7
— Dico (rispose Fausto) che secondo
ch'io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
— Dico (rispose Fausto) che secondo
ch'io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
Ariosto - Orlando Furioso
Le man le pose l'angelo nel crine,
e pugna e calci le diè senza fine.
38
Indi le roppe un manico di croce
per la testa, pel dosso e per le braccia.
Mercé grida la misera a gran voce,
e le genocchia al divin nunzio abbraccia.
Michel non l'abandona, che veloce
nel campo del re d'Africa la caccia;
e poi le dice: — Aspettati aver peggio,
se fuor di questo campo più ti veggio. —
39
Come che la Discordia avesse rotto
tutto il dosso e le braccia, pur temendo
un'altra volta ritrovarsi sotto
a quei gran colpi, a quel furor tremendo,
corre a pigliare i mantici di botto,
ed agli accesi fuochi esca aggiungendo,
ed accendendone altri, fa salire
da molti cori un alto incendio d'ire.
40
E Rodomonte e Mandricardo e insieme
Ruggier n'infiamma sì, che inanzi al Moro
li fa tutti venire, or che non preme
Carlo i pagani, anzi il vantaggio è loro.
Le differenze narrano, ed il seme
fanno saper, da cui produtte foro;
poi del re si rimettono al parere,
chi di lor prima il campo debba avere.
41
Marfisa del suo caso anco favella,
e dice che la pugna vuol finire,
che cominciò col Tartaro; perch'ella
provocata da lui vi fu a venire:
né, per dar loco all'altre, volea quella
un'ora, non che un giorno, differire;
ma d'esser prima fa l'instanza grande,
ch'alla battaglia il Tartaro domande.
42
Non men vuol Rodomonte il primo campo
da terminar col suo rival l'impresa,
che per soccorrer l'africano campo
ha già interrotta, e fin a qui sospesa.
Mette Ruggier le sue parole a campo,
e dice che patir troppo gli pesa
che Rodomonte il suo destrier gli tenga,
e ch'a pugna con lui prima non venga.
43
Per più intricarla il Tartaro viene anche,
e niega che Ruggiero ad alcun patto
debba l'aquila aver da l'ale bianche;
e d'ira e di furore è così matto,
che vuol, quando dagli altri tre non manche,
combatter tutte le querele a un tratto.
Né più dagli altri ancor saria mancato,
se 'l consenso del re vi fosse stato.
44
Con prieghi il re Agramante e buon ricordi
fa quanto può, perché la pace segua;
e quando al fin tutti li vede sordi
non volere assentire a pace o a triegua,
va discorrendo come almen gli accordi
sì, che l'un dopo l'altro il campo assegua:
e pel miglior partito al fin gli occorre
ch'ognuno a sorte il campo s'abbia a torre.
45
Fe' quattro brevi porre: un Mandricardo
e Rodomonte insieme scritto avea;
ne l'altro era Ruggiero e Mandricardo.
Rodomonte e Ruggier l'altro dicea;
dicea l'altro Marfisa e Mandricardo.
Indi all'arbitrio de l'instabil dea
li fece trarre: e 'l primo fu il signore
di Sarza a uscir con Mandricardo fuore.
46
Mandricardo e Ruggier fu nel secondo;
nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte;
restò Marfisa e Mandricardo in fondo,
di che la donna ebbe turbata fronte.
Né Ruggier più di lei parve giocondo:
sa che le forze dei duo primi pronte
han tra lor da finir le liti in guisa,
che non ne fia per sé né per Marfisa.
47
Giacea non lungi da Parigi un loco,
che volgea un miglio o poco meno intorno:
lo cingea tutto un argine non poco
sublime, a guisa d'un teatro adorno.
Un castel già vi fu, ma a ferro e a fuoco
le mura e i tetti ed a ruina andorno.
Un simil può vederne in su la strada,
qual volta a Borgo il Parmigiano vada.
48
In questo loco fu la lizza fatta,
di brevi legni d'ogn'intorno chiusa,
per giusto spazio quadra, al bisogno atta,
con due capaci porte, come s'usa.
Giunto il dì ch'al re par che si combatta
tra i cavallier che non ricercan scusa,
furo appresso alle sbarre in ambi i lati
contra i rastrelli i padiglion tirati.
49
Nel padiglion ch'è più verso ponente
sta il re d'Algier, c'ha membra di gigante.
Gli pon lo scoglio indosso del serpente
l'ardito Ferraù con Sacripante.
Il re Gradasso e Falsiron possente
sono in quell'altro al lato di levante,
e metton di sua man l'arme troiane
indosso al successor del re Agricane.
50
Sedeva in tribunale amplo e sublime
il re d'Africa, e seco era l'Ispano;
poi Stordilano, e l'altre genti prime
che riveria l'esercito pagano.
Beato a chi pôn dare argini e cime
d'arbori stanza che gli alzi dal piano!
Grande è la calca, e grande in ogni lato
populo ondeggia intorno al gran steccato.
51
Eran con la regina di Castiglia
regine e principesse e nobil donne
d'Aragon, di Granata e di Siviglia,
e fin di presso all'atlantee colonne:
tra quai di Stordilan sedea la figlia,
che di duo drappi avea le ricche gonne,
l'un d'un rosso mal tinto, e l'altro verde;
ma 'l primo quasi imbianca e il color perde.
52
In abito succinta era Marfisa,
qual si convenne a donna ed a guerriera.
Termoodonte forse a quella guisa
vide Ippolita ornarsi e la sua schiera.
Già, con la cotta d'arme alla divisa
del re Agramante, in campo venut'era
l'araldo a far divieto e metter leggi,
che né in fatto né in detto alcun parteggi.
53
La spessa turba aspetta disiando
la pugna, e spesso incolpa il venir tardo
dei duo famosi cavallieri; quando
s'ode dal padiglion di Mandricardo
alto rumor che vien moltiplicando.
Or sappiate, Signor, che 'l re gagliardo
di Sericana e 'l Tartaro possente
fanno il tumulto e 'l grido che si sente.
54
Avendo armato il re di Sericana
di sua man tutto il re di Tartaria,
per porgli al fianco la spada soprana
che già d'Orlando fu, se ne venìa;
quando nel pome scritto Durindana
vide, e 'l quartier ch'Almonte aver solia,
ch'a quel meschin fu tolto ad una fonte
dal giovenetto Orlando in Aspramonte.
55
Vedendola, fu certo ch'era quella
tanto famosa del signor d'Anglante,
per cui con grande armata, e la più bella
che giamai si partisse di Levante,
soggiogato avea il regno di Castella,
e Francia vinta esso pochi anni inante:
ma non può imaginarsi come avenga
ch'or Mandricardo in suo poter la tenga.
56
E dimandògli se per forza o patto
l'avesse tolta al conte, e dove e quando.
E Mandricardo disse ch'avea fatto
gran battaglia per essa con Orlando;
e come finto quel s'era poi matto,
così coprire il suo timor sperando,
ch'era d'aver continua guerra meco,
fin che la buona spada avesse seco.
57
E dicea ch'imitato avea il castore,
il qual si strappa i genitali sui,
vedendosi alle spalle il cacciatore,
che sa che non ricerca altro da lui.
Gradasso non udì tutto il tenore,
che disse: — Non vo' darla a te né altrui:
tanto oro, tanto affanno e tanta gente
ci ho speso, che è ben mia debitamente.
58
Cercati pur fornir d'un'altra spada,
ch'io voglio questa, e non ti paia nuovo.
Pazzo o saggio ch'Orlando se ne vada,
averla intendo, ovunque io la ritrovo.
Tu senza testimoni in su la strada
te l'usurpasti: io qui lite ne muovo.
La mia ragion dirà mia scimitarra,
e faremo il giudicio ne la sbarra.
59
Prima, di guadagnarla t'apparecchia,
che tu l'adopri contra a Rodomonte.
Di comprar prima l'arme è usanza vecchia,
ch'alla battaglia il cavallier s'affronte. —
— Più dolce suon non mi viene all'orecchia
(rispose alzando il Tartaro la fronte),
che quando di battaglia alcun mi tenta;
ma fa che Rodomonte lo consenta.
60
Fa che sia tua la prima, e che si tolga
il re di Sarza la tenzon seconda:
e non ti dubitar ch'io non mi volga,
e ch'a te ed ad ogni altro io non risponda. —
Ruggier gridò: — Non vo' che si disciolga
il patto, o più la sorte si confonda:
o Rodomonte in campo prima saglia,
o sia la sua dopo la mia battaglia.
61
Se di Gradasso la ragion prevale,
prima acquistar che porre in opra l'arme;
né tu l'aquila mia da le bianche ale
prima usar déi, che non me ne disarme:
ma poi ch'è stato il mio voler già tale,
di mia sentenza non voglio appellarme,
che sia seconda la battaglia mia,
quando del re d'Algier la prima sia.
62
Se turbarete voi l'ordine in parte,
io totalmente turbarollo ancora.
Io non intendo il mio scudo lasciarte,
se contra me non lo combatti or ora. —
— Se l'uno e l'altro di voi fosse Marte
(rispose Mandricardo irato allora),
non saria l'un né l'altro atto a vietarme
la buona spada o quelle nobili arme. —
63
E tratto da la colera, aventosse
col pugno chiuso al re di Sericana;
e la man destra in modo gli percosse,
ch'abandonar gli fece Durindana.
Gradasso, non credendo ch'egli fosse
di così folle audacia e così insana,
colto improviso fu, che stava a bada,
e tolta si trovò la buona spada.
64
Così scornato, di vergogna e d'ira
nel viso avampa, e par che getti fuoco;
e più l'affligge il caso e lo martira,
poi che gli accade in sì palese loco.
Bramoso di vendetta si ritira,
a trar la scimitarra, a dietro un poco.
Mandricardo in sé tanto si confida,
che Ruggiero anco alla battaglia sfida.
65
— Venite pure inanzi amenduo insieme,
e vengane pel terzo Rodomonte,
Africa e Spagna e tutto l'uman seme;
ch'io son per sempremai volger la fronte. —
Così dicendo, quel che nulla teme,
mena d'intorno la spada d'Almonte;
lo scudo imbraccia, disdegnoso e fiero,
contra Gradasso e contra il buon Ruggiero.
66
— Lascia la cura a me (dicea Gradasso),
ch'io guarisca costui de la pazzia. —
— Per Dio (dicea Ruggier), non te la lasso,
ch'esser convien questa battaglia mia. —
— Va indietro tu! — Vavvi pur tu! — né passo
però tornando, gridan tuttavia;
ed attaccossi la battaglia in terzo,
ed era per uscirne un strano scherzo,
67
se molti non si fossero interposti
a quel furor, non con troppo consiglio;
ch'a spese lor quasi imparar che costi
voler altri salvar con suo periglio.
Né tutto 'l mondo mai gli avria composti,
se non venia col re d'Ispagna il figlio
del famoso Troiano, al cui cospetto
tutti ebbon riverenza e gran rispetto.
68
Si fe' Agramante la cagione esporre
di questa nuova lite così ardente:
poi molto affaticossi per disporre
che per quella giornata solamente
a Mandricardo la spada d'Ettorre
concedesse Gradasso umanamente,
tanto ch'avesse fin l'aspra contesa
ch'avea già incontra a Rodomonte presa.
69
Mentre studia placarli il re Agramante,
ed or con questo ed or con quel ragiona;
da l'altro padiglion tra Sacripante
e Rodomonte un'altra lite suona.
Il re circasso (come è detto inante)
stava di Rodomonte alla persona,
ed egli e Ferraù gli aveano indotte
l'arme del suo progenitor Nembrotte.
70
Ed eran poi venuti ove il destriero
facea, mordendo, il ricco fren spumoso;
io dico il buon Frontin, per cui Ruggiero
stava iracondo e più che mai sdegnoso.
Sacripante ch'a por tal cavalliero
in campo avea, mirava curioso
se ben ferrato e ben guernito e in punto
era il destrier, come doveasi a punto.
71
E venendo a guardargli più a minuto
i segni, le fattezze isnelle ed atte,
ebbe, fuor d'ogni dubbio, conosciuto
che questo era il destrier suo Frontalatte,
che tanto caro già s'avea tenuto,
per cui già avea mille querele fatte;
e poi che gli fu tolto, un tempo volse
sempre ire a piedi: in modo gliene dolse.
72
Inanzi Albracca glie l'avea Brunello
tolto di sotto quel medesmo giorno
ch'ad Angelica ancor tolse l'annello,
al conte Orlando Balisarda e 'l corno,
e la spada a Marfisa: ed avea quello,
dopo che fece in Africa ritorno,
con Balisarda insieme a Ruggier dato,
il qual l'avea Frontin poi nominato.
73
Quando conobbe non si apporre in fallo,
disse il Circasso, al re d'Algier rivolto:
— Sappi, signor, che questo è mio cavallo,
ch'ad Albracca di furto mi fu tolto.
Bene avrei testimoni da provallo;
ma perché son da noi lontani molto,
s'alcun lo niega, io gli vo' sostenere
con l'arme in man le mie parole vere.
74
Ben son contento, per la compagnia
in questi pochi dì stata fra noi,
che prestato il cavallo oggi ti sia,
ch'io veggo ben che senza far non puoi;
però con patto, se per cosa mia
e prestata da me conoscer vuoi:
altrimente d'averlo non far stima,
o se non lo combatti meco prima. —
75
Rodomonte, del quale un più orgoglioso
non ebbe mai tutto il mestier de l'arme;
al quale in esser forte e coraggioso
alcuno antico d'uguagliar non parme;
rispose: — Sacripante, ogn'altro ch'oso,
fuor che tu, fosse in tal modo a parlarme,
con suo mal si saria tosto avveduto
che meglio era per lui di nascer muto.
76
Ma per la compagnia che, come hai detto,
novellamente insieme abbiamo presa,
ti son contento aver tanto rispetto,
ch'io t'ammonisca a tardar questa impresa,
fin che de la battaglia veggi effetto,
che fra il Tartaro e me tosto fia accesa:
dove porti uno esempio inanzi spero,
ch'avrai di grazia a dirmi: Abbi il destriero. —
77
— Gli è teco cortesia l'esser villano
(disse il Circasso pien d'ira e di isdegno);
ma più chiaro ti dico ora e più piano,
che tu non faccia in quel destrier disegno:
che te lo defendo io, tanto ch'in mano
questa vindice mia spada sostegno;
e metteròvi insino l'ugna e il dente,
se non potrò difenderlo altrimente. —
78
Venner da le parole alle contese,
ai gridi, alle minacce, alla battaglia,
che per molt'ira in più fretta s'accese,
che s'accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha l'osbergo ed ogni arnese,
Sacripante non ha piastra né maglia;
ma par (sì ben con lo schermir s'adopra)
che tutto con la spada si ricuopra.
79
Non era la possanza e la fierezza
di Rodomonte, ancor ch'era infinita,
più che la providenza e la destrezza
con che sue forze Sacripante aita.
Non voltò ruota mai con più prestezza
il macigno sovran che 'l grano trita,
che faccia Sacripante or mano or piede
di qua di là, dove il bisogno vede.
80
Ma Ferraù, ma Serpentino arditi
trasson le spade, e si cacciar tra loro,
dal re Grandonio, da Isolier seguiti,
da molt'altri signor del popul Moro.
Questi erano i romori, i quali uditi
ne l'altro padiglion fur da costoro,
quivi per accordar venuti invano
col Tartaro, Ruggiero e 'l Sericano.
81
Venne chi la novella al re Agramante
riportò certa, come pel destriero
avea con Rodomonte Sacripante
incominciato un aspro assalto e fiero.
Il re, confuso di discordie tante,
disse a Marsilio: — Abbi tu qui pensiero
che fra questi guerrier non segua peggio,
mentre all'altro disordine io proveggio. —
82
Rodomonte, che 'l re, suo signor, mira,
frena l'orgoglio, e torna indietro il passo;
né con minor rispetto si ritira
al venir d'Agramante il re circasso.
Quel domanda la causa di tant'ira
con real viso e parlar grave e basso:
e cerca, poi che n'ha compreso il tutto,
porli d'accordo; e non vi fa alcun frutto.
83
Il re circasso il suo destrier non vuole
ch'al re d'Algier più lungamente resti,
se non s'umilia tanto di parole,
che lo venga a pregar che glie lo presti.
Rodomonte, superbo come suole,
gli risponde: — Né 'l ciel, né tu faresti
che cosa che per forza aver potessi,
da altri, che da me, mai conoscessi. —
84
Il re chiede al Circasso, che ragione
ha nel cavallo, e come gli fu tolto:
e quel di parte in parte il tutto espone,
ed esponendo s'arrossisce in volto,
quando gli narra che 'l sottil ladrone,
ch'in un alto pensier l'aveva colto,
la sella su quattro aste gli suffolse,
e di sotto il destrier nudo gli tolse.
85
Marfisa che tra gli altri al grido venne,
tosto che 'l furto del cavallo udì,
in viso si turbò, che le sovenne
che perdé la sua spada ella quel dì:
e quel destrier che parve aver le penne
da lei fuggendo, riconobbe qui:
riconobbe anco il buon re Sacripante,
che non avea riconosciuto inante.
86
Gli altri ch'erano intorno, e che vantarsi
Brunel di questo aveano udito spesso,
verso lui cominciaro a rivoltarsi,
e far palesi cenni ch'era desso;
Marfisa sospettando, ad informarsi
da questo e da quell'altro ch'avea appresso,
tanto che venne a ritrovar che quello
che le tolse la spada era Brunello:
87
e seppe che pel furto onde era degno
che gli annodasse il collo un capestro unto,
dal re Agramante al tingitano regno
fu, con esempio inusitato, assunto.
Marfisa, rinfrescando il vecchio sdegno,
disegnò vendicarsene a quel punto,
e punir scherni e scorni che per strada
fatti l'avea sopra la tolta spada.
88
Dal suo scudier l'elmo allacciar si fece;
che del resto de l'arme era guernita.
Senza osbergo io non trovo che mai diece
volte fosse veduta alla sua vita,
dal giorno ch'a portarlo assuefece
la sua persona, oltre ogni fede ardita.
Con l'elmo in capo andò dove fra i primi
Brunel sedea negli argini sublimi.
89
Gli diede a prima giunta ella di piglio
in mezzo il petto, e da terra levollo,
come levar suol col falcato artiglio
talvolta la rapace aquila il pollo;
e là dove la lite inanzi al figlio
era del re Troian, così portollo.
Brunel, che giunto in male man si vede,
pianger non cessa e domandar mercede.
90
Sopra tutti i rumor, strepiti e gridi,
di che 'l campo era pien quasi ugualmente,
Brunel, ch'ora pietade ora sussidi
domandando venìa, così si sente,
ch'al suono de' ramarichi e de' stridi
si fa d'intorno accor tutta la gente.
Giunta inanzi al re d'Africa, Marfisa
con viso altier gli dice in questa guisa:
91
— Io voglio questo ladro tuo vasallo
con le mie mani impender per la gola,
perché il giorno medesmo che 'l cavallo
a costui tolle, a me la spada invola.
Ma se gli è alcun che voglia dir ch'io fallo,
facciasi inanzi e dica una parola;
ch'in tua presenza gli vo' sostenere
che se ne mente, e ch'io fo il mio dovere.
92
Ma perché si potria forse imputarme
c'ho atteso a farlo in mezzo a tante liti,
mentre che questi più famosi in arme
d'altre querele son tutti impediti;
tre giorni ad impiccarlo io vo' indugiarme:
intanto o vieni, o manda chi l'aiti;
che dopo, se non fia chi me lo vieti,
farò di lui mille uccellacci lieti.
93
Di qui presso a tre leghe a quella torre
che siede inanzi ad un piccol boschetto,
senza più compagnia mi vado a porre,
che d'una mia donzella e d'un valletto.
S'alcuno ardisce di venirmi a torre
questo ladron, là venga, ch'io l'aspetto. —
Così disse ella; e dove disse, prese
tosto la via, né più risposta attese.
94
Sul collo inanzi del destrier si pone
Brunel, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone,
in che sperar solìa, chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusione
di questi intrichi, che non vede come
poterli sciorre; e gli par via più greve
che Marfisa Brunel così gli leve.
95
Non che l'apprezzi o che gli porti amore,
anzi più giorni son che l'odia molto;
e spesso ha d'impiccarlo avuto in core,
dopo che gli era stato l'annel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo onore,
sì che n'avampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta,
e a tutto suo poter farne vendetta.
96
Ma il re Sobrino, il quale era presente,
da questa impresa molto il dissuade,
dicendogli che mal conveniente
era all'altezza di sua maestade,
se ben avesse d'esserne vincente
ferma speranza e certa sicurtade:
più ch'onor, gli fia biasmo, che si dica
ch'abbia vinta una femina a fatica.
97
Poco l'onore, e molto era il periglio
d'ogni battaglia che con lei pigliasse;
e che gli dava per miglior consiglio,
che Brunello alle forche aver lasciasse;
e se credesse ch'uno alzar di ciglio
a torlo dal capestro gli bastasse,
non dovea alzarlo, per non contradire
che s'abbia la giustizia ad esequire.
98
— Potrai mandare un che Marfisa prieghi
(dicea) ch'in questo giudice ti faccia,
con promission ch'al ladroncel si leghi
il laccio al collo, e a lei si sodisfaccia;
e quando anco ostinata te lo nieghi,
se l'abbia, e il suo desir tutto compiaccia:
pur che da tua amicizia non si spicchi,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi. —
99
Il re Agramante volentier s'attenne
al parer di Sobrin discreto e saggio;
e Marfisa lasciò, che non le venne,
né patì ch'altri andasse a farle oltraggio,
né di farla pregare anco sostenne:
e tolerò, Dio sa con che coraggio,
per poter acchetar liti maggiori,
e del suo campo tor tanti romori.
100
Di ciò si ride la Discordia pazza,
che pace o triegua ormai più teme poco.
Scorre di qua e di là tutta la piazza,
né può trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
e legne ed esca va aggiungendo al fuoco:
e grida sì, che fin ne l'alto regno
manda a Michel de la vittoria segno.
101
Tremò Parigi e turbidossi Senna
all'alta voce, a quello orribil grido;
rimbombò il suon fin alla selva Ardenna
sì che lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron l'Alpi e il monte di Gebenna,
di Blaia e d'Arli e di Roano il lido;
Rodano e Sonna udì, Garonna e il Reno:
si strinsero le madri i figli al seno.
102
Son cinque cavallier c'han fisso il chiodo
d'essere i primi a terminar sua lite,
l'una ne l'altra aviluppata in modo,
che non l'avrebbe Apolline espedite.
Commincia il re Agramante a sciorre il nodo
de le prime tenzon ch'aveva udite,
che per la figlia del re Stordilano
eran tra il re di Scizia e il suo Africano.
103
Il re Agramante andò per porre accordo
di qua e di là più volte a questo e a quello,
e a questo e a quel più volte diè ricordo
da signor giusto e da fedel fratello:
e quando parimente trova sordo
l'un come l'altro, indomito e rubello
di volere esser quel che resti senza
la donna da cui vien lor differenza;
104
s'appiglia al fin, come a miglior partito,
di che amendui si contentar gli amanti,
che de la bella donna sia marito
l'uno de' duo, quel che vuole essa inanti;
e da quanto per lei sia stabilito,
più non si possa andar dietro né avanti.
All'uno e all'altro piace il compromesso,
sperando ch'esser debbia a favor d'esso.
105
Il re di Sarza, che gran tempo prima
di Mandricardo amava Doralice,
ed ella l'avea posto in su la cima
d'ogni favor ch'a donna casta lice;
che debba in util suo venire estima
la gran sentenza che 'l può far felice:
né egli avea questa credenza solo,
ma con lui tutto il barbaresco stuolo.
106
Ognun sapea ciò ch'egli avea già fatto
per essa in giostre, in torniamenti, in guerra;
e che stia Mandricardo a questo patto,
dicono tutti che vaneggia ed erra.
Ma quel che più fiate e più di piatto
con lei fu mentre il sol stava sotterra,
e sapea quanto avea di certo in mano,
ridea del popular giudicio vano.
107
Poi lor convenzion ratificaro
in man del re quei duo prochi famosi,
ed indi alla donzella se n'andaro.
Ed ella abbassò gli occhi vergognosi,
e disse che più il Tartaro avea caro:
di che tutti restar maravigliosi;
Rodomonte sì attonito e smarrito,
che di levar non era il viso ardito.
108
Ma poi che l'usata ira cacciò quella
vergogna che gli avea la faccia tinta,
ingiusta e falsa la sentenza appella;
e la spada impugnando, ch'egli ha cinta,
dice, udendo il re e gli altri, che vuol ch'ella
gli dia perduta questa causa o vinta,
e non l'arbitrio di femina lieve
che sempre inchina a quel che men far deve.
109
Di nuovo Mandricardo era risorto,
dicendo: — Vada pur come ti pare: —
sì che prima che 'l legno entrasse in porto,
v'era a solcare un gran spazio di mare:
se non che 'l re Agramante diede torto
a Rodomonte, che non può chiamare
più Mandricardo per quella querela;
e fe' cadere a quel furor la vela.
110
Or Rodomonte che notar si vede
dinanzi a quei signor di doppio scorno,
dal suo re, a cui per riverenza cede,
e da la donna sua, tutto in un giorno,
quivi non volse più fermare il piede;
e de la molta turba ch'avea intorno
seco non tolse più che duo sergenti,
ed uscì dei moreschi alloggiamenti.
111
Come, partendo, afflitto tauro suole,
che la giuvenca al vincitor cesso abbia,
cercar le selve e le rive più sole
lungi dai paschi, o qualche arrida sabbia;
dove muggir non cessa all'ombra e al sole,
né però scema l'amorosa rabbia:
così sen va di gran dolor confuso
il re d'Algier da la sua donna escluso.
112
Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier, che già per questo s'era armato;
ma poi di Mandricardo ricordasse,
a cui de la battaglia era ubligato:
non seguì Rodomonte, e ritornosse
per entrar col re tartaro in steccato
prima che 'ntrasse il re di Sericana,
che l'altra lite avea di Durindana.
113
Veder torsi Frontin troppo gli pesa
dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
ma dato ch'abbia fine a questa impresa,
ha ferma intenzion di ricovrarlo.
Ma Sacripante, che non ha contesa,
come Ruggier, che possa distornarlo,
e che non ha da far altro che questo,
per l'orme vien di Rodomonte presto.
114
E tosto l'avria giunto, se non era
un caso strano che trovò tra via,
che lo fe' dimorar fin alla sera,
e perder le vestigie che seguia.
Trovò una donna che ne la riviera
di Senna era caduta, e vi peria,
s'a darle tosto aiuto non veniva:
saltò ne l'acqua e la ritrasse a riva.
115
Poi quando in sella volse risalire,
aspettato non fu dal suo destriero,
che fin a sera si fece seguire,
e non si lasciò prender di leggiero:
preselo al fin, ma non seppe venire
più, donde s'era tolto dal sentiero:
ducento miglia errò tra piano e monte,
prima che ritrovasse Rodomonte.
116
Dove trovollo, e come fu conteso
con disvantaggio assai di Sacripante,
come perdé il cavallo e restò preso,
or non dirò; c'ho da narrarvi inante
di quanto sdegno e di quanta ira acceso
contra la donna e contra il re Agramante
del campo Rodomonte si partisse,
e ciò che contra all'uno e all'altro disse.
117
Di cocenti sospir l'aria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Ecco per la pietà che gli n'avea,
da' cavi sassi rispondea sovente.
— Oh feminile ingegno (egli dicea),
come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!
118
Né lunga servitù, né grand'amore
che ti fu a mille prove manifesto,
ebbono forza di tenerti il core,
che non fossi a cangiarsi almen sì presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
io ti paressi, di te privo resto;
né so trovar cagione ai casi miei,
se non quest'una, che femina sei.
119
Credo che t'abbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
de l'uom, che senza te saria giocondo:
come ha produtto anco il serpente rio
e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e loglio e avena fa nascer tra i grani.
120
Perché fatto non ha l'alma Natura,
che senza te potesse nascer l'uomo,
come s'inesta per umana cura
l'un sopra l'altro il pero, il corbo e 'l pomo?
Ma quella non può far sempre a misura:
anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
veggo che non può far cosa perfetta,
poi che Natura femina vien detta.
121
Non siate però tumide e fastose,
donne, per dir che l'uom sia vostro figlio;
che de le spine ancor nascon le rose,
e d'una fetida erba nasce il giglio:
importune, superbe, dispettose,
prive d'amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilenza eterna al mondo nate. —
122
Con queste ed altre ed infinite appresso
querele il re di Sarza se ne giva,
or ragionando in un parlar sommesso,
quando in un suon che di lontan s'udiva,
in onta e in biasmo del femineo sesso:
e certo da ragion si dipartiva;
che per una o per due che trovi ree,
che cento buone sien creder si dee.
123
Se ben di quante io n'abbia fin qui amate,
non n'abbia mai trovata una fedele,
perfide tutte io non vo' dir né ingrate,
ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e più già ne son state,
che non dan causa ad uom che si querele;
ma mia fortuna vuol che s'una ria
ne sia tra cento, io di lei preda sia.
124
Pur vo' tanto cercar prima ch'io mora,
anzi prima che 'l crin più mi s'imbianchi,
che forse dirò un dì, che per me ancora
alcuna sia che di sua fé non manchi.
Se questo avvien (che di speranza fuora
io non ne son), non fia mai ch'io mi stanchi
di farla, a mia possanza, gloriosa
con lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa.
125
Il Saracin non avea manco sdegno
contra il suo re, che contra la donzella;
e così di ragion passava il segno,
biasmando lui, come biasmando quella.
Ha disio di veder che sopra il regno
gli cada tanto mal, tanta procella,
ch'in Africa ogni casa si funesti,
né pietra salda sopra pietra resti;
126
e che spinto del regno, in duolo e in lutto
viva Agramante misero e mendico:
e ch'esso sia che poi gli renda il tutto,
e lo riponga nel suo seggio antico,
e de la fede sua produca il frutto;
e gli faccia veder ch'un vero amico
a dritto e a torto esser dovea preposto,
se tutto 'l mondo se gli fosse opposto.
127
E così quando al re, quando alla donna
volgendo il cor turbato, il Saracino
cavalca a gran giornate, e non assonna,
e poco riposar lascia Frontino.
Il dì seguente o l'altro in su la Sonna
si ritrovò, ch'avea dritto il camino
verso il mar di Provenza, con disegno
di navigare in Africa al suo regno.
128
Di barche e di sottil legni era tutto
fra l'una ripa e l'altra il fiume pieno,
ch'ad uso de l'esercito condutto
da molti lochi vettovaglie avieno;
perché in poter de' Mori era ridutto,
venendo da Parigi al lito ameno
d'Acquamorta, e voltando invêr la Spagna,
ciò che v'è da man destra di campagna.
129
Le vettovaglie in carra ed in iumenti,
tolte fuor de le navi, erano carche,
e tratte con la scorta de le genti,
ove venir non si potea con barche.
Avean piene le ripe i grassi armenti
quivi condotti da diverse marche;
e i conduttori intorno alla riviera
per vari tetti albergo avean la sera.
130
Il re d'Algier, perché gli sopravenne
quivi la notte e l'aer nero e cieco,
d'un ostier paesan lo 'nvito tenne,
che lo pregò che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
di vari cibi e di vin corso e greco;
che 'l Saracin nel resto alla moresca
ma volse far nel bere alla francesca.
131
L'oste con buona mensa e miglior viso
studiò di fare a Rodomonte onore;
che la presenza gli diè certo aviso
ch'era uomo illustre e pien d'alto valore:
ma quel che da se stesso era diviso,
né quella sera avea ben seco il core
(che mal suo grado s'era ricondotto
alla donna già sua), non facea motto.
132
Il buon ostier, che fu dei diligenti
che mai si sien per Francia ricordati,
quando tra le nimiche e strane genti
l'albergo e' beni suoi s'avea salvati,
per servir, quivi, alcuni suoi parenti,
a tal servigio pronti, avea chiamati;
de' quai non era alcun di parlar oso,
vedendo il Saracin muto e pensoso.
133
Di pensiero in pensiero andò vagando
da se stesso lontano il pagan molto,
col viso a terra chino, né levando
sì gli occhi mai, ch'alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto, suspirando,
sì come d'un gran sonno allora sciolto,
tutto si scosse, e insieme alzò le ciglia,
e voltò gli occhi all'oste e alla famiglia.
134
Indi roppe il silenzio, e con sembianti
più dolci un poco e viso men turbato,
domandò all'oste e agli altri circostanti
se d'essi alcuno avea mogliere a lato.
Che l'oste e che quegli altri tutti quanti
l'aveano, per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel che ciascun si crede
de la sua donna nel servargli fede.
135
Eccetto l'oste, fer tutti risposta,
che si credeano averle e caste e buone.
Disse l'oste: — Ognun pur creda a sua posta;
ch'io so ch'avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere vi costa
ch'io stimi ognun di voi senza ragione;
e così far questo signor deve anco,
se non vi vuol mostrar nero per bianco.
136
Perché, sì come è sola la fenice,
né mai più d'una in tutto il mondo vive,
così né mai più d'uno esser si dice,
che de la moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
d'esser quel sol ch'a questa palma arrive.
Come è possibil che v'arrivi ognuno,
se non ne può nel mondo esser più d'uno?
137
Io fui già ne l'error che siete voi,
che donna casta anco più d'una fusse.
Un gentilomo di Vinegia poi,
che qui mia buona sorte già condusse,
seppe far sì con veri esempi suoi,
che fuor de l'ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato;
che 'l nome suo non mi s'è mai scordato.
138
Le fraudi che le mogli e che l'amiche
sogliano usar, sapea tutte per conto:
e sopra ciò moderne istorie e antiche,
e proprie esperienze avea sì in pronto,
che mi mostrò che mai donne pudiche
non si trovaro, o povere o di conto;
e s'una casta più de l'altra parse,
venìa, perché più accorta era a celarse.
139
E fra l'altre (che tante me ne disse,
che non ne posso il terzo ricordarmi),
sì nel capo una istoria mi si scrisse,
che non si scrisse mai più saldo in marmi:
e ben parria a ciascuno che l'udisse,
di queste rie quel ch'a me parve e parmi.
E se, signor, a voi non spiace udire,
a lor confusion ve la vo' dire. —
140
Rispose il Saracin: — Che puoi tu farmi,
che più al presente mi diletti e piaccia,
che dirmi istoria e qualche esempio darmi
che con l'opinion mia si confaccia?
Perch'io possa udir meglio, e tu narrarmi,
siedemi incontra, ch'io ti vegga in faccia. —
Ma nel canto che segue io v'ho da dire
quel che fe' l'oste a Rodomonte udire.
CANTO VENTOTTESIMO
1
Donne, e voi che le donne avete in pregio,
per Dio, non date a questa istoria orecchia,
a questa che l'ostier dire in dispregio
e in vostra infamia e biasmo s'apparecchia;
ben che né macchia vi può dar né fregio
lingua sì vile, e sia l'usanza vecchia
che 'l volgare ignorante ognun riprenda,
e parli più di quel che meno intenda.
2
Lasciate questo canto, che senza esso
può star l'istoria, e non sarà men chiara.
Mettendolo Turpino, anch'io l'ho messo,
non per malivolenza né per gara.
Ch'io v'ami, oltre mia lingua che l'ha espresso,
che mai non fu di celebrarvi avara,
n'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro
ch'io son, né potrei esser se non vostro.
3
Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
leggerne verso, e chi pur legger vuole,
gli dia quella medesima credenza
che si suol dare a finzioni e a fole.
Ma tornando al dir nostro, poi ch'udienza
apparecchiata vide a sue parole,
e darsi luogo incontra al cavalliero,
così l'istoria incominciò l'ostiero.
4
— Astolfo, re de' Longobardi, quello
a cui lasciò il fratel monaco il regno,
fu ne la giovinezza sua sì bello,
che mai poch'altri giunsero a quel segno.
N'avria a fatica un tal fatto a penello
Apelle, o Zeusi, o se v'è alcun più degno.
Bello era, ed a ciascun così parea:
ma di molto egli ancor più si tenea.
5
Non stimava egli tanto per l'altezza
del grado suo, d'avere ognun minore;
né tanto, che di genti e di ricchezza,
di tutti i re vicini era il maggiore;
quanto che di presenza e di bellezza
avea per tutto 'l mondo il primo onore.
Godea di questo, udendosi dar loda,
quanto di cosa volentier più s'oda.
6
Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavallier romano:
con cui sovente essendosi lodato
or del bel viso or de la bella mano,
ed avendolo un giorno domandato
se mai veduto avea, presso o lontano,
altro uom di forma così ben composto;
contra quel che credea, gli fu risposto.
7
— Dico (rispose Fausto) che secondo
ch'io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
Quest'uno è un fratel mio, detto Iocondo.
Eccetto lui, ben crederò ch'ognuno
di beltà molto a dietro tu ti lassi;
ma questo sol credo t'adegui e passi. —
8
Al re parve impossibil cosa udire,
che sua la palma infin allora tenne;
e d'aver conoscenza alto desire
di sì lodato giovene gli venne.
Fe' sì con Fausto, che di far venire
quivi il fratel prometter gli convenne;
ben ch'a poterlo indur che ci venisse,
saria fatica, e la cagion gli disse:
9
che 'l suo fratello era uom che mosso il piede
mai non avea di Roma alla sua vita,
che del ben che Fortuna gli concede,
tranquilla e senza affanni avea notrita:
la roba di che 'l padre il lasciò erede,
né mai cresciuta avea né minuita;
e che parrebbe a lui Pavia lontana
più che non parria a un altro ire alla Tana.
10
E la difficultà saria maggiore
a poterlo spiccar da la mogliere,
con cui legato era di tanto amore,
che non volendo lei, non può volere.
Pur per ubbidir lui che gli è signore,
disse d'andare e fare oltre il potere.
Giunse il re a' prieghi tali offerte e doni,
che di negar non gli lasciò ragioni.
11
Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto pregò, che 'l fratel mosse
sì ch'a venire al re gli persuase;
e fece ancor (ben che difficil fosse)
che la cognata tacita rimase,
proponendole il ben che n'usciria,
oltre ch'obligo sempre egli l'avria.
12
Fisse Iocondo alla partita il giorno:
trovò cavalli e servitori intanto;
vesti fe' far per comparire adorno,
che talor cresce una beltà un bel manto.
La notte a lato, e 'l dì la moglie intorno,
con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
gli dice che non sa come patire
potrà tal lontananza e non morire;
13
che pensandovi sol, da la radice
sveller si sente il cor nel lato manco.
— Deh, vita mia, non piagnere (le dice
Iocondo, e seco piagne egli non manco);
così mi sia questo camin felice,
come tornar vo' fra duo mesi almanco:
né mi faria passar d'un giorno il segno,
se mi donasse il re mezzo il suo regno. —
14
Né la donna perciò si riconforta:
dice che troppo termine si piglia;
e s'al ritorno non la trova morta,
esser non può se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorni e notte porta,
che gustar cibo, e chiuder possa ciglia;
tal che per la pietà Iocondo spesso
si pente ch'al fratello abbia promesso.
15
Dal collo un suo monile ella si sciolse,
ch'una crocetta avea ricca di gemme,
e di sante reliquie che raccolse
in molti luoghi un peregrin boemme;
ed il padre di lei, ch'in casa il tolse
tornando infermo, di Ierusalemme,
venendo a morte poi ne lasciò erede:
questa levossi ed al marito diede.
16
E che la porti per suo amore al collo
lo prega, sì che ognor gli ne sovenga.
Piacque il dono al marito, ed accettollo;
non perché dar ricordo gli convenga:
che né tempo né assenza mai dar crollo,
né buona o ria fortuna che gli avenga,
potrà a quella memoria salda e forte
c'ha di lei sempre, e avrà dopo la morte.
17
La notte ch'andò inanzi a quella aurora
che fu il termine estremo alla partenza,
al suo Iocondo par ch'in braccio muora
la moglie, che n'ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo e si partì in effetto;
e la moglier si ricorcò nel letto.
18
Iocondo ancor duo miglia ito non era,
che gli venne la croce raccordata,
ch'avea sotto il guancial messo la sera,
poi per oblivion l'avea lasciata.
— Lasso! (dicea tra sé) di che maniera
troverò scusa che mi sia accettata,
che mia moglie non creda che gradito
poco da me sia l'amor suo infinito? —
19
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
che non sarà accettabile né buona,
mandi famigli, mandivi altra gente,
s'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice: — Or pianamente
fin a Baccano al primo albergo sprona;
che dentro a Roma è forza ch'io rivada:
e credo anco di giugnerti per strada.
20
Non potria fare altri il bisogno mio:
né dubitar, ch'io sarò tosto teco. —
voltò il ronzin di trotto, e disse a Dio;
né de' famigli suoi volse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio,
dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova addormentata forte.
21
La cortina levò senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a un giovene giacea.
Riconobbe l'adultero di botto,
per la pratica lunga che n'avea;
ch'era de la famiglia sua un garzone,
allevato da lui, d'umil nazione.
22
S'attonito restasse e malcontento,
meglio è pensarlo e farne fede altrui,
ch'esserne mai per far l'esperimento
che con suo gran dolor ne fe' costui.
Da lo sdegno assalito, ebbe talento
di trar la spada e uccidergli ambedui:
ma da l'amor che porta, al suo dispetto,
all'ingrata moglier, gli fu interdetto.
23
Né lo lasciò questo ribaldo Amore
(vedi se sì l'avea fatto vasallo)
destarla pur, per non le dar dolore
che fosse da lui colta in sì gran fallo.
Quanto poté più tacito uscì fuore,
scese le scale, e rimontò a cavallo;
e punto egli d'amor, così lo punse,
ch'all'albergo non fu, che 'l fratel giunse.
24
Cambiato a tutti parve esser nel volto;
vider tutti che 'l cor non avea lieto:
ma non v'è chi s'apponga già di molto,
e possa penetrar nel suo secreto.
Credeano che da lor si fosse tolto
per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia del mal causa ognun s'avisa;
ma non è già chi dir sappia in che guisa.
25
Estimasi il fratel, che dolor abbia
d'aver la moglie sua sola lasciata;
e pel contrario duolsi egli ed arrabbia
che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
sta l'infelice, e sol la terra guata.
Fausto ch'a confortarlo usa ogni prova,
perché non sa la causa, poco giova.
26
Di contrario liquor la piaga gli unge,
e dove tor dovria, gli accresce doglie;
dove dovria saldar, più l'apre e punge:
questo gli fa col ricordar la moglie.
Né posa dì né notte: il sonno lunge
fugge col gusto, e mai non si raccoglie:
e la faccia, che dianzi era sì bella,
si cangia sì, che più non sembra quella.
27
Par che gli occhi se ascondin ne la testa;
cresciuto il naso par nel viso scarno:
de la beltà sì poca gli ne resta,
che ne potrà far paragone indarno.
Col duol venne una febbre sì molesta,
che lo fe' soggiornar all'Arbia e all'Arno:
e se di bello avea serbata cosa,
tosto restò come al sol colta rosa.
28
Oltre ch'a Fausto incresca del fratello
che veggia a simil termine condutto,
via più gl'incresce che bugiardo a quello
principe, a chi lodollo, parrà in tutto:
mostrar di tutti gli uomini il più bello
gli avea promesso, e mostrerà il più brutto.
Ma pur continuando la sua via,
seco lo trasse al fin dentro a Pavia.
29
Già non vuol che lo vegga il re improviso,
per non mostrarsi di giudicio privo:
ma per lettere inanzi gli dà aviso
che 'l suo fratel ne viene a pena vivo;
e ch'era stato all'aria del bel viso
un affanno di cor tanto nocivo,
accompagnato da una febbre ria,
che più non parea quel ch'esser solia.
30
Grata ebbe la venuta di Iocondo
quanto potesse il re d'amico avere;
che non avea desiderato al mondo
cosa altretanto, che di lui vedere.
Né gli spiace vederselo secondo,
e di bellezza dietro rimanere;
ben che conosca, se non fosse il male,
che gli saria superiore o uguale.
31
Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio,
lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode;
fa gran provision che stia con agio,
e d'onorarlo assai si studia e gode.
Langue Iocondo, che 'l pensier malvagio
c'ha de la ria moglier, sempre lo rode:
né 'l veder giochi, né musici udire,
dramma del suo dolor può minuire.
32
Le stanze sue, che sono appresso al tetto
l'ultime, inanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perché ogni diletto,
perch'ogni compagnia prova nimica)
si ritraea, sempre aggiungendo al petto
di più gravi pensier nuova fatica:
e trovò quivi (or chi lo crederia? )
chi lo sanò de la sua piaga ria.
33
In capo de la sala, ove è più scuro
(che non vi s'usa le finestre aprire,)
vede che 'l palco mal si giunge al muro,
e fa d'aria più chiara un raggio uscire.
Pon l'occhio quindi, e vede quel che duro
a creder fôra a chi l'udisse dire:
non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
ed anco agli occhi suoi propri non crede.
34
Quindi scopria de la regina tutta
la più secreta stanza e la più bella,
ove persona non verria introdutta,
se per molto fedel non l'avesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta
ch'un nano aviticchiato era con quella:
ed era quel piccin stato sì dotto,
che la regina avea messa di sotto.
35
Attonito Iocondo e stupefatto,
e credendo sognarsi, un pezzo stette;
e quando vide pur che gli era in fatto
e non in sogno, a se stesso credette.
— A uno sgrignuto mostro e contrafatto
dunque (disse) costei si sottomette,
che 'l maggior re del mondo ha per marito,
più bello e più cortese? oh che appetito! —
36
E de la moglie sua, che così spesso
più d'ogn'altra biasmava, ricordosse,
perché 'l ragazzo s'avea tolto appresso:
ed or gli parve che escusabil fosse.
Non era colpa sua più che del sesso,
che d'un solo uomo mai non contentosse:
e s'han tutte una macchia d'uno inchiostro,
almen la sua non s'avea tolto un mostro.
37
Il dì seguente, alla medesima ora,
al medesimo loco fa ritorno;
e la regina e il nano vede ancora,
che fanno al re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro dì ancor che si lavora,
e l'altro; e al fin non si fa festa giorno:
e la regina (che gli par più strano)
sempre si duol che poco l'ami il nano.
38
Stette fra gli altri un giorno a veder, ch'ella
era turbata e in gran malenconia,
che due volte chiamar per la donzella
il nano fatto avea, n'ancor venìa.
Mandò la terza volta, ed udì quella,
che: — Madonna, egli giuoca (riferia);
e per non stare in perdita d'un soldo,
a voi niega venire il manigoldo. —
39
A sì strano spettacolo Iocondo
raserena la fronte e gli occhi e il viso;
e quale in nome, diventò giocondo
d'effetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo,
che sembra un cherubin del paradiso;
che 'l re, il fratello e tutta la famiglia
di tal mutazion si maraviglia.
40
Se da Iocondo il re bramava udire
onde venisse il subito conforto,
non men Iocondo lo bramava dire,
e fare il re di tanta ingiuria accorto;
ma non vorria che, più di sé, punire
volesse il re la moglie di quel torto;
sì che per dirlo e non far danno a lei,
il re fece giurar su l'agnusdei.
41
Giurar lo fe' che né per cosa detta,
né che gli sia mostrata che gli spiaccia,
ancor ch'egli conosca che diretta—
mente a sua Maestà danno si faccia,
tardi o per tempo mai farà vendetta;
e di più vuole ancor che se ne taccia,
sì che né il malfattor giamai comprenda
in fatto o in detto, che 'l re il caso intenda.
42
Il re, ch'ogn'altra cosa, se non questa,
creder potria, gli giurò largamente.
Iocondo la cagion gli manifesta,
ond'era molti dì stato dolente:
perché trovata avea la disonesta
sua moglie in braccio d'un suo vil sergente;
e che tal pena al fin l'avrebbe morto,
se tardato a venir fosse il conforto.
43
Ma in casa di sua Altezza avea veduto
cosa che molto gli scemava il duolo;
che se bene in obbrobrio era caduto,
era almen certo di non v'esser solo.
Così dicendo, e al bucolin venuto,
gli dimostrò il bruttissimo omiciuolo
che la giumenta altrui sotto si tiene,
tocca di sproni e fa giuocar di schene.
44
Se parve al re vituperoso l'atto,
lo crederete ben, senza ch'io 'l giuri.
Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
ne fu per dar del capo in tutti i muri;
fu per gridar, fu per non stare al patto:
ma forza è che la bocca al fin si turi,
e che l'ira trangugi amara ed acra,
poi che giurato avea su l'ostia sacra.
45
— Che debbo far, che mi consigli, frate,
(disse a Iocondo), poi che tu mi tolli
che con degna vendetta e crudeltate
questa giustissima ira io non satolli? —
— Lasciàn (disse Iocondo) queste ingrate,
e proviam se son l'altre così molli:
facciàn de le lor femine ad altrui
quel ch'altri de le nostre han fatto a nui.
46
Ambi gioveni siamo, e di bellezza,
che facilmente non troviamo pari.
Qual femina sarà che n'usi asprezza,
se contra i brutti ancor non han ripari?
Se beltà non varrà né giovinezza,
varranne almen l'aver con noi danari.
Non vo' che torni, che non abbi prima
di mille moglie altrui la spoglia opima.
47
La lunga assenza, il veder vari luoghi,
praticare altre femine di fuore,
par che sovente disacerbi e sfoghi
de l'amorose passioni il core. —
Lauda il parer, né vuol che si proròghi
il re l'andata; e fra pochissime ore,
con due scudieri, oltre alla compagnia
del cavallier roman, si mette in via.
48
Travestiti cercaro Italia, Francia,
le terre de' Fiaminghi e de l'Inglesi;
e quante ne vedean di bella guancia,
trovavan tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e dato loro era la mancia;
e spesso rimetteano i danar spesi.
Da loro pregate foro molte, e foro
anch'altretante che pregaron loro.
49
In questa terra un mese, in quella dui
soggiornando, accertarsi a vera prova
che non men ne le lor, che ne l'altrui
femine, fede e castità si trova.
Dopo alcun tempo increbbe ad ambedui
di sempre procacciar di cosa nuova;
che mal poteano entrar ne l'altrui porte,
senza mettersi a rischio de la morte.
50
Gli è meglio una trovarne che di faccia
e di costumi ad ambi grata sia;
che lor communemente sodisfaccia,
e non n'abbin d'aver mai gelosia.
— E perché (dicea il re) vo' che mi spiaccia
aver più te ch'un altro in compagnia?
So ben ch'in tutto il gran femineo stuolo
una non è che stia contenta a un solo.
51
Una, senza sforzar nostro potere,
ma quando il natural bisogno inviti,
in festa goderemoci e in piacere,
che mai contese non avren né liti.
Né credo che si debba ella dolere:
che s'anco ogn'altra avesse duo mariti,
più ch'ad un solo, a duo saria fedele;
né forse s'udirian tante querele. —
52
Di quel che disse il re, molto contento
rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
cercar molte montagne e molto piano:
trovaro al fin, secondo il loro intento,
una figliuola d'uno ostiero ispano,
che tenea albergo al porto di Valenza,
bella di modi e bella di presenza.
53
Era ancor sul fiorir di primavera
sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat'era,
e nimico mortal di povertade;
sì ch'a disporlo fu cosa leggiera,
che desse lor la figlia in potestade;
ch'ove piacesse lor potesson trarla,
poi che promesso avean di ben trattarla.
54
Pigliano la fanciulla, e piacer n'hanno
or l'un or l'altro in caritade e in pace,
come a vicenda i mantici che danno,
or l'uno or l'altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
e passar poi nel regno di Siface;
e 'l dì che da Valenza si partiro,
ad albergare a Zattiva veniro.
55
I patroni a veder strade e palazzi
ne vanno, e lochi publici e divini;
ch'usanza han di pigliar simil solazzi
in ogni terra ove entran peregrini;
e la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini,
altri hanno cura che sia alla tornata
dei signor lor la cena apparecchiata.
56
Ne l'albergo un garzon stava per fante,
ch'in casa de la giovene già stette
a' servigi del padre, e d'essa amante
fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante,
ch'esser notato ognun di lor temette:
ma tosto ch'i patroni e la famiglia
lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.
57
Il fante domandò dove ella gisse,
e qual dei duo signor l'avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(così avea nome, e quel garzone il Greco).
— Quando sperai che 'l tempo ohimè! venisse
(il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
e non so più di rivederti mai.
58
Fannosi i dolci miei disegni amari,
poi che sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
con gran fatica e gran sudor riposti,
ch'avanzato m'avea de' miei salari
e de le bene andate di molti osti,
di tornare a Valenza, e domandarti
al padre tuo per moglie, e di sposarti. —
59
La fanciulla negli omeri si stringe,
e risponde che fu tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge:
— Vuommi (dice) lasciar così morire?
Con le tuo braccia i fianchi almen mi cinge,
lasciami disfogar tanto desire:
ch'inanzi che tu parta, ogni momento
che teco io stia mi fa morir contento. —
60
La pietosa fanciulla rispondendo:
— Credi (dicea) che men di te nol bramo;
ma né luogo né tempo ci comprendo
qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo. —
Il Greco soggiungea: — Certo mi rendo,
che s'un terzo ami me di quel ch'io t'amo,
in questa notte almen troverai loco
che ci potren godere insieme un poco. —
61
— Come potrò (diceagli la fanciulla),
che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
e meco or l'uno or l'altro si trastulla,
e sempre a l'un di lor mi trovo in braccio? —
— Questo ti fia (suggiunse il Greco) nulla;
che ben ti saprai tor di questo impaccio,
e uscir di mezzo lor, pur che tu voglia:
e déi voler, quando di me ti doglia. —
62
Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
quando creder potrà ch'ognuno dorma;
e pianamente come far convegna,
e de l'andare e del tornar l'informa.
Il Greco, sì come ella gli disegna,
quando sente dormir tutta la torma,
viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
entra pian piano, e va a tenton col piede.
63
Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
tutto si ferma, e l'altro par che muova
a guisa che di dar tema nel vetro,
non che 'l terreno abbia a calcar, ma l'uova;
e tien la mano inanzi simil metro,
va brancolando infin che 'l letto trova:
e di là dove gli altri avean le piante,
tacito si cacciò col capo inante.
64
Fra l'una e l'altra gamba di Fiammetta,
che supina giacea, diritto venne;
e quando le fu a par, l'abbracciò stretta,
e sopra lei sin presso al dì si tenne.
Cavalcò forte, e non andò a staffetta;
che mai bestia mutar non gli convenne:
che questa pare a lui che sì ben trotte,
che scender non ne vuol per tutta notte.
65
Avea Iocondo ed avea il re sentito
il calpestio che sempre il letto scosse;
e l'uno e l'altro, d'uno error schernito,
s'avea creduto che 'l compagno fosse.
Poi ch'ebbe il Greco il suo camin fornito,
sì come era venuto, anco tornosse.
Saettò il sol da l'orizzonte i raggi;
sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi.
66
Il re disse al compagno motteggiando:
— Frate, molto camin fatto aver déi;
e tempo è ben che ti riposi, quando
stato a cavallo tutta notte sei. —
Iocondo a lui rispose di rimando,
e disse: — Tu di' quel ch'io a dire avrei.
A te tocca posare, e pro ti faccia,
che tutta notte hai cavalcato a caccia. —
67
— Anch'io (suggiunse il re) senza alcun fallo
lasciato avria il mio can correre un tratto,
se m'avessi prestato un po' il cavallo,
tanto che 'l mio bisogno avessi fatto. —
Iocondo replicò: — Son tuo vasallo,
e puoi far meco e rompere ogni patto:
sì che non convenia tal cenni usare;
ben mi potevi dir: lasciala stare. —
68
Tanto replica l'un, tanto soggiunge
l'altro, che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar che punge,
ch'ad amenduo l'esser beffato preme.
Chiaman Fiammetta (che non era lunge,
e de la fraude esser scoperta teme)
per fare in viso l'uno all'altro dire
quel che negando ambi parean mentire.
69
— Dimmi (le disse il re con fiero sguardo),
e non temer di me né di costui;
chi tutta notte fu quel sì gagliardo,
che ti godé senza far parte altrui? —
Credendo l'un provar l'altro bugiardo,
la risposta aspettavano ambedui.
Fiammetta a' piedi lor si gittò, incerta
di viver più, vedendosi scoperta.
70
Domandò lor perdono, che d'amore
ch'a un giovinetto avea portato, spinta,
e da pietà d'un tormentato core
che molto avea per lei patito, vinta,
caduta era la notte in quello errore;
e seguitò, senza dir cosa finta,
come tra lor con speme si condusse,
ch'ambi credesson che 'l compagno fusse.
71
Il re e Iocondo si guardaro in viso,
di maraviglia e di stupor confusi;
né d'aver anco udito lor fu aviso,
ch'altri duo fusson mai così delusi.
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso,
che con la bocca aperta e gli occhi chiusi,
potendo a pena il fiato aver del petto,
a dietro si lasciar cader sul letto.
72
Poi ch'ebbon tanto riso, che dolere
se ne sentiano il petto, e pianger gli occhi,
disson tra lor: — Come potremo avere
guardia, che la moglier non ne l'accocchi,
se non giova tra duo questa tenere,
e stretta sì, che l'uno e l'altro tocchi?
Se più che crini avesse occhi il marito,
non potria far che non fosse tradito.
73
Provate mille abbiamo, e tutte belle;
né di tante una è ancor che ne contraste.
Se provian l'altre, fian simili anch'elle;
ma per ultima prova costei baste.
Dunque possiamo creder che più felle
non sien le nostre, o men de l'altre caste:
e se son come tutte l'altre sono,
che torniamo a godercile fia buono. —
74
Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar fero
per Fiammetta medesima il suo amante;
e in presenza di molti gli la diero
per moglie, e dote gli fu bastante.
Poi montaro a cavallo, e il lor sentiero
ch'era a ponente, volsero a levante;
ed alle mogli lor se ne tornaro,
di ch'affanno mai più non si pigliaro. —
75
L'ostier qui fine alla sua istoria pose,
che fu con molta attenzione udita.
Udilla il Saracin, né gli rispose
parola mai, fin che non fu finita.
Poi disse: — Io credo ben che de l'ascose
feminil frode sia copia infinita;
né si potria de la millesma parte
tener memoria con tutte le carte. —
76
Quivi era un uom d'età, ch'avea più retta
opinion degli altri, e ingegno e ardire;
e non potendo ormai, che sì negletta
ogni femina fosse, più patire,
si volse a quel ch'avea l'istoria detta,
e gli disse: — Assai cose udimo dire,
che veritade in sé non hanno alcuna:
e ben di queste è la tua favola una.
77
A chi te la narrò non do credenza,
s'evangelista ben fosse nel resto;
ch'opinione, più ch'esperienza
ch'abbia di donne, lo facea dir questo.
L'avere ad una o due malivolenza,
fa ch'odia e biasma l'altre oltre all'onesto;
ma se gli passa l'ira, io vo' tu l'oda,
più ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.
78
E se vorrà lodarne, avrà maggiore
il campo assai, ch'a dirne mal non ebbe:
di cento potrà dir degne d'onore
verso una trista che biasmar si debbe.
Non biasmar tutte, ma serbarne fuore
la bontà d'infinite si dovrebbe;
e se 'l Valerio tuo disse altrimente,
disse per ira, e non per quel che sente.
79
Ditemi un poco: è di voi forse alcuno
ch'abbia servato alla sua moglie fede?
che nieghi andar, quando gli sia oportuno,
all'altrui donna, e darle ancor mercede?
credete in tutto 'l mondo trovarne uno?
chi 'l dice, mente; e folle è ben chi 'l crede.
Trovatene vo' alcuna che vi chiami?
(non parlo de le publiche ed infami).
80
Conoscete alcun voi, che non lasciasse
la moglie sola, ancor che fosse bella,
per seguire altra donna, se sperasse
in breve e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli, quando lo pregasse
o desse premio a lui donna o donzella?
Credo, per compiacere or queste or quelle,
che tutti lasciaremmovi la pelle.
81
Quelle che i lor mariti hanno lasciati,
le più volte cagione avuta n'hanno.
Del suo di casa, li veggon svogliati,
e che fuor, de l'altrui bramosi, vanno.
Dovriano amar, volendo essere amati,
e tor con la misura ch'a lor danno.
Io farei (se a me stesse il darla e torre)
tal legge, ch'uom non vi potrebbe opporre.
82
Saria la legge, ch'ogni donna colta
in adulterio, fosse messa a morte,
se provar non potesse ch'una volta
avesse adulterato il suo consorte:
se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
né temeria il marito né la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi:
non far altrui quel che patir non vuoi.
83
La incontinenza è quanto mal si puote
imputar lor, non già a tutto lo stuolo.
Ma in questo chi ha di noi più brutte note?
che continente non si trova un solo.
E molto più n'ha ad arrossir le gote,
quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
usura ed omicidio, e se v'è peggio,
raro, se non dagli uomini, far veggio. —
84
Appresso alle ragioni avea il sincero
e giusto vecchio in pronto alcuno esempio
di donne, che né in fatto né in pensiero
mai di lor castità patiron scempio.
Ma il Saracin, che fuggia udire il vero,
lo minacciò con viso crudo ed empio,
sì che lo fece per timor tacere;
ma già non lo mutò di suo parere.
85
Posto ch'ebbe alle liti e alle contese
termine il re pagan, lasciò la mensa;
indi nel letto per dormir si stese
fin al partir de l'aria scura e densa:
ma de la notte, a sospirar l'offese
più de la donna ch'a dormir, dispensa.
Quindi parte all'uscir del nuovo raggio,
e far disegna in nave il suo viaggio.
86
Però ch'avendo tutto quel rispetto
ch'a buon cavallo dee buon cavalliero,
a quel suo bello e buono, ch'a dispetto
tenea di Sacripante e di Ruggiero;
vedendo per duo giorni averlo stretto
più che non si dovria sì buon destriero,
lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
in una barca, e per andar più in fretta.
87
Senza indugio al nocchier varar la barca,
e dar fa i remi all'acqua da la sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
se ne va per la Sonna giù a seconda.
Non fugge il suo pensier né se ne scarca
Rodomonte per terra né per onda:
lo trova in su la proda e in su la poppa;
e se cavalca, il porta dietro in groppa.
88
Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
e di fuor caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
da poi che gli nimici ha ne la terra.
Non sa da chi sperar possa mercede,
se gli fanno i domestici suoi guerra:
la notte e 'l giorno e sempre è combattuto
da quel crudel che dovria dargli aiuto.
89
Naviga il giorno e la notte seguente
Rodomonte col cor d'affanni grave;
e non si può l'ingiuria tor di mente,
che da la donna e dal suo re avuto have;
e la pena e il dolor medesmo sente,
che sentiva a cavallo, ancora in nave:
né spegner può, per star ne l'acqua, il fuoco,
né può stato mutar, per mutar loco.
90
Come l'infermo, che dirotto e stanco
di febbre ardente, va cangiando lato;
o sia su l'uno o sia su l'altro fianco
spera aver, se si volge, miglior stato;
né sul destro riposa né sul manco,
e per tutto ugualmente è travagliato:
così il pagano al male ond'era infermo
mal trova in terra e male in acqua schermo.
91
Non puote in nave aver più pazienza,
e si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza
e vede in Avignone il ricco ponte;
che queste terre ed altre ubidienza,
che son tra il fiume e 'l celtibero monte,
rendean al re Agramante e al re di Spagna
dal dì che fur signor de la campagna.
92
Verso Acquamorta a man dritta si tenne
con animo in Algier passare in fretta;
e sopra un fiume ad una villa venne
e da Bacco e da Cerere diletta,
che per le spesse ingiurie, che sostenne
dai soldati, a votarsi fu costretta.
Quinci il gran mare, e quindi ne l'apriche
valli vede ondeggiar le bionde spiche.
93
Quivi ritrova una piccola chiesa
di nuovo sopra un monticel murata,
che poi ch'intorno era la guerra accesa,
i sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa;
che pel sito, e perch'era sequestrata
dai campi, onde avea in odio udir novella,
gli piacque sì, che mutò Algieri in quella.
94
Mutò d'andare in Africa pensiero,
sì commodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e carriaggi e il suo destriero
seco alloggiar fe' nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero
e ad alcun altro ricco e buon castello
siede il villaggio allato alla riviera;
sì che d'avervi ogn'agio il modo v'era.
95
Standovi un giorno il Saracin pensoso
(come pur era il più del tempo usato),
vide venir per mezzo un prato erboso,
che d'un piccol sentiero era segnato,
una donzella di viso amoroso
in compagnia d'un monaco barbato;
e si traeano dietro un gran destriero
sotto una soma coperta di nero.
96
Chi la donzella, chi 'l monaco sia,
chi portin seco, vi debbe esser chiaro.