Matto e chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
Dante - La Divina Commedia
<<Vivo son io, e caro esser ti puote>>,
fu mia risposta, <<se dimandi fama,
ch'io metta il nome tuo tra l'altre note>>.
Ed elli a me: <<Del contrario ho io brama.
Levati quinci e non mi dar piu lagna,
che mal sai lusingar per questa lama! >>.
Allor lo presi per la cuticagna
e dissi: <<El converra che tu ti nomi,
o che capel qui su non ti rimagna>>.
Ond' elli a me: <<Perche tu mi dischiomi,
ne ti diro ch'io sia, ne mosterrolti,
se mille fiate in sul capo mi tomi>>.
Io avea gia i capelli in mano avvolti,
e tratti glien' avea piu d'una ciocca,
latrando lui con li occhi in giu raccolti,
quando un altro grido: <<Che hai tu, Bocca?
non ti basta sonar con le mascelle,
se tu non latri? qual diavol ti tocca? >>.
<<Omai>>, diss' io, <<non vo' che piu favelle,
malvagio traditor; ch'a la tua onta
io portero di te vere novelle>>.
<<Va via>>, rispuose, <<e cio che tu vuoi conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
di quel ch'ebbe or cosi la lingua pronta.
El piange qui l'argento de' Franceschi:
"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
la dove i peccatori stanno freschi".
Se fossi domandato "Altri chi v'era? ",
tu hai dallato quel di Beccheria
di cui sego Fiorenza la gorgiera.
Gianni de' Soldanier credo che sia
piu la con Ganellone e Tebaldello,
ch'apri Faenza quando si dormia>>.
Noi eravam partiti gia da ello,
ch'io vidi due ghiacciati in una buca,
si che l'un capo a l'altro era cappello;
e come 'l pan per fame si manduca,
cosi 'l sovran li denti a l'altro pose
la 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca:
non altrimenti Tideo si rose
le tempie a Menalippo per disdegno,
che quei faceva il teschio e l'altre cose.
<<O tu che mostri per si bestial segno
odio sovra colui che tu ti mangi,
dimmi 'l perche>>, diss' io, <<per tal convegno,
che se tu a ragion di lui ti piangi,
sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
nel mondo suso ancora io te ne cangi,
se quella con ch'io parlo non si secca>>.
Inferno ? Canto XXXIII
La bocca sollevo dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a' capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.
Poi comincio: <<Tu vuo' ch'io rinovelli
disperato dolor che 'l cor mi preme
gia pur pensando, pria ch'io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch'i' rodo,
parlar e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se' ne per che modo
venuto se' qua giu; ma fiorentino
mi sembri veramente quand' io t'odo.
Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino,
e questi e l'arcivescovo Ruggieri:
or ti diro perche i son tal vicino.
Che per l'effetto de' suo' mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non e mestieri;
pero quel che non puoi avere inteso,
cioe come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai s'e' m'ha offeso.
Breve pertugio dentro da la Muda,
la qual per me ha 'l titol de la fame,
e che conviene ancor ch'altrui si chiuda,
m'avea mostrato per lo suo forame
piu lune gia, quand' io feci 'l mal sonno
che del futuro mi squarcio 'l velame.
Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e ' lupicini al monte
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Con cagne magre, studiose e conte
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
s'avea messi dinanzi da la fronte.
In picciol corso mi parieno stanchi
lo padre e ' figli, e con l'agute scane
mi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli
ch'eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se' crudel, se tu gia non ti duoli
pensando cio che 'l mio cor s'annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?
Gia eran desti, e l'ora s'appressava
che 'l cibo ne solea essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti' chiavar l'uscio di sotto
a l'orribile torre; ond' io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
Io non piangea, si dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi si, padre! che hai? ".
Percio non lagrimai ne rispuos' io
tutto quel giorno ne la notte appresso,
infin che l'altro sol nel mondo uscio.
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia
di manicar, di subito levorsi
e disser: "Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia".
Queta'mi allor per non farli piu tristi;
lo di e l'altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perche non t'apristi?
Poscia che fummo al quarto di venuti,
Gaddo mi si gitto disteso a' piedi,
dicendo: "Padre mio, che non m'aiuti? ".
Quivi mori; e come tu mi vedi,
vid' io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto di e 'l sesto; ond' io mi diedi,
gia cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due di li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, piu che 'l dolor, pote 'l digiuno>>.
Quand' ebbe detto cio, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co' denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti.
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese la dove 'l si suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
si ch'elli annieghi in te ogne persona!
Che se 'l conte Ugolino aveva voce
d'aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
Innocenti facea l'eta novella,
novella Tebe, Uguiccione e 'l Brigata
e li altri due che 'l canto suso appella.
Noi passammo oltre, la 've la gelata
ruvidamente un'altra gente fascia,
non volta in giu, ma tutta riversata.
Lo pianto stesso li pianger non lascia,
e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo,
si volge in entro a far crescer l'ambascia;
che le lagrime prime fanno groppo,
e si come visiere di cristallo,
riempion sotto 'l ciglio tutto il coppo.
E avvegna che, si come d'un callo,
per la freddura ciascun sentimento
cessato avesse del mio viso stallo,
gia mi parea sentire alquanto vento;
per ch'io: <<Maestro mio, questo chi move?
non e qua giu ogne vapore spento? >>.
Ond' elli a me: <<Avaccio sarai dove
di cio ti fara l'occhio la risposta,
veggendo la cagion che 'l fiato piove>>.
E un de' tristi de la fredda crosta
grido a noi: <<O anime crudeli
tanto che data v'e l'ultima posta,
levatemi dal viso i duri veli,
si ch'io sfoghi 'l duol che 'l cor m'impregna,
un poco, pria che 'l pianto si raggeli>>.
Per ch'io a lui: <<Se vuo' ch'i' ti sovvegna,
dimmi chi se', e s'io non ti disbrigo,
al fondo de la ghiaccia ir mi convegna>>.
Rispuose adunque: <<I' son frate Alberigo;
i' son quel da le frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo>>.
<<Oh>>, diss' io lui, <<or se' tu ancor morto? >>.
Ed elli a me: <<Come 'l mio corpo stea
nel mondo su, nulla scienza porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
che spesse volte l'anima ci cade
innanzi ch'Atropos mossa le dea.
E perche tu piu volentier mi rade
le 'nvetriate lagrime dal volto,
sappie che, tosto che l'anima trade
come fec' io, il corpo suo l'e tolto
da un demonio, che poscia il governa
mentre che 'l tempo suo tutto sia volto.
Ella ruina in si fatta cisterna;
e forse pare ancor lo corpo suso
de l'ombra che di qua dietro mi verna.
Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso:
elli e ser Branca Doria, e son piu anni
poscia passati ch'el fu si racchiuso>>.
<<Io credo>>, diss' io lui, <<che tu m'inganni;
che Branca Doria non mori unquanche,
e mangia e bee e dorme e veste panni>>.
<<Nel fosso su>>, diss' el, <<de' Malebranche,
la dove bolle la tenace pece,
non era ancora giunto Michel Zanche,
che questi lascio il diavolo in sua vece
nel corpo suo, ed un suo prossimano
che 'l tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oggimai in qua la mano;
aprimi li occhi>>. E io non gliel' apersi;
e cortesia fu lui esser villano.
Ahi Genovesi, uomini diversi
d'ogne costume e pien d'ogne magagna,
perche non siete voi del mondo spersi?
Che col peggiore spirto di Romagna
trovai di voi un tal, che per sua opra
in anima in Cocito gia si bagna,
e in corpo par vivo ancor di sopra.
Inferno ? Canto XXXIV
<<Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; pero dinanzi mira>>,
disse 'l maestro mio, <<se tu 'l discerni>>.
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l'emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che 'l vento gira,
veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, che non li era altra grotta.
Gia era, e con paura il metto in metro,
la dove l'ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro.
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com' arco, il volto a' pie rinverte.
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch'al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch'ebbe il bel sembiante,
d'innanzi mi si tolse e fe restarmi,
<<Ecco Dite>>, dicendo, <<ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t'armi>>.
Com' io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo,
pero ch'ogne parlar sarebbe poco.
Io non mori' e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno,
qual io divenni, d'uno e d'altro privo.
Lo 'mperador del doloroso regno
da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e piu con un gigante io mi convegno,
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant' esser dee quel tutto
ch'a cosi fatta parte si confaccia.
S'el fu si bel com' elli e ora brutto,
e contra 'l suo fattore alzo le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto.
Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand' io vidi tre facce a la sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia;
l'altr' eran due, che s'aggiugnieno a questa
sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
e se giugnieno al loco de la cresta:
e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di la onde 'l Nilo s'avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid' io mai cotali.
Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
si che tre venti si movean da ello:
quindi Cocito tutto s'aggelava.
Con sei occhi piangea, e per tre menti
gocciava 'l pianto e sanguinosa bava.
Da ogne bocca dirompea co' denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
si che tre ne facea cosi dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso 'l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
<<Quell' anima la su c'ha maggior pena>>,
disse 'l maestro, <<e Giuda Scariotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
De li altri due c'hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo e Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto! ;
e l'altro e Cassio, che par si membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
e da partir, che tutto avem veduto>>.
Com' a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l'ali fuoro aperte assai,
appiglio se a le vellute coste;
di vello in vello giu discese poscia
tra 'l folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo la dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l'anche,
lo duca, con fatica e con angoscia,
volse la testa ov' elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com' om che sale,
si che 'n inferno i' credea tornar anche.
<<Attienti ben, che per cotali scale>>,
disse 'l maestro, ansando com' uom lasso,
<<conviensi dipartir da tanto male>>.
Poi usci fuor per lo foro d'un sasso
e puose me in su l'orlo a sedere;
appresso porse a me l'accorto passo.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com' io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in su tenere;
e s'io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual e quel punto ch'io avea passato.
<<Levati su>>, disse 'l maestro, <<in piede:
la via e lunga e 'l cammino e malvagio,
e gia il sole a mezza terza riede>>.
Non era camminata di palagio
la 'v' eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio.
<<Prima ch'io de l'abisso mi divella,
maestro mio>>, diss' io quando fui dritto,
<<a trarmi d'erro un poco mi favella:
ov' e la ghiaccia? e questi com' e fitto
si sottosopra? e come, in si poc' ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto? >>.
Ed elli a me: <<Tu imagini ancora
d'esser di la dal centro, ov' io mi presi
al pel del vermo reo che 'l mondo fora.
Di la fosti cotanto quant' io scesi;
quand' io mi volsi, tu passasti 'l punto
al qual si traggon d'ogne parte i pesi.
E se' or sotto l'emisperio giunto
ch'e contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto
fu l'uom che nacque e visse sanza pecca;
tu hai i piedi in su picciola spera
che l'altra faccia fa de la Giudecca.
Qui e da man, quando di la e sera;
e questi, che ne fe scala col pelo,
fitto e ancora si come prim' era.
Da questa parte cadde giu dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fe del mar velo,
e venne a l'emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lascio qui loco voto
quella ch'appar di qua, e su ricorse>>.
Luogo e la giu da Belzebu remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono e noto
d'un ruscelletto che quivi discende
per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso,
col corso ch'elli avvolge, e poco pende.
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d'alcun riposo,
salimmo su, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
PURGATORIO
Purgatorio ? Canto I
Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a se mar si crudele;
e cantero di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesi resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Caliope alquanto surga,
seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono.
Dolce color d'oriental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricomincio diletto,
tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
che m'avea contristati li occhi e 'l petto.
Lo bel pianeto che d'amar conforta
faceva tutto rider l'oriente,
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.
Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!
Com' io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l 'altro polo,
la onde 'l Carro gia era sparito,
vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che piu non dee a padre alcun figliuolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a' suoi capelli simigliante,
de' quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan si la sua faccia di lume,
ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.
<<Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna? >>,
diss' el, movendo quelle oneste piume.
<<Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d'abisso cosi rotte?
o e mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte? >>.
Lo duca mio allor mi die di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fe le gambe e 'l ciglio.
Poscia rispuose lui: <<Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni.
Ma da ch'e tuo voler che piu si spieghi
di nostra condizion com' ell' e vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi.
Questi non vide mai l'ultima sera;
ma per la sua follia le fu si presso,
che molto poco tempo a volger era.
Si com' io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non li era altra via
che questa per la quale i' mi son messo.
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan se sotto la tua balia.
Com' io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
de l'alto scende virtu che m'aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
liberta va cercando, ch'e si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu 'l sai, che non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch'al gran di sara si chiara.
Non son li editti etterni per noi guasti,
che questi vive e Minos me non lega;
ma son del cerchio ove son li occhi casti
di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riportero di te a lei,
se d'esser mentovato la giu degni>>.
<<Marzia piacque tanto a li occhi miei
mentre ch'i' fu' di la>>, diss' elli allora,
<<che quante grazie volse da me, fei.
Or che di la dal mal fiume dimora,
piu muover non mi puo, per quella legge
che fatta fu quando me n'usci' fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di', non c'e mestier lusinghe:
bastisi ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
si ch'ogne sucidume quindi stinghe;
che non si converria, l'occhio sorpriso
d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, ch'e di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
la giu cola dove la batte l'onda,
porta di giunchi sovra 'l molle limo:
null' altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
pero ch'a le percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterra, che surge omai,
prendere il monte a piu lieve salita>>.
Cosi spari; e io su mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
El comincio: <<Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, che di qua dichina
questa pianura a' suoi termini bassi>>.
L'alba vinceva l'ora mattutina
che fuggia innanzi, si che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano
com' om che torna a la perduta strada,
che 'nfino ad essa li pare ire in vano.
Quando noi fummo la 've la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada,
ambo le mani in su l'erbetta sparte
soavemente 'l mio maestro pose:
ond' io, che fui accorto di sua arte,
porsi ver' lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l'inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse si com' altrui piacque:
oh maraviglia! che qual elli scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque
subitamente la onde l'avelse.
Purgatorio ? Canto II
Gia era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalem col suo piu alto punto;
e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;
si che le bianche e le vermiglie guance,
la dov' i' era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.
Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,
che va col cuore e col corpo dimora.
Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giu nel ponente sovra 'l suol marino,
cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir si ratto,
che 'l muover suo nessun volar pareggia.
Dal qual com' io un poco ebbi ritratto
l'occhio per domandar lo duca mio,
rividil piu lucente e maggior fatto.
Poi d'ogne lato ad esso m'appario
un non sapeva che bianco, e di sotto
a poco a poco un altro a lui uscio.
Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,
grido: <<Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di si fatti officiali.
Vedi che sdegna li argomenti umani,
si che remo non vuol, ne altro velo
che l'ali sue, tra liti si lontani.
Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
trattando l'aere con l'etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo>>.
Poi, come piu e piu verso noi venne
l'uccel divino, piu chiaro appariva:
per che l'occhio da presso nol sostenne,
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e piu di cento spirti entro sediero.
'In exitu Israel de Aegypto'
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo e poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce;
ond' ei si gittar tutti in su la piaggia:
ed el sen gi, come venne, veloce.
La turba che rimase li, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, ch'avea con le saette conte
di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,
quando la nova gente alzo la fronte
ver' noi, dicendo a noi: <<Se voi sapete,
mostratene la via di gire al monte>>.
E Virgilio rispuose: <<Voi credete
forse che siamo esperti d'esto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu si aspra e forte,
che lo salire omai ne parra gioco>>.
L'anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte.
E come a messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,
cosi al viso mio s'affisar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi obliando d'ire a farsi belle.
Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi con si grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch'io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.
Rispuosemi: <<Cosi com' io t'amai
nel mortal corpo, cosi t'amo sciolta:
pero m'arresto; ma tu perche vai? >>.
<<Casella mio, per tornar altra volta
la dov' io son, fo io questo viaggio>>,
diss' io; <<ma a te com' e tanta ora tolta? >>.
Ed elli a me: <<Nessun m'e fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
piu volte m'ha negato esto passaggio;
che di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.
Ond' io, ch'era ora a la marina volto
dove l'acqua di Tevero s'insala,
benignamente fu' da lui ricolto.
A quella foce ha elli or dritta l'ala,
pero che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala>>.
E io: <<Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l'amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,
di cio ti piaccia consolare alquanto
l'anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, e affannata tanto! >>.
'Amor che ne la mente mi ragiona'
comincio elli allor si dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro e io e quella gente
ch'eran con lui parevan si contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: <<Che e cio, spiriti lenti?
qual negligenza, quale stare e questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch'esser non lascia a voi Dio manifesto>>.
Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,
se cosa appare ond' elli abbian paura,
subitamente lasciano star l'esca,
perch' assaliti son da maggior cura;
cosi vid' io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
com' om che va, ne sa dove riesca;
ne la nostra partita fu men tosta.
Purgatorio ? Canto III
Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
i' mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna?
El mi parea da se stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t'e picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn' atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,
lo 'ntento rallargo, si come vaga,
e diedi 'l viso mio incontr' al poggio
che 'nverso 'l ciel piu alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m'era dinanzi a la figura,
ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.
Io mi volsi dallato con paura
d'essere abbandonato, quand' io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;
e 'l mio conforto: <<Perche pur diffidi? >>,
a dir mi comincio tutto rivolto;
<<non credi tu me teco e ch'io ti guidi?
Vespero e gia cola dov' e sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra;
Napoli l'ha, e da Brandizio e tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
non ti maravigliar piu che d'i cieli
che l'uno a l'altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtu dispone
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.
Matto e chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
che, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch'etternalmente e dato lor per lutto:
io dico d'Aristotile e di Plato
e di molt' altri>>; e qui chino la fronte,
e piu non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a pie del monte;
quivi trovammo la roccia si erta,
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerice e Turbia la piu diserta,
la piu rotta ruina e una scala,
verso di quella, agevole e aperta.
<<Or chi sa da qual man la costa cala>>,
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
<<si che possa salir chi va sanz' ala? >>.
E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,
da man sinistra m'appari una gente
d'anime, che movieno i pie ver' noi,
e non pareva, si venian lente.
<<Leva>>, diss' io, <<maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne dara consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi>>.
Guardo allora, e con libero piglio
rispuose: <<Andiamo in la, ch'ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio>>.
Ancora era quel popol di lontano,
i' dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
com' a guardar, chi va dubbiando, stassi.
<<O ben finiti, o gia spiriti eletti>>,
Virgilio incomincio, <<per quella pace
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,
ditene dove la montagna giace,
si che possibil sia l'andare in suso;
che perder tempo a chi piu sa piu spiace>>.
Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
e cio che fa la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperche non sanno;
si vid' io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l'andare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
si che l'ombra era da me a la grotta,
restaro, e trasser se in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo 'l perche, fenno altrettanto.
<<Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo e corpo uman che voi vedete;
per che 'l lume del sole in terra e fesso.
Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtu che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete>>.
Cosi 'l maestro; e quella gente degna
<<Tornate>>, disse, <<intrate innanzi dunque>>,
coi dossi de le man faccendo insegna.
E un di loro incomincio: <<Chiunque
tu se', cosi andando, volgi 'l viso:
pon mente se di la mi vedesti unque>>.
Io mi volsi ver' lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
Quand' io mi fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: <<Or vedi>>;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
Poi sorridendo disse: <<Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond' io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.
Poscia ch'io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bonta infinita ha si gran braccia,
che prende cio che si rivolge a lei.
Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l'ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
dov' e' le trasmuto a lume spento.
Per lor maladizion si non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero e che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo ch'elli e stato, trenta,
in sua presunzion, se tal decreto
piu corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m'hai visto, e anco esto divieto;
che qui per quei di la molto s'avanza>>.
Purgatorio ? Canto IV
Quando per dilettanze o ver per doglie,
che alcuna virtu nostra comprenda,
l'anima bene ad essa si raccoglie,
par ch'a nulla potenza piu intenda;
e questo e contra quello error che crede
ch'un'anima sovr' altra in noi s'accenda.
E pero, quando s'ode cosa o vede
che tegna forte a se l'anima volta,
vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;
ch'altra potenza e quella che l'ascolta,
e altra e quella c'ha l'anima intera:
questa e quasi legata e quella e sciolta.
Di cio ebb' io esperienza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
che ben cinquanta gradi salito era
lo sole, e io non m'era accorto, quando
venimmo ove quell' anime ad una
gridaro a noi: <<Qui e vostro dimando>>.
Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l'uom de la villa quando l'uva imbruna,
che non era la calla onde saline
lo duca mio, e io appresso, soli,
come da noi la schiera si partine.
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e 'n Cacume
con esso i pie; ma qui convien ch'om voli;
dico con l'ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume.
Noi salavam per entro 'l sasso rotto,
e d'ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto.
Poi che noi fummo in su l'orlo suppremo
de l'alta ripa, a la scoperta piaggia,
<<Maestro mio>>, diss' io, <<che via faremo? >>.
Ed elli a me: <<Nessun tuo passo caggia;
pur su al monte dietro a me acquista,
fin che n'appaia alcuna scorta saggia>>.
Lo sommo er' alto che vincea la vista,
e la costa superba piu assai
che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
<<O dolce padre, volgiti, e rimira
com' io rimango sol, se non restai>>.
<<Figliuol mio>>, disse, <<infin quivi ti tira>>,
additandomi un balzo poco in sue
che da quel lato il poggio tutto gira.
Si mi spronaron le parole sue,
ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,
tanto che 'l cinghio sotto i pie mi fue.
A seder ci ponemmo ivi ambedui
volti a levante ond' eravam saliti,
che suole a riguardar giovare altrui.
Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
poscia li alzai al sole, e ammirava
che da sinistra n'eravam feriti.
Ben s'avvide il poeta ch'io stava
stupido tutto al carro de la luce,
ove tra noi e Aquilone intrava.
Ond' elli a me: <<Se Castore e Poluce
fossero in compagnia di quello specchio
che su e giu del suo lume conduce,
tu vedresti il Zodiaco rubecchio
ancora a l'Orse piu stretto rotare,
se non uscisse fuor del cammin vecchio.
Come cio sia, se 'l vuoi poter pensare,
dentro raccolto, imagina Sion
con questo monte in su la terra stare
si, ch'amendue hanno un solo orizzon
e diversi emisperi; onde la strada
che mal non seppe carreggiar Feton,
vedrai come a costui convien che vada
da l'un, quando a colui da l'altro fianco,
se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada>>.
<<Certo, maestro mio,>> diss' io, <<unquanco
non vid' io chiaro si com' io discerno
la dove mio ingegno parea manco,
che 'l mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun' arte,
e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,
per la ragion che di', quinci si parte
verso settentrion, quanto li Ebrei
vedevan lui verso la calda parte.
Ma se a te piace, volontier saprei
quanto avemo ad andar; che 'l poggio sale
piu che salir non posson li occhi miei>>.
Ed elli a me: <<Questa montagna e tale,
che sempre al cominciar di sotto e grave;
e quant' om piu va su, e men fa male.
Pero, quand' ella ti parra soave
tanto, che su andar ti fia leggero
com' a seconda giu andar per nave,
allor sarai al fin d'esto sentiero;
quivi di riposar l'affanno aspetta.
Piu non rispondo, e questo so per vero>>.
E com' elli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sono: <<Forse
che di sedere in pria avrai distretta! >>.
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
del qual ne io ne ei prima s'accorse.
La ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l'ombra dietro al sasso
come l'uom per negghienza a star si pone.
E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
tenendo 'l viso giu tra esse basso.
<<O dolce segnor mio>>, diss' io, <<adocchia
colui che mostra se piu negligente
che se pigrizia fosse sua serocchia>>.
Allor si volse a noi e puose mente,
movendo 'l viso pur su per la coscia,
e disse: <<Or va tu su, che se' valente! >>.
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
che m'avacciava un poco ancor la lena,
non m'impedi l'andare a lui; e poscia
ch'a lui fu' giunto, alzo la testa a pena,
dicendo: <<Hai ben veduto come 'l sole
da l'omero sinistro il carro mena? >>.
Li atti suoi pigri e le corte parole
mosser le labbra mie un poco a riso;
poi cominciai: <<Belacqua, a me non dole
di te omai; ma dimmi: perche assiso
quiritto se'? attendi tu iscorta,
o pur lo modo usato t'ha' ripriso? >>.
Ed elli: <<O frate, andar in su che porta?
che non mi lascerebbe ire a' martiri
l'angel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
di fuor da essa, quanto fece in vita,
per ch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,
se orazione in prima non m'aita
che surga su di cuor che in grazia viva;
l'altra che val, che 'n ciel non e udita? >>.
E gia il poeta innanzi mi saliva,
e dicea: <<Vienne omai; vedi ch'e tocco
meridian dal sole e a la riva
cuopre la notte gia col pie Morrocco>>.
Purgatorio ? Canto V
Io era gia da quell' ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando 'l dito,
una grido: <<Ve' che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca! >>.
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.
<<Perche l'animo tuo tanto s'impiglia>>,
disse 'l maestro, <<che l'andare allenti?
che ti fa cio che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
gia mai la cima per soffiar di venti;
che sempre l'omo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da se dilunga il segno,
perche la foga l'un de l'altro insolla>>.
Che potea io ridir, se non <<Io vegno>>?
Dissilo, alquanto del color consperso
che fa l'uom di perdon talvolta degno.
E 'ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando 'Miserere' a verso a verso.
Quando s'accorser ch'i' non dava loco
per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,
mutar lor canto in un <<oh! >> lungo e roco;
e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incontr' a noi e dimandarne:
<<Di vostra condizion fatene saggi>>.
E 'l mio maestro: <<Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che 'l corpo di costui e vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com' io avviso, assai e lor risposto:
faccianli onore, ed esser puo lor caro>>.
Vapori accesi non vid' io si tosto
di prima notte mai fender sereno,
ne, sol calando, nuvole d'agosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti la, con li altri a noi dier volta,
come schiera che scorre sanza freno.
<<Questa gente che preme a noi e molta,
e vegnonti a pregar>>, disse 'l poeta:
<<pero pur va, e in andando ascolta>>.
<<O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti>>,
venian gridando, <<un poco il passo queta.
Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
si che di lui di la novella porti:
deh, perche vai? deh, perche non t'arresti?
Noi fummo tutti gia per forza morti,
e peccatori infino a l'ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
si che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di se veder n'accora>>.
E io: <<Perche ne' vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma s'a voi piace
cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io faro per quella pace
che, dietro a' piedi di si fatta guida,
di mondo in mondo cercar mi si face>>.
E uno incomincio: <<Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che 'l voler nonpossa non ricida.
Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, si che ben per me s'adori
pur ch'i' possa purgar le gravi offese.
Quindi fu' io; ma li profondi fori
ond' usci 'l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
la dov' io piu sicuro esser credea:
quel da Esti il fe far, che m'avea in ira
assai piu la che dritto non volea.
Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
quando fu' sovragiunto ad Oriaco,
ancor sarei di la dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
m'impigliar si ch'i' caddi; e li vid' io
de le mie vene farsi in terra laco>>.
Poi disse un altro: <<Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l'alto monte,
con buona pietate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch'io vo tra costor con bassa fronte>>.
E io a lui: <<Qual forza o qual ventura
ti travio si fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura? >>.
<<Oh! >>, rispuos' elli, <<a pie del Casentino
traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
La 've 'l vocabol suo diventa vano,
arriva' io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini', e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io diro vero, e tu 'l ridi tra ' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: "O tu del ciel, perche mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io faro de l'altro altro governo! ".
Ben sai come ne l'aere si raccoglie
quell' umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
per la virtu che sua natura diede.
Indi la valle, come 'l di fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
si che 'l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a' fossati venne
di lei cio che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver' lo fiume real tanto veloce
si ruino, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovo l'Archian rubesto; e quel sospinse
ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
voltommi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse>>.
<<Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via>>,
seguito 'l terzo spirito al secondo,
<<ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fe, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma>>.
Purgatorio ? Canto VI
Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;
con l'altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;
el non s'arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, piu non fa pressa;
e cosi da la calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e la, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa.
Quiv' era l'Aretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
e l'altro ch'annego correndo in caccia.
Quivi pregava con le mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa
che fe parer lo buon Marzucco forte.
Vidi conte Orso e l'anima divisa
dal corpo suo per astio e per inveggia,
com' e' dicea, non per colpa commisa;
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
mentr' e di qua, la donna di Brabante,
si che pero non sia di peggior greggia.
Come libero fui da tutte quante
quell' ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
si che s'avacci lor divenir sante,
io cominciai: <<El par che tu mi nieghi,
o luce mia, espresso in alcun testo
che decreto del cielo orazion pieghi;
e questa gente prega pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana,
o non m'e 'l detto tuo ben manifesto? >>.
Ed elli a me: <<La mia scrittura e piana;
e la speranza di costor non falla,
se ben si guarda con la mente sana;
che cima di giudicio non s'avvalla
perche foco d'amor compia in un punto
cio che de' sodisfar chi qui s'astalla;
e la dov' io fermai cotesto punto,
non s'ammendava, per pregar, difetto,
perche 'l priego da Dio era disgiunto.
Veramente a cosi alto sospetto
non ti fermar, se quella nol ti dice
che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.
Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
di questo monte, ridere e felice>>.
E io: <<Segnore, andiamo a maggior fretta,
che gia non m'affatico come dianzi,
e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta>>.
<<Noi anderem con questo giorno innanzi>>,
rispuose, <<quanto piu potremo omai;
ma 'l fatto e d'altra forma che non stanzi.
Prima che sie la su, tornar vedrai
colui che gia si cuopre de la costa,
si che ' suoi raggi tu romper non fai.
Ma vedi la un'anima che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda:
quella ne 'nsegnera la via piu tosta>>.
Venimmo a lei: o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa
e nel mover de li occhi onesta e tarda!
Ella non ci dicea alcuna cosa,
ma lasciavane gir, solo sguardando
a guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
<<Mantua . . . >>, e l'ombra, tutta in se romita,
surse ver' lui del loco ove pria stava,
dicendo: <<O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra! >>; e l'un l'altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu cosi presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perche ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella e vota?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi cio che Dio ti nota,
guarda come esta fiera e fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'e fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costa distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color gia tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com' e oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e di e notte chiama:
<<Cesare mio, perche non m'accompagne? >>.
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
e se nulla di noi pieta ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito m'e, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O e preparazion che ne l'abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l'accorger nostro scisso?
Che le citta d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
merce del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: <<I' mi sobbarco! >>.
Or ti fa lieta, che tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
l'antiche leggi e furon si civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch'a mezzo novembre
non giugne quel che tu d'ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non puo trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
Purgatorio ? Canto VII
Poscia che l'accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: <<Voi, chi siete? >>.
<<Anzi che a questo monte fosser volte
l'anime degne di salire a Dio,
fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.
Io son Virgilio; e per null' altro rio
lo ciel perdei che per non aver fe>>.
Cosi rispuose allora il duca mio.
Qual e colui che cosa innanzi se
subita vede ond' e' si maraviglia,
che crede e non, dicendo <<Ella e . . . non e . . . >>,
tal parve quelli; e poi chino le ciglia,
e umilmente ritorno ver' lui,
e abbracciol la 've 'l minor s'appiglia.
<<O gloria di Latin>>, disse, <<per cui
mostro cio che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond' io fui,
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S'io son d'udir le tue parole degno,
dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra>>.
<<Per tutt' i cerchi del dolente regno>>,
rispuose lui, <<son io di qua venuto;
virtu del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l'alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto.
Luogo e la giu non tristo di martiri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri.
Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da l'umana colpa essenti;
quivi sto io con quei che le tre sante
virtu non si vestiro, e sanza vizio
conobber l'altre e seguir tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
da noi per che venir possiam piu tosto
la dove purgatorio ha dritto inizio>>.
Rispuose: <<Loco certo non c'e posto;
licito m'e andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.
Ma vedi gia come dichina il giorno,
e andar su di notte non si puote;
pero e buon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qua remote;
se mi consenti, io ti merro ad esse,
e non sanza diletto ti fier note>>.
<<Com' e cio? >>, fu risposto. <<Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
d'altrui, o non sarria che non potesse? >>.
E 'l buon Sordello in terra frego 'l dito,
dicendo: <<Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo 'l sol partito:
non pero ch'altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga.
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che l'orizzonte il di tien chiuso>>.
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
<<Menane>>, disse, <<dunque la 've dici
ch'aver si puo diletto dimorando>>.
Poco allungati c'eravam di lici,
quand' io m'accorsi che 'l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici.
<<Cola>>, disse quell' ombra, <<n'anderemo
dove la costa face di se grembo;
e la il novo giorno attenderemo>>.
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
la dove piu ch'a mezzo muore il lembo.
Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,
da l'erba e da li fior, dentr' a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore e vinto il meno.
Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavita di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto.
'Salve, Regina' in sul verde e 'n su' fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori.
<<Prima che 'l poco sole omai s'annidi>>,
comincio 'l Mantoan che ci avea volti,
<<tra color non vogliate ch'io vi guidi.
Di questo balzo meglio li atti e ' volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giu tra essi accolti.
Colui che piu siede alto e fa sembianti
d'aver negletto cio che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti,
Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c'hanno Italia morta,
si che tardi per altri si ricrea.
L'altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l'acqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui c'ha si benigno aspetto,
mori fuggendo e disfiorando il giglio:
guardate la come si batte il petto!
