Ond' io appresso: <
de l'etterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m'ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
parer mi fate tutti vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m'ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
Dante - La Divina Commedia
La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, e tanto volta,
che quel dinanzi a quel di retro gitta;
e tosto si vedra de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio
si lagnera che l'arca li sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
nostro volume, ancor troveria carta
u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio";
ma non fia da Casal ne d'Acquasparta,
la onde vegnon tali a la scrittura,
ch'uno la fugge e altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che ne' grandi offici
sempre pospuosi la sinistra cura.
Illuminato e Augustin son quici,
che fuor de' primi scalzi poverelli
che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da San Vittore e qui con elli,
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
lo qual giu luce in dodici libelli;
Natan profeta e 'l metropolitano
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
ch'a la prim' arte degno porre mano.
Rabano e qui, e lucemi dallato
il calavrese abate Giovacchino
di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
mi mosse l'infiammata cortesia
di fra Tommaso e 'l discreto latino;
e mosse meco questa compagnia>>.
Paradiso ? Canto XIII
Imagini, chi bene intender cupe
quel ch'i' or vidi--e ritegna l'image,
mentre ch'io dico, come ferma rupe--,
quindici stelle che 'n diverse plage
lo ciel avvivan di tanto sereno
che soperchia de l'aere ogne compage;
imagini quel carro a cu' il seno
basta del nostro cielo e notte e giorno,
si ch'al volger del temo non vien meno;
imagini la bocca di quel corno
che si comincia in punta de lo stelo
a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di se due segni in cielo,
qual fece la figliuola di Minoi
allora che senti di morte il gelo;
e l'un ne l'altro aver li raggi suoi,
e amendue girarsi per maniera
che l'uno andasse al primo e l'altro al poi;
e avra quasi l'ombra de la vera
costellazione e de la doppia danza
che circulava il punto dov' io era:
poi ch'e tanto di la da nostra usanza,
quanto di la dal mover de la Chiana
si move il ciel che tutti li altri avanza.
Li si canto non Bacco, non Peana,
ma tre persone in divina natura,
e in una persona essa e l'umana.
Compie 'l cantare e 'l volger sua misura;
e attesersi a noi quei santi lumi,
felicitando se di cura in cura.
Ruppe il silenzio ne' concordi numi
poscia la luce in che mirabil vita
del poverel di Dio narrata fumi,
e disse: <<Quando l'una paglia e trita,
quando la sua semenza e gia riposta,
a batter l'altra dolce amor m'invita.
Tu credi che nel petto onde la costa
si trasse per formar la bella guancia
il cui palato a tutto 'l mondo costa,
e in quel che, forato da la lancia,
e prima e poscia tanto sodisfece,
che d'ogne colpa vince la bilancia,
quantunque a la natura umana lece
aver di lume, tutto fosse infuso
da quel valor che l'uno e l'altro fece;
e pero miri a cio ch'io dissi suso,
quando narrai che non ebbe 'l secondo
lo ben che ne la quinta luce e chiuso.
Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo,
e vedrai il tuo credere e 'l mio dire
nel vero farsi come centro in tondo.
Cio che non more e cio che puo morire
non e se non splendor di quella idea
che partorisce, amando, il nostro Sire;
che quella viva luce che si mea
dal suo lucente, che non si disuna
da lui ne da l'amor ch'a lor s'intrea,
per sua bontate il suo raggiare aduna,
quasi specchiato, in nove sussistenze,
etternalmente rimanendosi una.
Quindi discende a l'ultime potenze
giu d'atto in atto, tanto divenendo,
che piu non fa che brevi contingenze;
e queste contingenze essere intendo
le cose generate, che produce
con seme e sanza seme il ciel movendo.
La cera di costoro e chi la duce
non sta d'un modo; e pero sotto 'l segno
ideale poi piu e men traluce.
Ond' elli avvien ch'un medesimo legno,
secondo specie, meglio e peggio frutta;
e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtu supprema,
la luce del suggel parrebbe tutta;
ma la natura la da sempre scema,
similemente operando a l'artista
ch'a l'abito de l'arte ha man che trema.
Pero se 'l caldo amor la chiara vista
de la prima virtu dispone e segna,
tutta la perfezion quivi s'acquista.
Cosi fu fatta gia la terra degna
di tutta l'animal perfezione;
cosi fu fatta la Vergine pregna;
si ch'io commendo tua oppinione,
che l'umana natura mai non fue
ne fia qual fu in quelle due persone.
Or s'i' non procedesse avanti piue,
'Dunque, come costui fu sanza pare? '
comincerebber le parole tue.
Ma perche paia ben cio che non pare,
pensa chi era, e la cagion che 'l mosse,
quando fu detto "Chiedi", a dimandare.
Non ho parlato si, che tu non posse
ben veder ch'el fu re, che chiese senno
accio che re sufficiente fosse;
non per sapere il numero in che enno
li motor di qua su, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote
triangol si ch'un retto non avesse.
Onde, se cio ch'io dissi e questo note,
regal prudenza e quel vedere impari
in che lo stral di mia intenzion percuote;
e se al "surse" drizzi li occhi chiari,
vedrai aver solamente respetto
ai regi, che son molti, e ' buon son rari.
Con questa distinzion prendi 'l mio detto;
e cosi puote star con quel che credi
del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti sia sempre piombo a' piedi,
per farti mover lento com' uom lasso
e al si e al no che tu non vedi:
che quelli e tra li stolti bene a basso,
che sanza distinzione afferma e nega
ne l'un cosi come ne l'altro passo;
perch' elli 'ncontra che piu volte piega
l'oppinion corrente in falsa parte,
e poi l'affetto l'intelletto lega.
Vie piu che 'ndarno da riva si parte,
perche non torna tal qual e' si move,
chi pesca per lo vero e non ha l'arte.
E di cio sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
li quali andaro e non sapean dove;
si fe Sabellio e Arrio e quelli stolti
che furon come spade a le Scritture
in render torti li diritti volti.
Non sien le genti, ancor, troppo sicure
a giudicar, si come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature;
ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
poscia portar la rosa in su la cima;
e legno vidi gia dritto e veloce
correr lo mar per tutto suo cammino,
perire al fine a l'intrar de la foce.
Non creda donna Berta e ser Martino,
per vedere un furare, altro offerere,
vederli dentro al consiglio divino;
che quel puo surgere, e quel puo cadere>>.
Paradiso ? Canto XIV
Dal centro al cerchio, e si dal cerchio al centro
movesi l'acqua in un ritondo vaso,
secondo ch'e percosso fuori o dentro:
ne la mia mente fe subito caso
questo ch'io dico, si come si tacque
la gloriosa vita di Tommaso,
per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice,
a cui si cominciar, dopo lui, piacque:
<<A costui fa mestieri, e nol vi dice
ne con la voce ne pensando ancora,
d'un altro vero andare a la radice.
Diteli se la luce onde s'infiora
vostra sustanza, rimarra con voi
etternalmente si com' ell' e ora;
e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
esser pora ch'al veder non vi noi>>.
Come, da piu letizia pinti e tratti,
a la fiata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,
cosi, a l'orazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.
Qual si lamenta perche qui si moia
per viver cola su, non vide quive
lo refrigerio de l'etterna ploia.
Quell' uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,
tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch'ad ogne merto saria giusto muno.
E io udi' ne la luce piu dia
del minor cerchio una voce modesta,
forse qual fu da l'angelo a Maria,
risponder: <<Quanto fia lunga la festa
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggera dintorno cotal vesta.
La sua chiarezza seguita l'ardore;
l'ardor la visione, e quella e tanta,
quant' ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne gloriosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
piu grata fia per esser tutta quanta;
per che s'accrescera cio che ne dona
di gratuito lume il sommo bene,
lume ch'a lui veder ne condiziona;
onde la vision crescer convene,
crescer l'ardor che di quella s'accende,
crescer lo raggio che da esso vene.
Ma si come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
si che la sua parvenza si difende;
cosi questo folgor che gia ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto di la terra ricoperchia;
ne potra tanta luce affaticarne:
che li organi del corpo saran forti
a tutto cio che potra dilettarne>>.
Tanto mi parver subiti e accorti
e l'uno e l'altro coro a dicer <<Amme! >>,
che ben mostrar disio d'i corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v'era,
per guisa d'orizzonte che rischiari.
E si come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
si che la vista pare e non par vera,
parvemi li novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l'altre due circunferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece subito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Ma Beatrice si bella e ridente
mi si mostro, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in piu alta salute.
Ben m'accors' io ch'io era piu levato,
per l'affocato riso de la stella,
che mi parea piu roggio che l'usato.
Con tutto 'l core e con quella favella
ch'e una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.
E non er' anco del mio petto essausto
l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi
esso litare stato accetto e fausto;
che con tanto lucore e tanto robbi
m'apparvero splendor dentro a due raggi,
ch'io dissi: <<O Elios che si li addobbi! >>.
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ' poli del mondo
Galassia si, che fa dubbiar ben saggi;
si costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;
che quella croce lampeggiava Cristo,
si ch'io non so trovare essempro degno;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scusera di quel ch'io lasso,
vedendo in quell' albor balenar Cristo.
Di corno in corno e tra la cima e 'l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
cosi si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l'ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non e intesa,
cosi da' lumi che li m'apparinno
s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno.
Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,
pero ch'a me venia <<Resurgi>> e <<Vinci>>
come a colui che non intende e ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
che 'nfino a li non fu alcuna cosa
che mi legasse con si dolci vinci.
Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne' quai mirando mio disio ha posa;
ma chi s'avvede che i vivi suggelli
d'ogne bellezza piu fanno piu suso,
e ch'io non m'era li rivolto a quelli,
escusar puommi di quel ch'io m'accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
che 'l piacer santo non e qui dischiuso,
perche si fa, montando, piu sincero.
Paradiso ? Canto XV
Benigna volontade in che si liqua
sempre l'amor che drittamente spira,
come cupidita fa ne la iniqua,
silenzio puose a quella dolce lira,
e fece quietar le sante corde
che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a' giusti preghi sorde
quelle sustanze che, per darmi voglia
ch'io le pregassi, a tacer fur concorde?
Bene e che sanza termine si doglia
chi, per amor di cosa che non duri
etternalmente, quello amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or subito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond' e' s'accende
nulla sen perde, ed esso dura poco:
tale dal corno che 'n destro si stende
a pie di quella croce corse un astro
de la costellazion che li resplende;
ne si parti la gemma dal suo nastro,
ma per la lista radial trascorse,
che parve foco dietro ad alabastro.
Si pia l'ombra d'Anchise si porse,
se fede merta nostra maggior musa,
quando in Eliso del figlio s'accorse.
<<O sanguis meus, o superinfusa
gratia Dei, sicut tibi cui
bis unquam celi ianua reclusa? >>.
Cosi quel lume: ond' io m'attesi a lui;
poscia rivolsi a la mia donna il viso,
e quinci e quindi stupefatto fui;
che dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.
Indi, a udire e a veder giocondo,
giunse lo spirto al suo principio cose,
ch'io non lo 'ntesi, si parlo profondo;
ne per elezion mi si nascose,
ma per necessita, che 'l suo concetto
al segno d'i mortal si soprapuose.
E quando l'arco de l'ardente affetto
fu si sfogato, che 'l parlar discese
inver' lo segno del nostro intelletto,
la prima cosa che per me s'intese,
<<Benedetto sia tu>>, fu, <<trino e uno,
che nel mio seme se' tanto cortese! >>.
E segui: <<Grato e lontano digiuno,
tratto leggendo del magno volume
du' non si muta mai bianco ne bruno,
solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
in ch'io ti parlo, merce di colei
ch'a l'alto volo ti vesti le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
da quel ch'e primo, cosi come raia
da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei;
e pero ch'io mi sia e perch' io paia
piu gaudioso a te, non mi domandi,
che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi 'l vero; che i minori e ' grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
ma perche 'l sacro amore in che io veglio
con perpetua vista e che m'asseta
di dolce disiar, s'adempia meglio,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volonta, suoni 'l disio,
a che la mia risposta e gia decreta! >>.
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l'ali al voler mio.
Poi cominciai cosi: <<L'affetto e 'l senno,
come la prima equalita v'apparse,
d'un peso per ciascun di voi si fenno,
pero che 'l sol che v'allumo e arse,
col caldo e con la luce e si iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento ne' mortali,
per la cagion ch'a voi e manifesta,
diversamente son pennuti in ali;
ond' io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e pero non ringrazio
se non col core a la paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia preziosa ingemmi,
perche mi facci del tuo nome sazio>>.
<<O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice>>:
cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: <<Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent' anni e piue
girato ha 'l monte in la prima cornice,
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l'opere tue.
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond' ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder piu che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, che 'l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vote;
non v'era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar cio che 'n camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com' e vinto
nel montar su, cosi sara nel calo.
Bellincion Berti vid' io andar cinto
di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza 'l viso dipinto;
e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.
Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.
L'una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l'idioma
che prima i padri e le madri trastulla;
l'altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.
A cosi riposato, a cosi bello
viver di cittadini, a cosi fida
cittadinanza, a cosi dolce ostello,
Maria mi die, chiamata in alte grida;
e ne l'antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo.
Poi seguitai lo 'mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.
Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d'i pastor, vostra giustizia.
Quivi fu' io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt' anime deturpa;
e venni dal martiro a questa pace>>.
Paradiso ? Canto XVI
O poca nostra nobilta di sangue,
se gloriar di te la gente fai
qua giu dove l'affetto nostro langue,
mirabil cosa non mi sara mai:
che la dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se' tu manto che tosto raccorce:
si che, se non s'appon di di in die,
lo tempo va dintorno con le force.
Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie,
in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie;
onde Beatrice, ch'era un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra.
Io cominciai: <<Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate si, ch'i' son piu ch'io.
Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
la mente mia, che di se fa letizia
perche puo sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra puerizia;
ditemi de l'ovil di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di piu alti scanni>>.
Come s'avviva a lo spirar d'i venti
carbone in fiamma, cosi vid' io quella
luce risplendere a' miei blandimenti;
e come a li occhi miei si fe piu bella,
cosi con voce piu dolce e soave,
ma non con questa moderna favella,
dissemi: <<Da quel di che fu detto 'Ave'
al parto in che mia madre, ch'e or santa,
s'allevio di me ond' era grave,
al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria l'ultimo sesto
da quei che corre il vostro annual gioco.
Basti d'i miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
piu e tacer che ragionare onesto.
Tutti color ch'a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e 'l Batista,
eran il quinto di quei ch'or son vivi.
Ma la cittadinanza, ch'e or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l'ultimo artista.
Oh quanto fora meglio esser vicine
quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine,
che averle dentro e sostener lo puzzo
del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
che gia per barattare ha l'occhio aguzzo!
Se la gente ch'al mondo piu traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna,
tal fatto e fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe volto a Simifonti,
la dove andava l'avolo a la cerca;
sariesi Montemurlo ancor de' Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s'appone;
e cieco toro piu avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
piu e meglio una che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
udir come le schiatte si disfanno
non ti parra nova cosa ne forte,
poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
si come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte.
E come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
cosi fa di Fiorenza la Fortuna:
per che non dee parer mirabil cosa
cio ch'io diro de li alti Fiorentini
onde e la fama nel tempo nascosa.
Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
gia nel calare, illustri cittadini;
e vidi cosi grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l'Arca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
Sovra la porta ch'al presente e carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca,
erano i Ravignani, ond' e disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de l'alto Bellincione ha poscia preso.
Quel de la Pressa sapeva gia come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua gia l'elsa e 'l pome.
Grand' era gia la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch'arrossan per lo staio.
Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era gia grande, e gia eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci.
Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l'oro
fiorian Fiorenza in tutt' i suoi gran fatti.
Cosi facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro.
L'oltracotata schiatta che s'indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente
o ver la borsa, com' agnel si placa,
gia venia su, ma di picciola gente;
si che non piacque ad Ubertin Donato
che poi il suocero il fe lor parente.
Gia era 'l Caponsacco nel mercato
disceso giu da Fiesole, e gia era
buon cittadino Giuda e Infangato.
Io diro cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio s'entrava per porta
che si nomava da quei de la Pera.
Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e 'l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta,
da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio.
Gia eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo piu quieto,
se di novi vicin fosser digiuni.
La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che v'ha morti
e puose fine al vostro viver lieto,
era onorata, essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze sue per li altrui conforti!
Molti sarebber lieti, che son tristi,
se Dio t'avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch'a citta venisti.
Ma conveniesi a quella pietra scema
che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema.
Con queste genti, e con altre con esse,
vid' io Fiorenza in si fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse.
Con queste genti vid'io glorioso
e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso,
ne per division fatto vermiglio>>.
Paradiso ? Canto XVII
Qual venne a Climene, per accertarsi
di cio ch'avea incontro a se udito,
quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi;
tal era io, e tal era sentito
e da Beatrice e da la santa lampa
che pria per me avea mutato sito.
Per che mia donna <<Manda fuor la vampa
del tuo disio>>, mi disse, <<si ch'ella esca
segnata bene de la interna stampa:
non perche nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perche t'ausi
a dir la sete, si che l'uom ti mesca>>.
<<O cara piota mia che si t'insusi,
che, come veggion le terrene menti
non capere in triangol due ottusi,
cosi vedi le cose contingenti
anzi che sieno in se, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti;
mentre ch'io era a Virgilio congiunto
su per lo monte che l'anime cura
e discendendo nel mondo defunto,
dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna ch'io mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura;
per che la voglia mia saria contenta
d'intender qual fortuna mi s'appressa:
che saetta previsa vien piu lenta>>.
Cosi diss' io a quella luce stessa
che pria m'avea parlato; e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Ne per ambage, in che la gente folle
gia s'inviscava pria che fosse anciso
l'Agnel di Dio che le peccata tolle,
ma per chiare parole e con preciso
latin rispuose quello amor paterno,
chiuso e parvente del suo proprio riso:
<<La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta e dipinta nel cospetto etterno;
necessita pero quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giu discende.
Da indi, si come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi viene
a vista il tempo che ti s'apparecchia.
Qual si partio Ipolito d'Atene
per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene.
Questo si vuole e questo gia si cerca,
e tosto verra fatto a chi cio pensa
la dove Cristo tutto di si merca.
La colpa seguira la parte offensa
in grido, come suol; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa.
Tu lascerai ogne cosa diletta
piu caramente; e questo e quello strale
che l'arco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai si come sa di sale
lo pane altrui, e come e duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
E quel che piu ti gravera le spalle,
sara la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle;
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si fara contr' a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n'avra rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
fara la prova; si ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello
sara la cortesia del gran Lombardo
che 'n su la scala porta il santo uccello;
ch'in te avra si benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra li altri e piu tardo.
Con lui vedrai colui che 'mpresso fue,
nascendo, si da questa stella forte,
che notabili fier l'opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella eta, che pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar d'argento ne d'affanni.
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, si che ' suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t'aspetta e a' suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;
e portera'ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai>>; e disse cose
incredibili a quei che fier presente.
Poi giunse: <<Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie
che dietro a pochi giri son nascose.
Non vo' pero ch'a' tuoi vicini invidie,
poscia che s'infutura la tua vita
vie piu la che 'l punir di lor perfidie>>.
Poi che, tacendo, si mostro spedita
l'anima santa di metter la trama
in quella tela ch'io le porsi ordita,
io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama:
<<Ben veggio, padre mio, si come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch'e piu grave a chi piu s'abbandona;
per che di provedenza e buon ch'io m'armi,
si che, se loco m'e tolto piu caro,
io non perdessi li altri per miei carmi.
Giu per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro,
e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s'io ridico,
a molti fia sapor di forte agrume;
e s'io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico>>.
La luce in che rideva il mio tesoro
ch'io trovai li, si fe prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d'oro;
indi rispuose: <<Coscienza fusca
o de la propria o de l'altrui vergogna
pur sentira la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov' e la rogna.
Che se la voce tua sara molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascera poi, quando sara digesta.
Questo tuo grido fara come vento,
che le piu alte cime piu percuote;
e cio non fa d'onor poco argomento.
Pero ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l'anime che son di fama note,
che l'animo di quel ch'ode, non posa
ne ferma fede per essempro ch'aia
la sua radice incognita e ascosa,
ne per altro argomento che non paia>>.
Paradiso ? Canto XVIII
Gia si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo;
e quella donna ch'a Dio mi menava
disse: <<Muta pensier; pensa ch'i' sono
presso a colui ch'ogne torto disgrava>>.
Io mi rivolsi a l'amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l'abbandono:
non perch' io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non puo redire
sovra se tanto, s'altri non la guidi.
Tanto poss' io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,
fin che 'l piacere etterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d'un sorriso,
ella mi disse: <<Volgiti e ascolta;
che non pur ne' miei occhi e paradiso>>.
Come si vede qui alcuna volta
l'affetto ne la vista, s'elli e tanto,
che da lui sia tutta l'anima tolta,
cosi nel fiammeggiar del folgor santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
El comincio: <<In questa quinta soglia
de l'albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giu, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
si ch'ogne musa ne sarebbe opima.
Pero mira ne' corni de la croce:
quello ch'io nomero, li fara l'atto
che fa in nube il suo foco veloce>>.
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosue, com' el si feo;
ne mi fu noto il dir prima che 'l fatto.
E al nome de l'alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo.
Cosi per Carlo Magno e per Orlando
due ne segui lo mio attento sguardo,
com' occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e 'l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista,
mostrommi l'alma che m'avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l'ultimo solere.
E come, per sentir piu dilettanza
bene operando, l'uom di giorno in giorno
s'accorge che la sua virtute avanza,
si m'accors' io che 'l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
veggendo quel miracol piu addorno.
E qual e 'l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando 'l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui volto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a se m'avea ricolto.
Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar de l'amor che li era
segnare a li occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di se or tonda or altra schiera,
si dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l'un di questi segni,
un poco s'arrestavano e taciensi.
O diva Pegasea che li 'ngegni
fai gloriosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ' regni,
illustrami di te, si ch'io rilevi
le lor figure com' io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti si, come mi parver dette.
'DILIGITE IUSTITIAM', primai
fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;
'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai.
Poscia ne l'emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; si che Giove
pareva argento li d'oro distinto.
E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l'emme, e li quetarsi
cantando, credo, il ben ch'a se le move.
Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,
resurger parver quindi piu di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
si come 'l sol che l'accende sortille;
e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge li, non ha chi 'l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtu ch'e forma per li nidi.
L'altra beatitudo, che contenta
pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,
con poco moto seguito la 'mprenta.
O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!
Per ch'io prego la mente in che s'inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond' esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;
si ch'un'altra fiata omai s'adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si muro di segni e di martiri.
O milizia del ciel cu' io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti sviati dietro al malo essemplo!
Gia si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che 'l pio Padre a nessun serra.
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: <<I' ho fermo 'l disiro
si a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,
ch'io non conosco il pescator ne Polo>>.
Paradiso ? Canto XIX
Parea dinanzi a me con l'ali aperte
la bella image che nel dolce frui
liete facevan l'anime conserte;
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse si acceso,
che ne' miei occhi rifrangesse lui.
E quel che mi convien ritrar testeso,
non porto voce mai, ne scrisse incostro,
ne fu per fantasia gia mai compreso;
ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e <<io>> e <<mio>>,
quand' era nel concetto e 'noi' e 'nostro'.
E comincio: <<Per esser giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
che non si lascia vincere a disio;
e in terra lasciai la mia memoria
si fatta, che le genti li malvage
commendan lei, ma non seguon la storia>>.
Cosi un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image.
Ond' io appresso: <
parer mi fate tutti vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m'ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se 'n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che 'l vostro non l'apprende con velame.
Sapete come attento io m'apparecchio
ad ascoltar; sapete qual e quello
dubbio che m'e digiun cotanto vecchio>>.
Quasi falcone ch'esce del cappello,
move la testa e con l'ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,
vid' io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi la su gaude.
Poi comincio: <<Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto,
non pote suo valor si fare impresso
in tutto l'universo, che 'l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso.
E cio fa certo che 'l primo superbo,
che fu la somma d'ogne creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo;
e quinci appar ch'ogne minor natura
e corto recettacolo a quel bene
che non ha fine e se con se misura.
Dunque vostra veduta, che convene
esser alcun de' raggi de la mente
di che tutte le cose son ripiene,
non po da sua natura esser possente
tanto, che suo principio discerna
molto di la da quel che l'e parvente.
Pero ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com' occhio per lo mare, entro s'interna;
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
eli, ma cela lui l'esser profondo.
Lume non e, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi e tenebra
od ombra de la carne o suo veleno.
Assai t'e mo aperta la latebra
che t'ascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra;
che tu dicevi: "Un uom nasce a la riva
de l'Indo, e quivi non e chi ragioni
di Cristo ne chi legga ne chi scriva;
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e sanza fede:
ov' e questa giustizia che 'l condanna?
ov' e la colpa sua, se ei non crede? ".
Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d'una spanna?
Certo a colui che meco s'assottiglia,
se la Scrittura sovra voi non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia.
Oh terreni animali! oh menti grosse!
La prima volonta, ch'e da se buona,
da se, ch'e sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto e giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a se la tira,
ma essa, radiando, lui cagiona>>.
Quale sovresso il nido si rigira
poi c'ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch'e pasto la rimira;
cotal si fece, e si levai i cigli,
la benedetta imagine, che l'ali
movea sospinte da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea: <<Quali
son le mie note a te, che non le 'ntendi,
tal e il giudicio etterno a voi mortali>>.
Poi si quetaro quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor nel segno
che fe i Romani al mondo reverendi,
esso ricomincio: <<A questo regno
non sali mai chi non credette 'n Cristo,
ne pria ne poi ch'el si chiavasse al legno.
Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo! ",
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo;
e tai Cristian dannera l'Etiope,
quando si partiranno i due collegi,
l'uno in etterno ricco e l'altro inope.
Che poran dir li Perse a' vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
Li si vedra, tra l'opere d'Alberto,
quella che tosto movera la penna,
per che 'l regno di Praga fia diserto.
Li si vedra il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morra di colpo di cotenna.
Li si vedra la superbia ch'asseta,
che fa lo Scotto e l'Inghilese folle,
si che non puo soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e 'l viver molle
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
che mai valor non conobbe ne volle.
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un i la sua bontate,
quando 'l contrario segnera un emme.
Vedrassi l'avarizia e la viltate
di quei che guarda l'isola del foco,
ove Anchise fini la lunga etate;
e a dare ad intender quanto e poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun l'opere sozze
del barba e del fratel, che tanto egregia
nazione e due corone han fatte bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
li si conosceranno, e quel di Rascia
che male ha visto il conio di Vinegia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia
piu malmenare! e beata Navarra,
se s'armasse del monte che la fascia!
E creder de' ciascun che gia, per arra
di questo, Niccosia e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra,
che dal fianco de l'altre non si scosta>>.
Paradiso ? Canto XX
Quando colui che tutto 'l mondo alluma
de l'emisperio nostro si discende,
che 'l giorno d'ogne parte si consuma,
lo ciel, che sol di lui prima s'accende,
subitamente si rifa parvente
per molte luci, in che una risplende;
e questo atto del ciel mi venne a mente,
come 'l segno del mondo e de' suoi duci
nel benedetto rostro fu tacente;
pero che tutte quelle vive luci,
vie piu lucendo, cominciaron canti
da mia memoria labili e caduci.
O dolce amor che di riso t'ammanti,
quanto parevi ardente in que' flailli,
ch'avieno spirto sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli
ond' io vidi ingemmato il sesto lume
puoser silenzio a li angelici squilli,
udir mi parve un mormorar di fiume
che scende chiaro giu di pietra in pietra,
mostrando l'uberta del suo cacume.
E come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e si com' al pertugio
de la sampogna vento che penetra,
cosi, rimosso d'aspettare indugio,
quel mormorar de l'aguglia salissi
su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
per lo suo becco in forma di parole,
quali aspettava il core ov' io le scrissi.
<<La parte in me che vede e pate il sole
ne l'aguglie mortali>>, incominciommi,
<<or fisamente riguardar si vole,
perche d'i fuochi ond' io figura fommi,
quelli onde l'occhio in testa mi scintilla,
e' di tutti lor gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla,
fu il cantor de lo Spirito Santo,
che l'arca traslato di villa in villa:
ora conosce il merto del suo canto,
in quanto effetto fu del suo consiglio,
per lo remunerar ch'e altrettanto.
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
colui che piu al becco mi s'accosta,
la vedovella consolo del figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l'esperienza
di questa dolce vita e de l'opposta.
E quel che segue in la circunferenza
di che ragiono, per l'arco superno,
morte indugio per vera penitenza:
ora conosce che 'l giudicio etterno
non si trasmuta, quando degno preco
fa crastino la giu de l'odierno.
L'altro che segue, con le leggi e meco,
sotto buona intenzion che fe mal frutto,
per cedere al pastor si fece greco:
ora conosce come il mal dedutto
dal suo bene operar non li e nocivo,
avvegna che sia 'l mondo indi distrutto.
E quel che vedi ne l'arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come s'innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giu nel mondo errante
che Rifeo Troiano in questo tondo
fosse la quinta de le luci sante?
Ora conosce assai di quel che 'l mondo
veder non puo de la divina grazia,
ben che sua vista non discerna il fondo>>.
Quale allodetta che 'n aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
de l'ultima dolcezza che la sazia,
tal mi sembio l'imago de la 'mprenta
de l'etterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell' e diventa.
E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio
li quasi vetro a lo color ch'el veste,
tempo aspettar tacendo non patio,
ma de la bocca, <<Che cose son queste? >>,
mi pinse con la forza del suo peso:
per ch'io di coruscar vidi gran feste.
Poi appresso, con l'occhio piu acceso,
lo benedetto segno mi rispuose
per non tenermi in ammirar sospeso:
<<Io veggio che tu credi queste cose
perch' io le dico, ma non vedi come;
si che, se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
apprende ben, ma la sua quiditate
veder non puo se altri non la prome.
Regnum celorum violenza pate
da caldo amore e da viva speranza,
che vince la divina volontate:
non a guisa che l'omo a l'om sobranza,
ma vince lei perche vuole esser vinta,
e, vinta, vince con sua beninanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
ti fa maravigliar, perche ne vedi
la region de li angeli dipinta.
D'i corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
quel d'i passuri e quel d'i passi piedi.
Che l'una de lo 'nferno, u' non si riede
gia mai a buon voler, torno a l'ossa;
e cio di viva spene fu mercede:
di viva spene, che mise la possa
ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla,
si che potesse sua voglia esser mossa.
L'anima gloriosa onde si parla,
tornata ne la carne, in che fu poco,
credette in lui che potea aiutarla;
e credendo s'accese in tanto foco
di vero amor, ch'a la morte seconda
fu degna di venire a questo gioco.
L'altra, per grazia che da si profonda
fontana stilla, che mai creatura
non pinse l'occhio infino a la prima onda,
tutto suo amor la giu pose a drittura:
per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
l'occhio a la nostra redenzion futura;
ond' ei credette in quella, e non sofferse
da indi il puzzo piu del paganesmo;
e riprendiene le genti perverse.
Quelle tre donne li fur per battesmo
che tu vedesti da la destra rota,
dinanzi al battezzar piu d'un millesmo.
O predestinazion, quanto remota
e la radice tua da quelli aspetti
che la prima cagion non veggion tota!
E voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar: che noi, che Dio vedemo,
non conosciamo ancor tutti li eletti;
ed enne dolce cosi fatto scemo,
perche il ben nostro in questo ben s'affina,
che quel che vole Iddio, e noi volemo>>.
Cosi da quella imagine divina,
per farmi chiara la mia corta vista,
data mi fu soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo de la corda,
in che piu di piacer lo canto acquista,
si, mentre ch'e' parlo, si mi ricorda
ch'io vidi le due luci benedette,
pur come batter d'occhi si concorda,
con le parole mover le fiammette.
Paradiso ? Canto XXI
Gia eran li occhi miei rifissi al volto
de la mia donna, e l'animo con essi,
e da ogne altro intento s'era tolto.
E quella non ridea; ma <<S'io ridessi>>,
mi comincio, <<tu ti faresti quale
fu Semele quando di cener fessi:
che la bellezza mia, che per le scale
de l'etterno palazzo piu s'accende,
com' hai veduto, quanto piu si sale,
se non si temperasse, tanto splende,
che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto 'l petto del Leone ardente
raggia mo misto giu del suo valore.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
e fa di quelli specchi a la figura
che 'n questo specchio ti sara parvente>>.
Qual savesse qual era la pastura
del viso mio ne l'aspetto beato
quand' io mi trasmutai ad altra cura,
conoscerebbe quanto m'era a grato
ubidire a la mia celeste scorta,
contrapesando l'un con l'altro lato.
Dentro al cristallo che 'l vocabol porta,
cerchiando il mondo, del suo caro duce
sotto cui giacque ogne malizia morta,
di color d'oro in che raggio traluce
vid' io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tanti splendor, ch'io pensai ch'ogne lume
che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
E come, per lo natural costume,
le pole insieme, al cominciar del giorno,
si movono a scaldar le fredde piume;
poi altre vanno via sanza ritorno,
altre rivolgon se onde son mosse,
e altre roteando fan soggiorno;
tal modo parve me che quivi fosse
in quello sfavillar che 'nsieme venne,
si come in certo grado si percosse.
E quel che presso piu ci si ritenne,
si fe si chiaro, ch'io dicea pensando:
'Io veggio ben l'amor che tu m'accenne.
Ma quella ond' io aspetto il come e 'l quando
del dire e del tacer, si sta; ond' io,
contra 'l disio, fo ben ch'io non dimando'.
Per ch'ella, che vedea il tacer mio
nel veder di colui che tutto vede,
mi disse: <<Solvi il tuo caldo disio>>.
E io incominciai: <<La mia mercede
non mi fa degno de la tua risposta;
ma per colei che 'l chieder mi concede,
vita beata che ti stai nascosta
dentro a la tua letizia, fammi nota
la cagion che si presso mi t'ha posta;
e di perche si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso,
che giu per l'altre suona si divota>>.
<<Tu hai l'udir mortal si come il viso>>,
rispuose a me; <<onde qui non si canta
per quel che Beatrice non ha riso.
Giu per li gradi de la scala santa
discesi tanto sol per farti festa
col dire e con la luce che mi ammanta;
ne piu amor mi fece esser piu presta,
che piu e tanto amor quinci su ferve,
si come il fiammeggiar ti manifesta.
Ma l'alta carita, che ci fa serve
pronte al consiglio che 'l mondo governa,
sorteggia qui si come tu osserve>>.
<<Io veggio ben>>, diss' io, <<sacra lucerna,
come libero amore in questa corte
basta a seguir la provedenza etterna;
ma questo e quel ch'a cerner mi par forte,
perche predestinata fosti sola
a questo officio tra le tue consorte>>.
Ne venni prima a l'ultima parola,
che del suo mezzo fece il lume centro,
girando se come veloce mola;
poi rispuose l'amor che v'era dentro:
<<Luce divina sopra me s'appunta,
penetrando per questa in ch'io m'inventro,
la cui virtu, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, ch'i' veggio
la somma essenza de la quale e munta.
Quinci vien l'allegrezza ond' io fiammeggio;
per ch'a la vista mia, quant' ella e chiara,
la chiarita de la fiamma pareggio.
Ma quell' alma nel ciel che piu si schiara,
quel serafin che 'n Dio piu l'occhio ha fisso,
a la dimanda tua non satisfara,
pero che si s'innoltra ne lo abisso
de l'etterno statuto quel che chiedi,
che da ogne creata vista e scisso.
E al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, si che non presumma
a tanto segno piu mover li piedi.
La mente, che qui luce, in terra fumma;
onde riguarda come puo la giue
quel che non pote perche 'l ciel l'assumma>>.
Si mi prescrisser le parole sue,
ch'io lasciai la quistione e mi ritrassi
a dimandarla umilmente chi fue.
<<Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ' troni assai suonan piu bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale e consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria>>.
Cosi ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continuando, disse: <<Quivi
al servigio di Dio mi fe' si fermo,
che pur con cibi di liquor d'ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne' pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora e fatto vano,
si che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu' io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu' ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.
Poca vita mortal m'era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa.
Venne Cefas e venne il gran vasello
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
Cuopron d'i manti loro i palafreni,
si che due bestie van sott' una pelle:
oh pazienza che tanto sostieni! >>.
A questa voce vid' io piu fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi,
e ogne giro le facea piu belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
e fero un grido di si alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;
ne io lo 'ntesi, si mi vinse il tuono.
Paradiso ? Canto XXII
Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre cola dove piu si confida;
e quella, come madre che soccorre
subito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che 'l suol ben disporre,
mi disse: <<Non sai tu che tu se' in cielo?
e non sai tu che 'l cielo e tutto santo,
e cio che ci si fa vien da buon zelo?
Come t'avrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;
nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi,
gia ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua su non taglia in fretta
ne tardo, ma' ch'al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
ch'assai illustri spiriti vedrai,
se com' io dico l'aspetto redui>>.
Come a lei piacque, li occhi ritornai,
e vidi cento sperule che 'nsieme
piu s'abbellivan con mutui rai.
Io stava come quei che 'n se repreme
la punta del disio, e non s'attenta
di domandar, si del troppo si teme;
e la maggiore e la piu luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di se la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': <<Se tu vedessi
com' io la carita che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perche tu, aspettando, non tarde
a l'alto fine, io ti faro risposta
pur al pensier, da che si ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino e ne la costa
fu frequentato gia in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui che 'n terra addusse
la verita che tanto ci soblima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti
da l'empio colto che 'l mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e ' frutti santi.
Qui e Maccario, qui e Romoaldo,
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo>>.
E io a lui: <<L'affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
cosi m'ha dilatata mia fidanza,
come 'l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant' ell' ha di possanza.
Pero ti priego, e tu, padre, m'accerta
s'io posso prender tanta grazia, ch'io
ti veggia con imagine scoverta>>.
Ond' elli: <<Frate, il tuo alto disio
s'adempiera in su l'ultima spera,
ove s'adempion tutti li altri e 'l mio.
Ivi e perfetta, matura e intera
ciascuna disianza; in quella sola
e ogne parte la ove sempr' era,
perche non e in loco e non s'impola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde cosi dal viso ti s'invola.
Infin la su la vide il patriarca
Iacobbe porger la superna parte,
quando li apparve d'angeli si carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa e per danno de le carte.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor de' monaci si folle;
che quantunque la Chiesa guarda, tutto
e de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti ne d'altro piu brutto.
La carne d'i mortali e tanto blanda,
che giu non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier comincio sanz' oro e sanz' argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi 'l principio di ciascuno,
poscia riguardi la dov' e trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan volto retrorso
piu fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui 'l soccorso>>.
Cosi mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
poi, come turbo, in su tutto s'avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
si sua virtu la mia natura vinse;
ne mai qua giu dove si monta e cala
naturalmente, fu si ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel divoto
triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtu, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'e padre d'ogne mortal vita,
quand' io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a se la tira.
<<Tu se' si presso a l'ultima salute>>,
comincio Beatrice, <<che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
e pero, prima che tu piu t'inlei,
rimira in giu, e vedi quanto mondo
sotto li piedi gia esser ti fei;
si che 'l tuo cor, quantunque puo, giocondo
s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo etera tondo>>.
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell' ombra che mi fu cagione
per che gia la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com' si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Paradiso ? Canto XXIII
Come l'augello, intra l'amate fronde,
posato al nido de' suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disiati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l'alba nasca;
cosi la donna mia stava eretta
e attenta, rivolta inver' la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:
si che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual e quei che disiando
altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir piu e piu rischiarando;
e Beatrice disse: <<Ecco le schiere
del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto
ricolto del girar di queste spere! >>.
Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia si pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.
Quale ne' plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
vid' i' sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l'accendea,
come fa 'l nostro le viste superne;
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
Oh Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: <<Quel che ti sobranza
e virtu da cui nulla si ripara.
Quivi e la sapienza e la possanza
ch'apri le strade tra 'l cielo e la terra,
onde fu gia si lunga disianza>>.
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi si che non vi cape,
e fuor di sua natura in giu s'atterra,
la mente mia cosi, tra quelle dape
fatta piu grande, di se stessa uscio,
e che si fesse rimembrar non sape.
<<Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio>>.
Io era come quei che si risente
di visione oblita e che s'ingegna
indarno di ridurlasi a la mente,
quand' io udi' questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che 'l preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l'omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott' esso trema:
non e pareggio da picciola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
ne da nocchier ch'a se medesmo parca.
<<Perche la faccia mia si t'innamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s'infiora?
Quivi e la rosa in che 'l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino>>.
Cosi Beatrice; e io, che a' suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de' debili cigli.
Come a raggio di sol, che puro mei
per fratta nube, gia prato di fiori
vider, coverti d'ombra, li occhi miei;
vid' io cosi piu turbe di splendori,
folgorate di su da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgori.
O benigna vertu che si li 'mprenti,
su t'essaltasti, per largirmi loco
a li occhi li che non t'eran possenti.
Il nome del bel fior ch'io sempre invoco
e mane e sera, tutto mi ristrinse
l'animo ad avvisar lo maggior foco;
e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella
che la su vince come qua giu vinse,
per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.
Qualunque melodia piu dolce suona
qua giu e piu a se l'anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,
comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel piu chiaro s'inzaffira.
<<Io sono amore angelico, che giro
l'alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;
e girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia
piu la spera suprema perche li entre>>.
Cosi la circulata melodia
si sigillava, e tutti li altri lumi
facean sonare il nome di Maria.
Lo real manto di tutti i volumi
del mondo, che piu ferve e piu s'avviva
ne l'alito di Dio e nei costumi,
avea sopra di noi l'interna riva
tanto distante, che la sua parvenza,
la dov' io era, ancor non appariva:
pero non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levo appresso sua semenza.
E come fantolin che 'nver' la mamma
tende le braccia, poi che 'l latte prese,
per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;
ciascun di quei candori in su si stese
con la sua cima, si che l'alto affetto
ch'elli avieno a Maria mi fu palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto,
'Regina celi' cantando si dolce,
che mai da me non si parti 'l diletto.
Oh quanta e l'uberta che si soffolce
in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giu buone bobolce!
Quivi si vive e gode del tesoro
che s'acquisto piangendo ne lo essilio
di Babillon, ove si lascio l'oro.
Quivi triunfa, sotto l'alto Filio
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l'antico e col novo concilio,
colui che tien le chiavi di tal gloria.
Paradiso ? Canto XXIV
<<O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
si, che la vostra voglia e sempre piena,
se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,
ponete mente a l'affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa>>.
Cosi Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete.
E come cerchi in tempra d'oriuoli
si giran si, che 'l primo a chi pon mente
quieto pare, e l'ultimo che voli;
cosi quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.
Di quella ch'io notai di piu carezza
vid' io uscire un foco si felice,
che nullo vi lascio di piu chiarezza;
e tre fiate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice.
Pero salta la penna e non lo scrivo:
che l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, e troppo color vivo.
<<O santa suora mia che si ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe>>.
Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzo lo spiro,
che favello cosi com' i' ho detto.
Ed ella: <<O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lascio le chiavi,
ch'ei porto giu, di questo gaudio miro,
tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
S'elli ama bene e bene spera e crede,
non t'e occulto, perche 'l viso hai quivi
dov' ogne cosa dipinta si vede;
ma perche questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a gloriarla,
di lei parlare e ben ch'a lui arrivi>>.
Si come il baccialier s'arma e non parla
fin che 'l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,
cosi m'armava io d'ogne ragione
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.
<<Di, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che e? >>. Ond' io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch' io spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte.
<<La Grazia che mi da ch'io mi confessi>>,
comincia' io, <<da l'alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi>>.
E seguitai: <<Come 'l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo,
fede e sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate>>.
Allora udi': <<Dirittamente senti,
se bene intendi perche la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti>>.
E io appresso: <<Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di la giu son si ascose,
che l'esser loro v'e in sola credenza,
sopra la qual si fonda l'alta spene;
e pero di sustanza prende intenza.
E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz' avere altra vista:
pero intenza d'argomento tene>>.
Allora udi': <<Se quantunque s'acquista
giu per dottrina, fosse cosi 'nteso,
non li avria loco ingegno di sofista>>.
Cosi spiro di quello amore acceso;
indi soggiunse: <<Assai bene e trascorsa
d'esta moneta gia la lega e 'l peso;
ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa>>.
Ond' io: <<Si ho, si lucida e si tonda,
che nel suo conio nulla mi s'inforsa>>.
Appresso usci de la luce profonda
che li splendeva: <<Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtu si fonda,
onde ti venne? >>. E io: <<La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch'e diffusa
in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,
e silogismo che la m'ha conchiusa
acutamente si, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa>>.
Io udi' poi: <<L'antica e la novella
proposizion che cosi ti conchiude,
perche l'hai tu per divina favella? >>.
E io: <<La prova che 'l ver mi dischiude,
son l'opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai ne batte incude>>.
Risposto fummi: <<Di, chi t'assicura
che quell' opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura>>.
<<Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo>>,
diss' io, <<sanza miracoli, quest' uno
e tal, che li altri non sono il centesmo:
che tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu gia vite e ora e fatta pruno>>.
Finito questo, l'alta corte santa
risono per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che la su si canta.
E quel baron che si di ramo in ramo,
essaminando, gia tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo,
ricomincio: <<La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
infino a qui come aprir si dovea,
si ch'io approvo cio che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s'offerse>>.
<<O santo padre, e spirito che vedi
cio che credesti si, che tu vincesti
ver' lo sepulcro piu giovani piedi>>,
comincia' io, <<tu vuo' ch'io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verita che quinci piove
per Moise, per profeti e per salmi,
per l'Evangelio e per voi che scriveste
poi che l'ardente Spirto vi fe almi;
e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza si una e si trina,
che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.
De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
piu volte l'evangelica dottrina.
Quest' e 'l principio, quest' e la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla>>.