così a quei prieghi, a quei brevi lamenti
il cor de la sorella di Rinaldo
subito ritornò pietoso e molle,
che l'ira, più che marmo, indurar volle.
41
Non vuol dargli, o non puote, altra risposta;
ma da traverso sprona Rabicano,
e quanto può dagli altri si discosta,
ed a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor de la moltitudine in reposta
valle si trasse, ov'era un piccol piano
ch'in mezzo avea un boschetto di cipressi
che parean d'una stampa, tutti impressi.
42
In quel boschetto era di bianchi marmi
fatta di nuovo un'alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
che già non pose mente alla scrittura.
Ruggier dietro il cavallo affretta e punge
tanto, ch'al bosco e alla donzella giunge.
43
Ma ritorniamo a Marfisa che s'era
in questo mezzo in sul destrier rimessa,
e venìa per trovar quella guerriera
che l'avea al primo scontro in terra messa:
e la vide partir fuor de la schiera,
e partir Ruggier vide e seguir essa;
né si pensò che per amor seguisse,
ma per finir con l'arme ingiurie e risse.
44
Urta il cavallo, e vien dietro alla pesta
tanto, ch'a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
chi vive amando, il sa, senza ch'io 'l scriva.
Ma Bradamante offesa più ne resta,
che colei vede, onde il suo mal deriva.
Chi le può tor che non creda esser vero
che l'amor ve la sproni di Ruggiero?
45
E perfido Ruggier di nuovo chiama.
— Non ti bastava, perfido (disse ella),
che tua perfidia sapessi per fama,
se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo c'hai brama:
e per sbramar tua voglia iniqua e fella,
io vo' morir; ma sforzerommi ancora
che muora meco chi è cagion ch'io mora. —
46
Sdegnosa più che vipera, si spicca,
così dicendo, e va contra Marfisa;
ed allo scudo l'asta sì le appicca,
che la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo l'elmo in terra ficca;
né si può dir che sia colta improvisa:
anzi fa incontra ciò che far si puote;
e pure in terra del capo percuote.
47
La figliuola d'Amon, che vuol morire
o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia,
che non ha mente di nuovo a ferire
con l'asta, onde a gittar di nuovo l'abbia;
ma le pensa dal busto dipartire
il capo mezzo fitto ne la sabbia:
getta da sé la lancia d'oro, e prende
la spada, e del destrier subito scende.
48
Ma tarda è la sua giunta; che si trova
Marfisa incontra, e di tanta ira piena
(poi che s'ha vista alla seconda prova
cader sì facilmente su l'arena),
che pregar nulla, e nulla gridar giova
a Ruggier che di questo avea gran pena:
sì l'odio e l'ira le guerriere abbaglia,
che fan da disperate la battaglia.
49
A mezzo spada vengono di botto;
e per la gran superbia che l'ha accese,
van pur inanzi, e si son già sì sotto,
ch'altro non puon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue,
ma poco frutto han le parole sue.
50
Quando pur vede che 'l pregar non vale,
di partirle per forza si dispone:
leva di mano ad amendua il pugnale,
ed al piè d'un cipresso li ripone.
Poi che ferro non han più da far male,
con prieghi e con minaccie s'interpone:
ma tutto è invan; che la battaglia fanno
a pugni e a calci, poi ch'altro non hanno.
51
Ruggier non cessa: or l'una or l'altra prende
per le man, per le braccia, e la ritira;
e tanto fa, che di Marfisa accende
contra di sé, quanto si può più, l'ira.
Quella che tutto il mondo vilipende,
alla amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca,
corre alla spada, e con Ruggier s'attacca.
52
— Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
ma ti farò pentir con questa mano
che vo' che basti a vincervi ambedui. —
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera,
ch'un perder tempo ogni parlar seco era.
53
All'ultimo Ruggier la spada trasse,
poi che l'ira anco lui fe' rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
che così a' riguardanti dilettasse,
come dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.
54
La sua spada avea tolta ella di terra,
e tratta s'era a riguardar da parte;
e le parea veder che 'l dio di guerra
fosse Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è ch'un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.
55
Sapea ben la virtù de la sua spada;
che tante esperienze n'ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
l'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto:
sì che ritien che 'l colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure un tratto la pazienza;
56
perché Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che 'l capo difenda
Ruggiero, e 'l colpo in su l'aquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta:
e s'avea altr'arme che quelle d'Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio torre:
57
e saria sceso indi alla testa, dove
disegnò di ferir l'aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena più sostien l'aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta!
58
Io non vi so ben dir come si fosse:
la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e più ne l'arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sentì con esso
da quell'avel ch'in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir, ch'ogni mortale eccede.
59
Grida la voce orribile: — Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto ed inumano
ch'alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano:
in un medesimo utero d'un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.
60
Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galaciella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice,
senza guardar ch'avesse in corpo il pondo
di voi, ch'usciste pur di lor radice,
la fer, perché s'avesse ad affogare,
s'un debol legno porre in mezzo al mare.
61
Ma Fortuna che voi, ben che non nati,
avea già eletti a gloriose imprese,
fece che 'l legno ai liti inabitati
sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v'ebbe dati,
l'anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino,
a questo caso io mi trovai vicino.
62
Diedi alla madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in sì deserta arena;
e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
feci e lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.
63
Un giorno che d'andar per la contrada
e da la stanza allontanar m'occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d'Arabi (e ricordarvene de' forse),
che te, Marfisa, tolser ne la strada,
ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian più diligente.
64
Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti' predir le stelle fisse,
che tra' cristiani a tradigion morrai;
e perché il male influsso non seguisse,
tenertene lontan m'affaticai:
né ostare al fin potendo alla tua voglia,
infermo caddi, e mi mori' di doglia.
65
Ma inanzi a morte, qui dove previdi
che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi;
ed a Caron dissi con alti gridi:
— Dopo morte non vo' lo spirto levi
di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. —
66
Così lo spirto mio per le belle ombre
ha molti dì aspettato il venir vostro:
sì che mai gelosia più non t'ingombre,
o Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca al tenebroso chiostro. —
Qui si tacque; e a Marfisa ed alla figlia
d'Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui;
e ad abbracciarsi, senza offender quella
che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e rammentando de l'età novella
alcune cose: i' feci, io dissi, io fui;
vengon trovando con più certo effetto,
tutto esser ver quel c'ha lo spirto detto.
68
Ruggiero alla sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante;
e narrò con parole affettuose
de le obligazion che le avea tante:
e non cessò, ch'in grand'amor compose
le discordie ch'insieme ebbono avante;
e fe', per segno di pacificarsi,
ch'umanamente andaro ad abbracciarsi.
69
A domandar poi ritornò Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre;
e chi l'avesse morto, ed a che guisa,
s'in campo chiuso o fra l'armate squadre;
e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se già l'avea udito da fanciulla,
or ne tenea poca memoria o nulla.
70
Ruggiero incominciò, che da' Troiani
per la linea d'Ettorre erano scesi;
che poi che Astianatte de le mani
campò d'Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de' fanciulli coetani
per lui lasciato, uscì di quei paesi;
e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e dominò Messina.
71
— I descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiar de la Calabria parte;
e dopo più successioni andaro
ad abitar ne la città di Marte.
Più d'uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.
72
Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fe', come d'Atlante udir potesti,
di nostra madre l'utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
per l'istorie vedrai celebri al mondo. —
Seguì poi, come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d'Agramante;
73
e come menò seco una donzella
ch'era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gittò di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa,
e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
per la cognata arse d'incesto amore;
74
e che la patria e 'l padre e duo fratelli
tradì, così sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fer di lor tutti i portamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli
poser Galaciella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo,
quando fu tempestoso al maggior verno.
75
Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che 'l suo german facea:
ed esser scesa da la bella fonte
ch'avea sì chiari rivi, si godea.
Quindi Mongrana e quindi Chiaramonte
le due progenie derivar sapea,
ch'al mondo fu molti e molt'anni e lustri
splendide, e senza par d'uomini illustri.
76
Poi che 'l fratello al fin le venne a dire
che 'l padre d'Agramante e l'avo e 'l zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo poté più la sorella udire,
che lo 'nterroppe, e disse: — Fratel mio
(salva tua grazia), avuto hai troppo torto
a non ti vendicar del padre morto.
77
Se in Almonte e in Troian non ti potevi
insanguinar, ch'erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte,
ma vivi al soldo suo ne la sua corte.
78
Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio,
fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se più ti veggo fra le squadre
del re Agramante o d'altro signor Moro,
se non col ferro in man per danno loro. —
79
Oh come a quel parlar leva la faccia
la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che così faccia
come Marfisa sua ben l'ammonisce;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama,
ch'ancor guerrier senza alcun par lo chiama.
80
Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea
dandogli morte, e saria traditore;
che già tolto l'avea per suo signore.
81
Ben, come a Bradamante già promesse,
promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch'occasione, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non l'avea, non desse
la colpa a lui, m'al re di Tartaria,
dal qual ne la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu, come saper si debbe.
82
Ed ella ch'ogni dì gli venìa al letto,
buon testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
da l'una e da l'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, l'ultimo effetto
è che Ruggier ritorni alla bandiera
del suo signor, fin che cagion gli accada,
che giustamente a Carlo se ne vada.
83
— Lascialo pur andar (dicea Marfisa
a Bradamante), e non aver timore:
fra pochi giorni io farò bene in guisa
che non gli fia Agramante più signore. —
Così dice ella, né però devisa
quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenza, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero;
84
quando un pianto s'udì da le vicine
valli sonar, che li fe' tutti attenti.
A quella voce fan l'orecchie chine,
che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
e di quel che voglio io, siate contenti;
che miglior cose vi prometto dire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
CANTO TRENTASETTESIMO
1
Se, come in acquistar qualch'altro dono
che senza industria non può dar Natura,
affaticate notte e dì si sono
con somma diligenza e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n'è uscit'opra non oscura;
così si fosson poste a quelli studi
ch'immortal fanno le mortal virtudi;
2
e che per sé medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto,
ai quali astio ed invidia il cor sì rode,
che 'l ben che ne puon dir, spesso è taciuto,
e 'l mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.
3
Non basta a molti di prestarsi l'opra
in far l'un l'altro glorioso al mondo,
ch'anco studian di far che si discuopra
ciò che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
dico gli antiqui; quasi l'onor debbia
d'esse il lor oscurar, come il sol nebbia.
4
Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua
la gloria sì, che non ne resti parte;
ma non già tal, che presso al segno giunga,
né ch'anco se gli accosti di gran lunga:
5
ch'Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidoni e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl'Indi con vittoria scorse:
non fur queste e poch'altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.
