92
E vide Ibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava,
in che tanta mercé par che si truove,
che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
E vide Ibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava,
in che tanta mercé par che si truove,
che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Ariosto - Orlando Furioso
Non volse porre ad altra cosa mano,
fra tante e tante guadagnate spoglie,
se non a quel tormento ch'abbiàn detto
ch'al fulmine assimiglia in ogni effetto.
89
L'intenzion non già, perché lo tolle,
fu per voglia d'usarlo in sua difesa;
che sempre atto stimò d'animo molle
gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:
ma per gittarlo in parte, onde non volle
che mai potesse ad uomo più fare offesa:
e la polve e le palle e tutto il resto
seco portò, ch'apparteneva a questo.
90
E così, poi che fuor de la marea
nel più profondo mar si vide uscito,
sì che segno lontan non si vedea
del destro più né del sinistro lito;
lo tolse, e disse: — Acciò più non istea
mai cavallier per te d'esser ardito,
né quanto il buono val, mai più si vanti
il rio per te valer, qui giù rimanti.
91
O maladetto, o abominoso ordigno,
che fabricato nel tartareo fondo
fosti per man di Belzebù maligno
che ruinar per te disegnò il mondo,
all'inferno, onde uscisti, ti rasigno. —
Così dicendo, lo gittò in profondo.
Il vento intanto le gonfiate vele
spinge alla via de l'isola crudele.
92
Tanto desire il paladino preme
di saper se la donna ivi si truova,
ch'ama assai più che tutto il mondo insieme,
né un'ora senza lei viver gli giova;
che s'in Ibernia mette il piede, teme
di non dar tempo a qualche cosa nuova,
sì ch'abbia poi da dir invano: — Ahi lasso!
ch'al venir mio non affrettai più il passo. —
93
Né scala in Inghelterra né in Irlanda
mai lasciò far, né sul contrario lito.
Ma lasciamolo andar dove lo manda
il nudo arcier che l'ha nel cor ferito.
Prima che più io ne parli, io vo' in Olanda
tornare, e voi meco a tornarvi invito;
che, come a me, so spiacerebbe a voi,
che quelle nozze fosson senza noi.
94
Le nozze belle e sontuose fanno;
ma non sì sontuose né sì belle,
come in Selandia dicon che faranno.
Pur non disegno che vegnate a quelle;
perché nuovi accidenti a nascere hanno
per disturbarle, de' quai le novelle
all'altro canto vi farò sentire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
CANTO DECIMO
1
Fra quanti amor, fra quante fede al mondo
mai si trovar, fra quanti cor constanti,
fra quante, o per dolente o per iocondo
stato, fer prove mai famosi amanti;
più tosto il primo loco ch'il secondo
darò ad Olimpia: e se pur non va inanti,
ben voglio dir che fra gli antiqui e nuovi
maggior de l'amor suo non si ritruovi;
2
e che con tante e con sì chiare note
di questo ha fatto il suo Bireno certo,
che donna più far certo uomo non puote,
quando anco il petto e 'l cor mostrasse aperto.
E s'anime sì fide e sì devote
d'un reciproco amor denno aver merto,
dico ch'Olimpia è degna che non meno,
anzi più che sé ancor, l'ami Bireno:
3
e che non pur l'abandoni mai
per altra donna, se ben fosse quella
ch'Europa ed Asia messe in tanti guai,
o s'altra ha maggior titolo di bella;
ma più tosto che lei, lasci coi rai
del sol l'udita e il gusto e la favella
e la vita e la fama, e s'altra cosa
dire o pensar si può più preciosa.
4
Se Bireno amò lei come ella amato
Bireno avea, se fu sì a lei fedele
come ella a lui, se mai non ha voltato
ad altra via, che a seguir lei, le vele;
o pur s'a tanta servitù fu ingrato,
a tanta fede e a tanto amor crudele,
io vi vo' dire, e far di maraviglia
stringer le labra ed inarcar le ciglia.
5
E poi che nota l'impietà vi fia,
che di tanta bontà fu a lei mercede,
donne, alcuna di voi mai più non sia,
ch'a parole d'amante abbia a dar fede.
L'amante, per aver quel che desia,
senza guardar che Dio tutto ode e vede,
aviluppa promesse e giuramenti,
che tutti spargon poi per l'aria i venti.
6
I giuramenti e le promesse vanno
dai venti in aria disipate e sparse,
tosto che tratta questi amanti s'hanno
l'avida sete che gli accese ed arse.
Siate a' prieghi ed a' pianti che vi fanno,
per questo esempio, a credere più scarse.
Bene è felice quel, donne mie care,
ch'essere accorto all'altrui spese impare.
7
Guardatevi da questi che sul fiore
de' lor begli anni il viso han sì polito;
che presto nasce in loro e presto muore,
quasi un foco di paglia, ogni appetito.
Come segue la lepre il cacciatore
al freddo, al caldo, alla montagna, al lito,
né più l'estima poi che presa vede;
e sol dietro a chi fugge affretta il piede:
8
così fan questi gioveni, che tanto
che vi mostrate lor dure e proterve,
v'amano e riveriscono con quanto
studio de' far chi fedelmente serve;
ma non sì tosto si potran dar vanto
de la vittoria, che, di donne, serve
vi dorrete esser fatte; e da voi tolto
vedrete il falso amore, e altrove volto.
9
Non vi vieto per questo (ch'avrei torto)
che vi lasciate amar; che senza amante
sareste come inculta vite in orto,
che non ha palo ove s'appoggi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
tutta a fuggir, volubile e incostante,
e corre i frutti non acerbi e duri,
ma che non sien però troppo maturi.
10
Di sopra io vi dicea ch'una figliuola
del re di Frisa quivi hanno trovata,
che fia, per quanto n'han mosso parola,
da Bireno al fratel per moglie data.
Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola;
che vivanda era troppo delicata:
e riputato avria cortesia sciocca,
per darla altrui, levarsela di bocca.
11
La damigella non passava ancora
quattordici anni, ed era bella e fresca,
come rosa che spunti alora alora
fuor de la buccia e col sol nuovo cresca.
Non pur di lei Bireno s'innamora,
ma fuoco mai così non accese esca,
né se lo pongan l'invide e nimiche
mani talor ne le mature spiche;
12
come egli se n'accese immantinente,
come egli n'arse fin ne le medolle,
che sopra il padre morto lei dolente
vide di pianto il bel viso far molle.
E come suol, se l'acqua fredda sente,
quella restar che prima al fuoco bolle;
così l'ardor ch'accese Olimpia, vinto
dal nuovo successore, in lui fu estinto.
13
Non pur sazio di lei, ma fastidito
n'è già così, che può vederla a pena;
e sì de l'altra acceso ha l'appetito,
che ne morrà se troppo in lungo il mena:
pur fin che giunga il dì c'ha statuito
a dar fine al disio, tanto l'affrena,
che par ch'adori Olimpia, non che l'ami,
e quel che piace a lei, sol voglia e brami.
14
E se accarezza l'altra (che non puote
far che non l'accarezzi più del dritto),
non è chi questo in mala parte note;
anzi a pietade, anzi a bontà gli è ascritto:
che rilevare un che Fortuna ruote
talora al fondo, e consolar l'afflitto,
mai non fu biasmo, ma gloria sovente;
tanto più una fanciulla, una innocente.
15
Oh sommo Dio, come i giudìci umani
spesso offuscati son da un nembo oscuro!
i modi di Bireno empi e profani,
pietosi e santi riputati furo.
I marinari, già messo le mani
ai remi, e sciolti dal lito sicuro,
portavan lieti pei salati stagni
verso Selandia il duca e i suoi compagni.
16
Già dietro rimasi erano e perduti
tutti di vista i termini d'Olanda
(che per non toccar Frisa, più tenuti
s'eran vêr Scozia alla sinistra banda),
quando da un vento fur sopravenuti,
ch'errando in alto mar tre dì li manda.
Sursero il terzo, già presso alla sera,
dove inculta e deserta un'isola era.
17
Tratti che si fur dentro un picciol seno,
Olimpia venne in terra; e con diletto
in compagnia de l'infedel Bireno
cenò contenta e fuor d'ogni sospetto:
indi con lui, là dove in loco ameno
teso era un padiglione, entrò nel letto.
Tutti gli altri compagni ritornaro,
e sopra i legni lor si riposaro.
18
Il travaglio del mare e la paura
che tenuta alcun dì l'aveano desta,
il ritrovarsi al lito ora sicura,
lontana da rumor ne la foresta,
e che nessun pensier, nessuna cura,
poi che 'l suo amante ha seco, la molesta;
fur cagion ch'ebbe Olimpia sì gran sonno,
che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.
19
Il falso amante che i pensati inganni
veggiar facean, come dormir lei sente,
pian piano esce del letto, e de' suoi panni
fatto un fastel, non si veste altrimente;
e lascia il padiglione; e come i vanni
nati gli sian, rivola alla sua gente,
e li risveglia; e senza udirsi un grido,
fa entrar ne l'alto e abandonare il lido.
20
Rimase a dietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormì senza destarse,
fin che l'Aurora la gelata brina
da le dorate ruote in terra sparse,
e s'udir le Alcione alla marina
de l'antico infortunio lamentarse.
Né desta né dormendo, ella la mano
per Bireno abbracciar stese, ma invano.
21
Nessuno truova: a sé la man ritira:
di nuovo tenta, e pur nessuno truova.
Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira,
or l'una or l'altra gamba; e nulla giova.
Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:
non vede alcuno. Or già non scalda e cova
più le vedove piume, ma si getta
del letto e fuor del padiglione in fretta:
22
e corre al mar, graffiandosi le gote,
presaga e certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i crini, e il petto si percuote,
e va guardando (che splendea la luna)
se veder cosa, fuor che 'l lito, puote;
né fuor che 'l lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama: e al nome di Bireno
rispondean gli Antri che pietà n'avieno.
23
Quivi surgea nel lito estremo un sasso,
ch'aveano l'onde, col picchiar frequente,
cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;
e stava sopra il mar curvo e pendente.
Olimpia in cima vi salì a gran passo
(così la facea l'animo possente),
e di lontano le gonfiate vele
vide fuggir del suo signor crudele:
24
vide lontano, o le parve vedere;
che l'aria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lasciò cadere,
più bianca e più che nieve fredda in volto;
ma poi che di levarsi ebbe potere,
al camin de le navi il grido volto,
chiamò, quanto potea chiamar più forte,
più volte il nome del crudel consorte:
25
e dove non potea la debil voce,
supliva il pianto e 'l batter' palma a palma.
— Dove fuggi, crudel, così veloce?
Non ha il tuo legno la debita salma.
Fa che lievi me ancor: poco gli nuoce
che porti il corpo, poi che porta l'alma. —
E con le braccia e con le vesti segno
fa tuttavia, perché ritorni il legno.
26
Ma i venti che portavano le vele
per l'alto mar di quel giovene infido,
portavano anco i prieghi e le querele
de l'infelice Olimpia, e 'l pianto e 'l grido;
la qual tre volte, a se stessa crudele,
per affogarsi si spiccò dal lido:
pur al fin si levò da mirar l'acque,
e ritornò dove la notte giacque.
27
E con la faccia in giù stesa sul letto,
bagnandolo di pianto, dicea lui:
— Iersera desti insieme a dui ricetto;
perché insieme al levar non siamo dui?
O perfido Bireno, o maladetto
giorno ch'al mondo generata fui!
Che debbo far? che poss'io far qui sola?
chi mi dà aiuto? ohimè, chi mi consola?
28
Uomo non veggio qui, non ci veggio opra
donde io possa stimar ch'uomo qui sia;
nave non veggio, a cui salendo sopra,
speri allo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morrò; né chi mi cuopra
gli occhi sarà, né chi sepolcro dia,
se forse in ventre lor non me lo dànno
i lupi, ohimè, ch'in queste selve stanno.
29
Io sto in sospetto, e già di veder parmi
di questi boschi orsi o leoni uscire,
o tigri o fiere tal, che natura armi
d'aguzzi denti e d'ugne da ferire.
Ma quai fere crudel potriano farmi,
fera crudel, peggio di te morire?
darmi una morte, so, lor parrà assai;
e tu di mille, ohimè, morir mi fai.
30
Ma presupongo ancor ch'or ora arrivi
nochier che per pietà di qui mi porti;
e così lupi, orsi, leoni schivi,
strazi, disagi ed altre orribil morti:
mi porterà forse in Olanda, s'ivi
per te si guardan le fortezze e i porti?
mi porterà alla terra ove son nata,
se tu con fraude già me l'hai levata?
31
Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto
di parentado e d'amicizia, tolto.
Ben fosti a porvi le tue genti presto,
per avere il dominio a te rivolto.
Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il resto
di che io vivea, ben che non fossi molto,
per sovenirti e di prigione trarte.
Mischina! dove andrò? non so in qual parte.
32
Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,
e per te non vi volsi esser regina?
il che del padre e dei fratelli miei
e d'ogn'altro mio ben fu la ruina.
Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei,
ingrato, improverar, né disciplina
dartene; che non men di me lo sai:
or ecco il guiderdon che me ne dai.
33
Deh, pur che da color che vanno in corso
io non sia presa, e poi venduta schiava!
Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso
venga, e la tigre e ogn'altra fera brava,
di cui l'ugna mi stracci, e franga il morso;
e morta mi strascini alla sua cava. —
Così dicendo, le mani si caccia
ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.
34
Corre di nuovo in su l'estrema sabbia,
e ruota il capo e sparge all'aria il crine;
e sembra forsennata, e ch'adosso abbia
non un demonio sol, ma le decine;
o, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
vistosi morto Polidoro al fine.
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare;
né men d'un vero sasso, un sasso pare.
35
Ma lasciànla doler fin ch'io ritorno,
per voler di Ruggier dirvi pur anco,
che nel più intenso ardor del mezzo giorno
cavalca il lito, affaticato e stanco.
Percuote il sol nel colle e fa ritorno:
di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava all'arme ch'avea indosso, poco
ad esser, come già, tutte di fuoco.
36
Mentre la sete, e de l'andar fatica
per l'alta sabbia e la solinga via
gli facean, lungo quella spiaggia aprica,
noiosa e dispiacevol compagnia;
trovò ch'all'ombra d'una torre antica
che fuor de l'onde appresso il lito uscia,
de la corte d'Alcina eran tre donne,
che le conobbe ai gesti ed alle gonne.
37
Corcate su tapeti allessandrini
godeansi il fresco rezzo in gran diletto,
fra molti vasi di diversi vini
e d'ogni buona sorte di confetto.
Presso alla spiaggia, coi flutti marini
scherzando, le aspettava un lor legnetto
fin che la vela empiesse agevol òra;
ch'un fiato pur non ne spirava allora.
38
Queste, ch'andar per la non ferma sabbia
vider Ruggier al suo viaggio dritto,
che sculta avea la sete in su le labbia,
tutto pien di sudore il viso afflitto,
gli cominciaro a dir che sì non abbia
il cor voluntaroso al camin fitto,
ch'alla fresca e dolce ombra non si pieghi,
e ristorar lo stanco corpo nieghi.
39
E di lor una s'accostò al cavallo
per la staffa tener, che ne scendesse;
l'altra con una coppa di cristallo
di vin spumante, più sete gli messe:
ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo;
perché d'ogni tardar che fatto avesse,
tempo di giunger dato avria ad Alcina,
che venìa dietro ed era omai vicina.
40
Non così fin salnitro e zolfo puro,
tocco dal fuoco, subito s'avampa;
né così freme il mar quando l'oscuro
turbo discende e in mezzo se gli accampa:
come, vedendo che Ruggier sicuro
al suo dritto camin l'arena stampa,
e che le sprezza (e pur si tenean belle),
d'ira arse e di furor la terza d'elle.
41
— Tu non sei né gentil né cavalliero
(dice gridando quanto può più forte),
ed hai rubate l'arme; e quel destriero
non saria tuo per veruna altra sorte:
e così, come ben m'appongo al vero,
ti vedessi punir di degna morte;
che fossi fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto ladron, villan, superbo, ingrato. —
42
Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose
parole che gli usò la donna altiera,
ancor che mai Ruggier non le rispose,
che di sì vil tenzon poco onor spera;
con le sorelle tosto ella si pose
sul legno in mar, che al lor servigio v'era:
ed affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol tuttavia dietro alla riva.
43
Minaccia sempre, maledice e incarca;
che l'onte sa trovar per ogni punto.
Intanto a quello stretto, onde si varca
alla fata più bella, è Ruggier giunto;
dove un vecchio nochiero una sua barca
scioglier da l'altra ripa vede, a punto
come, avisato e già provisto, quivi
si stia aspettando che Ruggiero arrivi.
44
Scioglie il nochier, come venir lo vede,
di trasportarlo a miglior ripa lieto;
che, se la faccia può del cor dar fede,
tutto benigno e tutto era discreto.
Pose Ruggier sopra il navilio il piede,
Dio ringraziando; e per lo mar quieto
ragionando venìa col galeotto,
saggio e di lunga esperienza dotto.
45
Quel lodava Ruggier, che sì se avesse
saputo a tempo tor da Alcina, e inanti
che 'l calice incantato ella gli desse,
ch'avea al fin dato a tutti gli altri amanti;
e poi, che a Logistilla si traesse,
dove veder potria costumi santi,
bellezza eterna ed infinita grazia
che 'l cor notrisce e pasce, e mai non sazia.
46
— Costei (dicea) stupore e riverenza
induce all'alma, ove si scuopre prima.
Contempla meglio poi l'alta presenza:
ogn'altro ben ti par di poca stima.
Il suo amore ha dagli altri differenza:
speme o timor negli altri il cor ti lima;
in questo il desiderio più non chiede,
e contento riman come la vede.
47
Ella t'insegnerà studi più grati,
che suoni, danze, odori, bagni e cibi:
ma come i pensier tuoi meglio formati
poggin più ad alto, che per l'aria i nibi,
e come de la gloria de' beati
nel mortal corpo parte si delibi. —
Così parlando il marinar veniva,
lontano ancora alla sicura riva;
48
quando vide scoprire alla marina
molti navili, e tutti alla sua volta.
Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina;
e molta di sua gente have raccolta
per por lo stato a se stessa in ruina,
o racquistar la cara cosa tolta.
E bene è amor di ciò cagion non lieve,
ma l'ingiuria non men che ne riceve.
49
Ella non ebbe sdegno, da che nacque,
di questo il maggior mai, ch'ora la rode;
onde fa i remi sì affrettar per l'acque,
che la spuma ne sparge ambe le prode.
Al gran rumor né mar né ripa tacque,
ed Ecco risonar per tutto s'ode.
— Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;
se non, sei morto, o preso con vergogna. —
50
Così disse il nocchier di Logistilla:
ed oltre il detto, egli medesmo prese
la tasca e da lo scudo dipartilla,
e fe' il lume di quel chiaro e palese.
L'incantato splendor che ne sfavilla,
gli occhi degli aversari così offese,
che li fe' restar ciechi allora allora,
e cader chi da poppa e chi da prora.
51
Un ch'era alla veletta in su la rocca,
de l'armata d'Alcina si fu accorto;
e la campana martellando tocca,
onde il soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria, come tempesta, fiocca
contra chi vuole al buon Ruggier far torto:
sì che gli venne d'ogni parte aita,
tal che salvò la libertà e la vita.
52
Giunte son quattro donne in su la spiaggia,
che subito ha mandate Logistilla:
la valorosa Andronica e la saggia
Fronesia e l'onestissima Dicilla
e Sofrosina casta, che, come aggia
quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla.
L'esercito ch'al mondo è senza pare,
del castello esce, e si distende al mare.
53
Sotto il castel ne la tranquilla foce
di molti e grossi legni era una armata,
ad un botto di squilla, ad una voce
giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E così fu la pugna aspra ed atroce,
e per acqua e per terra, incominciata;
per cui fu il regno sottosopra volto,
ch'avea già Alcina alla sorella tolto.
54
Oh di quante battaglie il fin successe
diverso a quel che si credette inante!
Non sol ch'Alcina alor non riavesse,
come stimossi, il fugitivo amante;
ma dele navi che pur dianzi spesse
fur sì, ch'a pena il mar ne capia tante,
fuor de la fiamma che tutt'altre avampa,
con un legnetto sol misera scampa.
55
Fuggesi Alcina, e sua misera gente
arsa e presa riman, rotta e sommersa.
D'aver Ruggier perduto, ella si sente
via più doler che d'altra cosa aversa:
notte e dì per lui geme amaramente,
e lacrime per lui dagli occhi versa;
e per dar fine a tanto aspro martire,
spesso si duol di non poter morire.
56
Morir non puote alcuna fata mai,
fin che 'l sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse, era il dolore assai
per muover Cloto ad inasparle il filo;
o, qual Didon, finia col ferro i guai;
o la regina splendida del Nilo
avria imitata con mortifer sonno:
ma le fate morir sempre non ponno.
57
Torniamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero; e Alcina stia ne la sua pena.
Dico di lui, che poi che fuor del legno
si fu condutto in più sicura arena,
Dio ringraziando che tutto il disegno
gli era successo, al mar voltò la schiena;
ed affrettando per l'asciutto il piede,
alla rocca ne va che quivi siede.
58
Né la più forte ancor né la più bella
mai vide occhio mortal prima né dopo.
Son di più prezzo le mura di quella,
che se diamante fossino o piropo.
Di tai gemme qua giù non si favella:
ed a chi vuol notizia averne, è d'uopo
che vada quivi; che non credo altrove,
se non forse su in ciel, se ne ritruove.
59
Quel che più fa che lor si inchina e cede
ogn'altra gemma, è che, mirando in esse,
l'uom sin in mezzo all'anima si vede;
vede suoi vizi e sue virtudi espresse,
sì che a lusinghe poi di sé non crede,
né a chi dar biasmo a torto gli volesse:
fassi, mirando allo specchio lucente
se stesso, conoscendosi, prudente.
60
Il chiaro lume lor, ch'imita il sole,
manda splendore in tanta copia intorno,
che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, mal grado tuo, si può far giorno.
Né mirabil vi son le pietre sole;
ma la materia e l'artificio adorno
contendon sì, che mal giudicar puossi
qual de le due eccellenze maggior fossi.
61
Sopra gli altissimi archi, che puntelli
parean che del ciel fossino a vederli,
eran giardin sì spaziosi e belli,
che saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli
si puon veder fra i luminosi merli,
ch'adorni son l'estate e il verno tutti
di vaghi fiori e di maturi frutti.
62
Di così nobili arbori non suole
prodursi fuor di questi bei giardini,
né di tai rose o di simil viole,
di gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove appar come a un medesmo sole
e nasca e viva, e morto il capo inchini,
e come lasci vedovo il suo stelo
il fior suggetto al variar del cielo:
63
ma quivi era perpetua la verdura,
perpetua la beltà de' fiori eterni:
non che benignità de la Natura
sì temperatamente li governi;
ma Logistilla con suo studio e cura,
senza bisogno de' moti superni
(quel che agli altri impossibile parea),
sua primavera ognor ferma tenea.
64
Logistilla mostrò molto aver grato
ch'a lei venisse un sì gentil signore;
e comandò che fosse accarezzato,
e che studiasse ognun di fargli onore.
Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
che visto da Ruggier fu di buon core.
Fra pochi giorni venner gli altri tutti,
ch'a l'esser lor Melissa avea ridutti.
65
Poi che si fur posati un giorno e dui,
venne Ruggiero alla fata prudente
col duca Astolfo, che non men di lui
avea desir di riveder Ponente.
Melissa le parlò per amendui;
e supplica la fata umilemente,
che li consigli, favorisca e aiuti,
sì che ritornin donde eran venuti.
66
Disse la fata: — Io ci porrò il pensiero,
e fra dui dì te li darò espediti. —
Discorre poi tra sé, come Ruggiero,
e dopo lui, come quel duca aiti:
conchiude infin che 'l volator destriero
ritorni il primo agli aquitani liti;
ma prima vuol che se gli faccia un morso,
con che lo volga, e gli raffreni il corso.
67
Gli mostra come egli abbia a far, se vuole
che poggi in alto, e come a far che cali;
e come, se vorrà che in giro vole,
o vada ratto, o che si stia su l'ali:
e quali effetti il cavallier far suole
di buon destriero in piana terra, tali
facea Ruggier che mastro ne divenne,
per l'aria, del destrier ch'avea le penne.
68
Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
da la fata gentil comiato prese,
alla qual restò poi sempre congiunto
di grande amore; e uscì di quel paese.
Prima di lui che se n'andò in buon punto,
e poi dirò come il guerriero inglese
tornasse con più tempo e più fatica
al magno Carlo ed alla corte amica.
69
Quindi partì Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe' già suo mal grado,
allor che sempre l'ippogrifo il tenne
sopra il mare, e terren vide di rado:
ma potendogli or far batter le penne
di qua di là, dove più gli era a grado,
volse al ritorno far nuovo sentiero,
come, schivando Erode, i Magi fero.
70
Al venir quivi, era, lasciando Spagna,
venuto India a trovar per dritta riga,
là dove il mare oriental la bagna;
dove una fata avea con l'altra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
che quella dove i venti Eolo istiga,
e finir tutto il cominciato tondo,
per aver, come il sol, girato il mondo.
71
Quinci il Cataio, e quindi Mangiana
sopra il gran Quinsaì vide passando:
volò sopra l'Imavo, e Sericana
lasciò a man destra; e sempre declinando
da l'iperborei Sciti a l'onda ircana,
giunse alle parti di Sarmazia: e quando
fu dove Asia da Europa si divide,
Russi e Pruteni e la Pomeria vide.
72
Ben che di Ruggier fosse ogni desire
di ritornare a Bradamante presto;
pur, gustato il piacer ch'avea di gire
cercando il mondo, non restò per questo,
ch'alli Pollacchi, agli Ungari venire
non volesse anco, alli Germani, e al resto
di quella boreale orrida terra:
e venne al fin ne l'ultima Inghilterra.
73
Non crediate, Signor, che però stia
per sì lungo camin sempre su l'ale:
ogni sera all'albergo se ne gìa,
schivando a suo poter d'alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via,
sì di veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una matina,
sopra Tamigi il volator declina.
74
Dove ne' prati alla città vicini
vide adunati uomini d'arme e fanti,
ch'a suon di trombe e a suon di tamburini
venian, partiti a belle schiere, avanti
il buon Rinaldo, onor de' paladini;
del qual, se vi ricorda, io dissi inanti,
che mandato da Carlo, era venuto
in queste parti a ricercar aiuto.
75
Giunse a punto Ruggier, che si facea
la bella mostra fuor di quella terra;
e per sapere il tutto, ne chiedea
un cavallier, ma scese prima in terra:
e quel, ch'affabil era, gli dicea
che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra
e de l'isole intorno eran le schiere
che quivi alzate avean tante bandiere:
76
e finita la mostra che faceano,
alla marina se distenderanno,
dove aspettati per solcar l'Oceano
son dai navili che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si ricreano,
sperando in questi che a salvar li vanno.
— Ma acciò tu te n'informi pienamente,
io ti distinguerò tutta la gente.
77
Tu vedi ben quella bandiera grande,
ch'insieme pon la fiordaligi e i pardi:
quella il gran capitano all'aria spande,
e quella han da seguir gli altri stendardi.
Il suo nome, famoso in queste bande,
è Leonetto, il fior de li gagliardi,
di consiglio e d'ardire in guerra mastro,
del re nipote, e duca di Lincastro.
78
La prima, appresso il gonfalon reale,
che 'l vento tremolar fa verso il monte,
e tien nel campo verde tre bianche ale,
porta Ricardo, di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra è quel segnale,
c'ha duo corna di cervio e mezza fronte.
Del duca di Chiarenza è quella face;
quel arbore è del duca d'Eborace.
79
Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
gli è 'l gonfalon del duca di Nortfozia.
La fulgure è del buon conte di Cancia;
il grifone è del conte di Pembrozia.
Il duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due serpi assozia:
è del conte d'Esenia, e la ghirlanda
in campo azzurro ha quel di Norbelanda.
80
Il conte d'Arindelia è quel c'ha messo
in mar quella barchetta che s'affonda.
Vedi il marchese di Barclei; e appresso
di Marchia il conte e il conte di Ritmonda:
il primo porta in bianco un monte fesso,
l'altro la palma, il terzo un pin ne l'onda.
Quel di Dorsezia è conte, e quel d'Antona,
che l'uno ha il carro, e l'altro la corona.
81
Il falcon che sul nido i vanni inchina,
porta Raimondo, il conte di Devonia.
Il giallo e negro ha quel di Vigorina;
il can quel d'Erbia un orso quel d'Osonia.
La croce che là vedi cristallina,
è del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia:
è del duca Ariman di Sormosedia.
82
Gli uomini d'arme e gli arcieri a cavallo
di quarantaduomila numer fanno.
Sono duo tanti, o di cento non fallo,
quelli ch'a piè ne la battaglia vanno.
Mira quei segni, un bigio, un verde, un giallo,
e di nero e d'azzur listato un panno:
Gofredo, Enrigo, Ermante ed Odoardo
guidan pedoni, ognun col suo stendardo.
83
Duca di Bocchingamia è quel dinante;
Enrigo ha la contea di Sarisberia;
signoreggia Burgenia il vecchio Ermante;
quello Odoardo è conte di Croisberia.
Questi alloggiati più verso levante
sono gl'Inglesi. Or volgeti all'Esperia,
dove si veggion trentamila Scotti,
da Zerbin, figlio del lor re, condotti.
84
Vedi tra duo unicorni il gran leone,
che la spada d'argento ha ne la zampa:
quell'è del re di Scozia il gonfalone;
il suo figliol Zerbino ivi s'accampa.
Non è un sì bello in tante altre persone:
natura il fece, e poi roppe la stampa.
Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,
o tal possanza: ed è di Roscia duca.
85
Porta in azzurro una dorata sbarra
il conte d'Ottonlei ne lo stendardo.
L'altra bandiera è del duca di Marra,
che nel travaglio porta il leopardo.
Di più colori e di più augei bizzarra
mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo,
che non è duca, conte, né marchese,
ma primo nel salvatico paese.
86
Del duca di Trasfordia è quella insegna,
dove è l'augel ch'al sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio conte, ch'in Angoscia regna,
porta quel tauro, c'ha duo veltri ai fianchi.
Vedi là il duca d'Albania, che segna
il campo di colori azzurri e bianchi.
Quel avoltor, ch'un drago verde lania,
è l'insegna del conte di Boccania.
87
Signoreggia Forbesse il forte Armano,
che di bianco e di nero ha la bandiera;
ed ha il conte d'Erelia a destra mano,
che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gl'Ibernesi appresso il piano:
sono duo squadre; e il conte di Childera
mena la prima, e il conte di Desmonda
da fieri monti ha tratta la seconda.
88
Ne lo stendardo il primo ha un pino ardente;
l'altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
la terra inglese, e la Scozia e l'Irlanda;
ma vien di Svezia e di Norvegia gente,
da Tile, e fin da la remota Islanda:
da ogni terra, insomma, che là giace,
nimica naturalmente di pace.
89
Sedicimila sono, o poco manco,
de le spelonche usciti e de le selve;
hanno piloso il viso, il petto, il fianco,
e dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno allo stendardo tutto bianco
par che quel pian di lor lance s'inselve:
così Moratto il porta, il capo loro,
per dipingerlo poi di sangue Moro. —
90
Mentre Ruggier di quella gente bella,
che per soccorrer Francia si prepara,
mira le varie insegne e ne favella,
e dei signor britanni i nomi impara;
uno ed un altro a lui, per mirar quella
bestia sopra cui siede, unica o rara,
maraviglioso corre e stupefatto;
e tosto il cerchio intorno gli fu fatto.
91
Sì che per dare ancor più maraviglia,
e per pigliarne il buon Ruggier più gioco,
al volante corsier scuote la briglia,
e con gli sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel verso il ciel per l'aria il camin piglia,
e lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier, poi che di banda in banda
vide gl'Inglesi, andò verso l'Irlanda.
92
E vide Ibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava,
in che tanta mercé par che si truove,
che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier muove
là dove la minor Bretagna lava:
e nel passar vide, mirando a basso,
Angelica legata al nudo sasso.
93
Al nudo sasso, all'Isola del pianto;
che l'Isola del pianto era nomata
quella che da crudele e fiera tanto
ed inumana gente era abitata,
che (come io vi dicea sopra nel canto)
per vari liti sparsa iva in armata
tutte le belle donne depredando,
per farne a un mostro poi cibo nefando.
94
Vi fu legata pur quella matina,
dove venìa per trangugiarla viva
quel smisurato mostro, orca marina,
che di aborrevole esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
di quei che la trovaro in su la riva
dormire al vecchio incantatore a canto,
ch'ivi l'avea tirata per incanto.
95
La fiera gente inospitale e cruda
alla bestia crudel nel lito espose
la bellissima donna, così ignuda
come Natura prima la compose.
Un velo non ha pure, in che richiuda
i bianchi gigli e le vermiglie rose,
da non cader per luglio o per dicembre,
di che son sparse le polite membre.
96
Creduto avria che fosse statua finta
o d'alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e su lo scoglio così avinta
per artificio di scultori industri;
se non vedea la lacrima distinta
tra fresche rose e candidi ligustri
far rugiadose le crudette pome,
e l'aura sventolar l'aurate chiome.
97
E come ne' begli occhi gli occhi affisse,
de la sua Bradamante gli sovvenne.
Pietade e amore a un tempo lo trafisse,
e di piangere a pena si ritenne;
e dolcemente alla donzella disse,
poi che del suo destrier frenò le penne:
— O donna, degna sol de la catena
con chi i suoi servi Amor legati mena,
98
e ben di questo e d'ogni male indegna,
chi è quel crudel che con voler perverso
d'importuno livor stringendo segna
di queste belle man l'avorio terso? —
Forza è ch'a quel parlare ella divegna
quale è di grana un bianco avorio asperso,
di sé vedendo quelle parti ignude,
ch'ancor che belle sian, vergogna chiude.
99
E coperto con man s'avrebbe il volto,
se non eran legate al duro sasso;
ma del pianto, ch'almen non l'era tolto,
lo sparse, e si sforzò di tener basso.
E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,
incominciò con fioco suono e lasso:
ma non seguì; che dentro il fe' restare
il gran rumor che si sentì nel mare.
100
Ecco apparir lo smisurato mostro
mezzo ascoso ne l'onda e mezzo sorto.
Come sospinto suol da borea o d'ostro
venir lungo navilio a pigliar porto,
così ne viene al cibo che l'è mostro
la bestia orrenda; e l'intervallo è corto.
La donna è mezza morta di paura;
né per conforto altrui si rassicura.
101
Tenea Ruggier la lancia non in resta,
ma sopra mano, e percoteva l'orca.
Altro non so che s'assimigli a questa,
ch'una gran massa che s'aggiri e torca;
né forma ha d'animal, se non la testa,
c'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier in fronte la ferìa tra gli occhi;
ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.
102
Poi che la prima botta poco vale,
ritorna per far meglio la seconda.
L'orca, che vede sotto le grandi ale
l'ombra di qua e di là correr su l'onda,
lascia la preda certa litorale,
e quella vana segue furibonda:
dietro quella si volve e si raggira.
Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.
103
Come d'alto venendo aquila suole,
ch'errar fra l'erbe visto abbia la biscia,
o che stia sopra un nudo sasso al sole,
dove le spoglie d'oro abbella e liscia;
non assalir da quel lato la vuole
onde la velenosa e soffia e striscia,
ma da tergo la adugna, e batte i vanni,
acciò non se le volga e non la azzanni:
104
così Ruggier con l'asta e con la spada,
non dove era de' denti armato il muso,
ma vuol che 'l colpo tra l'orecchie cada,
or su le schene, or ne la coda giuso.
Se la fera si volta, ei muta strada,
ed a tempo giù cala, e poggia in suso:
ma come sempre giunga in un diaspro,
non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.
105
Simil battaglia fa la mosca audace
contra il mastin nel polveroso agosto,
o nel mese dinanzi o nel seguace,
l'uno di spiche e l'altro pien di mosto:
negli occhi il punge e nel grifo mordace,
volagli intorno e gli sta sempre accosto;
e quel suonar fa spesso il dente asciutto:
ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.
106
Sì forte ella nel mar batte la coda,
che fa vicino al ciel l'acqua inalzare;
tal che non sa se l'ale in aria snoda,
o pur se 'l suo destrier nuota nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,
teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo,
che brami invano avere o zucca o schifo.
107
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,
di vincer con altre arme il mostro crudo:
abbarbagliar lo vuol con lo splendore
ch'era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito; e per non fare errore,
alla donna legata al sasso nudo
lascia nel minor dito de la mano
l'annel, che potea far l'incanto vano:
108
dico l'annel che Bradamante avea,
per liberar Ruggier, tolto a Brunello,
poi per trarlo di man d'Alcina rea,
mandato in India per Melissa a quello.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
in ben di molti adoperò l'annello;
indi l'avea a Ruggier restituito,
dal qual poi sempre fu portato in dito.
109
Lo dà ad Angelica ora, perché teme
che del suo scudo il fulgurar non viete,
e perché a lei ne sien difesi insieme
gli occhi che già l'avean preso alla rete.
Or viene al lito e sotto il ventre preme
ben mezzo il mar la smisurata cete.
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo;
e par ch'aggiunga un altro sole al cielo.
110
Ferì negli occhi l'incantato lume
di quella fera, e fece al modo usato.
Quale o trota o scaglion va giù pel fiume
c'ha con calcina il montanar turbato,
tal si vedea ne le marine schiume
il mostro orribilmente riversciato.
Di qua di là Ruggier percuote assai,
ma di ferirlo via non truova mai.
111
La bella donna tuttavolta priega
ch'invan la dura squama oltre non pesti.
— Torna, per Dio, signor: prima mi slega
(dicea piangendo), che l'orca si desti:
portami teco e in mezzo il mar mi anniega:
non far ch'in ventre al brutto pesce io resti. —
Ruggier, commosso dunque al giusto grido,
slegò la donna, e la levò dal lido.
112
Il destrier punto, ponta i piè all'arena
e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
e porta il cavalliero in su la schena,
e la donzella dietro in su la groppa.
Così privò la fera de la cena
per lei soave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo, e mille baci
figge nel petto e negli occhi vivaci.
113
Non più tenne la via, come propose
prima, di circundar tutta la Spagna;
ma nel propinquo lito il destrier pose,
dove entra in mar più la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
dove ognor par che Filomena piagna;
ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,
e quinci e quindi un solitario monte.
114
Quivi il bramoso cavallier ritenne
l'audace corso, e nel pratel discese;
e fe' raccorre al suo destrier le penne,
ma non a tal che più le avea distese.
Del destrier sceso, a pena si ritenne
di salir altri; ma tennel l'arnese:
l'arnese il tenne, che bisognò trarre,
e contra il suo disir messe le sbarre.
115
Frettoloso, or da questo or da quel canto
confusamente l'arme si levava.
Non gli parve altra volta mai star tanto;
che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto,
e forse ch'anco l'ascoltar vi grava:
sì ch'io differirò l'istoria mia
in altro tempo che più grata sia.
CANTO UNDICESIMO
1
Quantunque debil freno a mezzo il corso
animoso destrier spesso raccolga,
raro è però che di ragione il morso
libidinosa furia a dietro volga,
quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso
che dal mel non sì tosto si distolga,
poi che gli n'è venuto odore al naso,
o qualche stilla ne gustò sul vaso.
2
Qual ragion fia che 'l buon Ruggier raffrene,
sì che non voglia ora pigliar diletto
d'Angelica gentil che nuda tiene
nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante più non gli soviene,
che tanto aver solea fissa nel petto:
e se gli ne sovien pur come prima,
pazzo è se questa ancor non prezza e stima;
3
con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui più continente.
Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,
e si traea l'altre arme impaziente;
quando abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli occhi vergognosamente,
si vide in dito il prezioso annello
che già le tolse ad Albracca Brunello.
4
Questo è l'annel ch'ella portò già in Francia
la prima volta che fe' quel camino
col fratel suo, che v'arrecò la lancia,
la qual fu poi d'Astolfo paladino.
Con questo fe' gl'incanti uscire in ciancia
di Malagigi al petron di Merlino;
con questo Orlando ed altri una matina
tolse di servitù di Dragontina;
5
con questo uscì invisibil de la torre
dove l'avea richiusa un vecchio rio.
A che voglio io tutte sue prove accorre,
se le sapete voi così come io?
Brunel sin nel giron lel venne a torre;
ch'Agramante d'averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno
ebbe costei, fin che le tolse il regno.
6
Or che sel vede, come ho detto, in mano,
sì di stupore e d'allegrezza è piena,
che quasi dubbia di sognarsi invano,
agli occhi, alla man sua dà fede a pena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
sel chiude in bocca: e in men che non balena,
così dagli occhi di Ruggier si cela,
come fa il sol quando la nube il vela.
7
Ruggier pur d'ogn'intorno riguardava,
e s'aggirava a cerco come un matto;
ma poi che de l'annel si ricordava,
scornato vi rimase e stupefatto:
e la sua inavvertenza bestemiava,
e la donna accusava di quello atto
ingrato e discortese, che renduto
in ricompensa gli era del suo aiuto.
8
— Ingrata damigella, è questo quello
guiderdone (dicea), che tu mi rendi?
che più tosto involar vogli l'annello,
ch'averlo in don? Perché da me nol prendi?
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello
e me ti dono, e come vuoi mi spendi;
sol che 'l bel viso tuo non mi nascondi.
Io so, crudel, che m'odi, e non rispondi. —
9
Così dicendo, intorno alla fontana
brancolando n'andava come cieco.
Oh quante volte abbracciò l'aria vana,
sperando la donzella abbracciar seco!
Quella, che s'era già fatta lontana,
mai non cessò d'andar, che giunse a un speco
che sotto un monte era capace e grande,
dove al bisogno suo trovò vivande.
10
Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
un grande armento avea, facea soggiorno.
Le iumente pascean giù per la valle
le tenere erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di là da l'antro erano stalle,
dove fuggìano il sol del mezzo giorno.
Angelica quel dì lunga dimora
là dentro fece, e non fu vista ancora.
11
E circa il vespro, poi che rifrescossi,
e le fu aviso esser posata assai,
in certi drappi rozzi aviluppossi,
dissimil troppo ai portamenti gai,
che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi
ebbe, e di quante fogge furon mai.
Non le può tor però tanto umil gonna,
che bella non rassembri e nobil donna.
12
Taccia chi loda Fillide, o Neera,
o Amarilli, o Galatea fugace;
che d'esse alcuna sì bella non era,
Titiro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna tra' fuor de la schiera
de le iumente una che più le piace.
Allora allora se le fece inante
un pensier di tornarsene in Levante.
13
Ruggiero intanto, poi ch'ebbe gran pezzo
indarno atteso s'ella si scopriva,
e che s'avide del suo error da sezzo,
che non era vicina e non l'udiva;
dove lasciato avea il cavallo, avezzo
in cielo e in terra, a rimontar veniva:
e ritrovò che s'avea tratto il morso,
e salia in aria a più libero corso.
14
Fu grave e mala aggiunta all'altro danno
vedersi anco restar senza l'augello.
Questo, non men che 'l feminile inganno,
gli preme al cor; ma più che questo e quello,
gli preme e fa sentir noioso affanno
l'aver perduto il prezioso annello;
per le virtù non tanto ch'in lui sono,
quanto che fu de la sua donna dono.
15
Oltremodo dolente si ripose
indosso l'arme, e lo scudo alle spalle;
dal mar slungossi, e per le piaggie erbose
prese il camin verso una larga valle,
dove per mezzo all'alte selve ombrose
vide il più largo e 'l più segnato calle.
Non molto va, ch'a destra, ove più folta
è quella selva, un gran strepito ascolta.
16
Strepito ascolta e spaventevol suono
d'arme percosse insieme; onde s'affretta
tra pianta e pianta, e trova dui, che sono
a gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s'hanno alcun riguardo né perdono,
per far, non so di che, dura vendetta.
L'uno è gigante, alla sembianza fiero;
ardito l'altro e franco cavalliero.
17
E questo con lo scudo e con la spada,
di qua di là saltando, si difende,
perché la mazza sopra non gli cada,
con che il gigante a due man sempre offende.
Giace morto il cavallo in su la strada.
Ruggier si ferma, e alla battaglia attende;
e tosto inchina l'animo, e disia
che vincitore il cavallier ne sia.
18
Non che per questo gli dia alcun aiuto;
ma si tira da parte, e sta a vedere.
Ecco col baston grave il più membruto
sopra l'elmo a due man del minor fere.
De la percossa è il cavallier caduto:
l'altro, che 'l vide attonito giacere,
per dargli morte l'elmo gli dislaccia;
e fa sì che Ruggier lo vede in faccia.
19
Vede Ruggier de la sua dolce e bella
e carissima donna Bradamante
scoperto il viso; e lei vede esser quella
a cui dar morte vuol l'empio gigante:
sì che a battaglia subito l'appella,
e con la spada nuda si fa inante:
ma quel, che nuova pugna non attende,
la donna tramortita in braccio prende;
20
e se l'arreca in spalla, e via la porta,
come lupo talor piccolo agnello,
o l'aquila portar ne l'ugna torta
suole o colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
e vien correndo a più poter; ma quello
con tanta fretta i lunghi passi mena,
che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.
21
Così correndo l'uno, e seguitando
l'altro, per un sentiero ombroso e fosco,
che sempre si venìa più dilatando,
in un gran prato uscir fuor di quel bosco.
Non più di questo; ch'io ritorno a Orlando,
che 'l fulgur che portò già il re Cimosco,
avea gittato in mar nel maggior fondo,
acciò mai più non si trovasse al mondo.
22
Ma poco ci giovò: che 'l nimico empio
de l'umana natura, il qual del telo
fu l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio,
ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;
con quasi non minor di quello scempio
che ci diè quando Eva ingannò col melo,
lo fece ritrovar da un negromante,
al tempo de' nostri avi, o poco inante.
23
La machina infernal, di più di cento
passi d'acqua ove stè ascosa molt'anni,
al sommo tratta per incantamento,
prima portata fu tra gli Alamanni;
li quali uno ed un altro esperimento
facendone, e il demonio a' nostri danni
assuttigliando lor via più la mente,
ne ritrovaro l'uso finalmente.
24
Italia e Francia e tutte l'altre bande
del mondo han poi la crudele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande,
che liquefatto ha la fornace accesa;
bùgia altri il ferro; e chi picciol, chi grande
il vaso forma, che più e meno pesa:
e qual bombarda e qual nomina scoppio,
qual semplice cannon, qual cannon doppio;
25
qual sagra, qual falcon, qual colubrina
sento nomar, come al suo autor più agrada;
che 'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina,
e ovunque passa si fa dar la strada.
Rendi, miser soldato, alla fucina
per tutte l'arme c'hai, fin alla spada;
e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi;
che senza, io so, non toccherai stipendi.
26
Come trovasti, o scelerata e brutta
invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l'arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l'ardire
per te può in campo al paragon venire.
27
Per te son giti ed anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra,
che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti;
che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,
che ben fu il più crudele e il più di quanti
mai furo al mondo ingegni empi e maligni,
ch'imaginò sì abominosi ordigni.
28
E crederò che Dio, perché vendetta
ne sia in eterno, nel profondo chiuda
del cieco abisso quella maladetta
anima, appresso al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo il cavallier ch'in fretta
brama trovarsi all'isola d'Ebuda,
dove le belle donne e delicate
son per vivanda a un marin mostro date.
29
Ma quanto avea più fretta il paladino,
tanto parea che men l'avesse il vento.
Spiri o dal lato destro o dal mancino,
o ne le poppe, sempre è così lento,
che si può far con lui poco camino;
e rimanea talvolta in tutto spento:
soffia talor sì averso, che gli è forza
o di tornare, o d'ir girando all'orza.
30
Fu volontà di Dio che non venisse
prima che 'l re d'Ibernia in quella parte,
acciò con più facilità seguisse
quel ch'udir vi farò fra poche carte.
Sopra l'isola sorti, Orlando disse
al suo nochiero: — Or qui potrai fermarte,
e 'l battel darmi; che portar mi voglio
senz'altra compagnia sopra lo scoglio.
31
E voglio la maggior gomona meco,
e l'ancora maggior ch'abbi sul legno:
io ti farò veder perché l'arreco,
se con quel mostro ad affrontar mi vegno. —
Gittar fe' in mare il palischermo seco,
con tutto quel ch'era atto al suo disegno.
Tutte l'arme lasciò, fuor che la spada;
e vêr lo scoglio, sol, prese la strada.
32
Si tira i remi al petto, e tien le spalle
volte alla parte ove discender vuole;
a guisa che del mare o de la valle
uscendo al lito, il salso granchio suole.
Era ne l'ora che le chiome gialle
la bella Aurora avea spiegate al Sole,
mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,
non senza sdegno di Titon geloso.
33
Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto
potria gagliarda man gittare un sasso,
gli pare udire e non udire un pianto;
sì all'orecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si volta sul sinistro canto;
e posto gli occhi appresso all'onde al basso,
vede una donna, nuda come nacque,
legata a un tronco; e i piè le bagnan l'acque.
34
Perché gli è ancor lontana, e perché china
la faccia tien, non ben chi sia discerne.
Tira in fretta ambi i remi, e s'avicina
con gran disio di più notizia averne.
Ma muggiar sente in questo la marina,
e rimbombar le selve e le caverne:
gonfiansi l'onde; ed ecco il mostro appare,
che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.
35
Come d'oscura valle umida ascende
nube di pioggia e di tempesta pregna,
che più che cieca notte si distende
per tutto 'l mondo, e par che 'l giorno spegna;
così nuota la fera, e del mar prende
tanto, che si può dir che tutto il tegna:
fremono l'onde. Orlando in sé raccolto,
la mira altier, né cangia cor né volto.
36
E come quel ch'avea il pensier ben fermo
di quanto volea far, si mosse ratto;
e perché alla donzella essere schermo,
e la fera assalir potesse a un tratto,
entrò fra l'orca e lei col palischermo,
nel fodero lasciando il brando piatto:
l'ancora con la gomona in man prese;
poi con gran cor l'orribil mostro attese.
37
Tosto che l'orca s'accostò, e scoperse
nel schifo Orlando con poco intervallo,
per ingiottirlo tanta bocca aperse,
ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando inanzi, e se gl'immerse
con quella ancora in gola, e s'io non fallo,
col battello anco; e l'ancora attaccolle
e nel palato e ne la lingua molle:
38
sì che né più si puon calar di sopra,
né alzar di sotto le mascelle orrende.
Così chi ne le mine il ferro adopra,
la terra, ovunque si fa via, suspende,
che subita ruina non lo cuopra,
mentre malcauto al suo lavoro intende.
Da un amo all'altro l'ancora è tanto alta,
che non v'arriva Orlando, se non salta.
39
Messo il puntello, e fattosi sicuro
che 'l mostro più serrar non può la bocca,
stringe la spada, e per quel antro oscuro
di qua e di là con tagli e punte tocca.
Come si può, poi che son dentro al muro
giunti i nimici, ben difender rocca;
così difender l'orca si potea
dal paladin che ne la gola avea.
40
Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,
e mostra i fianchi e le scagliose schene;
or dentro vi s'attuffa, e con la pancia
muove dal fondo e fa salir l'arene.
Sentendo l'acqua il cavallier di Francia,
che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:
lascia l'ancora fitta, e in mano prende
la fune che da l'ancora depende.
41
E con quella ne vien nuotando in fretta
verso lo scoglio; ove fermato il piede,
tira l'ancora a sé, ch'in bocca stretta
con le due punte il brutto mostro fiede.
L'orca a seguire il canape è costretta
da quella forza ch'ogni forza eccede,
da quella forza che più in una scossa
tira, ch'in dieci un argano far possa.
42
Come toro selvatico ch'al corno
gittar si senta un improvviso laccio,
salta di qua di là, s'aggira intorno,
si colca e lieva, e non può uscir d'impaccio;
così fuor del suo antico almo soggiorno
l'orca tratta per forza di quel braccio,
con mille guizzi e mille strane ruote
segue la fune, e scior non se ne puote.
43
Di bocca il sangue in tanta copia fonde,
che questo oggi il mar Rosso si può dire,
dove in tal guisa ella percuote l'onde,
ch'insino al fondo le vedreste aprire;
ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde
del chiaro sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode,
le selve, i monti e le lontane prode.
44
Fuor de la grotta il vecchio Proteo, quando
ode tanto rumor, sopra il mare esce;
e visto entrare e uscir de l'orca Orlando,
e al lito trar sì smisurato pesce,
fugge per l'alto oceano, obliando
lo sparso gregge: e sì il tumulto cresce,
che fatto al carro i suoi delfini porre,
quel dì Nettuno in Etiopia corre.
45
Con Melicerta in collo Ino piangendo,
e le Nereide coi capelli sparsi,
Glauci e Tritoni, e gli altri, non sappiendo
dove, chi qua chi là van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo,
col qual non bisognò più affaticarsi;
che pel travaglio e per l'avuta pena,
prima morì, che fosse in su l'arena.
46
De l'isola non pochi erano corsi
a riguardar quella battaglia strana;
i quai da vana religion rimorsi,
così sant'opra riputar profana:
e dicean che sarebbe un nuovo torsi
Proteo nimico, e attizzar l'ira insana,
da farli porre il marin gregge in terra,
e tutta rinovar l'antica guerra;
47
e che meglio sarà di chieder pace
prima all'offeso dio, che peggio accada;
e questo si farà, quando l'audace
gittato in mare a placar Proteo vada.
Come dà fuoco l'una a l'altra face,
e tosto alluma tutta una contrada,
così d'un cor ne l'altro si difonde
l'ira ch'Orlando vuol gittar ne l'onde.
48
Chi d'una fromba e chi d'un arco armato,
chi d'asta, chi di spada, al lito scende;
e dinanzi e di dietro e d'ogni lato,
lontano e appresso, a più poter l'offende.
Di sì bestiale insulto e troppo ingrato
gran meraviglia il paladin si prende:
pel mostro ucciso ingiuria far si vede,
dove aver ne sperò gloria e mercede.
49
Ma come l'orso suol, che per le fiere
menato sia da Rusci o da Lituani,
passando per la via, poco temere
l'importuno abbaiar di picciol cani,
che pur non se li degna di vedere;
così poco temea di quei villani
il paladin, che con un soffio solo
ne potrà fracassar tutto lo stuolo.
50
E ben si fece far subito piazza
che lor si volse, e Durindana prese.
S'avea creduto quella gente pazza
che le dovesse far poche contese,
quando né indosso gli vedea corazza,
né scudo in braccio, né alcun altro arnese;
ma non sapea che dal capo alle piante
dura la pelle avea più che diamante.
51
Quel che d'Orlando agli altri far non lece,
di far degli altri a lui già non è tolto.
Trenta n'uccise, e furo in tutto diece
botte, o se più, non le passò di molto.
Tosto intorno sgombrar l'arena fece;
e per slegar la donna era già volto,
quando nuovo tumulto e nuovo grido
fe' risuonar da un'altra parte il lido.
52
Mentre avea il paladin da questa banda
così tenuto i barbari impediti,
eran senza contrasto quei d'Irlanda
da più parte ne l'isola saliti;
e spenta ogni pietà, strage nefanda
di quel popul facean per tutti i liti:
fosse iustizia, o fosse crudeltade,
né sesso riguardavano né etade.
53
Nessun ripar fan gl'isolani, o poco;
parte, ch'accolti son troppo improviso,
parte, che poca gente ha il picciol loco,
e quella poca è di nessun aviso.
L'aver fu messo a sacco; messo fuoco
fu ne le case: il populo fu ucciso:
le mura fur tutte adeguate al suolo:
non fu lasciato vivo un capo solo.
54
Orlando, come gli appertenga nulla
l'alto rumor, le strida e la ruina,
viene a colei che su la pietra brulla
avea da divorar l'orca marina.
Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;
e più gli pare, e più che s'avicina:
gli pare Olimpia: ed era Olimpia certo,
che di sua fede ebbe sì iniquo merto.
55
Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno
che gli fe' Amore, anco Fortuna cruda
mandò i corsari (e fu il medesmo giorno),
che la portaro all'isola d'Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritorno
che fa allo scoglio: ma perch'ella è nuda,
tien basso il capo; e non che non gli parli,
ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.
56
Orlando domandò ch'iniqua sorte
l'avesse fatta all'isola venire
di là dove lasciata col consorte
lieta l'avea, quanto si può più dire.
— Non so (disse ella) s'io v'ho, che la morte
voi mi schivaste, grazie a riferire,
o da dolermi che per voi non sia
oggi finita la miseria mia.
57
Io v'ho da ringraziar ch'una maniera
di morir mi schivaste troppo enorme;
che troppo saria enorme, se la fera
nel brutto ventre avesse avuto a porme.
Ma già non vi ringrazio ch'io non pera;
che morte sol può di miseria torme:
ben vi ringrazierò, se da voi darmi
quella vedrò, che d'ogni duol può trarmi. —
58
Poi con gran pianto seguitò, dicendo
come lo sposo suo l'avea tradita;
che la lasciò su l'isola dormendo,
donde ella poi fu dai corsar rapita.
E mentre ella parlava, rivolgendo
s'andava in quella guisa che scolpita
o dipinta è Diana ne la fonte,
che getta l'acqua ad Ateone in fronte;
59
che, quanto può, nasconde il petto e 'l ventre,
più liberal dei fianchi e de le rene.
Brama Orlando ch'in porto il suo legno entre;
che lei, che sciolta avea da le catene,
vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre
ch'a questo è intento, Oberto sopraviene,
Oberto il re d'Ibernia, ch'avea inteso
che 'l marin mostro era sul lito steso;
60
e che nuotando un cavallier era ito
a porgli in gola un'ancora assai grave;
e che l'avea così tirato al lito,
come si suol tirar contr'acqua nave.
Oberto, per veder se riferito
colui da chi l'ha inteso, il vero gli have,
se ne vien quivi; e la sua gente intanto
arde e distrugge Ebuda in ogni canto.
61
Il re d'Ibernia, ancor che fosse Orlando,
di sangue tinto, e d'acqua molle e brutto,
brutto del sangue che si trasse quando
uscì de l'orca in ch'era entrato tutto,
pel conte l'andò pur raffigurando;
tanto più che ne l'animo avea indutto,
tosto che del valor sentì la nuova,
ch'altri ch'Orlando non faria tal pruova.
62
Lo conoscea, perch'era stato infante
d'onore in Francia, e se n'era partito
per pigliar la corona, l'anno inante,
del padre suo ch'era di vita uscito.
Tante volte veduto, e tante e tante
gli avea parlato, ch'era in infinito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
trattasi la celata ch'avea in testa.
63
Non meno Orlando di veder contento
si mostrò il re, che 'l re di veder lui.
Poi che furo a iterar l'abbracciamento
una o due volte tornati amendui,
narrò ad Oberto Orlando il tradimento
che fu fatto alla giovane, e da cui
fatto le fu; dal perfido Bireno,
che via d'ogn'altro lo dovea far meno.
64
Le prove gli narrò, che tante volte
ella d'amarlo dimostrato avea:
come i parenti e le sustanze tolte
le furo, e al fin per lui morir volea;
e ch'esso testimonio era di molte,
e renderne buon conto ne potea.
Mentre parlava, i begli occhi sereni
de la donna di lagrime eran pieni.
65
Era il bel viso suo, quale esser suole
da primavera alcuna volta il cielo,
quando la pioggia cade, e a un tempo il sole
si sgombra intorno il nubiloso velo.
E come il rosignuol dolci carole
mena nei rami alor del verde stelo,
così alle belle lagrime le piume
si bagna Amore, e gode al chiaro lume.
66
E ne la face de' begli occhi accende
l'aurato strale, e nel ruscello amorza,
che tra vermigli e bianchi fiori scende:
e temprato che l'ha, tira di forza
contra il garzon, che né scudo difende,
né maglia doppia, né ferrigna scorza;
che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,
si sente il cor ferito, e non sa come.
67
Le bellezze d'Olimpia eran di quelle
che son più rare: e non la fronte sola,
gli occhi e le guance e le chiome avea belle,
la bocca, il naso, gli omeri e la gola;
ma discendendo giù da le mammelle,
le parti che solea coprir la stola,
fur di tanta eccellenza, ch'anteporse
a quante n'avea il mondo potean forse.
68
Vinceano di candor le nievi intatte,
ed eran più ch'avorio a toccar molli:
le poppe ritondette parean latte
che fuor dei giunchi allora allora tolli.
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte
esser veggiàn fra picciolini colli
l'ombrose valli, in sua stagione amene,
che 'l verno abbia di nieve allora piene.
69
I rilevati fianchi e le belle anche,
e netto più che specchio il ventre piano,
pareano fatti, e quelle coscie bianche,
da Fidia a torno, o da più dotta mano.
Di quelle parti debbovi dir anche,
che pur celare ella bramava invano?
Dirò insomma, ch'in lei dal capo al piede,
quant'esser può beltà, tutta si vede.
70
Se fosse stata ne le valli Idee
vista dal Pastor frigio, io non so quanto
Vener, sebben vincea quell'altre dee,
portato avesse di bellezza il vanto:
né forse ito saria ne le Amiclee
contrade esso a violar l'ospizio santo;
ma detto avria: — Con Menelao ti resta,
Elena pur; ch'altra io non vo' che questa. —
71
E se fosse costei stata a Crotone,
quando Zeusi l'imagine far volse,
che por dovea nel tempio di Iunone,
e tante belle nude insieme accolse;
e che, per una farne in perfezione,
da chi una parte e da chi un'altra tolse:
non avea da torre altra che costei;
che tutte le bellezze erano in lei.
72
Io non credo che mai Bireno, nudo
vedesse quel bel corpo; ch'io son certo
che stato non saria mai così crudo,
che l'avesse lasciata in quel deserto.
Ch'Oberto se n'accende, io vi concludo,
tanto che 'l fuoco non può star coperto.
Si studia consolarla, e darle speme
ch'uscirà in bene il mal ch'ora la preme:
73
e le promette andar seco in Olanda;
né fin che ne lo stato la rimetta,
e ch'abbia fatto iusta e memoranda
di quel periuro e traditor vendetta,
non cesserà con ciò che possa Irlanda,
e lo farà quanto potrà più in fretta.
Cercare intanto in quelle case e in queste
facea di gonne e di feminee veste.
74
Bisogno non sarà, per trovar gonne,
ch'a cercar fuor de l'isola si mande;
ch'ogni dì se n'avea da quelle donne
che de l'avido mostro eran vivande.
Non fe' molto cercar, che ritrovonne
di varie fogge Oberto copia grande;
e fe' vestir Olimpia, e ben gl'increbbe
non la poter vestir come vorrebbe.
75
Ma né sì bella seta o sì fin'oro
mai Fiorentini industri tesser fenno;
né chi ricama fece mai lavoro,
postovi tempo, diligenza e senno,
che potesse a costui parer decoro,
se lo fêsse Minerva o il dio di Lenno,
e degno di coprir sì belle membre,
che forza è ad or ad or se ne rimembre.
76
Per più rispetti il paladino molto
si dimostrò di questo amor contento:
ch'oltre che 'l re non lascerebbe asciolto
Bireno andar di tanto tradimento,
sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto
di grave e di noioso impedimento,
quivi non per Olimpia, ma venuto
per dar, se v'era, alla sua donna aiuto.
77
Ch'ella non v'era si chiarì di corto,
ma già non si chiarì se v'era stata;
perché ogn'uomo ne l'isola era morto,
né un sol rimaso di sì gran brigata.
Il dì seguente si partir del porto,
e tutti insieme andaro in una armata.
Con loro andò in Irlanda il paladino;
che fu per gire in Francia il suo camino.
78
A pena un giorno si fermò in Irlanda;
non valser preghi a far che più vi stesse:
Amor, che dietro alla sua donna il manda,
di fermarvisi più non gli concesse.
Quindi si parte; e prima raccomanda
Olimpia al re, che servi le promesse:
ben che non bisognasse; che gli attenne
molto più, che di far non si convenne.
79
Così fra pochi dì gente raccolse;
e fatto lega col re d'Inghilterra
e con l'altro di Scozia, gli ritolse
Olanda, e in Frisa non gli lasciò terra;
ed a ribellione anco gli volse
la sua Selandia: e non finì la guerra,
che gli diè morte; né però fu tale
la pena, ch'al delitto andasse eguale.
80
Olimpia Oberto si pigliò per moglie,
e di contessa la fe' gran regina.
Ma ritorniamo al paladin che scioglie
nel mar le vele, e notte e dì camina;
poi nel medesmo porto le raccoglie,
donde pria le spiegò ne la marina:
e sul suo Brigliadoro armato salse,
e lasciò dietro i venti e l'onde salse.
