'Venite,
benedicti
Patris mei',
sono dentro a un lume che li era,
tal che mi vinse e guardar nol potei.
sono dentro a un lume che li era,
tal che mi vinse e guardar nol potei.
Dante - La Divina Commedia
<<Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta>>,
disse 'l cantor de' buccolici carmi,
<<per quello che Clio teco li tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.
Se cosi e, qual sole o quai candele
ti stenebraron si, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele? >>.
Ed elli a lui: <<Tu prima m'inviasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m'alluminasti.
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e se non giova,
ma dopo se fa le persone dotte,
quando dicesti: 'Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova'.
Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perche veggi mei cio ch'io disegno,
a colorare stendero la mano.
Gia era 'l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l'etterno regno;
e la parola tua sopra toccata
si consonava a' nuovi predicanti;
ond' io a visitarli presi usata.
Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;
e mentre che di la per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.
E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi
di Tebe poetando, ebb' io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu'mi,
lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fe piu che 'l quarto centesmo.
Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,
dimmi dov' e Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico>>.
<<Costoro e Persio e io e altri assai>>,
rispuose il duca mio, <<siam con quel Greco
che le Muse lattar piu ch'altri mai,
nel primo cinghio del carcere cieco;
spesse fiate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.
Euripide v'e nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piue
Greci che gia di lauro ornar la fronte.
Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene si trista come fue.
Vedeisi quella che mostro Langia;
evvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deidamia>>.
Tacevansi ambedue gia li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;
e gia le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in su l'ardente corno,
quando il mio duca: <<Io credo ch'a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo>>.
Cosi l'usanza fu li nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell' anima degna.
Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, cosi quello in giuso,
cred' io, perche persona su non vada.
Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.
Li due poeti a l'alber s'appressaro;
e una voce per entro le fronde
grido: <<Di questo cibo avrete caro>>.
Poi disse: <<Piu pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.
E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d'acqua; e Daniello
dispregio cibo e acquisto savere.
Lo secol primo, quant' oro fu bello,
fe savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.
Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch'elli e glorioso e tanto grande
quanto per lo Vangelio v'e aperto>>.
Purgatorio ? Canto XXIII
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io si come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,
lo piu che padre mi dicea: <<Figliuole,
vienne oramai, che 'l tempo che n'e imposto
piu utilmente compartir si vuole>>.
Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sie,
che l'andar mi facean di nullo costo.
Ed ecco piangere e cantar s'udie
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturie.
<<O dolce padre, che e quel ch'i' odo? >>,
comincia' io; ed elli: <<Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo>>.
Si come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,
cosi di retro a noi, piu tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota.
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema
che da l'ossa la pelle s'informava.
Non credo che cosi a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando piu n'ebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perde Ierusalemme,
quando Maria nel figlio die di becco! '
Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'
ben avria quivi conosciuta l'emme.
Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
si governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como?
Gia era in ammirar che si li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,
ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardo fiso;
poi grido forte: <<Qual grazia m'e questa? >>.
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
cio che l'aspetto in se avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.
<<Deh, non contendere a l'asciutta scabbia
che mi scolora>>, pregava, <<la pelle,
ne a difetto di carne ch'io abbia;
ma dimmi il ver di te, di chi son quelle
due anime che la ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle! >>.
<<La faccia tua, ch'io lagrimai gia morta,
mi da di pianger mo non minor doglia>>,
rispuos' io lui, <<veggendola si torta.
Pero mi di, per Dio, che si vi sfoglia;
non mi far dir mentr' io mi maraviglio,
che mal puo dir chi e pien d'altra voglia>>.
Ed elli a me: <<De l'etterno consiglio
cade vertu ne l'acqua e ne la pianta
rimasa dietro ond' io si m'assottiglio.
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rifa santa.
Di bere e di mangiar n'accende cura
l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.
E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,
che quella voglia a li alberi ci mena
che meno Cristo lieto a dire 'Eli',
quando ne libero con la sua vena>>.
E io a lui: <<Forese, da quel di
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinqu' anni non son volti infino a qui.
Se prima fu la possa in te finita
di peccar piu, che sovvenisse l'ora
del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,
come se' tu qua su venuto ancora?
Io ti credea trovar la giu di sotto,
dove tempo per tempo si ristora>>.
Ond' elli a me: <<Si tosto m'ha condotto
a ber lo dolce assenzo d'i martiri
la Nella mia con suo pianger dirotto.
Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m'ha de la costa ove s'aspetta,
e liberato m'ha de li altri giri.
Tanto e a Dio piu cara e piu diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare e piu soletta;
che la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue piu e pudica
che la Barbagia dov' io la lasciai.
O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica?
Tempo futuro m'e gia nel cospetto,
cui non sara quest' ora molto antica,
nel qual sara in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe
di quel che 'l ciel veloce loro ammanna,
gia per urlare avrian le bocche aperte;
che, se l'antiveder qui non m'inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.
Deh, frate, or fa che piu non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira la dove 'l sol veli>>.
Per ch'io a lui: <<Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr' ier, quando tonda
vi si mostro la suora di colui>>,
e 'l sol mostrai; <<costui per la profonda
notte menato m'ha d'i veri morti
con questa vera carne che 'l seconda.
Indi m'han tratto su li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che 'l mondo fece torti.
Tanto dice di farmi sua compagna
che io saro la dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.
Virgilio e questi che cosi mi dice>>,
e addita'lo; <<e quest' altro e quell' ombra
per cui scosse dianzi ogne pendice
lo vostro regno, che da se lo sgombra>>.
Purgatorio ? Canto XXIV
Ne 'l dir l'andar, ne l'andar lui piu lento
facea, ma ragionando andavam forte,
si come nave pinta da buon vento;
e l'ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte.
E io, continuando al mio sermone,
dissi: <<Ella sen va su forse piu tarda
che non farebbe, per altrui cagione.
Ma dimmi, se tu sai, dov' e Piccarda;
dimmi s'io veggio da notar persona
tra questa gente che si mi riguarda>>.
<<La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse piu, triunfa lieta
ne l'alto Olimpo gia di sua corona>>.
Si disse prima; e poi: <<Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch'e si munta
nostra sembianza via per la dieta.
Questi>>, e mostro col dito, <<e Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di la da lui piu che l'altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l'anguille di Bolsena e la vernaccia>>.
Molti altri mi nomo ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
si ch'io pero non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a voto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturo col rocco molte genti.
Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio
gia di bere a Forli con men secchezza,
e si fu tal, che non si senti sazio.
Ma come fa chi guarda e poi s'apprezza
piu d'un che d'altro, fei a quel da Lucca,
che piu parea di me aver contezza.
El mormorava; e non so che <<Gentucca>>
sentiv' io la, ov' el sentia la piaga
de la giustizia che si li pilucca.
<<O anima>>, diss' io, <<che par si vaga
di parlar meco, fa si ch'io t'intenda,
e te e me col tuo parlare appaga>>.
<<Femmina e nata, e non porta ancor benda>>,
comincio el, <<che ti fara piacere
la mia citta, come ch'om la riprenda.
Tu te n'andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere.
Ma di s'i' veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
'Donne ch'avete intelletto d'amore'>>.
E io a lui: <<I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando>>.
<<O frate, issa vegg' io>>, diss' elli, <<il nodo
che 'l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual piu a gradire oltre si mette,
non vede piu da l'uno a l'altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette.
Come li augei che vernan lungo 'l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan piu a fretta e vanno in filo,
cosi tutta la gente che li era,
volgendo 'l viso, raffretto suo passo,
e per magrezza e per voler leggera.
E come l'uom che di trottare e lasso,
lascia andar li compagni, e si passeggia
fin che si sfoghi l'affollar del casso,
si lascio trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: <<Quando fia ch'io ti riveggia? >>.
<<Non so>>, rispuos' io lui, <<quant' io mi viva;
ma gia non fia il tornar mio tantosto,
ch'io non sia col voler prima a la riva;
pero che 'l loco u' fui a viver posto,
di giorno in giorno piu di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto>>.
<<Or va>>, diss' el; <<che quei che piu n'ha colpa,
vegg' io a coda d'una bestia tratto
inver' la valle ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogne passo va piu ratto,
crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle ruote>>,
e drizzo li occhi al ciel, <<che ti fia chiaro
cio che 'l mio dir piu dichiarar non puote.
Tu ti rimani omai; che 'l tempo e caro
in questo regno, si ch'io perdo troppo
venendo teco si a paro a paro>>.
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,
tal si parti da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo si gran marescalchi.
E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue,
parvermi i rami gravidi e vivaci
d'un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora volto in laci.
Vidi gente sott' esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani
che pregano, e 'l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde.
Poi si parti si come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
<<Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno e piu su che fu morso da Eva,
e questa pianta si levo da esso>>.
Si tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva.
<<Ricordivi>>, dicea, <<d'i maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Teseo combatter co' doppi petti;
e de li Ebrei ch'al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver' Madian discese i colli>>.
Si accostati a l'un d'i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite gia da miseri guadagni.
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e piu ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola.
<<Che andate pensando si voi sol tre? >>.
subita voce disse; ond' io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e gia mai non si videro in fornace
vetri o metalli si lucenti e rossi,
com' io vidi un che dicea: <<S'a voi piace
montare in su, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace>>.
L'aspetto suo m'avea la vista tolta;
per ch'io mi volsi dietro a' miei dottori,
com' om che va secondo ch'elli ascolta.
E quale, annunziatrice de li albori,
l'aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l'erba e da' fiori;
tal mi senti' un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti' mover la piuma,
che fe sentir d'ambrosia l'orezza.
E senti' dir: <<Beati cui alluma
tanto di grazia, che l'amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma,
esuriendo sempre quanto e giusto! >>.
Purgatorio ? Canto XXV
Ora era onde 'l salir non volea storpio;
che 'l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge,
cosi intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia.
E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giu la cala;
tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta.
Non lascio, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: <<Scocca
l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto>>.
Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: <<Come si puo far magro
la dove l'uopo di nodrir non tocca? >>.
<<Se t'ammentassi come Meleagro
si consumo al consumar d'un stizzo,
non fora>>, disse, <<a te questo si agro;
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
cio che par duro ti parrebbe vizzo.
Ma perche dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage>>.
<<Se la veduta etterna li dislego>>,
rispuose Stazio, <<la dove tu sie,
discolpi me non potert' io far nego>>.
Poi comincio: <<Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.
Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.
Ancor digesto, scende ov' e piu bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr' altrui sangue in natural vasello.
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
cio che per sua matera fe constare.
Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa e in via e quella e gia a riva,
tanto ovra poi, che gia si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond' e semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtu ch'e dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.
Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest' e tal punto,
che piu savio di te fe gia errante,
si che per sua dottrina fe disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perche da lui non vide organo assunto.
Apri a la verita che viene il petto;
e sappi che, si tosto come al feto
l'articular del cerebro e perfetto,
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant' arte di natura, e spira
spirito novo, di vertu repleto,
che cio che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e se in se rigira.
E perche meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola.
Quando Lachesis non ha piu del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:
l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto piu che prima agute.
Sanza restarsi, per se stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che loco li la circunscrive,
la virtu formativa raggia intorno
cosi e quanto ne le membra vive.
E come l'aere, quand' e ben piorno,
per l'altrui raggio che 'n se si reflette,
di diversi color diventa addorno;
cosi l'aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch'e in lui suggella
virtualmente l'alma che ristette;
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco la 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.
Pero che quindi ha poscia sua paruta,
e chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' e la cagion di che tu miri>>.
E gia venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e volto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;
ond' ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.
Lo duca mio dicea: <<Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
pero ch'errar potrebbesi per poco>>.
'Summae Deus clementiae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando,
che di volger mi fe caler non meno;
e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi
compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine ch'a quell' inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi.
Finitolo, anco gridavano: <<Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tosco>>.
Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti
che la piaga da sezzo si ricuscia.
Purgatorio ? Canto XXVI
Mentre che si per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
diceami: <<Guarda: giovi ch'io ti scaltro>>;
feriami il sole in su l'omero destro,
che gia, raggiando, tutto l'occidente
mutava in bianco aspetto di cilestro;
e io facea con l'ombra piu rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt' ombre, andando, poner mente.
Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: <<Colui non par corpo fittizio>>;
poi verso me, quanto potean farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi.
<<O tu che vai, non per esser piu tardo,
ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che 'n sete e 'n foco ardo.
Ne solo a me la tua risposta e uopo;
che tutti questi n'hanno maggior sete
che d'acqua fredda Indo o Etiopo.
Dinne com' e che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete>>.
Si mi parlava un d'essi; e io mi fora
gia manifesto, s'io non fossi atteso
ad altra novita ch'apparve allora;
che per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.
Li veggio d'ogne parte farsi presta
ciascun' ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;
cosi per entro loro schiera bruna
s'ammusa l'una con l'altra formica,
forse a spiar lor via e lor fortuna.
Tosto che parton l'accoglienza amica,
prima che 'l primo passo li trascorra,
sopragridar ciascuna s'affatica:
la nova gente: <<Soddoma e Gomorra>>;
e l'altra: <<Ne la vacca entra Pasife,
perche 'l torello a sua lussuria corra>>.
Poi, come grue ch'a le montagne Rife
volasser parte, e parte inver' l'arene,
queste del gel, quelle del sole schife,
l'una gente sen va, l'altra sen vene;
e tornan, lagrimando, a' primi canti
e al gridar che piu lor si convene;
e raccostansi a me, come davanti,
essi medesmi che m'avean pregato,
attenti ad ascoltar ne' lor sembianti.
Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: <<O anime sicure
d'aver, quando che sia, di pace stato,
non son rimase acerbe ne mature
le membra mie di la, ma son qui meco
col sangue suo e con le sue giunture.
Quinci su vo per non esser piu cieco;
donna e di sopra che m'acquista grazia,
per che 'l mortal per vostro mondo reco.
Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, si che 'l ciel v'alberghi
ch'e pien d'amore e piu ampio si spazia,
ditemi, accio ch'ancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi e quella turba
che se ne va di retro a' vostri terghi>>.
Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico s'inurba,
che ciascun' ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore scarche,
lo qual ne li alti cuor tosto s'attuta,
<<Beato te, che de le nostre marche>>,
ricomincio colei che pria m'inchiese,
<<per morir meglio, esperienza imbarche!
La gente che non vien con noi, offese
di cio per che gia Cesar, triunfando,
"Regina" contra se chiamar s'intese:
pero si parton "Soddoma" gridando,
rimproverando a se com' hai udito,
e aiutan l'arsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perche non servammo umana legge,
seguendo come bestie l'appetito,
in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che s'imbestio ne le 'mbestiate schegge.
Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo' saper chi semo,
tempo non e di dire, e non saprei.
Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli, e gia mi purgo
per ben dolermi prima ch'a lo stremo>>.
Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec' io, ma non a tanto insurgo,
quand' io odo nomar se stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d'amore usar dolci e leggiadre;
e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fiata rimirando lui,
ne, per lo foco, in la piu m'appressai.
Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m'offersi pronto al suo servigio
con l'affermar che fa credere altrui.
Ed elli a me: <<Tu lasci tal vestigio,
per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,
che Lete nol puo torre ne far bigio.
Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che e cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d'avermi caro>>.
E io a lui: <<Li dolci detti vostri,
che, quanto durera l'uso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri>>.
<<O frate>>, disse, <<questi ch'io ti cerno
col dito>>, e addito un spirto innanzi,
<<fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi d'amore e prose di romanzi
soverchio tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosi credon ch'avanzi.
A voce piu ch'al ver drizzan li volti,
e cosi ferman sua oppinione
prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.
Cosi fer molti antichi di Guittone,
di grido in grido pur lui dando pregio,
fin che l'ha vinto il ver con piu persone.
Or se tu hai si ampio privilegio,
che licito ti sia l'andare al chiostro
nel quale e Cristo abate del collegio,
falli per me un dir d'un paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
dove poter peccar non e piu nostro>>.
Poi, forse per dar luogo altrui secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
come per l'acqua il pesce andando al fondo.
Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
e dissi ch'al suo nome il mio disire
apparecchiava grazioso loco.
El comincio liberamente a dire:
<<Tan m'abellis vostre cortes deman,
qu'ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu'esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l'escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor! >>.
Poi s'ascose nel foco che li affina.
Purgatorio ? Canto XXVII
Si come quando i primi raggi vibra
la dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l'alta Libra,
e l'onde in Gange da nona riarse,
si stava il sole; onde 'l giorno sen giva,
come l'angel di Dio lieto ci apparse.
Fuor de la fiamma stava in su la riva,
e cantava 'Beati mundo corde! '
in voce assai piu che la nostra viva.
Poscia <<Piu non si va, se pria non morde,
anime sante, il foco: intrate in esso,
e al cantar di la non siate sorde>>,
ci disse come noi li fummo presso;
per ch'io divenni tal, quando lo 'ntesi,
qual e colui che ne la fossa e messo.
In su le man commesse mi protesi,
guardando il foco e imaginando forte
umani corpi gia veduti accesi.
Volsersi verso me le buone scorte;
e Virgilio mi disse: <<Figliuol mio,
qui puo esser tormento, ma non morte.
Ricorditi, ricorditi! E se io
sovresso Gerion ti guidai salvo,
che faro ora presso piu a Dio?
Credi per certo che se dentro a l'alvo
di questa fiamma stessi ben mille anni,
non ti potrebbe far d'un capel calvo.
E se tu forse credi ch'io t'inganni,
fatti ver' lei, e fatti far credenza
con le tue mani al lembo d'i tuoi panni.
Pon giu omai, pon giu ogne temenza;
volgiti in qua e vieni: entra sicuro! >>.
E io pur fermo e contra coscienza.
Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: <<Or vedi, figlio:
tra Beatrice e te e questo muro>>.
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte, e riguardolla,
allor che 'l gelso divento vermiglio;
cosi, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
che ne la mente sempre mi rampolla.
Ond' ei crollo la fronte e disse: <<Come!
volenci star di qua? >>; indi sorrise
come al fanciul si fa ch'e vinto al pome.
Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
pregando Stazio che venisse retro,
che pria per lunga strada ci divise.
Si com' fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
tant' era ivi lo 'ncendio sanza metro.
Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
dicendo: <<Li occhi suoi gia veder parmi>>.
Guidavaci una voce che cantava
di la; e noi, attenti pur a lei,
venimmo fuor la ove si montava.
'Venite, benedicti Patris mei',
sono dentro a un lume che li era,
tal che mi vinse e guardar nol potei.
<<Lo sol sen va>>, soggiunse, <<e vien la sera;
non v'arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera>>.
Dritta salia la via per entro 'l sasso
verso tal parte ch'io toglieva i raggi
dinanzi a me del sol ch'era gia basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi,
che 'l sol corcar, per l'ombra che si spense,
sentimmo dietro e io e li miei saggi.
E pria che 'n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto d'uno aspetto,
e notte avesse tutte sue dispense,
ciascun di noi d'un grado fece letto;
che la natura del monte ci affranse
la possa del salir piu e 'l diletto.
Quali si stanno ruminando manse
le capre, state rapide e proterve
sovra le cime avante che sien pranse,
tacite a l'ombra, mentre che 'l sol ferve,
guardate dal pastor, che 'n su la verga
poggiato s'e e lor di posa serve;
e quale il mandrian che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
guardando perche fiera non lo sperga;
tali eravamo tutti e tre allotta,
io come capra, ed ei come pastori,
fasciati quinci e quindi d'alta grotta.
Poco parer potea li del di fori;
ma, per quel poco, vedea io le stelle
di lor solere e piu chiare e maggiori.
Si ruminando e si mirando in quelle,
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
anzi che 'l fatto sia, sa le novelle.
Ne l'ora, credo, che de l'oriente
prima raggio nel monte Citerea,
che di foco d'amor par sempre ardente,
giovane e bella in sogno mi parea
donna vedere andar per una landa
cogliendo fiori; e cantando dicea:
<<Sappia qualunque il mio nome dimanda
ch'i' mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi a lo specchio, qui m'addorno;
ma mia suora Rachel mai non si smaga
dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
Ell' e d'i suoi belli occhi veder vaga
com' io de l'addornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me l'ovrare appaga>>.
E gia per li splendori antelucani,
che tanto a' pellegrin surgon piu grati,
quanto, tornando, albergan men lontani,
le tenebre fuggian da tutti lati,
e 'l sonno mio con esse; ond' io leva'mi,
veggendo i gran maestri gia levati.
<<Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de' mortali,
oggi porra in pace le tue fami>>.
Virgilio inverso me queste cotali
parole uso; e mai non furo strenne
che fosser di piacere a queste iguali.
Tanto voler sopra voler mi venne
de l'esser su, ch'ad ogne passo poi
al volo mi sentia crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su 'l grado superno,
in me ficco Virgilio li occhi suoi,
e disse: <<Il temporal foco e l'etterno
veduto hai, figlio; e se' venuto in parte
dov' io per me piu oltre non discerno.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.
Vedi lo sol che 'n fronte ti riluce;
vedi l'erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da se produce.
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir piu ne mio cenno;
libero, dritto e sano e tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch'io te sovra te corono e mitrio>>.
Purgatorio ? Canto XXVIII
Vago gia di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch'a li occhi temperava il novo giorno,
sanza piu aspettar, lasciai la riva,
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d'ogne parte auliva.
Un'aura dolce, sanza mutamento
avere in se, mi feria per la fronte
non di piu colpo che soave vento;
per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u' la prim' ombra gitta il santo monte;
non pero dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d'operare ogne lor arte;
ma con piena letizia l'ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime,
tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su 'l lito di Chiassi,
quand' Eolo scilocco fuor discioglie.
Gia m'avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica tanto, ch'io
non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;
ed ecco piu andar mi tolse un rio,
che 'nver' sinistra con sue picciole onde
piegava l'erba che 'n sua ripa uscio.
Tutte l'acque che son di qua piu monde,
parrieno avere in se mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde,
avvegna che si mova bruna bruna
sotto l'ombra perpetua, che mai
raggiar non lascia sole ivi ne luna.
Coi pie ristetti e con li occhi passai
di la dal fiumicello, per mirare
la gran variazion d'i freschi mai;
e la m'apparve, si com' elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare,
una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond' era pinta tutta la sua via.
<<Deh, bella donna, che a' raggi d'amore
ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti
che soglion esser testimon del core,
vegnati in voglia di trarreti avanti>>,
diss' io a lei, <<verso questa rivera,
tanto ch'io possa intender che tu canti.
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera>>.
Come si volge, con le piante strette
a terra e intra se, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette,
volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli;
e fece i prieghi miei esser contenti,
si appressando se, che 'l dolce suono
veniva a me co' suoi intendimenti.
Tosto che fu la dove l'erbe sono
bagnate gia da l'onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono.
Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume.
Ella ridea da l'altra riva dritta,
trattando piu color con le sue mani,
che l'alta terra sanza seme gitta.
Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Elesponto, la 've passo Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani,
piu odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch' allor non s'aperse.
<<Voi siete nuovi, e forse perch' io rido>>,
comincio ella, <<in questo luogo eletto
a l'umana natura per suo nido,
maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto.
E tu che se' dinanzi e mi pregasti,
di s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta
ad ogne tua question tanto che basti>>.
<<L'acqua>>, diss' io, <<e 'l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch'io udi' contraria a questa>>.
Ond' ella: <<Io dicero come procede
per sua cagion cio ch'ammirar ti face,
e purghero la nebbia che ti fiede.
Lo sommo Ben, che solo esso a se piace,
fe l'uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr' a lui d'etterna pace.
Per sua difalta qui dimoro poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambio onesto riso e dolce gioco.
Perche 'l turbar che sotto da se fanno
l'essalazion de l'acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno,
a l'uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salio verso 'l ciel tanto,
e libero n'e d'indi ove si serra.
Or perche in circuito tutto quanto
l'aere si volge con la prima volta,
se non li e rotto il cerchio d'alcun canto,
in questa altezza ch'e tutta disciolta
ne l'aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch' e folta;
e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l'aura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote;
e l'altra terra, secondo ch'e degna
per se e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtu diverse legna.
Non parrebbe di la poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s'appiglia.
E saper dei che la campagna santa
dove tu se', d'ogne semenza e piena,
e frutto ha in se che di la non si schianta.
L'acqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch'acquista e perde lena;
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant' ella versa da due parti aperta.
Da questa parte con virtu discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l'altra d'ogne ben fatto la rende.
Quinci Lete; cosi da l'altro lato
Eunoe si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non e gustato:
a tutti altri sapori esto e di sopra.
E avvegna ch'assai possa esser sazia
la sete tua perch' io piu non ti scuopra,
darotti un corollario ancor per grazia;
ne credo che 'l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia.
Quelli ch'anticamente poetaro
l'eta de l'oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro.
Qui fu innocente l'umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare e questo di che ciascun dice>>.
Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto
a' miei poeti, e vidi che con riso
udito avean l'ultimo costrutto;
poi a la bella donna torna' il viso.
Purgatorio ? Canto XXIX
Cantando come donna innamorata,
continuo col fin di sue parole:
'Beati quorum tecta sunt peccata! '.
E come ninfe che si givan sole
per le salvatiche ombre, disiando
qual di veder, qual di fuggir lo sole,
allor si mosse contra 'l fiume, andando
su per la riva; e io pari di lei,
picciol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra ' suoi passi e ' miei,
quando le ripe igualmente dier volta,
per modo ch'a levante mi rendei.
Ne ancor fu cosi nostra via molta,
quando la donna tutta a me si torse,
dicendo: <<Frate mio, guarda e ascolta>>.
Ed ecco un lustro subito trascorse
da tutte parti per la gran foresta,
tal che di balenar mi mise in forse.
Ma perche 'l balenar, come vien, resta,
e quel, durando, piu e piu splendeva,
nel mio pensier dicea: 'Che cosa e questa? '.
E una melodia dolce correva
per l'aere luminoso; onde buon zelo
mi fe riprender l'ardimento d'Eva,
che la dove ubidia la terra e 'l cielo,
femmina, sola e pur teste formata,
non sofferse di star sotto alcun velo;
sotto 'l qual se divota fosse stata,
avrei quelle ineffabili delizie
sentite prima e piu lunga fiata.
Mentr' io m'andava tra tante primizie
de l'etterno piacer tutto sospeso,
e disioso ancora a piu letizie,
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
ci si fe l'aere sotto i verdi rami;
e 'l dolce suon per canti era gia inteso.
O sacrosante Vergini, se fami,
freddi o vigilie mai per voi soffersi,
cagion mi sprona ch'io merce vi chiami.
Or convien che Elicona per me versi,
e Uranie m'aiuti col suo coro
forti cose a pensar mettere in versi.
Poco piu oltre, sette alberi d'oro
falsava nel parere il lungo tratto
del mezzo ch'era ancor tra noi e loro;
ma quand' i' fui si presso di lor fatto,
che l'obietto comun, che 'l senso inganna,
non perdea per distanza alcun suo atto,
la virtu ch'a ragion discorso ammanna,
si com' elli eran candelabri apprese,
e ne le voci del cantare 'Osanna'.
Di sopra fiammeggiava il bello arnese
piu chiaro assai che luna per sereno
di mezza notte nel suo mezzo mese.
Io mi rivolsi d'ammirazion pieno
al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
con vista carca di stupor non meno.
Indi rendei l'aspetto a l'alte cose
che si movieno incontr' a noi si tardi,
che foran vinte da novelle spose.
La donna mi sgrido: <<Perche pur ardi
si ne l'affetto de le vive luci,
e cio che vien di retro a lor non guardi? >>.
Genti vid' io allor, come a lor duci,
venire appresso, vestite di bianco;
e tal candor di qua gia mai non fuci.
L'acqua imprendea dal sinistro fianco,
e rendea me la mia sinistra costa,
s'io riguardava in lei, come specchio anco.
Quand' io da la mia riva ebbi tal posta,
che solo il fiume mi facea distante,
per veder meglio ai passi diedi sosta,
e vidi le fiammelle andar davante,
lasciando dietro a se l'aere dipinto,
e di tratti pennelli avean sembiante;
si che li sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto.
Questi ostendali in dietro eran maggiori
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
diece passi distavan quei di fori.
Sotto cosi bel ciel com' io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso.
Tutti cantavan: <<Benedicta tue
ne le figlie d'Adamo, e benedette
sieno in etterno le bellezze tue! >>.
Poscia che i fiori e l'altre fresche erbette
a rimpetto di me da l'altra sponda
libere fuor da quelle genti elette,
si come luce luce in ciel seconda,
vennero appresso lor quattro animali,
coronati ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennuto di sei ali;
le penne piene d'occhi; e li occhi d'Argo,
se fosser vivi, sarebber cotali.
A descriver lor forme piu non spargo
rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne,
tanto ch'a questa non posso esser largo;
ma leggi Ezechiel, che li dipigne
come li vide da la fredda parte
venir con vento e con nube e con igne;
e quali i troverai ne le sue carte,
tali eran quivi, salvo ch'a le penne
Giovanni e meco e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, triunfale,
ch'al collo d'un grifon tirato venne.
Esso tendeva in su l'una e l'altra ale
tra la mezzana e le tre e tre liste,
si ch'a nulla, fendendo, facea male.
Tanto salivan che non eran viste;
le membra d'oro avea quant' era uccello,
e bianche l'altre, di vermiglio miste.
Non che Roma di carro cosi bello
rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
ma quel del Sol saria pover con ello;
quel del Sol che, sviando, fu combusto
per l'orazion de la Terra devota,
quando fu Giove arcanamente giusto.
Tre donne in giro da la destra rota
venian danzando; l'una tanto rossa
ch'a pena fora dentro al foco nota;
l'altr' era come se le carni e l'ossa
fossero state di smeraldo fatte;
la terza parea neve teste mossa;
e or parean da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
l'altre toglien l'andare e tarde e ratte.
Da la sinistra quattro facean festa,
in porpore vestite, dietro al modo
d'una di lor ch'avea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo
vidi due vecchi in abito dispari,
ma pari in atto e onesto e sodo.
L'un si mostrava alcun de' famigliari
di quel sommo Ipocrate che natura
a li animali fe ch'ell' ha piu cari;
mostrava l'altro la contraria cura
con una spada lucida e aguta,
tal che di qua dal rio mi fe paura.
Poi vidi quattro in umile paruta;
e di retro da tutti un vecchio solo
venir, dormendo, con la faccia arguta.
E questi sette col primaio stuolo
erano abituati, ma di gigli
dintorno al capo non facean brolo,
anzi di rose e d'altri fior vermigli;
giurato avria poco lontano aspetto
che tutti ardesser di sopra da' cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto,
un tuon s'udi, e quelle genti degne
parvero aver l'andar piu interdetto,
fermandosi ivi con le prime insegne.
Purgatorio ? Canto XXX
Quando il settentrion del primo cielo,
che ne occaso mai seppe ne orto
ne d'altra nebbia che di colpa velo,
e che faceva li ciascun accorto
di suo dover, come 'l piu basso face
qual temon gira per venire a porto,
fermo s'affisse: la gente verace,
venuta prima tra 'l grifone ed esso,
al carro volse se come a sua pace;
e un di loro, quasi da ciel messo,
'Veni, sponsa, de Libano' cantando
grido tre volte, e tutti li altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando,
cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messaggier di vita etterna.
Tutti dicean: 'Benedictus qui venis! ',
e fior gittando e di sopra e dintorno,
'Manibus, oh, date lilia plenis! '.
Io vidi gia nel cominciar del giorno
la parte oriental tutta rosata,
e l'altro ciel di bel sereno addorno;
e la faccia del sol nascere ombrata,
si che per temperanza di vapori
l'occhio la sostenea lunga fiata:
cosi dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giu dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d'uliva
donna m'apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che gia cotanto
tempo era stato ch'a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,
sanza de li occhi aver piu conoscenza,
per occulta virtu che da lei mosse,
d'antico amor senti la gran potenza.
Tosto che ne la vista mi percosse
l'alta virtu che gia m'avea trafitto
prima ch'io fuor di puerizia fosse,
volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli e afflitto,
per dicere a Virgilio: 'Men che dramma
di sangue m'e rimaso che non tremi:
conosco i segni de l'antica fiamma'.
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
di se, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die'mi;
ne quantunque perdeo l'antica matre,
valse a le guance nette di rugiada,
che, lagrimando, non tornasser atre.
<<Dante, perche Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
che pianger ti conven per altra spada>>.
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l'incora;
in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessita qui si registra,
vidi la donna che pria m'appario
velata sotto l'angelica festa,
drizzar li occhi ver' me di qua dal rio.
Tutto che 'l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,
regalmente ne l'atto ancor proterva
continuo come colui che dice
e 'l piu caldo parlar dietro reserva:
<<Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d'accedere al monte?
non sapei tu che qui e l'uom felice? >>.
Li occhi mi cadder giu nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba,
tanta vergogna mi gravo la fronte.
Cosi la madre al figlio par superba,
com' ella parve a me; perche d'amaro
sente il sapor de la pietade acerba.
Ella si tacque; e li angeli cantaro
di subito 'In te, Domine, speravi';
ma oltre 'pedes meos' non passaro.
Si come neve tra le vive travi
per lo dosso d'Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,
poi, liquefatta, in se stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
si che par foco fonder la candela;
cosi fui sanza lagrime e sospiri
anzi 'l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;
ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre
lor compatire a me, par che se detto
avesser: 'Donna, perche si lo stempre? ',
lo gel che m'era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi usci del petto.
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole cosi poscia:
<<Voi vigilate ne l'etterno die,
si che notte ne sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;
onde la mia risposta e con piu cura
che m'intenda colui che di la piagne,
perche sia colpa e duol d'una misura.
Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,
ma per larghezza di grazie divine,
che si alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste la non van vicine,
questi fu tal ne la sua vita nova
virtualmente, ch'ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto piu maligno e piu silvestro
si fa 'l terren col mal seme e non colto,
quant' elli ha piu di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte volto.
Si tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtu cresciuta m'era,
fu' io a lui men cara e men gradita;
e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.
Ne l'impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: si poco a lui ne calse!
Tanto giu cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran gia corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.
Per questo visitai l'uscio d'i morti,
e a colui che l'ha qua su condotto,
li prieghi miei, piangendo, furon porti.
Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Lete si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto
di pentimento che lagrime spanda>>.
Purgatorio ? Canto XXXI
<<O tu che se' di la dal fiume sacro>>,
volgendo suo parlare a me per punta,
che pur per taglio m'era paruto acro,
ricomincio, seguendo sanza cunta,
<<di, di se questo e vero: a tanta accusa
tua confession conviene esser congiunta>>.
Era la mia virtu tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
che da li organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse: <<Che pense?
Rispondi a me; che le memorie triste
in te non sono ancor da l'acqua offense>>.
Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal <<si>> fuor de la bocca,
al quale intender fuor mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca
da troppa tesa, la sua corda e l'arco,
e con men foga l'asta il segno tocca,
si scoppia' io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
e la voce allento per lo suo varco.
Ond' ella a me: <<Per entro i mie' disiri,
che ti menavano ad amar lo bene
di la dal qual non e a che s'aspiri,
quai fossi attraversati o quai catene
trovasti, per che del passare innanzi
dovessiti cosi spogliar la spene?
E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
per che dovessi lor passeggiare anzi? >>.
Dopo la tratta d'un sospiro amaro,
a pena ebbi la voce che rispuose,
e le labbra a fatica la formaro.
Piangendo dissi: <<Le presenti cose
col falso lor piacer volser miei passi,
tosto che 'l vostro viso si nascose>>.
Ed ella: <<Se tacessi o se negassi
cio che confessi, non fora men nota
la colpa tua: da tal giudice sassi!
Ma quando scoppia de la propria gota
l'accusa del peccato, in nostra corte
rivolge se contra 'l taglio la rota.
Tuttavia, perche mo vergogna porte
del tuo errore, e perche altra volta,
udendo le serene, sie piu forte,
pon giu il seme del piangere e ascolta:
si udirai come in contraria parte
mover dovieti mia carne sepolta.
Mai non t'appresento natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch'io
rinchiusa fui, e che so' 'n terra sparte;
e se 'l sommo piacer si ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era piu tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso,
ad aspettar piu colpo, o pargoletta
o altra novita con si breve uso.
Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d'i pennuti
rete si spiega indarno o si saetta>>.
Quali fanciulli, vergognando, muti
con li occhi a terra stannosi, ascoltando
e se riconoscendo e ripentuti,
tal mi stav' io; ed ella disse: <<Quando
per udir se' dolente, alza la barba,
e prenderai piu doglia riguardando>>.
Con men di resistenza si dibarba
robusto cerro, o vero al nostral vento
o vero a quel de la terra di Iarba,
ch'io non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
ben conobbi il velen de l'argomento.
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersion l'occhio comprese;
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
ch'e sola una persona in due nature.
Sotto 'l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi piu se stessa antica,
vincer che l'altre qui, quand' ella c'era.
Di penter si mi punse ivi l'ortica,
che di tutte altre cose qual mi torse
piu nel suo amor, piu mi si fe nemica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse,
ch'io caddi vinto; e quale allora femmi,
salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cor virtu di fuor rendemmi,
la donna ch'io avea trovata sola
sopra me vidi, e dicea: <<Tiemmi, tiemmi! >>.
Tratto m'avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
sovresso l'acqua lieve come scola.
Quando fui presso a la beata riva,
'Asperges me' si dolcemente udissi,
che nol so rimembrar, non ch'io lo scriva.
La bella donna ne le braccia aprissi;
abbracciommi la testa e mi sommerse
ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi.
Indi mi tolse, e bagnato m'offerse
dentro a la danza de le quattro belle;
e ciascuna del braccio mi coperse.
<<Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
lume ch'e dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di la, che miran piu profondo>>.
Cosi cantando cominciaro; e poi
al petto del grifon seco menarmi,
ove Beatrice stava volta a noi.
Disser: <<Fa che le viste non risparmi;
posto t'avem dinanzi a li smeraldi
ond' Amor gia ti trasse le sue armi>>.
Mille disiri piu che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
che pur sopra 'l grifone stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, s'io mi maravigliava,
quando vedea la cosa in se star queta,
e ne l'idolo suo si trasmutava.
Mentre che piena di stupore e lieta
l'anima mia gustava di quel cibo
che, saziando di se, di se asseta,
se dimostrando di piu alto tribo
ne li atti, l'altre tre si fero avanti,
danzando al loro angelico caribo.
<<Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi>>,
era la sua canzone, <<al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti!
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, si che discerna
la seconda bellezza che tu cele>>.
O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto l'ombra
si di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
la dove armonizzando il ciel t'adombra,
quando ne l'aere aperto ti solvesti?
Purgatorio ? Canto XXXII
Tant' eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m'eran tutti spenti.
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non caler--cosi lo santo riso
a se traeli con l'antica rete! --;
quando per forza mi fu volto il viso
ver' la sinistra mia da quelle dee,
perch' io udi' da loro un <<Troppo fiso! >>;
e la disposizion ch'a veder ee
ne li occhi pur teste dal sol percossi,
sanza la vista alquanto esser mi fee.
Ma poi ch'al poco il viso riformossi
(e dico 'al poco' per rispetto al molto
sensibile onde a forza mi rimossi),
vidi 'n sul braccio destro esser rivolto
lo glorioso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e se gira col segno,
prima che possa tutta in se mutarsi;
quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi a le rote si tornar le donne,
e 'l grifon mosse il benedetto carco
si, che pero nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
che fe l'orbita sua con minore arco.
Si passeggiando l'alta selva vota,
colpa di quella ch'al serpente crese,
temprava i passi un'angelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando Beatrice scese.
Io senti' mormorare a tutti <<Adamo>>;
poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e d'altra fronda in ciascun ramo.
La coma sua, che tanto si dilata
piu quanto piu e su, fora da l'Indi
ne' boschi lor per altezza ammirata.
<<Beato se', grifon, che non discindi
col becco d'esto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindi>>.
Cosi dintorno a l'albero robusto
gridaron li altri; e l'animal binato:
<<Si si conserva il seme d'ogne giusto>>.
E volto al temo ch'elli avea tirato,
trasselo al pie de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lascio legato.
Come le nostre piante, quando casca
giu la gran luce mischiata con quella
che raggia dietro a la celeste lasca,
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che 'l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella;
men che di rose e piu che di viole
colore aprendo, s'innovo la pianta,
che prima avea le ramora si sole.
Io non lo 'ntesi, ne qui non si canta
l'inno che quella gente allor cantaro,
ne la nota soffersi tutta quanta.
S'io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
li occhi a cui pur vegghiar costo si caro;
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com' io m'addormentai;
ma qual vuol sia che l'assonnar ben finga.
Pero trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch'un splendor mi squarcio 'l velo
del sonno, e un chiamar: <<Surgi: che fai? >>.
Quali a veder de' fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
e perpetue nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti,
e videro scemata loro scuola
cosi di Moise come d'Elia,
e al maestro suo cangiata stola;
tal torna' io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de' miei passi lungo 'l fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: <<Ov' e Beatrice? >>.
Ond' ella: <<Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice.
Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo 'l grifon sen vanno suso
con piu dolce canzone e piu profonda>>.
E se piu fu lo suo parlar diffuso,
non so, pero che gia ne li occhi m'era
quella ch'ad altro intender m'avea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata li del plaustro
che legar vidi a la biforme fera.
In cerchio le facevan di se claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri d'Aquilone e d'Austro.
<<Qui sarai tu poco tempo silvano;
e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo e romano.
Pero, in pro del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di la, fa che tu scrive>>.
Cosi Beatrice; e io, che tutto ai piedi
d'i suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov' ella volle diedi.
Non scese mai con si veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che piu va remoto,
com' io vidi calar l'uccel di Giove
per l'alber giu, rompendo de la scorza,
non che d'i fiori e de le foglie nove;
e feri 'l carro di tutta sua forza;
ond' el piego come nave in fortuna,
vinta da l'onda, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del triunfal veiculo una volpe
che d'ogne pasto buon parea digiuna;
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser l'ossa sanza polpe.
Poscia per indi ond' era pria venuta,
l'aguglia vidi scender giu ne l'arca
del carro e lasciar lei di se pennuta;
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce usci del cielo e cotal disse:
<<O navicella mia, com' mal se' carca! >>.
Poi parve a me che la terra s'aprisse
tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro su la coda fisse;
e come vespa che ritragge l'ago,
a se traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.