Fede e
innocenza
son reperte
solo ne' parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
solo ne' parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
Dante - La Divina Commedia
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
Cuopron d'i manti loro i palafreni,
si che due bestie van sott' una pelle:
oh pazienza che tanto sostieni! >>.
A questa voce vid' io piu fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi,
e ogne giro le facea piu belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
e fero un grido di si alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;
ne io lo 'ntesi, si mi vinse il tuono.
Paradiso ? Canto XXII
Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre cola dove piu si confida;
e quella, come madre che soccorre
subito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che 'l suol ben disporre,
mi disse: <<Non sai tu che tu se' in cielo?
e non sai tu che 'l cielo e tutto santo,
e cio che ci si fa vien da buon zelo?
Come t'avrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;
nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi,
gia ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua su non taglia in fretta
ne tardo, ma' ch'al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
ch'assai illustri spiriti vedrai,
se com' io dico l'aspetto redui>>.
Come a lei piacque, li occhi ritornai,
e vidi cento sperule che 'nsieme
piu s'abbellivan con mutui rai.
Io stava come quei che 'n se repreme
la punta del disio, e non s'attenta
di domandar, si del troppo si teme;
e la maggiore e la piu luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di se la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': <<Se tu vedessi
com' io la carita che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perche tu, aspettando, non tarde
a l'alto fine, io ti faro risposta
pur al pensier, da che si ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino e ne la costa
fu frequentato gia in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui che 'n terra addusse
la verita che tanto ci soblima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti
da l'empio colto che 'l mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e ' frutti santi.
Qui e Maccario, qui e Romoaldo,
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo>>.
E io a lui: <<L'affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
cosi m'ha dilatata mia fidanza,
come 'l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant' ell' ha di possanza.
Pero ti priego, e tu, padre, m'accerta
s'io posso prender tanta grazia, ch'io
ti veggia con imagine scoverta>>.
Ond' elli: <<Frate, il tuo alto disio
s'adempiera in su l'ultima spera,
ove s'adempion tutti li altri e 'l mio.
Ivi e perfetta, matura e intera
ciascuna disianza; in quella sola
e ogne parte la ove sempr' era,
perche non e in loco e non s'impola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde cosi dal viso ti s'invola.
Infin la su la vide il patriarca
Iacobbe porger la superna parte,
quando li apparve d'angeli si carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa e per danno de le carte.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor de' monaci si folle;
che quantunque la Chiesa guarda, tutto
e de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti ne d'altro piu brutto.
La carne d'i mortali e tanto blanda,
che giu non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier comincio sanz' oro e sanz' argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi 'l principio di ciascuno,
poscia riguardi la dov' e trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan volto retrorso
piu fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui 'l soccorso>>.
Cosi mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
poi, come turbo, in su tutto s'avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
si sua virtu la mia natura vinse;
ne mai qua giu dove si monta e cala
naturalmente, fu si ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel divoto
triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtu, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'e padre d'ogne mortal vita,
quand' io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a se la tira.
<<Tu se' si presso a l'ultima salute>>,
comincio Beatrice, <<che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
e pero, prima che tu piu t'inlei,
rimira in giu, e vedi quanto mondo
sotto li piedi gia esser ti fei;
si che 'l tuo cor, quantunque puo, giocondo
s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo etera tondo>>.
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell' ombra che mi fu cagione
per che gia la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com' si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Paradiso ? Canto XXIII
Come l'augello, intra l'amate fronde,
posato al nido de' suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disiati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l'alba nasca;
cosi la donna mia stava eretta
e attenta, rivolta inver' la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:
si che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual e quei che disiando
altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir piu e piu rischiarando;
e Beatrice disse: <<Ecco le schiere
del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto
ricolto del girar di queste spere! >>.
Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia si pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.
Quale ne' plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
vid' i' sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l'accendea,
come fa 'l nostro le viste superne;
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
Oh Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: <<Quel che ti sobranza
e virtu da cui nulla si ripara.
Quivi e la sapienza e la possanza
ch'apri le strade tra 'l cielo e la terra,
onde fu gia si lunga disianza>>.
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi si che non vi cape,
e fuor di sua natura in giu s'atterra,
la mente mia cosi, tra quelle dape
fatta piu grande, di se stessa uscio,
e che si fesse rimembrar non sape.
<<Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio>>.
Io era come quei che si risente
di visione oblita e che s'ingegna
indarno di ridurlasi a la mente,
quand' io udi' questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che 'l preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l'omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott' esso trema:
non e pareggio da picciola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
ne da nocchier ch'a se medesmo parca.
<<Perche la faccia mia si t'innamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s'infiora?
Quivi e la rosa in che 'l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino>>.
Cosi Beatrice; e io, che a' suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de' debili cigli.
Come a raggio di sol, che puro mei
per fratta nube, gia prato di fiori
vider, coverti d'ombra, li occhi miei;
vid' io cosi piu turbe di splendori,
folgorate di su da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgori.
O benigna vertu che si li 'mprenti,
su t'essaltasti, per largirmi loco
a li occhi li che non t'eran possenti.
Il nome del bel fior ch'io sempre invoco
e mane e sera, tutto mi ristrinse
l'animo ad avvisar lo maggior foco;
e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella
che la su vince come qua giu vinse,
per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.
Qualunque melodia piu dolce suona
qua giu e piu a se l'anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,
comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel piu chiaro s'inzaffira.
<<Io sono amore angelico, che giro
l'alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;
e girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia
piu la spera suprema perche li entre>>.
Cosi la circulata melodia
si sigillava, e tutti li altri lumi
facean sonare il nome di Maria.
Lo real manto di tutti i volumi
del mondo, che piu ferve e piu s'avviva
ne l'alito di Dio e nei costumi,
avea sopra di noi l'interna riva
tanto distante, che la sua parvenza,
la dov' io era, ancor non appariva:
pero non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levo appresso sua semenza.
E come fantolin che 'nver' la mamma
tende le braccia, poi che 'l latte prese,
per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;
ciascun di quei candori in su si stese
con la sua cima, si che l'alto affetto
ch'elli avieno a Maria mi fu palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto,
'Regina celi' cantando si dolce,
che mai da me non si parti 'l diletto.
Oh quanta e l'uberta che si soffolce
in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giu buone bobolce!
Quivi si vive e gode del tesoro
che s'acquisto piangendo ne lo essilio
di Babillon, ove si lascio l'oro.
Quivi triunfa, sotto l'alto Filio
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l'antico e col novo concilio,
colui che tien le chiavi di tal gloria.
Paradiso ? Canto XXIV
<<O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
si, che la vostra voglia e sempre piena,
se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,
ponete mente a l'affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa>>.
Cosi Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete.
E come cerchi in tempra d'oriuoli
si giran si, che 'l primo a chi pon mente
quieto pare, e l'ultimo che voli;
cosi quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.
Di quella ch'io notai di piu carezza
vid' io uscire un foco si felice,
che nullo vi lascio di piu chiarezza;
e tre fiate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice.
Pero salta la penna e non lo scrivo:
che l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, e troppo color vivo.
<<O santa suora mia che si ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe>>.
Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzo lo spiro,
che favello cosi com' i' ho detto.
Ed ella: <<O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lascio le chiavi,
ch'ei porto giu, di questo gaudio miro,
tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
S'elli ama bene e bene spera e crede,
non t'e occulto, perche 'l viso hai quivi
dov' ogne cosa dipinta si vede;
ma perche questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a gloriarla,
di lei parlare e ben ch'a lui arrivi>>.
Si come il baccialier s'arma e non parla
fin che 'l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,
cosi m'armava io d'ogne ragione
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.
<<Di, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che e? >>. Ond' io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch' io spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte.
<<La Grazia che mi da ch'io mi confessi>>,
comincia' io, <<da l'alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi>>.
E seguitai: <<Come 'l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo,
fede e sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate>>.
Allora udi': <<Dirittamente senti,
se bene intendi perche la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti>>.
E io appresso: <<Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di la giu son si ascose,
che l'esser loro v'e in sola credenza,
sopra la qual si fonda l'alta spene;
e pero di sustanza prende intenza.
E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz' avere altra vista:
pero intenza d'argomento tene>>.
Allora udi': <<Se quantunque s'acquista
giu per dottrina, fosse cosi 'nteso,
non li avria loco ingegno di sofista>>.
Cosi spiro di quello amore acceso;
indi soggiunse: <<Assai bene e trascorsa
d'esta moneta gia la lega e 'l peso;
ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa>>.
Ond' io: <<Si ho, si lucida e si tonda,
che nel suo conio nulla mi s'inforsa>>.
Appresso usci de la luce profonda
che li splendeva: <<Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtu si fonda,
onde ti venne? >>. E io: <<La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch'e diffusa
in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,
e silogismo che la m'ha conchiusa
acutamente si, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa>>.
Io udi' poi: <<L'antica e la novella
proposizion che cosi ti conchiude,
perche l'hai tu per divina favella? >>.
E io: <<La prova che 'l ver mi dischiude,
son l'opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai ne batte incude>>.
Risposto fummi: <<Di, chi t'assicura
che quell' opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura>>.
<<Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo>>,
diss' io, <<sanza miracoli, quest' uno
e tal, che li altri non sono il centesmo:
che tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu gia vite e ora e fatta pruno>>.
Finito questo, l'alta corte santa
risono per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che la su si canta.
E quel baron che si di ramo in ramo,
essaminando, gia tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo,
ricomincio: <<La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
infino a qui come aprir si dovea,
si ch'io approvo cio che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s'offerse>>.
<<O santo padre, e spirito che vedi
cio che credesti si, che tu vincesti
ver' lo sepulcro piu giovani piedi>>,
comincia' io, <<tu vuo' ch'io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verita che quinci piove
per Moise, per profeti e per salmi,
per l'Evangelio e per voi che scriveste
poi che l'ardente Spirto vi fe almi;
e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza si una e si trina,
che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.
De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
piu volte l'evangelica dottrina.
Quest' e 'l principio, quest' e la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla>>.
Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch'el si tace;
cosi, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, si com' io tacqui,
l'appostolico lume al cui comando
io avea detto: si nel dir li piacqui!
Paradiso ? Canto XXV
Se mai continga che 'l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
si che m'ha fatto per molti anni macro,
vinca la crudelta che fuor mi serra
del bello ovile ov' io dormi' agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornero poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prendero 'l cappello;
pero che ne la fede, che fa conte
l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi
Pietro per lei si mi giro la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera ond' usci la primizia
che lascio Cristo d'i vicari suoi;
e la mia donna, piena di letizia,
mi disse: <<Mira, mira: ecco il barone
per cui la giu si vicita Galizia>>.
Si come quando il colombo si pone
presso al compagno, l'uno a l'altro pande,
girando e mormorando, l'affezione;
cosi vid' io l'un da l'altro grande
principe glorioso essere accolto,
laudando il cibo che la su li prande.
Ma poi che 'l gratular si fu assolto,
tacito coram me ciascun s'affisse,
ignito si che vincea 'l mio volto.
Ridendo allora Beatrice disse:
<<Inclita vita per cui la larghezza
de la nostra basilica si scrisse,
fa risonar la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesu ai tre fe piu carezza>>.
<<Leva la testa e fa che t'assicuri:
che cio che vien qua su del mortal mondo,
convien ch'ai nostri raggi si maturi>>.
Questo conforto del foco secondo
mi venne; ond' io levai li occhi a' monti
che li 'ncurvaron pria col troppo pondo.
<<Poi che per grazia vuol che tu t'affronti
lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne l'aula piu secreta co' suoi conti,
si che, veduto il ver di questa corte,
la spene, che la giu bene innamora,
in te e in altrui di cio conforte,
di' quel ch'ell' e, di' come se ne 'nfiora
la mente tua, e di onde a te venne>>.
Cosi segui 'l secondo lume ancora.
E quella pia che guido le penne
de le mie ali a cosi alto volo,
a la risposta cosi mi prevenne:
<<La Chiesa militante alcun figliuolo
non ha con piu speranza, com' e scritto
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
pero li e conceduto che d'Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che 'l militar li sia prescritto.
Li altri due punti, che non per sapere
son dimandati, ma perch' ei rapporti
quanto questa virtu t'e in piacere,
a lui lasc' io, che non li saran forti
ne di iattanza; ed elli a cio risponda,
e la grazia di Dio cio li comporti>>.
Come discente ch'a dottor seconda
pronto e libente in quel ch'elli e esperto,
perche la sua bonta si disasconda,
<<Spene>>, diss' io, <<e uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto.
Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillo nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce.
'Sperino in te', ne la sua teodia
dice, 'color che sanno il nome tuo':
e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?
Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; si ch'io son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo>>.
Mentr' io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
subito e spesso a guisa di baleno.
Indi spiro: <<L'amore ond' io avvampo
ancor ver' la virtu che mi seguette
infin la palma e a l'uscir del campo,
vuol ch'io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti 'mpromette>>.
E io: <<Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de l'anime che Dio s'ha fatte amiche.
Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra e questa dolce vita;
e 'l tuo fratello assai vie piu digesta,
la dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta>>.
E prima, appresso al fin d'este parole,
'Sperent in te' di sopr' a noi s'udi;
a che rispuoser tutte le carole.
Poscia tra esse un lume si schiari
si che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo,
l'inverno avrebbe un mese d'un sol di.
E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo,
cosi vid' io lo schiarato splendore
venire a' due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore.
Misesi li nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l'aspetto,
pur come sposa tacita e immota.
<<Questi e colui che giacque sopra 'l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto>>.
La donna mia cosi; ne pero piue
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue.
Qual e colui ch'adocchia e s'argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;
tal mi fec' io a quell' ultimo foco
mentre che detto fu: <<Perche t'abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra e terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che 'l numero nostro
con l'etterno proposito s'agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro>>.
A questa voce l'infiammato giro
si quieto con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro,
si come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l'acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d'un fischio.
Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benche io fossi
presso di lei, e nel mondo felice!
Paradiso ? Canto XXVI
Mentr' io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
usci un spiro che mi fece attento,
dicendo: <<Intanto che tu ti risense
de la vista che hai in me consunta,
ben e che ragionando la compense.
Comincia dunque; e di ove s'appunta
l'anima tua, e fa ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:
perche la donna che per questa dia
region ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtu ch'ebbe la man d'Anania>>.
Io dissi: <<Al suo piacere e tosto e tardo
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
quand' ella entro col foco ond' io sempr' ardo.
Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O e di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte>>.
Quella medesma voce che paura
tolta m'avea del subito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;
e disse: <<Certo a piu angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzo l'arco tuo a tal berzaglio>>.
E io: <<Per filosofici argomenti
e per autorita che quinci scende
cotale amor convien che in me si 'mprenti:
che 'l bene, in quanto ben, come s'intende,
cosi accende amore, e tanto maggio
quanto piu di bontate in se comprende.
Dunque a l'essenza ov' e tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non e ch'un lume di suo raggio,
piu che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.
Tal vero a l'intelletto mio sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.
Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moise, di se parlando:
'Io ti faro vedere ogne valore'.
Sternilmi tu ancora, incominciando
l'alto preconio che grida l'arcano
di qui la giu sovra ogne altro bando>>.
E io udi': <<Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma di ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, si che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde>>.
Non fu latente la santa intenzione
de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi
dove volea menar mia professione.
Pero ricominciai: <<Tutti quei morsi
che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi:
che l'essere del mondo e l'esser mio,
la morte ch'el sostenne perch' io viva,
e quel che spera ogne fedel com' io,
con la predetta conoscenza viva,
tratto m'hanno del mar de l'amor torto,
e del diritto m'han posto a la riva.
Le fronde onde s'infronda tutto l'orto
de l'ortolano etterno, am' io cotanto
quanto da lui a lor di bene e porto>>.
Si com' io tacqui, un dolcissimo canto
risono per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: <<Santo, santo, santo! >>.
E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna,
e lo svegliato cio che vede aborre,
si nescia e la subita vigilia
fin che la stimativa non soccorre;
cosi de li occhi miei ogne quisquilia
fugo Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da piu di mille milia:
onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
d'un quarto lume ch'io vidi tra noi.
E la mia donna: <<Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l'anima prima
che la prima virtu creasse mai>>.
Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtu che la soblima,
fec' io in tanto in quant' ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond' io ardeva.
E cominciai: <<O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa e figlia e nuro,
divoto quanto posso a te supplico
perche mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico>>.
Talvolta un animal coverto broglia,
si che l'affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la 'nvoglia;
e similmente l'anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant' ella a compiacermi venia gaia.
Indi spiro: <<Sanz' essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa t'e piu certa;
perch' io la veggio nel verace speglio
che fa di se pareglio a l'altre cose,
e nulla face lui di se pareglio.
Tu vuogli udir quant' e che Dio mi puose
ne l'eccelso giardino, ove costei
a cosi lunga scala ti dispuose,
e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e l'idioma ch'usai e che fei.
Or, figluol mio, non il gustar del legno
fu per se la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.
Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;
e vidi lui tornare a tutt' i lumi
de la sua strada novecento trenta
fiate, mentre ch'io in terra fu'mi.
La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembrot attenta:
che nullo effetto mai razionabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale e ch'uom favella;
ma cosi o cosi, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.
Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,
I s'appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;
e El si chiamo poi: e cio convene,
che l'uso d'i mortali e come fronda
in ramo, che sen va e altra vene.
Nel monte che si leva piu da l'onda,
fu' io, con vita pura e disonesta,
da la prim' ora a quella che seconda,
come 'l sol muta quadra, l'ora sesta>>.
Paradiso ? Canto XXVII
'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo',
comincio, 'gloria! ', tutto 'l paradiso,
si che m'inebriava il dolce canto.
Cio ch'io vedeva mi sembiava un riso
de l'universo; per che mia ebbrezza
intrava per l'udire e per lo viso.
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita integra d'amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!
Dinanzi a li occhi miei le quattro face
stavano accese, e quella che pria venne
incomincio a farsi piu vivace,
e tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte
fossero augelli e cambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comparte
vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte,
quand' io udi': <<Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar, che, dicend' io,
vedrai trascolorar tutti costoro.
Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio, che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
fatt' ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde 'l perverso
che cadde di qua su, la giu si placa>>.
Di quel color che per lo sole avverso
nube dipigne da sera e da mane,
vid' io allora tutto 'l ciel cosperso.
E come donna onesta che permane
di se sicura, e per l'altrui fallanza,
pur ascoltando, timida si fane,
cosi Beatrice trasmuto sembianza;
e tale eclissi credo che 'n ciel fue
quando pati la supprema possanza.
Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da se trasmutata,
che la sembianza non si muto piue:
<<Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d'oro usata;
ma per acquisto d'esto viver lieto
e Sisto e Pio e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
d'i nostri successor parte sedesse,
parte da l'altra del popol cristiano;
ne che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
ne ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond' io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua su per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perche pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s'apparecchian di bere: o buon principio,
a che vil fine convien che tu caschi!
Ma l'alta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorra tosto, si com' io concipio;
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giu tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel ch'io non ascondo>>.
Si come di vapor gelati fiocca
in giuso l'aere nostro, quando 'l corno
de la capra del ciel col sol si tocca,
in su vid' io cosi l'etera addorno
farsi e fioccar di vapor triunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e segui fin che 'l mezzo, per lo molto,
li tolse il trapassar del piu avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto
de l'attendere in su, mi disse: <<Adima
il viso e guarda come tu se' volto>>.
Da l'ora ch'io avea guardato prima
i' vidi mosso me per tutto l'arco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
si ch'io vedea di la da Gade il varco
folle d'Ulisse, e di qua presso il lito
nel qual si fece Europa dolce carco.
E piu mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma 'l sol procedea
sotto i mie' piedi un segno e piu partito.
La mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
ad essa li occhi piu che mai ardea;
e se natura o arte fe pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
in carne umana o ne le sue pitture,
tutte adunate, parrebber niente
ver' lo piacer divin che mi refulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtu che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo m'impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
si uniforme son, ch'i' non so dire
qual Beatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedea 'l mio disire,
incomincio, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:
<<La natura del mondo, che quieta
il mezzo e tutto l'altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende
l'amor che 'l volge e la virtu ch'ei piove.
Luce e amor d'un cerchio lui comprende,
si come questo li altri; e quel precinto
colui che 'l cinge solamente intende.
Non e suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
si come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
omai a te puo esser manifesto.
Oh cupidigia che i mortali affonde
si sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde!
Ben fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia continua converte
in bozzacchioni le sosine vere.
Fede e innocenza son reperte
solo ne' parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
Tale, balbuziendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la lingua sciolta,
qualunque cibo per qualunque luna;
e tal, balbuziendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera,
disia poi di vederla sepolta.
Cosi si fa la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la bella figlia
di quel ch'apporta mane e lascia sera.
Tu, perche non ti facci maraviglia,
pensa che 'n terra non e chi governi;
onde si svia l'umana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni
per la centesma ch'e la giu negletta,
raggeran si questi cerchi superni,
che la fortuna che tanto s'aspetta,
le poppe volgera u' son le prore,
si che la classe correra diretta;
e vero frutto verra dopo 'l fiore>>.
Paradiso ? Canto XXVIII
Poscia che 'ncontro a la vita presente
d'i miseri mortali aperse 'l vero
quella che 'mparadisa la mia mente,
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n'alluma retro,
prima che l'abbia in vista o in pensiero,
e se rivolge per veder se 'l vetro
li dice il vero, e vede ch'el s'accorda
con esso come nota con suo metro;
cosi la mia memoria si ricorda
ch'io feci riguardando ne' belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com' io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da cio che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s'adocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto si, che 'l viso ch'elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci piu poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si colloca.
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che 'l dipigne
quando 'l vapor che 'l porta piu e spesso,
distante intorno al punto un cerchio d'igne
si girava si ratto, ch'avria vinto
quel moto che piu tosto il mondo cigne;
e questo era d'un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo si sparto
gia di larghezza, che 'l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Cosi l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno
piu tardo si movea, secondo ch'era
in numero distante piu da l'uno;
e quello avea la fiamma piu sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, pero che piu di lei s'invera.
La donna mia, che mi vedea in cura
forte sospeso, disse: <<Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che piu li e congiunto;
e sappi che 'l suo muovere e si tosto
per l'affocato amore ond' elli e punto>>.
E io a lei: <<Se 'l mondo fosse posto
con l'ordine ch'io veggio in quelle rote,
sazio m'avrebbe cio che m'e proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto piu divine,
quant' elle son dal centro piu remote.
Onde, se 'l mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine,
udir convienmi ancor come l'essemplo
e l'essemplare non vanno d'un modo,
che io per me indarno a cio contemplo>>.
<<Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non e maraviglia:
tanto, per non tentare, e fatto sodo! >>.
Cosi la donna mia; poi disse: <<Piglia
quel ch'io ti dicero, se vuo' saziarti;
e intorno da esso t'assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il piu e 'l men de la virtute
che si distende per tutte lor parti.
Maggior bonta vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
s'elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape
l'altro universo seco, corrisponde
al cerchio che piu ama e che piu sape:
per che, se tu a la virtu circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t'appaion tonde,
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a piu e di minore a meno,
in ciascun cielo, a sua intelligenza>>.
Come rimane splendido e sereno
l'emisperio de l'aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond' e piu leno,
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, si che 'l ciel ne ride
con le bellezze d'ogne sua paroffia;
cosi fec'io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide.
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L'incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che 'l numero loro
piu che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terra sempre, ne' quai sempre fuoro.
E quella che vedea i pensier dubi
ne la mia mente, disse: <<I cerchi primi
t'hanno mostrato Serafi e Cherubi.
Cosi veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
e posson quanto a veder son soblimi.
Quelli altri amori che 'ntorno li vonno,
si chiaman Troni del divino aspetto,
per che 'l primo ternaro terminonno;
e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si puo veder come si fonda
l'esser beato ne l'atto che vede,
non in quel ch'ama, che poscia seconda;
e del vedere e misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
cosi di grado in grado si procede.
L'altro ternaro, che cosi germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Ariete non dispoglia,
perpetualemente 'Osanna' sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s'interna.
In essa gerarcia son l'altre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
l'ordine terzo di Podestadi ee.
Poscia ne' due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
l'ultimo e tutto d'Angelici ludi.
Questi ordini di su tutti s'ammirano,
e di giu vincon si, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomo e distinse com' io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, si tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di se medesmo rise.
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch'ammiri:
che chi 'l vide qua su gliel discoperse
con altro assai del ver di questi giri>>.
Paradiso ? Canto XXIX
Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l'orizzonte insieme zona,
quant' e dal punto che 'l cenit inlibra
infin che l'uno e l'altro da quel cinto,
cambiando l'emisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Beatrice, riguardando
fiso nel punto che m'avea vinto.
Poi comincio: <<Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto
la 've s'appunta ogne ubi e ogne quando.
Non per aver a se di bene acquisto,
ch'esser non puo, ma perche suo splendore
potesse, risplendendo, dir "Subsisto",
in sua etternita di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque,
s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.
Ne prima quasi torpente si giacque;
che ne prima ne poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest' acque.
Forma e materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come d'arco tricordo tre saette.
E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende si, che dal venire
a l'esser tutto non e intervallo,
cosi 'l triforme effetto del suo sire
ne l'esser suo raggio insieme tutto
sanza distinzione in essordire.
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto;
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che gia mai non si divima.
Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che l'altro mondo fosse fatto;
ma questo vero e scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n'avvedrai se bene agguati;
e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ' motori
sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come: si che spenti
nel tuo disio gia son tre ardori.
Ne giugneriesi, numerando, al venti
si tosto, come de li angeli parte
turbo il suggetto d'i vostri alimenti.
L'altra rimase, e comincio quest' arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer se da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti:
per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
si c'hanno ferma e piena volontate;
e non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia e meritorio
secondo che l'affetto l'e aperto.
Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz' altro aiutorio.
Ma perche 'n terra per le vostre scole
si legge che l'angelica natura
e tal, che 'ntende e si ricorda e vole,
ancor diro, perche tu veggi pura
la verita che la giu si confonde,
equivocando in si fatta lettura.
Queste sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:
pero non hanno vedere interciso
da novo obietto, e pero non bisogna
rememorar per concetto diviso;
si che la giu, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l'uno e piu colpa e piu vergogna.
Voi non andate giu per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero!
E ancor questo qua su si comporta
con men disdegno che quando e posposta
la divina Scrittura o quando e torta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s'accosta.
Per apparer ciascun s'ingegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da' predicanti e 'l Vangelio si tace.
Un dice che la luna si ritorse
ne la passion di Cristo e s'interpuose,
per che 'l lume del sol giu non si porse;
e mente, che la luce si nascose
da se: pero a li Spani e a l'Indi
come a' Giudei tale eclissi rispuose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante si fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi:
si che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.
Non disse Cristo al suo primo convento:
'Andate, e predicate al mondo ciance';
ma diede lor verace fondamento;
e quel tanto sono ne le sue guance,
si ch'a pugnar per accender la fede
de l'Evangelio fero scudo e lance.
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e piu non si richiede.
Ma tale uccel nel becchetto s'annida,
che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di ch'el si confida:
per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
che, sanza prova d'alcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe.
Di questo ingrassa il porco sant' Antonio,
e altri assai che sono ancor piu porci,
pagando di moneta sanza conio.
Ma perche siam digressi assai, ritorci
li occhi oramai verso la dritta strada,
si che la via col tempo si raccorci.
Questa natura si oltre s'ingrada
in numero, che mai non fu loquela
ne concetto mortal che tanto vada;
e se tu guardi quel che si revela
per Daniel, vedrai che 'n sue migliaia
determinato numero si cela.
La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s'appaia.
Onde, pero che a l'atto che concepe
segue l'affetto, d'amar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe.
Vedi l'eccelso omai e la larghezza
de l'etterno valor, poscia che tanti
speculi fatti s'ha in che si spezza,
uno manendo in se come davanti>>.
Paradiso ? Canto XXX
Forse semilia miglia di lontano
ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
china gia l'ombra quasi al letto piano,
quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,
comincia a farsi tal, ch'alcuna stella
perde il parere infino a questo fondo;
e come vien la chiarissima ancella
del sol piu oltre, cosi 'l ciel si chiude
di vista in vista infino a la piu bella.
Non altrimenti il triunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,
a poco a poco al mio veder si stinse:
per che tornar con li occhi a Beatrice
nulla vedere e amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice
fosse conchiuso tutto in una loda,
poca sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza ch'io vidi si trasmoda
non pur di la da noi, ma certo io credo
che solo il suo fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo
piu che gia mai da punto di suo tema
soprato fosse comico o tragedo:
che, come sole in viso che piu trema,
cosi lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.
Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
non m'e il seguire al mio cantar preciso;
ma or convien che mio seguir desista
piu dietro a sua bellezza, poetando,
come a l'ultimo suo ciascuno artista.
Cotal qual io lascio a maggior bando
che quel de la mia tuba, che deduce
l'ardua sua matera terminando,
con atto e voce di spedito duce
ricomincio: <<Noi siamo usciti fore
del maggior corpo al ciel ch'e pura luce:
luce intellettual, piena d'amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.
Qui vederai l'una e l'altra milizia
di paradiso, e l'una in quelli aspetti
che tu vedrai a l'ultima giustizia>>.
Come subito lampo che discetti
li spiriti visivi, si che priva
da l'atto l'occhio di piu forti obietti,
cosi mi circunfulse luce viva,
e lasciommi fasciato di tal velo
del suo fulgor, che nulla m'appariva.
<<Sempre l'amor che queta questo cielo
accoglie in se con si fatta salute,
per far disposto a sua fiamma il candelo>>.
Non fur piu tosto dentro a me venute
queste parole brievi, ch'io compresi
me sormontar di sopr' a mia virtute;
e di novella vista mi raccesi
tale, che nulla luce e tanto mera,
che li occhi miei non si fosser difesi;
e vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscian faville vive,
e d'ogne parte si mettien ne' fiori,
quasi rubin che oro circunscrive;
poi, come inebriate da li odori,
riprofondavan se nel miro gurge,
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.
<<L'alto disio che mo t'infiamma e urge,
d'aver notizia di cio che tu vei,
tanto mi piace piu quanto piu turge;
ma di quest' acqua convien che tu bei
prima che tanta sete in te si sazi>>:
cosi mi disse il sol de li occhi miei.
Anche soggiunse: <<Il fiume e li topazi
ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe
son di lor vero umbriferi prefazi.
Non che da se sian queste cose acerbe;
ma e difetto da la parte tua,
che non hai viste ancor tanto superbe>>.
Non e fantin che si subito rua
col volto verso il latte, se si svegli
molto tardato da l'usanza sua,
come fec' io, per far migliori spegli
ancor de li occhi, chinandomi a l'onda
che si deriva perche vi s'immegli;
e si come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, cosi mi parve
di sua lunghezza divenuta tonda.
Poi, come gente stata sotto larve,
che pare altro che prima, se si sveste
la sembianza non sua in che disparve,
cosi mi si cambiaro in maggior feste
li fiori e le faville, si ch'io vidi
ambo le corti del ciel manifeste.
O isplendor di Dio, per cu' io vidi
l'alto triunfo del regno verace,
dammi virtu a dir com' io il vidi!
Lume e la su che visibile face
lo creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.
E' si distende in circular figura,
in tanto che la sua circunferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza
reflesso al sommo del mobile primo,
che prende quindi vivere e potenza.
E come clivo in acqua di suo imo
si specchia, quasi per vedersi addorno,
quando e nel verde e ne' fioretti opimo,
si, soprastando al lume intorno intorno,
vidi specchiarsi in piu di mille soglie
quanto di noi la su fatto ha ritorno.
E se l'infimo grado in se raccoglie
si grande lume, quanta e la larghezza
di questa rosa ne l'estreme foglie!
La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza
non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e 'l quale di quella allegrezza.
Presso e lontano, li, ne pon ne leva:
che dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva.
Nel giallo de la rosa sempiterna,
che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna,
qual e colui che tace e dicer vole,
mi trasse Beatrice, e disse: <<Mira
quanto e 'l convento de le bianche stole!
Vedi nostra citta quant' ella gira;
vedi li nostri scanni si ripieni,
che poca gente piu ci si disira.
E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
per la corona che gia v'e su posta,
prima che tu a queste nozze ceni,
sedera l'alma, che fia giu agosta,
de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
verra in prima ch'ella sia disposta.
La cieca cupidigia che v'ammalia
simili fatti v'ha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.
E fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto
non andera con lui per un cammino.
Ma poco poi sara da Dio sofferto
nel santo officio; ch'el sara detruso
la dove Simon mago e per suo merto,
e fara quel d'Alagna intrar piu giuso>>.
Paradiso ? Canto XXXI
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
ma l'altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la 'nnamora
e la bonta che la fece cotanta,
si come schiera d'ape che s'infiora
una fiata e una si ritorna
la dove suo laboro s'insapora,
nel gran fior discendeva che s'addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
la dove 'l suo amor sempre soggiorna.
Le facce tutte avean di fiamma viva
e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,
che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de l'ardore
ch'elli acquistavan ventilando il fianco.
Ne l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:
che la luce divina e penetrante
per l'universo secondo ch'e degno,
si che nulla le puote essere ostante.
Questo sicuro e gaudioso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno.
O trina luce che 'n unica stella
scintillando a lor vista, si li appaga!
guarda qua giuso a la nostra procella!
Se i barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond' ella e vaga,
veggendo Roma e l'ardua sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali ando di sopra;
io, che al divino da l'umano,
a l'etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,
di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto.
E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera gia ridir com' ello stea,
su per la viva luce passeggiando,
menava io li occhi per li gradi,
mo su, mo giu e mo recirculando.
Vedea visi a carita suadi,
d'altrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di paradiso
gia tutta mio sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso;
e volgeami con voglia riaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.
Uno intendea, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti gloriose.
Diffuso era per li occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.
E <<Ov' e ella? >>, subito diss' io.
Ond' elli: <<A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;
e se riguardi su nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro>>.
Sanza risponder, li occhi su levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da se li etterni rai.
Da quella region che piu su tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare piu giu s'abbandona,
quanto li da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, che sua effige
non discendea a me per mezzo mista.
<<O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quant' i' ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.
Tu m'hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt' i modi
che di cio fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
si che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi>>.
Cosi orai; e quella, si lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si torno a l'etterna fontana.
E 'l santo sene: <<Accio che tu assommi
perfettamente>>, disse, <<il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi,
vola con li occhi per questo giardino;
che veder lui t'acconcera lo sguardo
piu al montar per lo raggio divino.
E la regina del cielo, ond' io ardo
tutto d'amor, ne fara ogne grazia,
pero ch'i' sono il suo fedel Bernardo>>.
Qual e colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l'antica fame non sen sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
'Segnor mio Iesu Cristo, Dio verace,
or fu si fatta la sembianza vostra? ';
tal era io mirando la vivace
carita di colui che 'n questo mondo,
contemplando, gusto di quella pace.
<<Figliuol di grazia, quest' esser giocondo>>,
comincio elli, <<non ti sara noto,
tenendo li occhi pur qua giu al fondo;
ma guarda i cerchi infino al piu remoto,
tanto che veggi seder la regina
cui questo regno e suddito e devoto>>.
Io levai li occhi; e come da mattina
la parte oriental de l'orizzonte
soverchia quella dove 'l sol declina,
cosi, quasi di valle andando a monte
con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta l'altra fronte.
E come quivi ove s'aspetta il temo
che mal guido Fetonte, piu s'infiamma,
e quinci e quindi il lume si fa scemo,
cosi quella pacifica oriafiamma
nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte
per igual modo allentava la fiamma;
e a quel mezzo, con le penne sparte,
vid' io piu di mille angeli festanti,
ciascun distinto di fulgore e d'arte.
Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi;
e s'io avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei,
che ' miei di rimirar fe piu ardenti.
Paradiso ? Canto XXXII
Affetto al suo piacer, quel contemplante
libero officio di dottore assunse,
e comincio queste parole sante:
<<La piaga che Maria richiuse e unse,
quella ch'e tanto bella da' suoi piedi
e colei che l'aperse e che la punse.
Ne l'ordine che fanno i terzi sedi,
siede Rachel di sotto da costei
con Beatrice, si come tu vedi.
Sarra e Rebecca, Iudit e colei
che fu bisava al cantor che per doglia
del fallo disse 'Miserere mei',
puoi tu veder cosi di soglia in soglia
giu digradar, com' io ch'a proprio nome
vo per la rosa giu di foglia in foglia.
E dal settimo grado in giu, si come
infino ad esso, succedono Ebree,
dirimendo del fior tutte le chiome;
perche, secondo lo sguardo che fee
la fede in Cristo, queste sono il muro
a che si parton le sacre scalee.
Da questa parte onde 'l fiore e maturo
di tutte le sue foglie, sono assisi
quei che credettero in Cristo venturo;
da l'altra parte onde sono intercisi
di voti i semicirculi, si stanno
quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.
E come quinci il glorioso scanno
de la donna del cielo e li altri scanni
di sotto lui cotanta cerna fanno,
cosi di contra quel del gran Giovanni,
che sempre santo 'l diserto e 'l martiro
sofferse, e poi l'inferno da due anni;
e sotto lui cosi cerner sortiro
Francesco, Benedetto e Augustino
e altri fin qua giu di giro in giro.
Or mira l'alto proveder divino:
che l'uno e l'altro aspetto de la fede
igualmente empiera questo giardino.
E sappi che dal grado in giu che fiede
a mezzo il tratto le due discrezioni,
per nullo proprio merito si siede,
ma per l'altrui, con certe condizioni:
che tutti questi son spiriti ascolti
prima ch'avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti
e anche per le voci puerili,
se tu li guardi bene e se li ascolti.
Or dubbi tu e dubitando sili;
ma io disciogliero 'l forte legame
in che ti stringon li pensier sottili.
Dentro a l'ampiezza di questo reame
casual punto non puote aver sito,
se non come tristizia o sete o fame:
che per etterna legge e stabilito
quantunque vedi, si che giustamente
ci si risponde da l'anello al dito;
e pero questa festinata gente
a vera vita non e sine causa
intra se qui piu e meno eccellente.
Lo rege per cui questo regno pausa
in tanto amore e in tanto diletto,
che nulla volonta e di piu ausa,
le menti tutte nel suo lieto aspetto
creando, a suo piacer di grazia dota
diversamente; e qui basti l'effetto.
E cio espresso e chiaro vi si nota
ne la Scrittura santa in quei gemelli
che ne la madre ebber l'ira commota.
Pero, secondo il color d'i capelli,
di cotal grazia l'altissimo lume
degnamente convien che s'incappelli.
Dunque, sanza merce di lor costume,
locati son per gradi differenti,
sol differendo nel primiero acume.
Bastavasi ne' secoli recenti
con l'innocenza, per aver salute,
solamente la fede d'i parenti;
poi che le prime etadi fuor compiute,
convenne ai maschi a l'innocenti penne
per circuncidere acquistar virtute;
ma poi che 'l tempo de la grazia venne,
sanza battesmo perfetto di Cristo
tale innocenza la giu si ritenne.
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
piu si somiglia, che la sua chiarezza
sola ti puo disporre a veder Cristo>>.
Io vidi sopra lei tanta allegrezza
piover, portata ne le menti sante
create a trasvolar per quella altezza,
che quantunque io avea visto davante,
di tanta ammirazion non mi sospese,
ne mi mostro di Dio tanto sembiante;
e quello amor che primo li discese,
cantando 'Ave, Maria, gratia plena',
dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispuose a la divina cantilena
da tutte parti la beata corte,
si ch'ogne vista sen fe piu serena.
<<O santo padre, che per me comporte
l'esser qua giu, lasciando il dolce loco
nel qual tu siedi per etterna sorte,
qual e quell' angel che con tanto gioco
guarda ne li occhi la nostra regina,
innamorato si che par di foco? >>.
Cosi ricorsi ancora a la dottrina
di colui ch'abbelliva di Maria,
come del sole stella mattutina.
Ed elli a me: <<Baldezza e leggiadria
quant' esser puote in angelo e in alma,
tutta e in lui; e si volem che sia,
perch' elli e quelli che porto la palma
giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio
carcar si volse de la nostra salma.
Ma vieni omai con li occhi si com' io
andro parlando, e nota i gran patrici
di questo imperio giustissimo e pio.
Quei due che seggon la su piu felici
per esser propinquissimi ad Agusta,
son d'esta rosa quasi due radici:
colui che da sinistra le s'aggiusta
e il padre per lo cui ardito gusto
l'umana specie tanto amaro gusta;
dal destro vedi quel padre vetusto
di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
raccomando di questo fior venusto.
E quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa
che s'acquisto con la lancia e coi clavi,
siede lungh' esso, e lungo l'altro posa
quel duca sotto cui visse di manna
la gente ingrata, mobile e retrosa.
Di contr' a Pietro vedi sedere Anna,
tanto contenta di mirar sua figlia,
che non move occhio per cantare osanna;
e contro al maggior padre di famiglia
siede Lucia, che mosse la tua donna
quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
Ma perche 'l tempo fugge che t'assonna,
qui farem punto, come buon sartore
che com' elli ha del panno fa la gonna;
e drizzeremo li occhi al primo amore,
si che, guardando verso lui, penetri
quant' e possibil per lo suo fulgore.
Veramente, ne forse tu t'arretri
movendo l'ali tue, credendo oltrarti,
orando grazia conven che s'impetri
grazia da quella che puote aiutarti;
e tu mi seguirai con l'affezione,
si che dal dicer mio lo cor non parti>>.
E comincio questa santa orazione:
Paradiso ? Canto XXXIII
<<Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta piu che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti si, che 'l suo fattore
non disdegno di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
cosi e germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz' ali.
La tua benignita non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura e di bontate.
Or questi, che da l'infima lacuna
de l'universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
piu alto verso l'ultima salute.
E io, che mai per mio veder non arsi
piu ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
perche tu ogne nube li disleghi
di sua mortalita co' prieghi tuoi,
si che 'l sommo piacer li si dispieghi.
Ancor ti priego, regina, che puoi
cio che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani! >>.
Li occhi da Dio diletti e venerati,
fissi ne l'orator, ne dimostraro
quanto i devoti prieghi le son grati;
indi a l'etterno lume s'addrizzaro,
nel qual non si dee creder che s'invii
per creatura l'occhio tanto chiaro.
E io ch'al fine di tutt' i disii
appropinquava, si com' io dovea,
l'ardor del desiderio in me finii.
Bernardo m'accennava, e sorridea,
perch' io guardassi suso; ma io era
gia per me stesso tal qual ei volea:
che la mia vista, venendo sincera,
e piu e piu intrava per lo raggio
de l'alta luce che da se e vera.
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.
Qual e colui che sognando vede,
che dopo 'l sogno la passione impressa
rimane, e l'altro a la mente non riede,
cotal son io, che quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.
Cosi la neve al sol si disigilla;
cosi al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce che tanto ti levi
da' concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,
e fa la lingua mia tanto possente,
ch'una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;
che, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
piu si concepera di tua vittoria.
Io credo, per l'acume ch'io soffersi
del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.
E' mi ricorda ch'io fui piu ardito
per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi
l'aspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia ond' io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!
Nel suo profondo vidi che s'interna,
legato con amore in un volume,
cio che per l'universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che cio ch'i' dico e un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
credo ch'i' vidi, perche piu di largo,
dicendo questo, mi sento ch'i' godo.
Un punto solo m'e maggior letargo
che venticinque secoli a la 'mpresa
che fe Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.
Cosi la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
e impossibil che mai si consenta;
pero che 'l ben, ch'e del volere obietto,
tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella
e defettivo cio ch'e li perfetto.
Omai sara piu corta mia favella,
pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.
Non perche piu ch'un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch'io mirava,
che tal e sempre qual s'era davante;
ma per la vista che s'avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom' io, a me si travagliava.
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza;
e l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.
Oh quanto e corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi,
e tanto, che non basta a dicer 'poco'.
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!
Quella circulazion che si concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,
dentro da se, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che 'l mio viso in lei tutto era messo.
Qual e 'l geometra che tutto s'affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond' elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l'imago al cerchio e come vi s'indova;
ma non eran da cio le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l'alta fantasia qui manco possa;
ma gia volgeva il mio disio e 'l velle,
si come rota ch'igualmente e mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle.
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TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI
TABLE OF SPECIAL CHARACTERS
a = a grave
e = e grave
i = i grave
o = o grave
u = u grave
e = e acute
o = o acute
a = a uml
e = e uml
i = i uml
o = o uml
u = u uml
E = E grave
E = E uml
I = I uml
<< = left angle quotation mark
>> = right angle quotation mark
" = left double quotation mark
" = right double quotation mark
' = left single quotation mark
' = right single quotation mark
-- = em dash
? = middot
.