La giu 'l butto, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.
Dante - La Divina Commedia
Poi cominciai: <<Non dispetto, ma doglia
la vostra condizion dentro mi fisse,
tanta che tardi tutta si dispoglia,
tosto che questo mio segnor mi disse
parole per le quali i' mi pensai
che qual voi siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono, e sempre mai
l'ovra di voi e li onorati nomi
con affezion ritrassi e ascoltai.
Lascio lo fele e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
ma 'nfino al centro pria convien ch'i' tomi>>.
<<Se lungamente l'anima conduca
le membra tue>>, rispuose quelli ancora,
<<e se la fama tua dopo te luca,
cortesia e valor di se dimora
ne la nostra citta si come suole,
o se del tutto se n'e gita fora;
che Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco e va la coi compagni,
assai ne cruccia con le sue parole>>.
<<La gente nuova e i subiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, si che tu gia ten piagni>>.
Cosi gridai con la faccia levata;
e i tre, che cio inteser per risposta,
guardar l'un l'altro com' al ver si guata.
<<Se l'altre volte si poco ti costa>>,
rispuoser tutti, <<il satisfare altrui,
felice te se si parli a tua posta!
Pero, se campi d'esti luoghi bui
e torni a riveder le belle stelle,
quando ti giovera dicere "I' fui",
fa che di noi a la gente favelle>>.
Indi rupper la rota, e a fuggirsi
ali sembiar le gambe loro isnelle.
Un amen non saria possuto dirsi
tosto cosi com' e' fuoro spariti;
per ch'al maestro parve di partirsi.
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
che 'l suon de l'acqua n'era si vicino,
che per parlar saremmo a pena uditi.
Come quel fiume c'ha proprio cammino
prima dal Monte Viso 'nver' levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giu nel basso letto,
e a Forli di quel nome e vacante,
rimbomba la sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
cosi, giu d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell' acqua tinta,
si che 'n poc' ora avria l'orecchia offesa.
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.
Poscia ch'io l'ebbi tutta da me sciolta,
si come 'l duca m'avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond' ei si volse inver' lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gitto giuso in quell' alto burrato.
'E' pur convien che novita risponda',
dicea fra me medesmo, 'al novo cenno
che 'l maestro con l'occhio si seconda'.
Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
presso a color che non veggion pur l'ovra,
ma per entro i pensier miran col senno!
El disse a me: <<Tosto verra di sovra
cio ch'io attendo e che il tuo pensier sogna;
tosto convien ch'al tuo viso si scovra>>.
Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna
de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote,
pero che sanza colpa fa vergogna;
ma qui tacer nol posso; e per le note
di questa comedia, lettor, ti giuro,
s'elle non sien di lunga grazia vote,
ch'i' vidi per quell' aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
si come torna colui che va giuso
talora a solver l'ancora ch'aggrappa
o scoglio o altro che nel mare e chiuso,
che 'n su si stende e da pie si rattrappa.
Inferno ? Canto XVII
<<Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!
Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza! >>.
Si comincio lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin d'i passeggiati marmi.
E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivo la testa e 'l busto,
ma 'n su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia d'uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d'un serpente tutto l'altro fusto;
due branche avea pilose insin l'ascelle;
lo dosso e 'l petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
Con piu color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari ne Turchi,
ne fuor tai tele per Aragne imposte.
Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come la tra li Tedeschi lurchi
lo bivero s'assetta a far sua guerra,
cosi la fiera pessima si stava
su l'orlo ch'e di pietra e 'l sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in su la venenosa forca
ch'a guisa di scorpion la punta armava.
Lo duca disse: <<Or convien che si torca
la nostra via un poco insino a quella
bestia malvagia che cola si corca>>.
Pero scendemmo a la destra mammella,
e diece passi femmo in su lo stremo,
per ben cessar la rena e la fiammella.
E quando noi a lei venuti semo,
poco piu oltre veggio in su la rena
gente seder propinqua al loco scemo.
Quivi 'l maestro <<Accio che tutta piena
esperienza d'esto giron porti>>,
mi disse, <<va, e vedi la lor mena.
Li tuoi ragionamenti sian la corti;
mentre che torni, parlero con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti>>.
Cosi ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
andai, dove sedea la gente mesta.
Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di la soccorrien con le mani
quando a' vapori, e quando al caldo suolo:
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col pie, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.
Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne' quali 'l doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi
che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch'avea certo colore e certo segno,
e quindi par che 'l loro occhio si pasca.
E com' io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
che d'un leone avea faccia e contegno.
Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un'altra come sangue rossa,
mostrando un'oca bianca piu che burro.
E un che d'una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: <<Che fai tu in questa fossa?
Or te ne va; e perche se' vivo anco,
sappi che 'l mio vicin Vitaliano
sedera qui dal mio sinistro fianco.
Con questi Fiorentin son padoano:
spesse fiate mi 'ntronan li orecchi
gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano,
che rechera la tasca con tre becchi! ">>.
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
la lingua, come bue che 'l naso lecchi.
E io, temendo no 'l piu star crucciasse
lui che di poco star m'avea 'mmonito,
torna'mi in dietro da l'anime lasse.
Trova' il duca mio ch'era salito
gia su la groppa del fiero animale,
e disse a me: <<Or sie forte e ardito.
Omai si scende per si fatte scale;
monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,
si che la coda non possa far male>>.
Qual e colui che si presso ha 'l riprezzo
de la quartana, c'ha gia l'unghie smorte,
e triema tutto pur guardando 'l rezzo,
tal divenn' io a le parole porte;
ma vergogna mi fe le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte.
I' m'assettai in su quelle spallacce;
si volli dir, ma la voce non venne
com' io credetti: 'Fa che tu m'abbracce'.
Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch'i' montai
con le braccia m'avvinse e mi sostenne;
e disse: <<Gerion, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai>>.
Come la navicella esce di loco
in dietro in dietro, si quindi si tolse;
e poi ch'al tutto si senti a gioco,
la 'v' era 'l petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come anguilla, mosse,
e con le branche l'aere a se raccolse.
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandono li freni,
per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse;
ne quando Icaro misero le reni
senti spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui <<Mala via tieni! >>,
che fu la mia, quando vidi ch'i' era
ne l'aere d'ogne parte, e vidi spenta
ogne veduta fuor che de la fera.
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta.
Io sentia gia da la man destra il gorgo
far sotto noi un orribile scroscio,
per che con li occhi 'n giu la testa sporgo.
Allor fu' io piu timido a lo stoscio,
pero ch'i' vidi fuochi e senti' pianti;
ond' io tremando tutto mi raccoscio.
E vidi poi, che nol vedea davanti,
lo scendere e 'l girar per li gran mali
che s'appressavan da diversi canti.
Come 'l falcon ch'e stato assai su l'ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere <<Ome, tu cali! >>,
discende lasso onde si move isnello,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello;
cosi ne puose al fondo Gerione
al pie al pie de la stagliata rocca,
e, discarcate le nostre persone,
si dileguo come da corda cocca.
Inferno ? Canto XVIII
Luogo e in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno
vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
di cui suo loco dicero l'ordigno.
Quel cinghio che rimane adunque e tondo
tra 'l pozzo e 'l pie de l'alta ripa dura,
e ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia de le mura
piu e piu fossi cingon li castelli,
la parte dove son rende figura,
tale imagine quivi facean quelli;
e come a tai fortezze da' lor sogli
a la ripa di fuor son ponticelli,
cosi da imo de la roccia scogli
movien che ricidien li argini e ' fossi
infino al pozzo che i tronca e raccogli.
In questo luogo, de la schiena scossi
di Gerion, trovammoci; e 'l poeta
tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
A la man destra vidi nova pieta,
novo tormento e novi frustatori,
di che la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori;
dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto,
di la con noi, ma con passi maggiori,
come i Roman per l'essercito molto,
l'anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto,
che da l'un lato tutti hanno la fronte
verso 'l castello e vanno a Santo Pietro,
da l'altra sponda vanno verso 'l monte.
Di qua, di la, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battien crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze
a le prime percosse! gia nessuno
le seconde aspettava ne le terze.
Mentr' io andava, li occhi miei in uno
furo scontrati; e io si tosto dissi:
<<Gia di veder costui non son digiuno>>.
Per ch'io a figurarlo i piedi affissi;
e 'l dolce duca meco si ristette,
e assentio ch'alquanto in dietro gissi.
E quel frustato celar si credette
bassando 'l viso; ma poco li valse,
ch'io dissi: <<O tu che l'occhio a terra gette,
se le fazion che porti non son false,
Venedico se' tu Caccianemico.
Ma che ti mena a si pungenti salse? >>.
Ed elli a me: <<Mal volontier lo dico;
ma sforzami la tua chiara favella,
che mi fa sovvenir del mondo antico.
I' fui colui che la Ghisolabella
condussi a far la voglia del marchese,
come che suoni la sconcia novella.
E non pur io qui piango bolognese;
anzi n'e questo loco tanto pieno,
che tante lingue non son ora apprese
a dicer 'sipa' tra Savena e Reno;
e se di cio vuoi fede o testimonio,
recati a mente il nostro avaro seno>>.
Cosi parlando il percosse un demonio
de la sua scuriada, e disse: <<Via,
ruffian! qui non son femmine da conio>>.
I' mi raggiunsi con la scorta mia;
poscia con pochi passi divenimmo
la 'v' uno scoglio de la ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo;
e volti a destra su per la sua scheggia,
da quelle cerchie etterne ci partimmo.
Quando noi fummo la dov' el vaneggia
di sotto per dar passo a li sferzati,
lo duca disse: <<Attienti, e fa che feggia
lo viso in te di quest' altri mal nati,
ai quali ancor non vedesti la faccia
pero che son con noi insieme andati>>.
Del vecchio ponte guardavam la traccia
che venia verso noi da l'altra banda,
e che la ferza similmente scaccia.
E 'l buon maestro, sanza mia dimanda,
mi disse: <<Guarda quel grande che vene,
e per dolor non par lagrime spanda:
quanto aspetto reale ancor ritene!
Quelli e Iason, che per cuore e per senno
li Colchi del monton privati fene.
Ello passo per l'isola di Lenno
poi che l'ardite femmine spietate
tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate
Isifile inganno, la giovinetta
che prima avea tutte l'altre ingannate.
Lasciolla quivi, gravida, soletta;
tal colpa a tal martiro lui condanna;
e anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna;
e questo basti de la prima valle
sapere e di color che 'n se assanna>>.
Gia eravam la 've lo stretto calle
con l'argine secondo s'incrocicchia,
e fa di quello ad un altr' arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l'altra bolgia e che col muso scuffa,
e se medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d'una muffa,
per l'alito di giu che vi s'appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo e cupo si, che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l'arco, ove lo scoglio piu sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giu nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.
E mentre ch'io la giu con l'occhio cerco,
vidi un col capo si di merda lordo,
che non parea s'era laico o cherco.
Quei mi sgrido: <<Perche se' tu si gordo
di riguardar piu me che li altri brutti? >>.
E io a lui: <<Perche, se ben ricordo,
gia t'ho veduto coi capelli asciutti,
e se' Alessio Interminei da Lucca:
pero t'adocchio piu che li altri tutti>>.
Ed elli allor, battendosi la zucca:
<<Qua giu m'hanno sommerso le lusinghe
ond' io non ebbi mai la lingua stucca>>.
Appresso cio lo duca <<Fa che pinghe>>,
mi disse, <<il viso un poco piu avante,
si che la faccia ben con l'occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante
che la si graffia con l'unghie merdose,
e or s'accoscia e ora e in piedi stante.
Taide e, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse "Ho io grazie
grandi apo te? ": "Anzi maravigliose! ".
E quinci sian le nostre viste sazie>>.
Inferno ? Canto XIX
O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci
per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
pero che ne la terza bolgia state.
Gia eravamo, a la seguente tomba,
montati de lo scoglio in quella parte
ch'a punto sovra mezzo 'l fosso piomba.
O somma sapienza, quanta e l'arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
e quanto giusto tua virtu comparte!
Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fori,
d'un largo tutti e ciascun era tondo.
Non mi parean men ampi ne maggiori
che que' che son nel mio bel San Giovanni,
fatti per loco d'i battezzatori;
l'un de li quali, ancor non e molt' anni,
rupp' io per un che dentro v'annegava:
e questo sia suggel ch'ogn' omo sganni.
Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d'un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l'altro dentro stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che si forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe.
Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
tal era li dai calcagni a le punte.
<<Chi e colui, maestro, che si cruccia
guizzando piu che li altri suoi consorti>>,
diss' io, <<e cui piu roggia fiamma succia? >>.
Ed elli a me: <<Se tu vuo' ch'i' ti porti
la giu per quella ripa che piu giace,
da lui saprai di se e de' suoi torti>>.
E io: <<Tanto m'e bel, quanto a te piace:
tu se' segnore, e sai ch'i' non mi parto
dal tuo volere, e sai quel che si tace>>.
Allor venimmo in su l'argine quarto;
volgemmo e discendemmo a mano stanca
la giu nel fondo foracchiato e arto.
Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dipuose, si mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca.
<<O qual che se' che 'l di su tien di sotto,
anima trista come pal commessa>>,
comincia' io a dir, <<se puoi, fa motto>>.
Io stava come 'l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch'e fitto,
richiama lui per che la morte cessa.
Ed el grido: <<Se' tu gia costi ritto,
se' tu gia costi ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi menti lo scritto.
Se' tu si tosto di quell' aver sazio
per lo qual non temesti torre a 'nganno
la bella donna, e poi di farne strazio? >>.
Tal mi fec' io, quai son color che stanno,
per non intender cio ch'e lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.
Allor Virgilio disse: <<Dilli tosto:
"Non son colui, non son colui che credi">>;
e io rispuosi come a me fu imposto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: <<Dunque che a me richiedi?
Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto,
che tu abbi pero la ripa corsa,
sappi ch'i' fui vestito del gran manto;
e veramente fui figliuol de l'orsa,
cupido si per avanzar li orsatti,
che su l'avere e qui me misi in borsa.
Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra piatti.
La giu caschero io altresi quando
verra colui ch'i' credea che tu fossi,
allor ch'i' feci 'l subito dimando.
Ma piu e 'l tempo gia che i pie mi cossi
e ch'i' son stato cosi sottosopra,
ch'el non stara piantato coi pie rossi:
che dopo lui verra di piu laida opra,
di ver' ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.
Nuovo Iason sara, di cui si legge
ne' Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, cosi fia lui chi Francia regge>>.
Io non so s'i' mi fui qui troppo folle,
ch'i' pur rispuosi lui a questo metro:
<<Deh, or mi di: quanto tesoro volle
Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch'ei ponesse le chiavi in sua balia?
Certo non chiese se non "Viemmi retro".
Ne Pier ne li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perde l'anima ria.
Pero ti sta, che tu se' ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch'esser ti fece contra Carlo ardito.
E se non fosse ch'ancor lo mi vieta
la reverenza de le somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta,
io userei parole ancor piu gravi;
che la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi.
Di voi pastor s'accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l'acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque.
Fatto v'avete dio d'oro e d'argento;
e che altro e da voi a l'idolatre,
se non ch'elli uno, e voi ne orate cento?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre! >>.
E mentr' io li cantava cotai note,
o ira o coscienza che 'l mordesse,
forte spingava con ambo le piote.
I' credo ben ch'al mio duca piacesse,
con si contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse.
Pero con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s'ebbe al petto,
rimonto per la via onde discese.
Ne si stanco d'avermi a se distretto,
si men porto sovra 'l colmo de l'arco
che dal quarto al quinto argine e tragetto.
Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco.
Indi un altro vallon mi fu scoperto.
Inferno ? Canto XX
Di nova pena mi conven far versi
e dar matera al ventesimo canto
de la prima canzon, ch'e d'i sommersi.
Io era gia disposto tutto quanto
a riguardar ne lo scoperto fondo,
che si bagnava d'angoscioso pianto;
e vidi gente per lo vallon tondo
venir, tacendo e lagrimando, al passo
che fanno le letane in questo mondo.
Come 'l viso mi scese in lor piu basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso,
che da le reni era tornato 'l volto,
e in dietro venir li convenia,
perche 'l veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza gia di parlasia
si travolse cosi alcun del tutto;
ma io nol vidi, ne credo che sia.
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
di tua lezione, or pensa per te stesso
com' io potea tener lo viso asciutto,
quando la nostra imagine di presso
vidi si torta, che 'l pianto de li occhi
le natiche bagnava per lo fesso.
Certo io piangea, poggiato a un de' rocchi
del duro scoglio, si che la mia scorta
mi disse: <<Ancor se' tu de li altri sciocchi?
Qui vive la pieta quand' e ben morta;
chi e piu scellerato che colui
che al giudicio divin passion comporta?
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
s'aperse a li occhi d'i Teban la terra;
per ch'ei gridavan tutti: "Dove rui,
Anfiarao? perche lasci la guerra? ".
E non resto di ruinare a valle
fino a Minos che ciascheduno afferra.
Mira c'ha fatto petto de le spalle;
perche volle veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.
Vedi Tiresia, che muto sembiante
quando di maschio femmina divenne,
cangiandosi le membra tutte quante;
e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
che riavesse le maschili penne.
Aronta e quel ch'al ventre li s'atterga,
che ne' monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga,
ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e 'l mar non li era la veduta tronca.
E quella che ricuopre le mammelle,
che tu non vedi, con le trecce sciolte,
e ha di la ogne pilosa pelle,
Manto fu, che cerco per terre molte;
poscia si puose la dove nacqu' io;
onde un poco mi piace che m'ascolte.
Poscia che 'l padre suo di vita uscio
e venne serva la citta di Baco,
questa gran tempo per lo mondo gio.
Suso in Italia bella giace un laco,
a pie de l'Alpe che serra Lamagna
sovra Tiralli, c'ha nome Benaco.
Per mille fonti, credo, e piu si bagna
tra Garda e Val Camonica e Pennino
de l'acqua che nel detto laco stagna.
Loco e nel mezzo la dove 'l trentino
pastore e quel di Brescia e 'l veronese
segnar poria, s'e' fesse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese
da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
ove la riva 'ntorno piu discese.
Ivi convien che tutto quanto caschi
cio che 'n grembo a Benaco star non puo,
e fassi fiume giu per verdi paschi.
Tosto che l'acqua a correr mette co,
non piu Benaco, ma Mencio si chiama
fino a Governol, dove cade in Po.
Non molto ha corso, ch'el trova una lama,
ne la qual si distende e la 'mpaluda;
e suol di state talor essere grama.
Quindi passando la vergine cruda
vide terra, nel mezzo del pantano,
sanza coltura e d'abitanti nuda.
Li, per fuggire ogne consorzio umano,
ristette con suoi servi a far sue arti,
e visse, e vi lascio suo corpo vano.
Li uomini poi che 'ntorno erano sparti
s'accolsero a quel loco, ch'era forte
per lo pantan ch'avea da tutte parti.
Fer la citta sovra quell' ossa morte;
e per colei che 'l loco prima elesse,
Mantua l'appellar sanz' altra sorte.
Gia fuor le genti sue dentro piu spesse,
prima che la mattia da Casalodi
da Pinamonte inganno ricevesse.
Pero t'assenno che, se tu mai odi
originar la mia terra altrimenti,
la verita nulla menzogna frodi>>.
E io: <<Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son si certi e prendon si mia fede,
che li altri mi sarien carboni spenti.
Ma dimmi, de la gente che procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
che solo a cio la mia mente rifiede>>.
Allor mi disse: <<Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
fu--quando Grecia fu di maschi vota,
si ch'a pena rimaser per le cune--
augure, e diede 'l punto con Calcanta
in Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e cosi 'l canta
l'alta mia tragedia in alcun loco:
ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
Quell' altro che ne' fianchi e cosi poco,
Michele Scotto fu, che veramente
de le magiche frode seppe 'l gioco.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch'avere inteso al cuoio e a lo spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasciaron l'ago,
la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine;
fecer malie con erbe e con imago.
Ma vienne omai, che gia tiene 'l confine
d'amendue li emisperi e tocca l'onda
sotto Sobilia Caino e le spine;
e gia iernotte fu la luna tonda:
ben ten de' ricordar, che non ti nocque
alcuna volta per la selva fonda>>.
Si mi parlava, e andavamo introcque.
Inferno ? Canto XXI
Cosi di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedia cantar non cura,
venimmo; e tenavamo 'l colmo, quando
restammo per veder l'altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidila mirabilmente oscura.
Quale ne l'arzana de' Viniziani
bolle l'inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
che navicar non ponno--in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che piu viaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa--:
tal, non per foco ma per divin' arte,
bollia la giuso una pegola spessa,
che 'nviscava la ripa d'ogne parte.
I' vedea lei, ma non vedea in essa
mai che le bolle che 'l bollor levava,
e gonfiar tutta, e riseder compressa.
Mentr' io la giu fisamente mirava,
lo duca mio, dicendo <<Guarda, guarda! >>,
mi trasse a se del loco dov' io stava.
Allor mi volsi come l'uom cui tarda
di veder quel che li convien fuggire
e cui paura subita sgagliarda,
che, per veder, non indugia 'l partire:
e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quant' elli era ne l'aspetto fero!
e quanto mi parea ne l'atto acerbo,
con l'ali aperte e sovra i pie leggero!
L'omero suo, ch'era aguto e superbo,
carcava un peccator con ambo l'anche,
e quei tenea de' pie ghermito 'l nerbo.
Del nostro ponte disse: <<O Malebranche,
ecco un de li anzian di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch'i' torno per anche
a quella terra, che n'e ben fornita:
ogn' uom v'e barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita>>.
La giu 'l butto, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quel s'attuffo, e torno su convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: <<Qui non ha loco il Santo Volto!
qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Pero, se tu non vuo' di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio>>.
Poi l'addentar con piu di cento raffi,
disser: <<Coverto convien che qui balli,
si che, se puoi, nascosamente accaffi>>.
Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli
fanno attuffare in mezzo la caldaia
la carne con li uncin, perche non galli.
Lo buon maestro <<Accio che non si paia
che tu ci sia>>, mi disse, <<giu t'acquatta
dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia;
e per nulla offension che mi sia fatta,
non temer tu, ch'i' ho le cose conte,
perch' altra volta fui a tal baratta>>.
Poscia passo di la dal co del ponte;
e com' el giunse in su la ripa sesta,
mestier li fu d'aver sicura fronte.
Con quel furore e con quella tempesta
ch'escono i cani a dosso al poverello
che di subito chiede ove s'arresta,
usciron quei di sotto al ponticello,
e volser contra lui tutt' i runcigli;
ma el grido: <<Nessun di voi sia fello!
Innanzi che l'uncin vostro mi pigli,
traggasi avante l'un di voi che m'oda,
e poi d'arruncigliarmi si consigli>>.
Tutti gridaron: <<Vada Malacoda! >>;
per ch'un si mosse--e li altri stetter fermi--
e venne a lui dicendo: <<Che li approda? >>.
<<Credi tu, Malacoda, qui vedermi
esser venuto>>, disse 'l mio maestro,
<<sicuro gia da tutti vostri schermi,
sanza voler divino e fato destro?
Lascian' andar, che nel cielo e voluto
ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro>>.
Allor li fu l'orgoglio si caduto,
ch'e' si lascio cascar l'uncino a' piedi,
e disse a li altri: <<Omai non sia feruto>>.
E 'l duca mio a me: <<O tu che siedi
tra li scheggion del ponte quatto quatto,
sicuramente omai a me ti riedi>>.
Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto;
e i diavoli si fecer tutti avanti,
si ch'io temetti ch'ei tenesser patto;
cosi vid' io gia temer li fanti
ch'uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo se tra nemici cotanti.
I' m'accostai con tutta la persona
lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi
da la sembianza lor ch'era non buona.
Ei chinavan li raffi e <<Vuo' che 'l tocchi>>,
diceva l'un con l'altro, <<in sul groppone? >>.
E rispondien: <<Si, fa che gliel' accocchi>>.
Ma quel demonio che tenea sermone
col duca mio, si volse tutto presto
e disse: <<Posa, posa, Scarmiglione! >>.
Poi disse a noi: <<Piu oltre andar per questo
iscoglio non si puo, pero che giace
tutto spezzato al fondo l'arco sesto.
E se l'andare avante pur vi piace,
andatevene su per questa grotta;
presso e un altro scoglio che via face.
Ier, piu oltre cinqu' ore che quest' otta,
mille dugento con sessanta sei
anni compie che qui la via fu rotta.
Io mando verso la di questi miei
a riguardar s'alcun se ne sciorina;
gite con lor, che non saranno rei>>.
<<Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina>>,
comincio elli a dire, <<e tu, Cagnazzo;
e Barbariccia guidi la decina.
Libicocco vegn' oltre e Draghignazzo,
Ciriatto sannuto e Graffiacane
e Farfarello e Rubicante pazzo.
Cercate 'ntorno le boglienti pane;
costor sian salvi infino a l'altro scheggio
che tutto intero va sovra le tane>>.
<<Ome, maestro, che e quel ch'i' veggio? >>,
diss' io, <<deh, sanza scorta andianci soli,
se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio.
Se tu se' si accorto come suoli,
non vedi tu ch'e' digrignan li denti
e con le ciglia ne minaccian duoli? >>.
Ed elli a me: <<Non vo' che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch'e' fanno cio per li lessi dolenti>>.
Per l'argine sinistro volta dienno;
ma prima avea ciascun la lingua stretta
coi denti, verso lor duca, per cenno;
ed elli avea del cul fatto trombetta.
Inferno ? Canto XXII
Io vidi gia cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo;
corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane,
fedir torneamenti e correr giostra;
quando con trombe, e quando con campane,
con tamburi e con cenni di castella,
e con cose nostrali e con istrane;
ne gia con si diversa cennamella
cavalier vidi muover ne pedoni,
ne nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li diece demoni.
Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
Pur a la pegola era la mia 'ntesa,
per veder de la bolgia ogne contegno
e de la gente ch'entro v'era incesa.
Come i dalfini, quando fanno segno
a' marinar con l'arco de la schiena
che s'argomentin di campar lor legno,
talor cosi, ad alleggiar la pena,
mostrav' alcun de' peccatori 'l dosso
e nascondea in men che non balena.
E come a l'orlo de l'acqua d'un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fuori,
si che celano i piedi e l'altro grosso,
si stavan d'ogne parte i peccatori;
ma come s'appressava Barbariccia,
cosi si ritraen sotto i bollori.
I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia,
uno aspettar cosi, com' elli 'ncontra
ch'una rana rimane e l'altra spiccia;
e Graffiacan, che li era piu di contra,
li arrunciglio le 'mpegolate chiome
e trassel su, che mi parve una lontra.
I' sapea gia di tutti quanti 'l nome,
si li notai quando fuorono eletti,
e poi ch'e' si chiamaro, attesi come.
<<O Rubicante, fa che tu li metti
li unghioni a dosso, si che tu lo scuoi! >>,
gridavan tutti insieme i maladetti.
E io: <<Maestro mio, fa, se tu puoi,
che tu sappi chi e lo sciagurato
venuto a man de li avversari suoi>>.
Lo duca mio li s'accosto allato;
domandollo ond' ei fosse, e quei rispuose:
<<I' fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d'un segnor mi puose,
che m'avea generato d'un ribaldo,
distruggitor di se e di sue cose.
Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;
quivi mi misi a far baratteria,
di ch'io rendo ragione in questo caldo>>.
E Ciriatto, a cui di bocca uscia
d'ogne parte una sanna come a porco,
li fe sentir come l'una sdruscia.
Tra male gatte era venuto 'l sorco;
ma Barbariccia il chiuse con le braccia
e disse: <<State in la, mentr' io lo 'nforco>>.
E al maestro mio volse la faccia;
<<Domanda>>, disse, <<ancor, se piu disii
saper da lui, prima ch'altri 'l disfaccia>>.
Lo duca dunque: <<Or di: de li altri rii
conosci tu alcun che sia latino
sotto la pece? >>. E quelli: <<I' mi partii,
poco e, da un che fu di la vicino.
Cosi foss' io ancor con lui coperto,
ch'i' non temerei unghia ne uncino! >>.
E Libicocco <<Troppo avem sofferto>>,
disse; e preseli 'l braccio col runciglio,
si che, stracciando, ne porto un lacerto.
Draghignazzo anco i volle dar di piglio
giuso a le gambe; onde 'l decurio loro
si volse intorno intorno con mal piglio.
Quand' elli un poco rappaciati fuoro,
a lui, ch'ancor mirava sua ferita,
domando 'l duca mio sanza dimoro:
<<Chi fu colui da cui mala partita
di' che facesti per venire a proda? >>.
Ed ei rispuose: <<Fu frate Gomita,
quel di Gallura, vasel d'ogne froda,
ch'ebbe i nemici di suo donno in mano,
e fe si lor, che ciascun se ne loda.
Danar si tolse e lasciolli di piano,
si com' e' dice; e ne li altri offici anche
barattier fu non picciol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
di Logodoro; e a dir di Sardigna
le lingue lor non si sentono stanche.
Ome, vedete l'altro che digrigna;
i' direi anche, ma i' temo ch'ello
non s'apparecchi a grattarmi la tigna>>.
E 'l gran proposto, volto a Farfarello
che stralunava li occhi per fedire,
disse: <<Fatti 'n costa, malvagio uccello! >>.
<<Se voi volete vedere o udire>>,
ricomincio lo spaurato appresso,
<<Toschi o Lombardi, io ne faro venire;
ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
si ch'ei non teman de le lor vendette;
e io, seggendo in questo loco stesso,
per un ch'io son, ne faro venir sette
quand' io suffolero, com' e nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette>>.
Cagnazzo a cotal motto levo 'l muso,
crollando 'l capo, e disse: <<Odi malizia
ch'elli ha pensata per gittarsi giuso! >>.
Ond' ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia,
rispuose: <<Malizioso son io troppo,
quand' io procuro a' mia maggior trestizia>>.
Alichin non si tenne e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: <<Se tu ti cali,
io non ti verro dietro di gualoppo,
ma battero sovra la pece l'ali.
Lascisi 'l collo, e sia la ripa scudo,
a veder se tu sol piu di noi vali>>.
O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da l'altra costa li occhi volse,
quel prima, ch'a cio fare era piu crudo.
Lo Navarrese ben suo tempo colse;
fermo le piante a terra, e in un punto
salto e dal proposto lor si sciolse.
Di che ciascun di colpa fu compunto,
ma quei piu che cagion fu del difetto;
pero si mosse e grido: <<Tu se' giunto! >>.
Ma poco i valse: che l'ali al sospetto
non potero avanzar; quelli ando sotto,
e quei drizzo volando suso il petto:
non altrimenti l'anitra di botto,
quando 'l falcon s'appressa, giu s'attuffa,
ed ei ritorna su crucciato e rotto.
Irato Calcabrina de la buffa,
volando dietro li tenne, invaghito
che quei campasse per aver la zuffa;
e come 'l barattier fu disparito,
cosi volse li artigli al suo compagno,
e fu con lui sopra 'l fosso ghermito.
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno
ad artigliar ben lui, e amendue
cadder nel mezzo del bogliente stagno.
Lo caldo sghermitor subito fue;
ma pero di levarsi era neente,
si avieno inviscate l'ali sue.
Barbariccia, con li altri suoi dolente,
quattro ne fe volar da l'altra costa
con tutt' i raffi, e assai prestamente
di qua, di la discesero a la posta;
porser li uncini verso li 'mpaniati,
ch'eran gia cotti dentro da la crosta.
E noi lasciammo lor cosi 'mpacciati.
Inferno ? Canto XXIII
Taciti, soli, sanza compagnia
n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo,
come frati minor vanno per via.
Volt' era in su la favola d'Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
dov' el parlo de la rana e del topo;
che piu non si pareggia 'mo' e 'issa'
che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia
principio e fine con la mente fissa.
E come l'un pensier de l'altro scoppia,
cosi nacque di quello un altro poi,
che la prima paura mi fe doppia.
Io pensava cosi: 'Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
si fatta, ch'assai credo che lor noi.
Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa,
ei ne verranno dietro piu crudeli
che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa'.
Gia mi sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
quand' io dissi: <<Maestro, se non celi
te e me tostamente, i' ho pavento
d'i Malebranche. Noi li avem gia dietro;
io li 'magino si, che gia li sento>>.
E quei: <<S'i' fossi di piombato vetro,
l'imagine di fuor tua non trarrei
piu tosto a me, che quella dentro 'mpetro.
Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei,
con simile atto e con simile faccia,
si che d'intrambi un sol consiglio fei.
S'elli e che si la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l'altra bolgia scendere,
noi fuggirem l'imaginata caccia>>.
Gia non compie di tal consiglio rendere,
ch'io li vidi venir con l'ali tese
non molto lungi, per volerne prendere.
Lo duca mio di subito mi prese,
come la madre ch'al romore e desta
e vede presso a se le fiamme accese,
che prende il figlio e fugge e non s'arresta,
avendo piu di lui che di se cura,
tanto che solo una camiscia vesta;
e giu dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
che l'un de' lati a l'altra bolgia tura.
Non corse mai si tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
quand' ella piu verso le pale approccia,
come 'l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra 'l suo petto,
come suo figlio, non come compagno.
A pena fuoro i pie suoi giunti al letto
del fondo giu, ch'e' furon in sul colle
sovresso noi; ma non li era sospetto:
che l'alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
poder di partirs' indi a tutti tolle.
La giu trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugni per li monaci fassi.
Di fuor dorate son, si ch'elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia.
Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto;
ma per lo peso quella gente stanca
venia si pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d'anca.
Per ch'io al duca mio: <<Fa che tu trovi
alcun ch'al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, si andando, intorno movi>>.
E un che 'ntese la parola tosca,
di retro a noi grido: <<Tenete i piedi,
voi che correte si per l'aura fosca!
Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi>>.
Onde 'l duca si volse e disse: <<Aspetta,
e poi secondo il suo passo procedi>>.
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l'animo, col viso, d'esser meco;
ma tardavali 'l carco e la via stretta.
Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in se, e dicean seco:
<<Costui par vivo a l'atto de la gola;
e s'e' son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola? >>.
Poi disser me: <<O Tosco, ch'al collegio
de l'ipocriti tristi se' venuto,
dir chi tu se' non avere in dispregio>>.
E io a loro: <<I' fui nato e cresciuto
sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa,
e son col corpo ch'i' ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant' i' veggio dolor giu per le guance?
e che pena e in voi che si sfavilla? >>.
E l'un rispuose a me: <<Le cappe rance
son di piombo si grosse, che li pesi
fan cosi cigolar le lor bilance.
Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi
come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch'ancor si pare intorno dal Gardingo>>.
Io cominciai: <<O frati, i vostri mali . . . >>;
ma piu non dissi, ch'a l'occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e 'l frate Catalan, ch'a cio s'accorse,
mi disse: <<Quel confitto che tu miri,
consiglio i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a' martiri.
Attraversato e, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed e mestier ch'el senta
qualunque passa, come pesa, pria.
E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa>>.
Allor vid' io maravigliar Virgilio
sovra colui ch'era disteso in croce
tanto vilmente ne l'etterno essilio.
Poscia drizzo al frate cotal voce:
<<Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
s'a la man destra giace alcuna foce
onde noi amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
che vegnan d'esto fondo a dipartirci>>.
Rispuose adunque: <<Piu che tu non speri
s'appressa un sasso che da la gran cerchia
si move e varca tutt' i vallon feri,
salvo che 'n questo e rotto e nol coperchia;
montar potrete su per la ruina,
che giace in costa e nel fondo soperchia>>.
Lo duca stette un poco a testa china;
poi disse: <<Mal contava la bisogna
colui che i peccator di qua uncina>>.
E 'l frate: <<Io udi' gia dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ' quali udi'
ch'elli e bugiardo, e padre di menzogna>>.
Appresso il duca a gran passi sen gi,
turbato un poco d'ira nel sembiante;
ond' io da li 'ncarcati mi parti'
dietro a le poste de le care piante.
Inferno ? Canto XXIV
In quella parte del giovanetto anno
che 'l sole i crin sotto l'Aquario tempra
e gia le notti al mezzo di sen vanno,
quando la brina in su la terra assempra
l'imagine di sua sorella bianca,
ma poco dura a la sua penna tempra,
lo villanello a cui la roba manca,
si leva, e guarda, e vede la campagna
biancheggiar tutta; ond' ei si batte l'anca,
ritorna in casa, e qua e la si lagna,
come 'l tapin che non sa che si faccia;
poi riede, e la speranza ringavagna,
veggendo 'l mondo aver cangiata faccia
in poco d'ora, e prende suo vincastro
e fuor le pecorelle a pascer caccia.
Cosi mi fece sbigottir lo mastro
quand' io li vidi si turbar la fronte,
e cosi tosto al mal giunse lo 'mpiastro;
che, come noi venimmo al guasto ponte,
lo duca a me si volse con quel piglio
dolce ch'io vidi prima a pie del monte.
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
eletto seco riguardando prima
ben la ruina, e diedemi di piglio.
E come quei ch'adopera ed estima,
che sempre par che 'nnanzi si proveggia,
cosi, levando me su ver' la cima
d'un ronchione, avvisava un'altra scheggia
dicendo: <<Sovra quella poi t'aggrappa;
ma tenta pria s'e tal ch'ella ti reggia>>.
Non era via da vestito di cappa,
che noi a pena, ei lieve e io sospinto,
potavam su montar di chiappa in chiappa.
E se non fosse che da quel precinto
piu che da l'altro era la costa corta,
non so di lui, ma io sarei ben vinto.
Ma perche Malebolge inver' la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
lo sito di ciascuna valle porta
che l'una costa surge e l'altra scende;
noi pur venimmo al fine in su la punta
onde l'ultima pietra si scoscende.
La lena m'era del polmon si munta
quand' io fui su, ch'i' non potea piu oltre,
anzi m'assisi ne la prima giunta.
<<Omai convien che tu cosi ti spoltre>>,
disse 'l maestro; <<che, seggendo in piuma,
in fama non si vien, ne sotto coltre;
sanza la qual chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di se lascia,
qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
E pero leva su; vinci l'ambascia
con l'animo che vince ogne battaglia,
se col suo grave corpo non s'accascia.
Piu lunga scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito.
Se tu mi 'ntendi, or fa si che ti vaglia>>.
Leva'mi allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch'i' non mi sentia,
e dissi: <<Va, ch'i' son forte e ardito>>.
Su per lo scoglio prendemmo la via,
ch'era ronchioso, stretto e malagevole,
ed erto piu assai che quel di pria.
Parlando andava per non parer fievole;
onde una voce usci de l'altro fosso,
a parole formar disconvenevole.
Non so che disse, ancor che sovra 'l dosso
fossi de l'arco gia che varca quivi;
ma chi parlava ad ire parea mosso.
Io era volto in giu, ma li occhi vivi
non poteano ire al fondo per lo scuro;
per ch'io: <<Maestro, fa che tu arrivi
da l'altro cinghio e dismontiam lo muro;
che, com' i' odo quinci e non intendo,
cosi giu veggio e neente affiguro>>.
<<Altra risposta>>, disse, <<non ti rendo
se non lo far; che la dimanda onesta
si de' seguir con l'opera tacendo>>.
Noi discendemmo il ponte da la testa
dove s'aggiugne con l'ottava ripa,
e poi mi fu la bolgia manifesta:
e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di si diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Piu non si vanti Libia con sua rena;
che se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena,
ne tante pestilenzie ne si ree
mostro gia mai con tutta l'Etiopia
ne con cio che di sopra al Mar Rosso ee.
Tra questa cruda e tristissima copia
correan genti nude e spaventate,
sanza sperar pertugio o elitropia:
con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco a un ch'era da nostra proda,
s'avvento un serpente che 'l trafisse
la dove 'l collo a le spalle s'annoda.
Ne O si tosto mai ne I si scrisse,
com' el s'accese e arse, e cener tutto
convenne che cascando divenisse;
e poi che fu a terra si distrutto,
la polver si raccolse per se stessa
e 'n quel medesmo ritorno di butto.
Cosi per li gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa;
erba ne biado in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lagrime e d'amomo,
e nardo e mirra son l'ultime fasce.
E qual e quel che cade, e non sa como,
per forza di demon ch'a terra il tira,
o d'altra oppilazion che lega l'omo,
quando si leva, che 'ntorno si mira
tutto smarrito de la grande angoscia
ch'elli ha sofferta, e guardando sospira:
tal era 'l peccator levato poscia.
Oh potenza di Dio, quant' e severa,
che cotai colpi per vendetta croscia!
Lo duca il domando poi chi ello era;
per ch'ei rispuose: <<Io piovvi di Toscana,
poco tempo e, in questa gola fiera.
Vita bestial mi piacque e non umana,
si come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci
bestia, e Pistoia mi fu degna tana>>.
E io al duca: <<Dilli che non mucci,
e domanda che colpa qua giu 'l pinse;
ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci>>.
E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse,
ma drizzo verso me l'animo e 'l volto,
e di trista vergogna si dipinse;
poi disse: <<Piu mi duol che tu m'hai colto
ne la miseria dove tu mi vedi,
che quando fui de l'altra vita tolto.
Io non posso negar quel che tu chiedi;
in giu son messo tanto perch' io fui
ladro a la sagrestia d'i belli arredi,
e falsamente gia fu apposto altrui.
Ma perche di tal vista tu non godi,
se mai sarai di fuor da' luoghi bui,
apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria d'i Neri si dimagra;
poi Fiorenza rinova gente e modi.
Tragge Marte vapor di Val di Magra
ch'e di torbidi nuvoli involuto;
e con tempesta impetuosa e agra
sovra Campo Picen fia combattuto;
ond' ei repente spezzera la nebbia,
si ch'ogne Bianco ne sara feruto.
E detto l'ho perche doler ti debbia! >>.
Inferno ? Canto XXV
Al fine de le sue parole il ladro
le mani alzo con amendue le fiche,
gridando: <<Togli, Dio, ch'a te le squadro! >>.
Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,
perch' una li s'avvolse allora al collo,
come dicesse 'Non vo' che piu diche';
e un'altra a le braccia, e rilegollo,
ribadendo se stessa si dinanzi,
che non potea con esse dare un crollo.
Ahi Pistoia, Pistoia, che non stanzi
d'incenerarti si che piu non duri,
poi che 'n mal fare il seme tuo avanzi?
Per tutt' i cerchi de lo 'nferno scuri
non vidi spirto in Dio tanto superbo,
non quel che cadde a Tebe giu da' muri.
El si fuggi che non parlo piu verbo;
e io vidi un centauro pien di rabbia
venir chiamando: <<Ov' e, ov' e l'acerbo? >>.
Maremma non cred' io che tante n'abbia,
quante bisce elli avea su per la groppa
infin ove comincia nostra labbia.
Sovra le spalle, dietro da la coppa,
con l'ali aperte li giacea un draco;
e quello affuoca qualunque s'intoppa.
Lo mio maestro disse: <<Questi e Caco,
che, sotto 'l sasso di monte Aventino,
di sangue fece spesse volte laco.
Non va co' suoi fratei per un cammino,
per lo furto che frodolente fece
del grande armento ch'elli ebbe a vicino;
onde cessar le sue opere biece
sotto la mazza d'Ercule, che forse
gliene die cento, e non senti le diece>>.
Mentre che si parlava, ed el trascorse,
e tre spiriti venner sotto noi,
de' quai ne io ne 'l duca mio s'accorse,
se non quando gridar: <<Chi siete voi? >>;
per che nostra novella si ristette,
e intendemmo pur ad essi poi.
Io non li conoscea; ma ei seguette,
come suol seguitar per alcun caso,
che l'un nomar un altro convenette,
dicendo: <<Cianfa dove fia rimaso? >>;
per ch'io, accio che 'l duca stesse attento,
mi puosi 'l dito su dal mento al naso.
Se tu se' or, lettore, a creder lento
cio ch'io diro, non sara maraviglia,
che io che 'l vidi, a pena il mi consento.
Com' io tenea levate in lor le ciglia,
e un serpente con sei pie si lancia
dinanzi a l'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Co' pie di mezzo li avvinse la pancia
e con li anterior le braccia prese;
poi li addento e l'una e l'altra guancia;
li diretani a le cosce distese,
e miseli la coda tra 'mbedue
e dietro per le ren su la ritese.
Ellera abbarbicata mai non fue
ad alber si, come l'orribil fiera
per l'altrui membra avviticchio le sue.
Poi s'appiccar, come di calda cera
fossero stati, e mischiar lor colore,
ne l'un ne l'altro gia parea quel ch'era:
come procede innanzi da l'ardore,
per lo papiro suso, un color bruno
che non e nero ancora e 'l bianco more.
Li altri due 'l riguardavano, e ciascuno
gridava: <<Ome, Agnel, come ti muti!
Vedi che gia non se' ne due ne uno>>.
Gia eran li due capi un divenuti,
quando n'apparver due figure miste
in una faccia, ov' eran due perduti.
Fersi le braccia due di quattro liste;
le cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso
divenner membra che non fuor mai viste.
Ogne primaio aspetto ivi era casso:
due e nessun l'imagine perversa
parea; e tal sen gio con lento passo.
Come 'l ramarro sotto la gran fersa
dei di canicular, cangiando sepe,
folgore par se la via attraversa,
si pareva, venendo verso l'epe
de li altri due, un serpentello acceso,
livido e nero come gran di pepe;
e quella parte onde prima e preso
nostro alimento, a l'un di lor trafisse;
poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto 'l miro, ma nulla disse;
anzi, co' pie fermati, sbadigliava
pur come sonno o febbre l'assalisse.
Elli 'l serpente e quei lui riguardava;
l'un per la piaga e l'altro per la bocca
fummavan forte, e 'l fummo si scontrava.
Taccia Lucano ormai la dov' e' tocca
del misero Sabello e di Nasidio,
e attenda a udir quel ch'or si scocca.