81
E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e 'l populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:
e quel medesmo dì fe' andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e 'l populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:
e quel medesmo dì fe' andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
Ariosto - Orlando Furioso
—
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera,
ch'un perder tempo ogni parlar seco era.
53
All'ultimo Ruggier la spada trasse,
poi che l'ira anco lui fe' rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
che così a' riguardanti dilettasse,
come dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.
54
La sua spada avea tolta ella di terra,
e tratta s'era a riguardar da parte;
e le parea veder che 'l dio di guerra
fosse Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è ch'un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.
55
Sapea ben la virtù de la sua spada;
che tante esperienze n'ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
l'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto:
sì che ritien che 'l colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure un tratto la pazienza;
56
perché Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che 'l capo difenda
Ruggiero, e 'l colpo in su l'aquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta:
e s'avea altr'arme che quelle d'Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio torre:
57
e saria sceso indi alla testa, dove
disegnò di ferir l'aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena più sostien l'aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta!
58
Io non vi so ben dir come si fosse:
la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e più ne l'arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sentì con esso
da quell'avel ch'in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir, ch'ogni mortale eccede.
59
Grida la voce orribile: — Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto ed inumano
ch'alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano:
in un medesimo utero d'un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.
60
Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galaciella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice,
senza guardar ch'avesse in corpo il pondo
di voi, ch'usciste pur di lor radice,
la fer, perché s'avesse ad affogare,
s'un debol legno porre in mezzo al mare.
61
Ma Fortuna che voi, ben che non nati,
avea già eletti a gloriose imprese,
fece che 'l legno ai liti inabitati
sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v'ebbe dati,
l'anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino,
a questo caso io mi trovai vicino.
62
Diedi alla madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in sì deserta arena;
e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
feci e lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.
63
Un giorno che d'andar per la contrada
e da la stanza allontanar m'occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d'Arabi (e ricordarvene de' forse),
che te, Marfisa, tolser ne la strada,
ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian più diligente.
64
Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti' predir le stelle fisse,
che tra' cristiani a tradigion morrai;
e perché il male influsso non seguisse,
tenertene lontan m'affaticai:
né ostare al fin potendo alla tua voglia,
infermo caddi, e mi mori' di doglia.
65
Ma inanzi a morte, qui dove previdi
che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi;
ed a Caron dissi con alti gridi:
— Dopo morte non vo' lo spirto levi
di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. —
66
Così lo spirto mio per le belle ombre
ha molti dì aspettato il venir vostro:
sì che mai gelosia più non t'ingombre,
o Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca al tenebroso chiostro. —
Qui si tacque; e a Marfisa ed alla figlia
d'Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui;
e ad abbracciarsi, senza offender quella
che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e rammentando de l'età novella
alcune cose: i' feci, io dissi, io fui;
vengon trovando con più certo effetto,
tutto esser ver quel c'ha lo spirto detto.
68
Ruggiero alla sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante;
e narrò con parole affettuose
de le obligazion che le avea tante:
e non cessò, ch'in grand'amor compose
le discordie ch'insieme ebbono avante;
e fe', per segno di pacificarsi,
ch'umanamente andaro ad abbracciarsi.
69
A domandar poi ritornò Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre;
e chi l'avesse morto, ed a che guisa,
s'in campo chiuso o fra l'armate squadre;
e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se già l'avea udito da fanciulla,
or ne tenea poca memoria o nulla.
70
Ruggiero incominciò, che da' Troiani
per la linea d'Ettorre erano scesi;
che poi che Astianatte de le mani
campò d'Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de' fanciulli coetani
per lui lasciato, uscì di quei paesi;
e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e dominò Messina.
71
— I descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiar de la Calabria parte;
e dopo più successioni andaro
ad abitar ne la città di Marte.
Più d'uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.
72
Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fe', come d'Atlante udir potesti,
di nostra madre l'utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
per l'istorie vedrai celebri al mondo. —
Seguì poi, come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d'Agramante;
73
e come menò seco una donzella
ch'era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gittò di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa,
e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
per la cognata arse d'incesto amore;
74
e che la patria e 'l padre e duo fratelli
tradì, così sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fer di lor tutti i portamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli
poser Galaciella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo,
quando fu tempestoso al maggior verno.
75
Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che 'l suo german facea:
ed esser scesa da la bella fonte
ch'avea sì chiari rivi, si godea.
Quindi Mongrana e quindi Chiaramonte
le due progenie derivar sapea,
ch'al mondo fu molti e molt'anni e lustri
splendide, e senza par d'uomini illustri.
76
Poi che 'l fratello al fin le venne a dire
che 'l padre d'Agramante e l'avo e 'l zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo poté più la sorella udire,
che lo 'nterroppe, e disse: — Fratel mio
(salva tua grazia), avuto hai troppo torto
a non ti vendicar del padre morto.
77
Se in Almonte e in Troian non ti potevi
insanguinar, ch'erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte,
ma vivi al soldo suo ne la sua corte.
78
Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio,
fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se più ti veggo fra le squadre
del re Agramante o d'altro signor Moro,
se non col ferro in man per danno loro. —
79
Oh come a quel parlar leva la faccia
la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che così faccia
come Marfisa sua ben l'ammonisce;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama,
ch'ancor guerrier senza alcun par lo chiama.
80
Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea
dandogli morte, e saria traditore;
che già tolto l'avea per suo signore.
81
Ben, come a Bradamante già promesse,
promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch'occasione, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non l'avea, non desse
la colpa a lui, m'al re di Tartaria,
dal qual ne la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu, come saper si debbe.
82
Ed ella ch'ogni dì gli venìa al letto,
buon testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
da l'una e da l'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, l'ultimo effetto
è che Ruggier ritorni alla bandiera
del suo signor, fin che cagion gli accada,
che giustamente a Carlo se ne vada.
83
— Lascialo pur andar (dicea Marfisa
a Bradamante), e non aver timore:
fra pochi giorni io farò bene in guisa
che non gli fia Agramante più signore. —
Così dice ella, né però devisa
quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenza, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero;
84
quando un pianto s'udì da le vicine
valli sonar, che li fe' tutti attenti.
A quella voce fan l'orecchie chine,
che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
e di quel che voglio io, siate contenti;
che miglior cose vi prometto dire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
CANTO TRENTASETTESIMO
1
Se, come in acquistar qualch'altro dono
che senza industria non può dar Natura,
affaticate notte e dì si sono
con somma diligenza e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n'è uscit'opra non oscura;
così si fosson poste a quelli studi
ch'immortal fanno le mortal virtudi;
2
e che per sé medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto,
ai quali astio ed invidia il cor sì rode,
che 'l ben che ne puon dir, spesso è taciuto,
e 'l mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.
3
Non basta a molti di prestarsi l'opra
in far l'un l'altro glorioso al mondo,
ch'anco studian di far che si discuopra
ciò che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
dico gli antiqui; quasi l'onor debbia
d'esse il lor oscurar, come il sol nebbia.
4
Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua
la gloria sì, che non ne resti parte;
ma non già tal, che presso al segno giunga,
né ch'anco se gli accosti di gran lunga:
5
ch'Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidoni e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl'Indi con vittoria scorse:
non fur queste e poch'altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.
6
E di fedeli e caste e sagge e forti
stato ne son, non pur in Grecia e in Roma,
ma in ogni parte ove fra gl'Indi e gli Orti
de le Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai sono i pregi agli onor morti,
sì ch'a pena di mille una si noma;
e questo, perché avuto hanno ai lor tempi
gli scrittori bugiardi, invidi ed empi.
7
Non restate però, donne, a cui giova
il bene oprar, di seguir vostra via;
né da vostra alta impresa vi rimuova
tema che degno onor non vi si dia:
che, come cosa buona non si trova
che duri sempre, così ancor né ria.
Se le carte sin qui state e gl'inchiostri
per voi non sono, or sono a' tempi nostri.
8
Dianzi Marullo ed il Pontan per vui
sono, e duo Strozzi, il padre e 'l figlio, stati:
c'è il Bembo, c'è il Capel, c'è chi, qual lui
vediamo, ha tali i cortigian formati:
c'è un Luigi Alaman: ce ne son dui,
di par da Marte e da le Muse amati,
ambi del sangue che regge la terra
che 'l Menzo fende e d'alti stagni serra.
9
Di questi l'uno, oltre che 'l proprio istinto
ad onorarvi e a riverirvi inchina,
e far Parnasso risonare e Cinto
di vostra laude, e porla al ciel vicina;
l'amor, la fede, il saldo e non mai vinto
per minacciar di strazi e di ruina,
animo ch'Issabella gli ha dimostro,
lo fa, assai più che di se stesso, vostro:
10
sì che non è per mai trovarsi stanco
di farvi onor nei suoi vivaci carmi:
e s'altri vi dà biasmo, non è ch'anco
sia più pronto di lui per pigliar l'armi:
e non ha il mondo cavallier che manco
la vita sua per la virtù rispiarmi.
Dà insieme egli materia ond'altri scriva,
e fa la gloria altrui, scrivendo, viva.
11
Ed è ben degno che sì ricca donna,
ricca di tutto quel valor che possa
esser fra quante al mondo portin gonna,
mai non si sia di sua costanza mossa;
e sia stata per lui vera colonna,
sprezzando di Fortuna ogni percossa:
di lei degno egli, e degna ella di lui;
né meglio s'accoppiaro unque altri dui.
12
Nuovi trofei pon su la riva d'Oglio;
ch'in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a ruote
ha sparso alcun tanto ben scritto foglio,
che 'l vicin fiume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
fa chiaro il vostro onor con chiare note,
e Renato Trivulcio, e 'l mio Guidetto,
e 'l Molza, a dir di voi da Febo eletto.
13
C'è 'l duca de' Carnuti Ercol, figliuolo
del duca mio, che spiega l'ali come
canoro cigno, e va cantando a volo,
e fin al cielo udir fa il vostro nome.
C'è il mio signor del Vasto, a cui non solo
di dare a mille Atene e a mille Rome
di sé materia basta, ch'anco accenna
volervi eterne far con la sua penna.
14
Ed oltre a questi ed altri ch'oggi avete,
che v'hanno dato gloria e ve la danno,
voi per voi stesse dar ve la potete;
poi che molte, lasciando l'ago e 'l panno,
son con le Muse a spegnersi la sete
al fonte d'Aganippe andate, e vanno;
e ne ritornan tai, che l'opra vostra
è più bisogno a noi, ch'a voi la nostra.
15
Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
render buon conto, e degno pregio darle,
bisognerà ch'io verghi più d'un foglio,
e ch'oggi il canto mio d'altro non parle:
e s'a lodarne cinque o sei ne toglio,
io potrei l'altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d'ognuna,
o pur fra tante sceglierne sol una?
16
Sceglieronne una; e sceglierolla tale,
che superato avrà l'invidia in modo,
che nessun'altra potrà avere a male,
se l'altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest'una ha non pur sé fatta immortale
col dolce stil di che il meglior non odo;
ma può qualunque di cui parli o scriva,
trar del sepolcro, e far ch'eterno viva.
17
Come Febo la candida sorella
fa più di luce adorna, e più la mira,
che Venere o che Maia o ch'altra stella
che va col cielo o che da sé si gira:
così facundia, più ch'all'altre, a quella
di ch'io vi parlo, e più dolcezza spira;
e dà tal forza all'alte sue parole,
ch'orna a' dì nostri il ciel d'un altro sole.
18
Vittoria è 'l nome; e ben conviensi a nata
fra le vittorie, ed a chi, o vada o stanzi,
di trofei sempre e di trionfi ornata,
la vittoria abbia seco, o dietro o inanzi.
Questa è un'altra Artemisia, che lodata
fu di pietà verso il suo Mausolo; anzi
tanto maggior, quanto è più assai bell'opra,
che por sotterra un uom, trarlo di sopra.
19
Se Laodamìa se la moglier di Bruto,
s'Arria, s'Argia, s'Evadne, e s'altre molte
meritar laude per aver voluto,
morti i mariti, esser con lor sepolte;
quanto onore a Vittoria è più dovuto,
che di Lete e del rio che nove volte
l'ombre circonda, ha tratto il suo consorte,
mal grado de le Parche e de la Morte!
20
S'al fiero Achille invidia de la chiara
meonia tromba il Macedonico ebbe,
quanto, invitto Francesco di Pescara,
maggior a te, se vivesse or, l'avrebbe!
che sì casta mogliere e a te sì cara
canti l'eterno onor che ti si debbe,
e che per lei sì 'l nome tuo rimbombe,
che da bramar non hai più chiare trombe.
21
Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
io n'ho desir, volessi porre in carte,
ne direi lungamente; ma non tanto,
ch'a dir non ne restasse anco gran parte:
e di Marfisa e dei compagni intanto
la bella istoria rimarria da parte,
la quale io vi promisi di seguire,
s'in questo canto mi verreste a udire.
22
Ora essendo voi qui per ascoltarmi,
ed io per non mancar de la promessa,
serberò a maggior ozio di provarmi
ch'ogni laude di lei sia da me espressa;
non perch'io creda bisognar miei carmi
a chi se ne fa copia da se stessa;
ma sol per satisfare a questo mio,
c'ho d'onorarla e di lodar, disio.
23
Donne, io conchiudo in somma, ch'ogni etate
molte ha di voi degne d'istoria avute;
ma per invidia di scrittori state
non sete dopo morte conosciute:
il che più non sarà, poi che voi fate
per voi stesse immortal vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo,
si sapria meglio ogni lor degno gesto.
24
Di Bradamante e di Marfisa dico,
le cui vittoriose inclite prove
di ritornare in luce m'affatico;
ma de le diece mancanmi le nove.
Queste ch'io so, ben volentieri esplìco;
sì perché ogni bell'opra si de', dove
occulta sia, scoprir, sì perché bramo
a voi, donne, aggradir, ch'onoro ed amo.
25
Stava Ruggier, com'io vi dissi, in atto
di partirsi, ed avea commiato preso,
e dall'arbore il brando già ritratto,
che, come dianzi, non gli fu conteso;
quando un gran pianto, che non lungo tratto
era lontan, lo fe' restar sospeso;
e con le donne a quella via si mosse,
per aiutar, dove bisogno fosse.
26
Spingonsi inanzi, e via più chiaro il suon ne
viene, e via più son le parole intese.
Giunti ne la vallea, trovan tre donne
che fan quel duolo, assai strane in arnese;
che fin all'ombilico ha lor le gonne
scorciate non so chi poco cortese:
e per non saper meglio elle celarsi,
sedeano in terra, e non ardian levarsi.
27
Come quel figlio di Vulcan, che venne
fuor de la polve senza madre in vita,
e Pallade nutrir fe' con solenne
cura d'Aglauro, al veder troppo ardita,
sedendo, ascosi i brutti piedi tenne
su la quadriga da lui prima ordita;
così quelle tre giovani le cose
secrete lor tenean, sedendo, ascose.
28
Lo spettacolo enorme e disonesto
l'una e l'altra magnanima guerriera
fe' del color che nei giardin di Pesto
esser la rosa suol da primavera.
Riguardò Bradamante, e manifesto
tosto le fu ch'Ullania una d'esse era,
Ullania che da l'Isola Perduta
in Francia messaggera era venuta:
29
e riconobbe non men l'altre due;
che dove vide lei, vide esse ancora.
Ma se n'andaron le parole sue
a quella de le tre ch'ella più onora;
e le domanda chi sì iniquo fue,
e sì di legge e di costumi fuora,
che quei segreti agli occhi altrui riveli,
che, quanto può, par che Natura celi.
30
Ullania che conosce Bradamante,
non meno ch'alle insegne, alla favella,
esser colei che pochi giorni inante
avea gittati i tre guerrier di sella,
narra che ad un castel poco distante
una ria gente e di pietà ribella,
oltre all'ingiuria di scorciarle i panni,
l'avea battuta e fattol'altri danni.
31
Né le sa dir che de lo scudo sia,
né dei tre re che per tanti paesi
fatto le avean sì lunga compagnia:
non sa se morti, o sian restati presi;
e dice c'ha pigliata questa via,
ancor ch'andare a piè molto le pesi,
per richiamarsi de l'oltraggio a Carlo,
sperando che non sia per tolerarlo.
32
Alle guerriere ed a Ruggier, che meno
non han pietosi i cor, ch'audaci e forti,
de' bei visi turbò l'aer sereno
l'udire, e più il veder sì gravi torti:
et obliando ogn'altro affar che avieno,
e senza che li prieghi o che gli esorti
la donna afflitta a far la sua vendetta,
piglian la via verso quel luogo in fretta.
33
Di commune parer le sopraveste,
mosse da gran bontà, s'aveano tratte,
ch'a ricoprir le parti meno oneste
di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vuol ch'Ullania peste
le strade a piè, ch'avea a piede anco fatte,
e se la leva in groppa del destriero;
l'altra Marfisa, l'altra il buon Ruggiero.
34
Ullania a Bradamante che la porta,
mostra la via che va al castel più dritta:
Bradamante all'incontro lei conforta,
che la vendicherà di chi l'ha afflitta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta
sagliono un colle or a man manca or ritta;
e prima il sol fu dentro il mare ascoso,
che volesser tra via prender riposo.
35
Trovaro una villetta che la schena
d'un erto colle, aspro a salir, tenea;
ove ebbon buono albergo e buona cena,
quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d'intorno, e quivi piena
ogni parte di donne si vedea,
quai giovani, quai vecchie; e in tanto stuolo
faccia non v'apparia d'un uomo solo.
36
Non più a Iason di maraviglia denno,
né agli Argonauti che venian con lui,
le donne che i mariti morir fenno
e i figli e i padri coi fratelli sui,
sì che per tutta l'isola di Lenno
di viril faccia non si vider dui;
che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era
maraviglia ebbe all'alloggiar la sera.
37
Fero ad Ullania ed alle damigelle
che venivan con lei, le due guerriere
la sera proveder di tre gonnelle,
se non così polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
donne ch'abitan quivi, e vuol sapere
ove gli uomini sian, ch'un non ne vede;
ed ella a lui questa risposta diede:
38
— Questa che forse è maraviglia a voi,
che tante donne senza uomini siamo,
è grave e intolerabil pena a noi,
che qui bandite misere viviamo.
E perché il duro esilio più ci annoi,
padri, figli e mariti, che sì amiamo,
aspro e lungo divorzio da noi fanno,
come piace al crudel nostro tiranno.
39
Da le sue terre, le quai son vicine
a noi due leghe, e dove noi siàn nate,
qui ci ha mandato il barbaro in confine,
prima di mille scorni ingiuriate;
ed ha gli uomini nostri e noi meschine
di morte e d'ogni strazio minacciate,
se quelli a noi verranno, o gli fia detto
che noi diàn lor, venendoci, ricetto.
40
Nimico è sì costui del nostro nome,
che non ci vuol, più ch'io vi dico, appresso,
né ch'a noi venga alcun de' nostri, come
l'odor l'ammorbi del femineo sesso.
Già due volte l'onor de le lor chiome
s'hanno spogliato gli alberi e rimesso,
da indi in qua che 'l rio signor vaneggia
in furor tanto: e non è chi 'l correggia;
41
che 'l populo ha di lui quella paura
che maggior aver può l'uom de la morte;
ch'aggiunto al mal voler gli ha la natura
una possanza fuor d'umana sorte.
Il corpo suo di gigantea statura
è più, che di cent'altri insieme, forte.
Né pure a noi sue suddite è molesto,
ma fa alle strane ancor peggio di questo.
42
Se l'onor vostro, e queste tre vi sono
punto care, ch'avete in compagnia,
più vi sarà sicuro, utile e buono
non gir più inanzi, e trovar altra via.
Questa al castel de l'uom di ch'io ragiono,
a provar mena la costuma ria
che v'ha posta il crudel con scorno e danno
di donne e di guerrier che di là vanno.
43
Marganor il fellon (così si chiama
il signore, il tiran di quel castello),
del qual Nerone, o s'altri è ch'abbia fama
di crudeltà, non fu più iniquo e fello,
il sangue uman, ma 'l feminil più brama,
che 'l lupo non lo brama de l'agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
da lor ria sorte a quel castel condutte. —
44
Perché quell'empio in tal furor venisse,
volson le donne intendere e Ruggiero:
pregar colei, ch'in cortesia seguisse,
anzi che cominciasse il conto intero.
— Fu il signor del castel (la donna disse)
sempre crudel, sempre inumano e fiero;
ma tenne un tempo il cor maligno ascosto,
né si lasciò conoscer così tosto:
45
che mentre duo suoi figli erano vivi,
molto diversi dai paterni stili,
ch'amavan forestieri, ed eran schivi
di crudeltade e degli altri atti vili;
quivi le cortesie fiorivan, quivi
i bei costumi e l'opere gentili:
che 'l padre mai, quantunque avaro fosse,
da quel che lor piacea non li rimosse.
46
Le donne e i cavallier che questa via
facean talor, venian sì ben raccolti,
che si partian de l'alta cortesia
dei duo germani inamorati molti.
Amendui questi di cavalleria
parimente i santi ordini avean tolti:
Cilandro l'un, l'altro Tanacro detto,
gagliardi, arditi e di reale aspetto.
47
Ed eran veramente, e sarian stati
sempre di laude degni e d'ogni onore,
s'in preda non si fossino sì dati
a quel desir che nominiamo amore;
per cui dal buon sentier fur traviati
al labirinto ed al camin d'errore;
e ciò che mai di buono aveano fatto,
restò contaminato e brutto a un tratto.
48
Capitò quivi un cavallier di corte
del greco imperator, che seco avea
una sua donna di maniere accorte,
bella quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s'inamorò sì forte,
che morir, non l'avendo, gli parea:
gli parea che dovesse, alla partita
di lei, partire insieme la sua vita.
49
E perché i prieghi non v'avriano loco,
di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal castel lontano un poco,
ove passar dovean, cheto s'ascose.
L'usata audacia e l'amoroso fuoco
non gli lasciò pensar troppo le cose:
sì che vedendo il cavallier venire,
l'andò lancia per lancia ad assalire.
50
Al primo incontro credea porlo in terra,
portar la donna e la vittoria indietro:
ma 'l cavallier, che mastro era di guerra,
l'osbergo gli spezzò come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra,
che lo fe' riportar sopra un ferètro;
e ritrovandol morto, con gran pianto
gli diè sepulcro agli antiqui avi a canto.
51
Né più però né manco si contese
l'albergo e l'accoglienza a questo e a quello,
perché non men Tanacro era cortese,
né meno era gentil di suo fratello.
L'anno medesmo di lontan paese
con la moglie un baron venne al castello,
a maraviglia egli gagliardo, ed ella,
quanto si possa dir, leggiadra e bella;
52
né men che bella, onesta e valorosa,
e degna veramente d'ogni loda:
il cavallier, di stirpe generosa,
di tanto ardir, quanto più d'altri s'oda.
E ben conviensi a tal valor, che cosa
di tanto prezzo e sì eccellente goda.
Olindro il cavallier da Lungavilla,
la donna nominata era Drusilla.
53
Non men di questa il giovene Tanacro
arse, che 'l suo fratel di quella ardesse,
che gli fe' gustar fine acerbo ed acro
del desiderio ingiusto ch'in lei messe.
Non men di lui di violar del sacro
e santo ospizio ogni ragione ellesse,
più tosto che patir che 'l duro e forte
nuovo desir lo conducesse a morte.
54
Ma perch'avea dinanzi agli occhi il tema
del suo fratel che n'era stato morto,
pensa di torla in guisa, che non tema
ch'Olindro s'abbia a vendicar del torto.
Tosto s'estingue in lui, non pur si scema
quella virtù su che solea star sorto;
ché non lo sommergean dei vizi l'acque,
de le quai sempre al fondo il padre giacque.
55
Con gran silenzio fece quella notte
seco raccor da vent'uomini armati;
e lontan dal castel, fra certe grotte
che si trovan tra via, messe gli aguati.
Quivi ad Olindro il dì le strade rotte,
e chiusi i passi fur da tutti i lati;
e ben che fe' lunga difesa e molta,
pur la moglie e la vita gli fu tolta.
56
Ucciso Olindro, ne menò captiva
la bella donna, addolorata in guisa,
ch'a patto alcun restar non volea viva,
e di grazia chiedea d'essere uccisa.
Per morir si gittò giù d'una riva
che vi trovò sopra un vallone assisa;
e non poté morir, ma con la testa
rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.
57
Altrimente Tanacro riportarla
a casa non poté che s'una bara.
Fece con diligenza medicarla;
che perder non volea preda sì cara.
E mentre che s'indugia a risanarla,
di celebrar le nozze si prepara:
ch'aver sì bella donna e sì pudica
debbe nome di moglie, e non d'amica.
58
Non pensa altro Tanacro, altro non brama,
d'altro non cura, e d'altro mai non parla.
Si vede averla offesa, e se ne chiama
in colpa, e ciò che può, fa d'emendarla.
Ma tutto è invano: quanto egli più l'ama,
quanto più s'affatica di placarla,
tant'ella odia più lui, tanto è più forte,
tanto è più ferma in voler porlo a morte.
59
Ma non però quest'odio così ammorza
la conoscenza in lei, che non comprenda
che, se vuol far quanto disegna, è forza
che simuli, ed occulte insidie tenda;
e che 'l desir sotto contraria scorza
(il quale è sol come Tanacro offenda)
veder gli faccia; e che si mostri tolta
dal primo amore, e tutto a lui rivolta.
60
Simula il viso pace; ma vendetta
chiama il cor dentro, e ad altro non attende.
Molte cose rivolge, alcune accetta,
altre ne lascia, ed altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta,
avrà il suo intento; e quivi al fin s'apprende.
E dove meglio può morire, o quando,
che 'l suo caro marito vendicando?
61
Ella si mostra tutta lieta, e finge
di queste nozze aver sommo disio;
e ciò che può indugiarle, a dietro spinge,
non ch'ella mostri averne il cor restio.
Più de l'altre s'adorna e si dipinge:
Olindro al tutto par messo in oblio.
Ma che sian fatte queste nozze vuole,
come ne la sua patria far si suole.
62
Non era però ver che questa usanza
che dir volea, ne la sua patria fosse:
ma, perché in lei pensier mai non avanza,
che spender possa altrove, imaginosse
una bugia, la qual le diè speranza
di far morir chi 'l suo signor percosse:
e disse di voler le nozze a guisa
de la sua patria, e 'l modo gli devisa.
63
— La vedovella che marito prende,
deve, prima (dicea) ch'a lui s'appresse,
placar l'alma del morto ch'ella offende,
facendo celebrargli offici e messe,
in remission de le passate mende,
nel tempio ove di quel son l'ossa messe;
e dato fin ch'al sacrificio sia,
alla sposa l'annel lo sposo dia:
64
ma ch'abbia in questo mezzo il sacerdote
sul vino ivi portato a tale effetto
appropriate orazion devote,
sempre il liquor benedicendo, detto;
indi che 'l fiasco in una coppa vote,
e dia alli sposi il vino benedetto:
ma portare alla sposa il vino tocca,
ed esser prima a porvi su la bocca. —
65
Tanacro, che non mira quanto importe
ch'ella le nozze alla sua usanza faccia,
le dice: — Pur che 'l termine si scorte
d'essere insieme, in questo si compiaccia. —
Né s'avede il meschin ch'essa la morte
d'Olindro vendicar così procaccia,
e sì la voglia ha in uno oggetto intensa,
che sol di quello, e mai d'altro non pensa.
66
Avea seco Drusilla una sua vecchia,
che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all'orecchia,
sì che non poté udire uomo di casa:
— Un subitano tosco m'apparecchia,
qual so che sai comporre, e me lo invasa;
c'ho trovato la via di vita torre
il traditor figliuol di Marganorre.
67
E me so come, e te salvar non meno:
ma diferisco a dirtelo più ad agio. —
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno,
ed acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno
trovò da por con quel succo malvagio,
e lo serbò pel giorno de le nozze;
ch'omai tutte l'indugie erano mozze.
68
Lo statuito giorno al tempio venne,
di gemme ornata e di leggiadre gonne,
ove d'Olindro, come gli convenne,
fatto avea l'arca alzar su due colonne.
Quivi l'officio si cantò solenne:
trasseno a udirlo tutti, uomini e donne,
e lieto Marganor più de l'usato,
venne col figlio e con gli amici a lato.
69
Tosto ch'al fin le sante esequie foro,
e fu col tosco il vino benedetto,
il sacerdote in una coppa d'oro
lo versò, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
si conveniva, e potea far l'effetto:
poi diè allo sposo con viso giocondo
il nappo; e quel gli fe' apparire il fondo.
70
Renduto il nappo al sacerdote, lieto
per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
in lei si cangia e quella gran bonaccia.
Lo spinge a dietro, e gli ne fa divieto,
e par ch'arda negli occhi e ne la faccia;
e con voce terribile e incomposta
gli grida: — Traditor, da me ti scosta!
71
Tu dunque avrai da me solazzo e gioia,
io lagrime da te, martìri e guai?
Io vo' per le mie man ch'ora tu muoia:
questo è stato venen, se tu nol sai.
Ben mi duol c'hai troppo onorato boia,
che troppo lieve e facil morte fai;
che mani e pene io non so sì nefande,
che fosson pari al tuo peccato grande.
72
Mi duol di non vedere in questa morte
il sacrificio mio tutto perfetto:
che s'io 'l poteva far di quella sorte
ch'era il disio, non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte:
riguardi al buon volere, e l'abbia accetto;
che non potendo come avrei voluto,
io t'ho fatto morir come ho potuto.
73
E la punizion che qui, secondo
il desiderio mio, non posso darti,
spero l'anima tua ne l'altro mondo
veder patire; ed io starò a mirarti. —
Poi disse, alzando con viso giocondo
i turbidi occhi alle superne parti:
— Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
col buon voler de la tua moglie accetta;
74
ed impetra per me dal Signor nostro
grazia, ch'in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirà che senza merto al vostro
regno anima non vien, di' ch'io l'ho meco;
che di questo empio e scelerato mostro
le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi,
spegner sì brutte e abominose pesti? —
75
Finì il parlare insieme con la vita;
e morta anco parea lieta nel volto
d'aver la crudeltà così punita
di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta, o se seguita
fu da lo spirto di Tanacro sciolto:
fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe
prima il veneno in lui, perché più bebbe.
76
Marganor che cader vede il figliuolo,
e poi restar ne le sue braccia estinto,
fu per morir con lui, dal grave duolo
ch'alla sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n'ebbe un tempo, or si ritrova solo:
due femine a quel termine l'han spinto.
La morte a l'un da l'una fu causata;
e l'altra all'altro di sua man l'ha data.
77
Amor, pietà, sdegno, dolore ed ira,
disio di morte e di vendetta insieme
quell'infelice ed orbo padre aggira,
che, come il mar che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira
che di sua vita ha chiuse l'ore estreme;
e come il punge e sferza l'odio ardente,
cerca offendere il corpo che non sente.
78
Qual serpe che ne l'asta ch'alla sabbia
la tenga fissa, indarno i denti metta;
o qual mastin ch'al ciottolo che gli abbia
gittato il viandante, corra in fretta,
e morda invano con stizza e con rabbia,
né se ne voglia andar senza vendetta:
tal Marganor d'ogni mastin, d'ogni angue
via più crudel, fa contra il corpo esangue.
79
E poi che per stracciarlo e farne scempio
non si sfoga il fellon né disacerba,
vien fra le donne di che è pieno il tempio,
né più l'una de l'altra ci riserba;
ma di noi fa col brando crudo ed empio
quel che fa con la falce il villan d'erba.
Non vi fu alcun ripar, ch'in un momento
trenta n'uccise, e ne ferì ben cento.
80
Egli da la sua gente è sì temuto,
ch'uomo non fu ch'ardisse alzar la testa.
Fuggon le donne col popul minuto
fuor de la chiesa, e chi può uscir, non resta.
Quel pazzo impeto al fin fu ritenuto
dagli amici con prieghi e forza onesta,
e lasciando ogni cosa in pianto al basso,
fatto entrar ne la rocca in cima al sasso.
81
E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e 'l populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:
e quel medesmo dì fe' andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel più s'avvicine!
82
Da le mogli così furo i mariti,
da le madri così i figli divisi.
S'alcuni sono a noi venire arditi,
nol sappia già chi Marganor n'avisi;
che di multe gravissime puniti
n'ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una legge,
di cui peggior non s'ode né si legge.
83
Ogni donna che trovin ne la valle,
la legge vuol (ch'alcuna pur vi cade)
che percuotan con vimini alle spalle,
e la faccian sgombrar queste contrade:
ma scorciar prima i panni, e mostrar falle
quel che Natura asconde ed Onestade;
e s'alcuna vi va, ch'armata scorta
abbia di cavallier, vi resta morta.
84
Quelle c'hanno per scorta cavallieri,
son da questo nimico di pietate,
come vittime, tratte ai cimiteri
dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
e poi caccia in prigion chi l'ha guidate:
e lo può far; che sempre notte e giorno
si trova più di mille uomini intorno.
85
E dir di più vi voglio ancora, ch'esso,
s'alcun ne lascia, vuol che prima giuri
su l'ostia sacra, che 'l femineo sesso
in odio avrà fin che la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
dunque vi pare, ite a veder quei muri
ove alberga il fellone, e fate prova
s'in lui più forza o crudeltà si trova. —
86
Così dicendo, le guerriere mosse
prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
che se, come era notte, giorno fosse,
sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse;
e tosto che l'Aurora fece segno
che dar dovesse al Sol loco ogni stella,
ripigliò l'arme e si rimesse in sella.
87
Già sendo in atto di partir, s'udiro
le strade risonar dietro le spalle
d'un lungo calpestio, che gli occhi in giro
fece a tutti voltar giù ne la valle.
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
di mano, andar per uno istretto calle
vider da forse venti armati in schiera,
di che parte in arcion, parte a pied'era;
88
e che traean con lor sopra un cavallo
donna ch'al viso aver parea molt'anni,
a guisa che si mena un che per fallo
a fuoco o a ceppo o a laccio si condanni:
la qual fu, non ostante l'intervallo,
tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste de la villa
esser la cameriera di Drusilla:
89
la cameriera che con lei fu presa
dal rapace Tanacro, come ho detto,
ed a chi fu dipoi data l'impresa
di quel venen che fe' 'l crudele effetto.
Non era entrata ella con l'altre in chiesa;
che di quel che seguì stava in sospetto:
anzi in quel tempo, de la villa uscita,
ove esser sperò salva, era fugita.
90
Avuto Marganor poi di lei spia,
la qual s'era ridotta in Ostericche,
non ha cessato mai di cercar via
come in man l'abbia, acciò l'abruci o impicche:
e finalmente l'Avarizia ria,
mossa da doni e da proferte ricche,
ha fatto ch'un baron, ch'assicurata
l'avea in sua terra, a Marganor l'ha data:
91
e mandata glie l'ha fin a Costanza
sopra un somier, come la merce s'usa,
legata e stretta, e toltole possanza
di far parole, e in una cassa chiusa:
onde poi questa gente l'ha ad istanza
de l'uom ch'ogni pietade ha da sé esclusa,
quivi condotta con disegno ch'abbia
l'empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.
92
Come il gran fiume che di Vesulo esce,
quanto più inanzi e verso il mar discende,
e che con lui Lambra e Ticin si mesce,
ed Ada e gli altri onde tributo prende,
tanto più altiero e impetuoso cresce;
così Ruggier, quante più colpe intende
di Marganor, così le due guerriere
se gli fan contra più sdegnose e fiere.
93
Elle fur d'odio, elle fur d'ira tanta
contra il crudel, per tante colpe, accese,
che di punirlo, mal grado di quanta
gente egli avea, conclusion si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
pena lor parve e indegna a tante offese;
ed era meglio fargliela sentire,
fra strazio prolungandola e martìre.
94
Ma prima liberar la donna è onesto,
che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
uno incontro più acerbo né più forte;
sì che han di grazia di lasciar gli scudi
e la donna e l'arnese, e fuggir nudi:
95
sì come il lupo che di preda vada
carco alla tana, e quando più si crede
d'esser sicur, dal cacciator la strada
e da' suoi cani attraversar si vede,
getta la soma, e dove appar men rada
la scura macchia inanzi, affretta il piede.
Già men presti non fur quelli a fuggire,
che li fusson quest'altri ad assalire.
96
Non pur la donna e l'arme vi lasciaro,
ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
e da rive e da grotte si lanciaro,
parendo lor così d'esser più sciolti.
Il che alle donne ed a Ruggier fu caro;
che tre di quei cavalli ebbono tolti
per portar quelle tre che 'l giorno d'ieri
feron sudar le groppe ai tre destrieri.
97
Quindi espediti segueno la strada
verso l'infame e dispietata villa.
Voglion che seco quella vecchia vada,
per veder la vendetta di Drusilla.
Ella che teme che non ben le accada,
lo niega indarno, e piange e grida e strilla;
ma per forza Ruggier la leva in groppa
del buon Frontino, e via con lei galoppa.
98
Giunseno in somma onde vedeano al basso
di molte case un ricco borgo e grosso,
che non serrava d'alcun lato il passo,
perché né muro intorno avea né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso
ch'un'alta rocca sostenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza,
ch'esser sapean di Marganor la stanza.
99
Tosto che son nel borgo, alcuni fanti
che v'erano alla guardia de l'entrata,
dietro chiudon la sbarra, e già davanti
veggion che l'altra uscita era serrata:
ed ecco Marganorre, e seco alquanti
a piè e a cavallo, e tutta gente armata;
che con brevi parole, ma orgogliose,
la ria costuma di sua terra espose.
100
Marfisa, la qual prima avea composta
con Bradamante e con Ruggier la cosa,
gli spronò incontro in cambio di risposta;
e com'era possente e valorosa,
senza ch'abbassi lancia, o che sia posta
in opra quella spada sì famosa,
col pugno in guisa l'elmo gli martella,
che lo fa tramortir sopra la sella.
101
Con Marfisa la giovane di Francia
spinge a un tempo il destrier, né Ruggier resta
ma con tanto valor corre la lancia,
che sei, senza levarsela di resta,
n'uccide, uno ferito ne la pancia,
duo nel petto, un nel collo, un ne la testa:
nel sesto che fuggia l'asta si roppe,
ch'entrò alle schene e riuscì alle poppe.
102
La figliuola d'Amon quanti ne tocca
con la sua lancia d'or, tanti n'atterra:
fulmine par, che 'l cielo ardendo scocca,
che ciò ch'incontra, spezza e getta a terra.
Il popul sgombra, chi verso la rocca,
chi verso il piano; altri si chiude e serra,
chi ne le chiese e chi ne le sue case;
né, fuor che morti, in piazza uomo rimase.
103
Marfisa Marganorre avea legato
intanto con le man dietro alle rene,
ed alla vecchia di Drusilla dato,
ch'appagata e contenta se ne tiene.
D'arder quel borgo poi fu ragionato,
s'a penitenza del suo error non viene:
levi la legge ria di Marganorre,
e questa accetti, ch'essa vi vuol porre.
104
Non fu già d'ottener questo fatica;
con quella gente, oltre al timor ch'avea
che più faccia Marfisa che non dica,
ch'uccider tutti ed abbruciar volea,
di Marganorre affatto era nimica
e de la legge sua crudele e rea.
Ma 'l populo facea come i più fanno,
ch'ubbidiscon più a quei che più in odio hanno.
105
Però che l'un de l'altro non si fida,
e non ardisce conferir sua voglia,
lo lascian ch'un bandisca, un altro uccida,
a quel l'avere, a questo l'onor toglia.
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e santi alla vendetta invoglia;
la qual, se ben tarda a venir, compensa
l'indugio poi con punizione immensa.
106
Or quella turba d'ira e d'odio pregna
con fatti e con mal dir cerca vendetta:
com'è in proverbio, ognun corre a far legna
all'arbore che 'l vento in terra getta.
Sia Marganorre esempio di chi regna;
che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
peccati, avean piacer piccioli e grandi.
107
Molti a chi fur le mogli o le sorelle
o le figlie o le madri da lui morte,
non più celando l'animo ribelle,
correan per dargli di lor man la morte:
e con fatica lo difeser quelle
magnanime guerriere e Ruggier forte;
che disegnato avean farlo morire
d'affanno, di disagio e di martire.
108
A quella vecchia che l'odiava quanto
femina odiare alcun nimico possa,
nudo in mano lo dier, legato tanto,
che non si scioglierà per una scossa;
ed ella, per vendetta del suo pianto,
gli andò facendo la persona rossa
con un stimulo aguzzo ch'un villano,
che quivi si trovò, le pose in mano.
109
La messaggera e le sue giovani anco,
che quell'onta non son mai per scordarsi,
non s'hanno più a tener le mani al fianco,
né meno che la vecchia, a vendicarsi;
ma sì è il desir d'offenderlo, che manco
viene il potere, e pur vorrian sfogarsi:
chi con sassi il percuote, chi con l'unge;
altra lo morde, altra cogli aghi il punge.
110
Come torrente che superbo faccia
lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,
va ruinoso, e giù da' monti caccia
gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte;
vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia
gli cade, e sì le forze gli son tolte,
ch'un fanciullo, una femina per tutto
passar lo puote, e spesso a piede asciutto:
111
così già fu che Marganorre intorno
fece tremar, dovunque udiasi il nome;
or venuto è chi gli ha spezzato il corno
di tanto orgoglio, e sì le forze dome,
che gli puon far sin a' bambini scorno,
chi pelargli la barba e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
alla rocca voltar, ch'era sul sasso.
112
La diè senza contrasto in poter loro
chi v'era dentro, e così i ricchi arnesi,
ch'in parte messi a sacco, in parte foro
dati ad Ullania ed a' compagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d'oro,
e quei tre re ch'avea il tiranno presi,
li quai venendo quivi, come parmi
d'avervi detto, erano a piè senz'armi;
113
perché dal dì che fur tolti di sella
da Bradamante, a piè sempre eran iti
senz'arme, in compagnia de la donzella
la qual venìa da sì lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella,
che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:
114
perché stata saria, com'eran tutte
quelle ch'armate avean seco le scorte,
al cimitero misere condutte
dei due fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è pur men che morir, mostrar le brutte
e disoneste parti, duro e forte;
e sempre questo e ogn'altro obbrobrio amorza
il poter dir che le sia fatto a forza.
115
Prima ch'indi si partan le guerriere,
fan venir gli abitanti a giuramento,
che daranno i mariti alle mogliere
de la terra e del tutto il reggimento;
e castigato con pene severe
sarà chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel ch'altrove è del marito,
che sia qui de la moglie è statuito.
116
Poi si feccion promettere ch'a quanti
mai verrian quivi, non darian ricetto,
o fosson cavallieri, o fosson fanti,
né 'ntrar li lascerian pur sotto un tetto,
se per Dio non giurassino e per santi,
o s'altro giuramento v'è più stretto,
che sarian sempre de le donne amici,
e dei nimici lor sempre nimici;
117
e s'avranno in quel tempo, e se saranno,
tardi o più tosto, mai per aver moglie,
che sempre a quelle sudditi saranno,
e ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa, prima ch'esca l'anno,
disse, e che perdan gli arbori le foglie;
e se la legge in uso non trovasse,
fuoco e ruina il borgo s'aspettasse.
118
Né quindi si partir, che de l'immondo
luogo dov'era, fer Drusilla torre,
e col marito in uno avel, secondo
ch'ivi potean più riccamente porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
con lo stimulo il dosso a Marganorre:
sol si dolea di non aver tal lena,
che potesse non dar triegua alla pena.
119
L'animose guerriere a lato un tempio
videno quivi una colonna in piazza,
ne la qual fatt'avea quel tiranno empio
scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d'un trofeo l'esempio,
lo scudo v'attaccaro e la corazza
di Marganorre e l'elmo; e scriver fenno
la legge appresso, ch'esse al loco denno.
120
Quivi s'indugiar tanto, che Marfisa
fe' por la legge sua ne la colonna,
contraria a quella che già v'era incisa
a morte ed ignominia d'ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
quella d'Islanda, per rifar la gonna;
che comparire in corte obbrobrio stima,
se non si veste ed orna come prima.
121
Quivi rimase Ullania; e Marganorre
di lei restò in potere: ed essa poi,
perché non s'abbia in qualche modo a sciorre,
e le donzelle un'altra volta annoi,
lo fe' un giorno saltar giù d'una torre,
che non fe' il maggior salto a' giorni suoi.
Non più di lei, né più dei suoi si parli,
ma de la compagnia che va verso Arli.
122
Tutto quel giorno, e l'altro fin appresso
l'ora di terza andaro; e poi che furo
giunti dove in due strade è il camin fesso
(l'una va al campo, e l'altra d'Arli al muro),
tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso
a tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero; ed io il mio canto ho qui finito.
CANTO TRENTOTTESIMO
1
Cortesi donne, che benigna udienza
date a' miei versi, io vi veggo al sembiante,
che quest'altra sì subita partenza
che fa Ruggier da la sua fida amante,
vi dà gran noia, e avete displicenza
poco minor ch'avesse Bradamante;
e fate anco argumento ch'esser poco
in lui dovesse l'amoroso fuoco.
2
Per ogni altra cagion ch'allontanato
contra la voglia d'essa se ne fusse,
ancor ch'avesse più tesor sperato
che Creso o Crasso insieme non ridusse,
io crederia con voi, che penetrato
non fosse al cor lo stral che lo percusse;
ch'un almo gaudio, un così gran contento
non potrebbe comprare oro né argento.
3
Pur, per salvar l'onor, non solamente
d'escusa, ma di laude è degno ancora;
per salvar, dico, in caso ch'altrimente
facendo, biasmo ed ignominia fôra:
e se la donna fosse renitente
ed ostinata in fargli far dimora,
darebbe di sé indizio e chiaro segno
o d'amar poco o d'aver poco ingegno.
4
Che se l'amante de l'amato deve
la vita amar più de la propria, o tanto
(io parlo d'uno amante a cui non lieve
colpo d'Amor passò più là del manto);
al piacer tanto più, ch'esso riceve,
l'onor di quello antepor deve, quanto
l'onore è di più pregio che la vita,
ch'a tutti altri piaceri è preferita.
5
Fece Ruggiero il debito a seguire
il suo signor, che non se ne potea,
se non con ignominia, dipartire;
che ragion di lasciarlo non avea.
E s'Almonte gli fe' il padre morire,
tal colpa in Agramante non cadea;
ch'in molti effetti avea con Ruggier poi
emendato ogni error dei maggior suoi.
6
Farà Ruggiero il debito a tornare
al suo signore; ed ella ancor lo fece,
che sforzar non lo volse di restare,
come potea, con iterata prece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
a un altro tempo, s'or non satisfece:
ma all'onor, chi gli manca d'un momento,
non può in cento anni satisfar né in cento.
7
Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
col parentado avean grande amistanza,
andaro insieme ove re Carlo fatta
la maggior prova avea di sua possanza,
sperando, o per battaglia o per assedio,
levar di Francia così lungo tedio.
8
Di Bradamante, poi che conosciuta
in campo fu, si fe' letizia e festa:
ognun la riverisce e la saluta;
ed ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udì la sua venuta,
le venne incontra; né Ricciardo resta
né Ricciardetto od altri di sua gente,
e la raccoglion tutti allegramente.
9
Come s'intese poi che la compagna
era Marfisa, in arme sì famosa,
che dal Cataio ai termini di Spagna
di mille chiare palme iva pomposa;
non è povero o ricco che rimagna
nel padiglion: la turba disiosa
vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme
sol per veder sì bella coppia insieme.
10
A Carlo riverenti appresentarsi.
Questo fu il primo dì (scrive Turpino)
che fu vista Marfisa inginocchiarsi;
che sol le parve il figlio di Pipino
degno, a cui tanto onor dovesse farsi,
tra quanti, o mai nel popul saracino
o nel cristiano, imperatori e regi
per virtù vide o per ricchezza egregi.
11
Carlo benignamente la raccolse,
e le uscì incontra fuor dei padiglioni;
e che sedesse a lato suo poi volse
sopra tutti re, principi e baroni.
Si diè licenza a chi non se la tolse;
sì che tosto restaro in pochi e buoni:
restaro i paladini e i gran signori;
la vilipesa plebe andò di fuori.
12
Marfisa cominciò con grata voce:
— Eccelso, invitto e glorioso Augusto,
che dal mar Indo alla Tirinzia foce,
dal bianco Scita all'Etiope adusto
riverir fai la tua candida croce,
né di te regna il più saggio o 'l più giusto;
tua fama, ch'alcun termine non serra,
qui tratto m'ha fin da l'estrema terra.
13
E, per narrarti il ver, sola mi mosse
invidia, e sol per farti guerra io venni,
acciò che sì possente un re non fosse,
che non tenesse la legge ch'io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
del cristian sangue; ed altri fieri cenni
era per farti da crudel nimica,
se non cadea chi mi t'ha fatto amica.
14
Quando nuocer pensai più alle tue squadre,
io trovo (e come sia dirò più adagio)
che 'l bon Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un mago infin al settimo anno,
a cui gli Arabi poi rubata m'hanno.
15
E mi vendero in Persia per ischiava
a un re che poi cresciuta io posi a morte;
che mia virginità tor mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte;
tutta cacciai la sua progenie prava,
e presi il regno; e tal fu la mia sorte,
che diciotto anni d'uno o di due mesi
io non passai, che sette regni presi.
16
E di tua fama invidiosa, come
io t'ho già detto, avea fermo nel core
la grande altezza abbatter del tuo nome:
forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome,
e faccia cader l'ale al mio furore,
l'aver inteso, poi che qui son giunta,
come io ti son d'affinità congiunta.
17
E come il padre mio parente e servo
ti fu, ti son parente e serva anch'io:
e quella invidia e quell'odio protervo
il qual io t'ebbi un tempo, or tutto oblio;
anzi contra Agramante io lo riservo,
e contra ogn'altro che sia al padre o al zio
di lui stato parente, che fur rei
di porre a morte i genitori miei. —
18
E seguitò, voler cristiana farsi,
e dopo ch'avrà estinto il re Agramante,
voler piacendo a Carlo, ritornarsi
a battezzare il suo regno in Levante;
ed indi contra tutto il mondo armarsi,
ove Macon s'adori e Trivigante;
e con promission, ch'ogni suo acquisto
sia de l'Impero e de la fé di Cristo.
19
L'imperator, che non meno eloquente
era, che fosse valoroso e saggio,
molto esaltando la donna eccellente,
e molto il padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad ogni parte umanamente,
e mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
e conchiuse ne l'ultima parola,
per parente accettarla e per figliuola.
20
E qui si leva, e di nuovo l'abbraccia,
e, come figlia, bacia ne la fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fôra, quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
vedute avea più volte al paragone,
quando Albracca assediar col suo girone.
21
Lungo a dir fôra, quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sansonetto
ch'alla città crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
ch'all'occision de' Maganzesi rei
e di quei venditori empi di Spagna
l'aveano avuta sì fedel compagna.
22
Apparecchiar per lo seguente giorno,
ed ebbe cura Carlo egli medesmo,
che fosse un luogo riccamente adorno,
ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi e gran chierici d'intorno,
che le leggi sapean del cristianesmo,
fece raccorre, acciò da lor in tutta
la santa fé fosse Marfisa istrutta.
23
Venne in pontificale abito sacro
l'arcivesco Turpino, e battizzolla:
Carlo dal salutifero lavacro
con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai ch'al capo voto e macro
di senno si soccorra con l'ampolla,
con che dal ciel più basso ne venìa
il duca Astolfo sul carro d'Elia.
24
Sceso era Astolfo dal giro lucente
alla maggiore altezza de la terra,
con la felice ampolla che la mente
dovea sanare al gran mastro di guerra.
Un'erba quivi di virtù eccellente
mostra Giovanni al duca d'Inghilterra:
con essa vuol ch'al suo ritorno tocchi
al re di Nubia e gli risani gli occhi;
25
acciò per questi e per li primi merti
gente gli dia con che Biserta assaglia.
E come poi quei populi inesperti
armi ed acconci ad uso di battaglia,
e senza danno passi pei deserti
ove l'arena gli uomini abbarbaglia,
a punto a punto l'ordine che tegna,
tutto il vecchio santissimo gl'insegna.
26
Poi lo fe' rimontar su quello alato
che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante.
Il paladin lasciò, licenziato
da San Giovanni, le contrade sante;
e secondando il Nilo a lato a lato,
tosto i Nubi apparir si vide inante;
e ne la terra che del regno è capo
scese da l'aria, e ritrovò il Senapo.
27
Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
che portò a quel signor nel suo ritorno;
che ben si raccordava de la noia
che gli avea tolta, de l'arpie, d'intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
di quello umor che già gli tolse il giorno,
e che gli rende la vista di prima,
l'adora e cole, e come un Dio sublima:
28
sì che non pur la gente che gli chiede
per muover guerra al regno di Biserta,
ma centomila sopra gli ne diede,
e gli fe' ancor di sua persona offerta.
La gente a pena, ch'era tutta a piede,
potea capir ne la campagna aperta;
che di cavalli ha quel paese inopia,
ma d'elefanti e de camelli copia.
29
La notte inanzi il dì che a suo camino
l'esercito di Nubia dovea porse,
montò su l'ippogrifo il paladino,
e verso mezzodì con fretta corse,
tanto che giunse al monte che l'austrino
vento produce e spira contra l'Orse.
Trovò la cava, onde per stretta bocca,
quando si desta, il furioso scocca.
30
E come raccordògli il suo maestro,
avea seco arrecato un utre voto,
il qual, mentre ne l'antro oscuro e alpestro,
affaticato dorme il fiero Noto,
allo spiraglio pon tacito e destro:
ed è l'aguato in modo al vento ignoto,
che, credendosi uscir fuor la dimane,
preso e legato in quello utre rimane.
31
Di tanta preda il paladino allegro,
ritorna in Nubia, e la medesma luce
si pone a caminar col popul negro,
e vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
verso l'Atlante il glorioso duce
pel mezzo vien de la minuta sabbia,
senza temer che 'l vento a nuocer gli abbia.
32
E giunto poi di qua dal giogo, in parte
onde il pian si discuopre e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
del campo, e la meglio atta a disciplina;
e qua e là per ordine la parte
a piè d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d'uom ch'a gran pensieri intende.
33
Poi che, inchinando le ginocchia, fece
al santo suo maestro orazione,
sicuro che sia udita la sua prece,
copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor di natural ragione
crescendo, si vedean venire in giuso,
e formar ventre e gambe e collo e muso:
34
e con chiari anitrir giù per quei calli
venian saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch'aspettando ne le valli
stava alla posta, lor dava di mano:
sì che in poche ore fur tutti montati;
che con sella e con freno erano nati.
35
Ottantamila cento e dua in un giorno
fe', di pedoni, Astolfo cavallieri.
Con questi tutta scorse Africa intorno,
facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante avea fin al ritorno
il re di Fersa e 'l re degli Algazeri,
col re Branzardo a guardia del paese:
e questi si fer contra al duca inglese;
36
prima avendo spacciato un suttil legno,
ch'a vele e a remi andò battendo l'ali,
ad Agramante aviso, come il regno
patia dal re de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
tanto che giunse ai liti provenzali;
e trovò in Arli il suo re mezzo oppresso,
che 'l campo avea di Carlo un miglio appresso.
37
Sentendo il re Agramante a che periglio,
per guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
principi e re del popul saracino.
E poi ch'una o due volte girò il ciglio
quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d'ogni altro fur, che vi venisse,
i duo più antiqui e saggi, così disse:
38
— Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non mel pensai,
pur lo dirò; che quando un danno vegna
da ogni discorso uman lontano assai,
a quel fallir par che sia escusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch'errai
a lasciar d'arme l'Africa sfornita,
se da li Nubi esser dovea assalita.
39
Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non è cosa futura ignota,
che dovesse venir con sì gran stuolo
a farne danno gente sì remota?
tra i quali e noi giace l'instabil suolo
di quella arena ognor da' venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
ed ha in gran parte l'Africa deserta.
40
Or sopra ciò vostro consiglio chieggio:
se partirmi di qui senza far frutto,
o pur seguir tanto l'impresa deggio,
che prigion Carlo meco abbi condutto;
o come insieme io salvi il nostro seggio,
e questo imperial lasci distrutto.
S'alcun di voi sa dir, priego nol taccia,
acciò si trovi il meglio, e quel si faccia. —
41
Così disse Agramante; e volse gli occhi
al re di Spagna, che gli sedea appresso,
come mostrando di voler che tocchi
di quel c'ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
per riverenza, e così il capo flesso,
nel suo onorato seggio si raccolse;
indi la lingua a tai parole sciolse:
42
— O bene o mal che la Fama ci apporti,
signor, di sempre accrescere ha in usanza.
Perciò non sarà mai ch'io mi sconforti,
o mai più del dover pigli baldanza
per casi o buoni o rei, che sieno sorti:
ma sempre avrò di par tema e speranza
ch'esser debban minori, e non del modo
ch'a noi per tante lingue venir odo.
43
E tanto men prestar gli debbo fede,
quanto più al verisimile s'oppone.
Or se gli è verisimile si vede,
ch'abbia con tanto numer di persone
posto ne la pugnace Africa il piede
un re di sì lontana regione,
traversando l'arene a cui Cambise
con male augurio il popul suo commise.
44
Crederò ben, che sian gli Arabi scesi
da le montagne, ed abbian dato il guasto,
e saccheggiato, e morti uomini e presi,
ove trovato avran poco contrasto;
e che Branzardo che di quei paesi
luogotenente e viceré è rimasto,
per le decine scriva le migliaia,
acciò la scusa sua più degna paia.
45
Vo' concedergli ancor che sieno i Nubi
per miracol dal ciel forse piovuti:
o forse ascosi venner ne le nubi;
poi che non fur mai per camin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
se ben di più soccorso non l'aiuti?
Il tuo presidio avria ben trista pelle,
quando temesse un populo sì imbelle.
46
Ma se tu mandi ancor che poche navi,
pur che si veggan gli stendardi tuoi,
non scioglieran di qua sì tosto i cavi,
che fuggiranno nei confini suoi
questi, o sien Nubi o sieno Arabi ignavi,
ai quali il ritrovarti qui con noi,
separato pel mar da la tua terra,
ha dato ardir di romperti la guerra.
47
Or piglia il tempo che, per esser senza
il suo nipote Carlo, hai di vendetta:
poi ch'Orlando non c'è, far resistenza
non ti può alcun de la nimica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
l'onorata vittoria che t'aspetta,
volterà il calvo, ove ora il crin ne mostra,
con molto danno e lunga infamia nostra. —
48
Con questo ed altri detti accortamente
l'Ispano persuader vuol nel concilio
che non esca di Francia questa gente,
fin che Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il re Sobrin, che vide apertamente
il camino a che andava il re Marsilio,
che più per l'util proprio queste cose,
che pel commun dicea, così rispose:
49
— Quando io ti confortava a stare in pace,
fosse io stato, signor, falso indovino;
o tu, se io dovea pure esser verace,
creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
e non più tosto a Rodomonte audace,
a Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
li quali ora vorrei qui avere a fronte:
ma vorrei più degli altri Rodomonte,
50
per rinfacciargli che volea di Francia
far quel che si faria d'un fragil vetro,
e in cielo e ne lo 'nferno la tua lancia
seguire, anzi lasciarsela di dietro;
poi nel bisogno si gratta la pancia
ne l'ozio immerso abominoso e tetro:
ed io, che per predirti il vero allora
codardo detto fui, son teco ancora;
51
e sarò sempremai, fin ch'io finisca
questa vita ch'ancor che d'anni grave,
porsi incontra ogni dì per te s'arrisca
a qualunque di Francia più nome have.
Né sarà alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
di dir che l'opre mie mai fosser prave:
e non han più di me fatto, né tanto,
molti che si donar di me più vanto.
52
Dico così, per dimostrar che quello
ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,
né da viltade vien né da cor fello,
ma d'amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch'al paterno ostello,
più tosto che tu pòi, vogli redire;
che poco saggio si può dir colui
che perde il suo per acquistar l'altrui.
53
S'acquisto c'è, tu 'l sai. Trentadui fummo
re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
or, se di nuovo il conto ne rassummo,
c'è a pena il terzo, e tutto 'l resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi seguir, temo di corto,
che non ne rimarrà quarto né quinto;
e 'l miser popul tuo fia tutto estinto.
54
Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
siàn pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
se ben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
mostra che non minor d'Orlando sia:
c'è il suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno a' nostri Saracini.
55
Ed hanno appresso quel secondo Marte
(ben che i nimici al mio dispetto lodo),
io dico il valoroso Brandimarte,
non men d'Orlando ad ogni prova sodo;
del qual provata ho la virtude in parte,
parte ne veggo all'altrui spese ed odo.
Poi son più dì che non c'è Orlando stato;
e più perduto abbiàn che guadagnato.
56
Se per adietro abbiàn perduto, io temo
che da qui inanzi perderen più in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo:
Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha lasciata al punto estremo,
e così il re d'Algier, di cui dir posso
che, se fosse fedel come gagliardo,
poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
57
Ove sono a noi tolti questi aiuti,
e tante mila son dei nostri morti;
e quei ch'a venir han, son già venuti,
né s'aspetta altro legno che n'apporti:
quattro son giunti a Carlo, non tenuti
manco d'Orlando o di Rinaldo forti;
e con ragion; che da qui sino a Battro
potresti mal trovar tali altri quattro.
58
Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto e i figli d'Oliviero.
Di questi fo più stima e più tema aggio,
che d'ogni altro lor duca e cavalliero
che di Lamagna o d'altro stran linguaggio
sia contra noi per aiutar l'Impero:
ben ch'importa anco assai la gente nuova
ch'a' nostri danni in campo si ritrova.
59
Quante volte uscirai alla campagna,
tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perdé il campo Africa e Spagna,
quando siàn stati sedici per otto,
che sarà poi ch'Italia e che Lamagna
con Francia è unita, e 'l populo anglo e scotto,
e che sei contra dodici saranno?
Ch'altro si può sperar, che biasmo e danno?
60
La gente qui, là perdi a un tempo il regno,
s'in questa impresa più duri ostinato;
ove, s'al ritornar muti disegno,
l'avanzo di noi servi con lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno,
ch'ognun te ne terrebbe molto ingrato:
ma c'è rimedio, far con Carlo pace;
ch'a lui deve piacer, se a te pur piace.
61
Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
se tu, che prima offeso sei, la chiedi;
e la battaglia più ti sta nel core,
che, come sia fin qui successa, vedi;
studia almen di restarne vincitore:
il che forse averrà, se tu mi credi;
se d'ogni tua querela a un cavalliero
darai l'assunto, e se quel fia Ruggiero.
62
Io 'l so, e tu 'l sai che Ruggier nostro è tale,
che già da solo a sol con l'arme in mano
non men d'Orlando o di Rinaldo vale,
né d'alcun altro cavallier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
ancor che 'l valor suo sia sopraumano,
egli però non sarà più ch'un solo,
ed avrà di par suoi contra uno stuolo.
63
A me par, s'a te par, ch'a dir si mandi
al re cristian, che per finir le liti,
e perché cessi il sangue che tu spandi
ognor de' suoi, egli de' tuo' infiniti;
che contra un tuo guerrier tu gli domandi
che metta in campo uno dei suoi più arditi;
e faccian questi duo tutta la guerra,
fin che l'un vinca, e l'altro resti in terra:
64
con patto, che qual d'essi perde, faccia
che 'l suo re all'altro re tributo dia.
Questa condizion non credo spiaccia
a Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido sì ne le robuste braccia
poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion tanta è da la nostra parte,
che vincerà, s'avesse incontra Marte. —
65
Con questi ed altri più efficaci detti
fece Sobrin sì che 'l partito ottenne;
e gl'interpreti fur quel giorno eletti,
e quel dì a Carlo l'imbasciata venne.
Carlo ch'avea tanti guerrier perfetti,
vinta per sé quella battaglia tenne,
di cui l'impresa al buon Rinaldo diede,
in ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.
66
Di questo accordo lieto parimente
l'uno esercito e l'altro si godea;
che 'l travaglio del corpo e de la mente
tutti avea stanchi e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
de la sua vita disegnato avea;
ognun maledicea l'ire e i furori
ch'a risse e a gare avean lor desti i cori.
67
Rinaldo che esaltar molto si vede,
che Carlo in lui di quel che tanto pesa,
via più ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,
lieto si mette all'onorata impresa.
Ruggier non stima; e veramente crede
che contra sé non potrà far difesa:
che suo pari esser possa non gli è aviso,
se ben in campo ha Mandricardo ucciso.
68
Ruggier da l'altra parte, ancor che molto
onor gli sia che 'l suo re l'abbia eletto,
e pel miglior di tutti i buoni tolto,
a cui commetta un sì importante effetto;
pur mostra affanno e gran mestizia in volto,
non per paura che gli turbi il petto;
che non ch'un sol Rinaldo, ma non teme
se fosse con Rinaldo Orlando insieme:
69
ma perché vede esser di lui sorella
la sua cara e fidissima consorte
ch'ognor scrivendo stimula e martella,
come colei ch'è ingiuriata forte.
Or s'alle vecchie offese aggiunge quella
d'entrare in campo a porle il frate a morte,
se la farà, d'amante, così odiosa,
ch'a placarla mai più fia dura cosa.
70
Se tacito Ruggier s'affligge ed ange
de la battaglia che mal grado prende,
la sua cara moglier lacrima e piange,
come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l'auree chiome frange,
e le guance innocenti irriga e offende;
e chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.
71
D'ogni fin che sortisca la contesa,
a lei non può venir altro che doglia.
Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresa,
pensar non vuol; che par che 'l cor le toglia.
Quando anco, per punir più d'una offesa,
la ruina di Francia Cristo voglia,
oltre che sarà morto il suo fratello,
seguirà un danno a lei più acerbo e fello:
72
che non potrà, se non con biasmo e scorno,
e nimicizia di tutta sua gente,
fare al marito suo mai più ritorno,
sì che lo sappia ognun publicamente,
come s'avea, pensando notte e giorno,
più volte disegnato ne la mente:
e tra lor era la promessa tale,
che 'l ritrarsi e il pentir più poco vale.
73
Ma quella usata ne le cose avverse
di non mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa maga, non sofferse
udirne il pianto e i dolorosi gridi;
e venne a consolarla, e le proferse,
quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
e disturbar quella pugna futura
di ch'ella piange e si pon tanta cura.
74
Rinaldo intanto e l'inclito Ruggiero
apparechiavan l'arme alla tenzone,
di cui dovea l'eletta al cavalliero
che del romano Imperio era campione:
e come quel, che poi che 'l buon destriero
perdé Baiardo, andò sempre pedone,
si elesse a piè, coperto a piastra e a maglia,
con l'azza e col pugnal far la battaglia.
75
O fosse caso, o fosse pur ricordo
di Malagigi suo provido e saggio,
che sapea quanto Balisarda ingordo
il taglio avea di fare all'arme oltraggio;
combatter senza spada fur d'accordo
l'uno e l'altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s'accordar presso alle mura
de l'antiquo Arli, in una gran pianura.
76
A pena avea la vigilante Aurora
da l'ostel di Titon fuor messo il capo,
per dare al giorno terminato, e all'ora
ch'era prefissa alla battaglia, capo;
quando di qua e di là vennero fuora
i deputati; e questi in ciascun capo
degli steccati i padiglion tiraro,
appresso ai quali ambi un altar fermaro.
77
Non molto dopo, istrutto a schiera a schiera,
si vide uscir l'esercito pagano.
In mezzo armato e suntuoso v'era
di barbarica pompa il re africano;
e s'un baio corsier di chioma nera,
di fronte bianca, e di duo piè balzano,
a par a par con lui venìa Ruggiero,
a cui servir non è Marsilio altiero.
78
L'elmo, che dianzi con travaglio tanto
trasse di testa al re di Tartaria,
l'elmo, che celebrato in maggior canto
portò il troiano Ettòr mill'anni pria,
gli porta il re Marsilio a canto a canto:
altri principi ed altra baronia
s'hanno partite l'altr'arme fra loro,
ricche di gioie e ben fregiate d'oro.
79
Da l'altra parte fuor dei gran ripari
re Carlo uscì con la sua gente d'arme,
con gli ordini medesmi e modi pari
che terria se venisse al fatto d'arme.
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera,
ch'un perder tempo ogni parlar seco era.
53
All'ultimo Ruggier la spada trasse,
poi che l'ira anco lui fe' rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
che così a' riguardanti dilettasse,
come dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.
54
La sua spada avea tolta ella di terra,
e tratta s'era a riguardar da parte;
e le parea veder che 'l dio di guerra
fosse Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è ch'un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.
55
Sapea ben la virtù de la sua spada;
che tante esperienze n'ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
l'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto:
sì che ritien che 'l colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure un tratto la pazienza;
56
perché Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che 'l capo difenda
Ruggiero, e 'l colpo in su l'aquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta:
e s'avea altr'arme che quelle d'Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio torre:
57
e saria sceso indi alla testa, dove
disegnò di ferir l'aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena più sostien l'aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta!
58
Io non vi so ben dir come si fosse:
la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e più ne l'arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sentì con esso
da quell'avel ch'in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir, ch'ogni mortale eccede.
59
Grida la voce orribile: — Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto ed inumano
ch'alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano:
in un medesimo utero d'un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.
60
Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galaciella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice,
senza guardar ch'avesse in corpo il pondo
di voi, ch'usciste pur di lor radice,
la fer, perché s'avesse ad affogare,
s'un debol legno porre in mezzo al mare.
61
Ma Fortuna che voi, ben che non nati,
avea già eletti a gloriose imprese,
fece che 'l legno ai liti inabitati
sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v'ebbe dati,
l'anima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino,
a questo caso io mi trovai vicino.
62
Diedi alla madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in sì deserta arena;
e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
feci e lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.
63
Un giorno che d'andar per la contrada
e da la stanza allontanar m'occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d'Arabi (e ricordarvene de' forse),
che te, Marfisa, tolser ne la strada,
ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian più diligente.
64
Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti' predir le stelle fisse,
che tra' cristiani a tradigion morrai;
e perché il male influsso non seguisse,
tenertene lontan m'affaticai:
né ostare al fin potendo alla tua voglia,
infermo caddi, e mi mori' di doglia.
65
Ma inanzi a morte, qui dove previdi
che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi;
ed a Caron dissi con alti gridi:
— Dopo morte non vo' lo spirto levi
di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. —
66
Così lo spirto mio per le belle ombre
ha molti dì aspettato il venir vostro:
sì che mai gelosia più non t'ingombre,
o Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca al tenebroso chiostro. —
Qui si tacque; e a Marfisa ed alla figlia
d'Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui;
e ad abbracciarsi, senza offender quella
che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e rammentando de l'età novella
alcune cose: i' feci, io dissi, io fui;
vengon trovando con più certo effetto,
tutto esser ver quel c'ha lo spirto detto.
68
Ruggiero alla sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante;
e narrò con parole affettuose
de le obligazion che le avea tante:
e non cessò, ch'in grand'amor compose
le discordie ch'insieme ebbono avante;
e fe', per segno di pacificarsi,
ch'umanamente andaro ad abbracciarsi.
69
A domandar poi ritornò Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre;
e chi l'avesse morto, ed a che guisa,
s'in campo chiuso o fra l'armate squadre;
e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se già l'avea udito da fanciulla,
or ne tenea poca memoria o nulla.
70
Ruggiero incominciò, che da' Troiani
per la linea d'Ettorre erano scesi;
che poi che Astianatte de le mani
campò d'Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de' fanciulli coetani
per lui lasciato, uscì di quei paesi;
e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e dominò Messina.
71
— I descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiar de la Calabria parte;
e dopo più successioni andaro
ad abitar ne la città di Marte.
Più d'uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.
72
Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fe', come d'Atlante udir potesti,
di nostra madre l'utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
per l'istorie vedrai celebri al mondo. —
Seguì poi, come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d'Agramante;
73
e come menò seco una donzella
ch'era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gittò di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa,
e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
per la cognata arse d'incesto amore;
74
e che la patria e 'l padre e duo fratelli
tradì, così sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fer di lor tutti i portamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli
poser Galaciella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo,
quando fu tempestoso al maggior verno.
75
Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che 'l suo german facea:
ed esser scesa da la bella fonte
ch'avea sì chiari rivi, si godea.
Quindi Mongrana e quindi Chiaramonte
le due progenie derivar sapea,
ch'al mondo fu molti e molt'anni e lustri
splendide, e senza par d'uomini illustri.
76
Poi che 'l fratello al fin le venne a dire
che 'l padre d'Agramante e l'avo e 'l zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo poté più la sorella udire,
che lo 'nterroppe, e disse: — Fratel mio
(salva tua grazia), avuto hai troppo torto
a non ti vendicar del padre morto.
77
Se in Almonte e in Troian non ti potevi
insanguinar, ch'erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte,
ma vivi al soldo suo ne la sua corte.
78
Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio,
fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se più ti veggo fra le squadre
del re Agramante o d'altro signor Moro,
se non col ferro in man per danno loro. —
79
Oh come a quel parlar leva la faccia
la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che così faccia
come Marfisa sua ben l'ammonisce;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama,
ch'ancor guerrier senza alcun par lo chiama.
80
Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea
dandogli morte, e saria traditore;
che già tolto l'avea per suo signore.
81
Ben, come a Bradamante già promesse,
promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch'occasione, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non l'avea, non desse
la colpa a lui, m'al re di Tartaria,
dal qual ne la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu, come saper si debbe.
82
Ed ella ch'ogni dì gli venìa al letto,
buon testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
da l'una e da l'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, l'ultimo effetto
è che Ruggier ritorni alla bandiera
del suo signor, fin che cagion gli accada,
che giustamente a Carlo se ne vada.
83
— Lascialo pur andar (dicea Marfisa
a Bradamante), e non aver timore:
fra pochi giorni io farò bene in guisa
che non gli fia Agramante più signore. —
Così dice ella, né però devisa
quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenza, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero;
84
quando un pianto s'udì da le vicine
valli sonar, che li fe' tutti attenti.
A quella voce fan l'orecchie chine,
che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
e di quel che voglio io, siate contenti;
che miglior cose vi prometto dire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
CANTO TRENTASETTESIMO
1
Se, come in acquistar qualch'altro dono
che senza industria non può dar Natura,
affaticate notte e dì si sono
con somma diligenza e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n'è uscit'opra non oscura;
così si fosson poste a quelli studi
ch'immortal fanno le mortal virtudi;
2
e che per sé medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto,
ai quali astio ed invidia il cor sì rode,
che 'l ben che ne puon dir, spesso è taciuto,
e 'l mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.
3
Non basta a molti di prestarsi l'opra
in far l'un l'altro glorioso al mondo,
ch'anco studian di far che si discuopra
ciò che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
dico gli antiqui; quasi l'onor debbia
d'esse il lor oscurar, come il sol nebbia.
4
Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua
la gloria sì, che non ne resti parte;
ma non già tal, che presso al segno giunga,
né ch'anco se gli accosti di gran lunga:
5
ch'Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidoni e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl'Indi con vittoria scorse:
non fur queste e poch'altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.
6
E di fedeli e caste e sagge e forti
stato ne son, non pur in Grecia e in Roma,
ma in ogni parte ove fra gl'Indi e gli Orti
de le Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai sono i pregi agli onor morti,
sì ch'a pena di mille una si noma;
e questo, perché avuto hanno ai lor tempi
gli scrittori bugiardi, invidi ed empi.
7
Non restate però, donne, a cui giova
il bene oprar, di seguir vostra via;
né da vostra alta impresa vi rimuova
tema che degno onor non vi si dia:
che, come cosa buona non si trova
che duri sempre, così ancor né ria.
Se le carte sin qui state e gl'inchiostri
per voi non sono, or sono a' tempi nostri.
8
Dianzi Marullo ed il Pontan per vui
sono, e duo Strozzi, il padre e 'l figlio, stati:
c'è il Bembo, c'è il Capel, c'è chi, qual lui
vediamo, ha tali i cortigian formati:
c'è un Luigi Alaman: ce ne son dui,
di par da Marte e da le Muse amati,
ambi del sangue che regge la terra
che 'l Menzo fende e d'alti stagni serra.
9
Di questi l'uno, oltre che 'l proprio istinto
ad onorarvi e a riverirvi inchina,
e far Parnasso risonare e Cinto
di vostra laude, e porla al ciel vicina;
l'amor, la fede, il saldo e non mai vinto
per minacciar di strazi e di ruina,
animo ch'Issabella gli ha dimostro,
lo fa, assai più che di se stesso, vostro:
10
sì che non è per mai trovarsi stanco
di farvi onor nei suoi vivaci carmi:
e s'altri vi dà biasmo, non è ch'anco
sia più pronto di lui per pigliar l'armi:
e non ha il mondo cavallier che manco
la vita sua per la virtù rispiarmi.
Dà insieme egli materia ond'altri scriva,
e fa la gloria altrui, scrivendo, viva.
11
Ed è ben degno che sì ricca donna,
ricca di tutto quel valor che possa
esser fra quante al mondo portin gonna,
mai non si sia di sua costanza mossa;
e sia stata per lui vera colonna,
sprezzando di Fortuna ogni percossa:
di lei degno egli, e degna ella di lui;
né meglio s'accoppiaro unque altri dui.
12
Nuovi trofei pon su la riva d'Oglio;
ch'in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a ruote
ha sparso alcun tanto ben scritto foglio,
che 'l vicin fiume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
fa chiaro il vostro onor con chiare note,
e Renato Trivulcio, e 'l mio Guidetto,
e 'l Molza, a dir di voi da Febo eletto.
13
C'è 'l duca de' Carnuti Ercol, figliuolo
del duca mio, che spiega l'ali come
canoro cigno, e va cantando a volo,
e fin al cielo udir fa il vostro nome.
C'è il mio signor del Vasto, a cui non solo
di dare a mille Atene e a mille Rome
di sé materia basta, ch'anco accenna
volervi eterne far con la sua penna.
14
Ed oltre a questi ed altri ch'oggi avete,
che v'hanno dato gloria e ve la danno,
voi per voi stesse dar ve la potete;
poi che molte, lasciando l'ago e 'l panno,
son con le Muse a spegnersi la sete
al fonte d'Aganippe andate, e vanno;
e ne ritornan tai, che l'opra vostra
è più bisogno a noi, ch'a voi la nostra.
15
Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
render buon conto, e degno pregio darle,
bisognerà ch'io verghi più d'un foglio,
e ch'oggi il canto mio d'altro non parle:
e s'a lodarne cinque o sei ne toglio,
io potrei l'altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d'ognuna,
o pur fra tante sceglierne sol una?
16
Sceglieronne una; e sceglierolla tale,
che superato avrà l'invidia in modo,
che nessun'altra potrà avere a male,
se l'altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest'una ha non pur sé fatta immortale
col dolce stil di che il meglior non odo;
ma può qualunque di cui parli o scriva,
trar del sepolcro, e far ch'eterno viva.
17
Come Febo la candida sorella
fa più di luce adorna, e più la mira,
che Venere o che Maia o ch'altra stella
che va col cielo o che da sé si gira:
così facundia, più ch'all'altre, a quella
di ch'io vi parlo, e più dolcezza spira;
e dà tal forza all'alte sue parole,
ch'orna a' dì nostri il ciel d'un altro sole.
18
Vittoria è 'l nome; e ben conviensi a nata
fra le vittorie, ed a chi, o vada o stanzi,
di trofei sempre e di trionfi ornata,
la vittoria abbia seco, o dietro o inanzi.
Questa è un'altra Artemisia, che lodata
fu di pietà verso il suo Mausolo; anzi
tanto maggior, quanto è più assai bell'opra,
che por sotterra un uom, trarlo di sopra.
19
Se Laodamìa se la moglier di Bruto,
s'Arria, s'Argia, s'Evadne, e s'altre molte
meritar laude per aver voluto,
morti i mariti, esser con lor sepolte;
quanto onore a Vittoria è più dovuto,
che di Lete e del rio che nove volte
l'ombre circonda, ha tratto il suo consorte,
mal grado de le Parche e de la Morte!
20
S'al fiero Achille invidia de la chiara
meonia tromba il Macedonico ebbe,
quanto, invitto Francesco di Pescara,
maggior a te, se vivesse or, l'avrebbe!
che sì casta mogliere e a te sì cara
canti l'eterno onor che ti si debbe,
e che per lei sì 'l nome tuo rimbombe,
che da bramar non hai più chiare trombe.
21
Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
io n'ho desir, volessi porre in carte,
ne direi lungamente; ma non tanto,
ch'a dir non ne restasse anco gran parte:
e di Marfisa e dei compagni intanto
la bella istoria rimarria da parte,
la quale io vi promisi di seguire,
s'in questo canto mi verreste a udire.
22
Ora essendo voi qui per ascoltarmi,
ed io per non mancar de la promessa,
serberò a maggior ozio di provarmi
ch'ogni laude di lei sia da me espressa;
non perch'io creda bisognar miei carmi
a chi se ne fa copia da se stessa;
ma sol per satisfare a questo mio,
c'ho d'onorarla e di lodar, disio.
23
Donne, io conchiudo in somma, ch'ogni etate
molte ha di voi degne d'istoria avute;
ma per invidia di scrittori state
non sete dopo morte conosciute:
il che più non sarà, poi che voi fate
per voi stesse immortal vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo,
si sapria meglio ogni lor degno gesto.
24
Di Bradamante e di Marfisa dico,
le cui vittoriose inclite prove
di ritornare in luce m'affatico;
ma de le diece mancanmi le nove.
Queste ch'io so, ben volentieri esplìco;
sì perché ogni bell'opra si de', dove
occulta sia, scoprir, sì perché bramo
a voi, donne, aggradir, ch'onoro ed amo.
25
Stava Ruggier, com'io vi dissi, in atto
di partirsi, ed avea commiato preso,
e dall'arbore il brando già ritratto,
che, come dianzi, non gli fu conteso;
quando un gran pianto, che non lungo tratto
era lontan, lo fe' restar sospeso;
e con le donne a quella via si mosse,
per aiutar, dove bisogno fosse.
26
Spingonsi inanzi, e via più chiaro il suon ne
viene, e via più son le parole intese.
Giunti ne la vallea, trovan tre donne
che fan quel duolo, assai strane in arnese;
che fin all'ombilico ha lor le gonne
scorciate non so chi poco cortese:
e per non saper meglio elle celarsi,
sedeano in terra, e non ardian levarsi.
27
Come quel figlio di Vulcan, che venne
fuor de la polve senza madre in vita,
e Pallade nutrir fe' con solenne
cura d'Aglauro, al veder troppo ardita,
sedendo, ascosi i brutti piedi tenne
su la quadriga da lui prima ordita;
così quelle tre giovani le cose
secrete lor tenean, sedendo, ascose.
28
Lo spettacolo enorme e disonesto
l'una e l'altra magnanima guerriera
fe' del color che nei giardin di Pesto
esser la rosa suol da primavera.
Riguardò Bradamante, e manifesto
tosto le fu ch'Ullania una d'esse era,
Ullania che da l'Isola Perduta
in Francia messaggera era venuta:
29
e riconobbe non men l'altre due;
che dove vide lei, vide esse ancora.
Ma se n'andaron le parole sue
a quella de le tre ch'ella più onora;
e le domanda chi sì iniquo fue,
e sì di legge e di costumi fuora,
che quei segreti agli occhi altrui riveli,
che, quanto può, par che Natura celi.
30
Ullania che conosce Bradamante,
non meno ch'alle insegne, alla favella,
esser colei che pochi giorni inante
avea gittati i tre guerrier di sella,
narra che ad un castel poco distante
una ria gente e di pietà ribella,
oltre all'ingiuria di scorciarle i panni,
l'avea battuta e fattol'altri danni.
31
Né le sa dir che de lo scudo sia,
né dei tre re che per tanti paesi
fatto le avean sì lunga compagnia:
non sa se morti, o sian restati presi;
e dice c'ha pigliata questa via,
ancor ch'andare a piè molto le pesi,
per richiamarsi de l'oltraggio a Carlo,
sperando che non sia per tolerarlo.
32
Alle guerriere ed a Ruggier, che meno
non han pietosi i cor, ch'audaci e forti,
de' bei visi turbò l'aer sereno
l'udire, e più il veder sì gravi torti:
et obliando ogn'altro affar che avieno,
e senza che li prieghi o che gli esorti
la donna afflitta a far la sua vendetta,
piglian la via verso quel luogo in fretta.
33
Di commune parer le sopraveste,
mosse da gran bontà, s'aveano tratte,
ch'a ricoprir le parti meno oneste
di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vuol ch'Ullania peste
le strade a piè, ch'avea a piede anco fatte,
e se la leva in groppa del destriero;
l'altra Marfisa, l'altra il buon Ruggiero.
34
Ullania a Bradamante che la porta,
mostra la via che va al castel più dritta:
Bradamante all'incontro lei conforta,
che la vendicherà di chi l'ha afflitta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta
sagliono un colle or a man manca or ritta;
e prima il sol fu dentro il mare ascoso,
che volesser tra via prender riposo.
35
Trovaro una villetta che la schena
d'un erto colle, aspro a salir, tenea;
ove ebbon buono albergo e buona cena,
quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d'intorno, e quivi piena
ogni parte di donne si vedea,
quai giovani, quai vecchie; e in tanto stuolo
faccia non v'apparia d'un uomo solo.
36
Non più a Iason di maraviglia denno,
né agli Argonauti che venian con lui,
le donne che i mariti morir fenno
e i figli e i padri coi fratelli sui,
sì che per tutta l'isola di Lenno
di viril faccia non si vider dui;
che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era
maraviglia ebbe all'alloggiar la sera.
37
Fero ad Ullania ed alle damigelle
che venivan con lei, le due guerriere
la sera proveder di tre gonnelle,
se non così polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
donne ch'abitan quivi, e vuol sapere
ove gli uomini sian, ch'un non ne vede;
ed ella a lui questa risposta diede:
38
— Questa che forse è maraviglia a voi,
che tante donne senza uomini siamo,
è grave e intolerabil pena a noi,
che qui bandite misere viviamo.
E perché il duro esilio più ci annoi,
padri, figli e mariti, che sì amiamo,
aspro e lungo divorzio da noi fanno,
come piace al crudel nostro tiranno.
39
Da le sue terre, le quai son vicine
a noi due leghe, e dove noi siàn nate,
qui ci ha mandato il barbaro in confine,
prima di mille scorni ingiuriate;
ed ha gli uomini nostri e noi meschine
di morte e d'ogni strazio minacciate,
se quelli a noi verranno, o gli fia detto
che noi diàn lor, venendoci, ricetto.
40
Nimico è sì costui del nostro nome,
che non ci vuol, più ch'io vi dico, appresso,
né ch'a noi venga alcun de' nostri, come
l'odor l'ammorbi del femineo sesso.
Già due volte l'onor de le lor chiome
s'hanno spogliato gli alberi e rimesso,
da indi in qua che 'l rio signor vaneggia
in furor tanto: e non è chi 'l correggia;
41
che 'l populo ha di lui quella paura
che maggior aver può l'uom de la morte;
ch'aggiunto al mal voler gli ha la natura
una possanza fuor d'umana sorte.
Il corpo suo di gigantea statura
è più, che di cent'altri insieme, forte.
Né pure a noi sue suddite è molesto,
ma fa alle strane ancor peggio di questo.
42
Se l'onor vostro, e queste tre vi sono
punto care, ch'avete in compagnia,
più vi sarà sicuro, utile e buono
non gir più inanzi, e trovar altra via.
Questa al castel de l'uom di ch'io ragiono,
a provar mena la costuma ria
che v'ha posta il crudel con scorno e danno
di donne e di guerrier che di là vanno.
43
Marganor il fellon (così si chiama
il signore, il tiran di quel castello),
del qual Nerone, o s'altri è ch'abbia fama
di crudeltà, non fu più iniquo e fello,
il sangue uman, ma 'l feminil più brama,
che 'l lupo non lo brama de l'agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
da lor ria sorte a quel castel condutte. —
44
Perché quell'empio in tal furor venisse,
volson le donne intendere e Ruggiero:
pregar colei, ch'in cortesia seguisse,
anzi che cominciasse il conto intero.
— Fu il signor del castel (la donna disse)
sempre crudel, sempre inumano e fiero;
ma tenne un tempo il cor maligno ascosto,
né si lasciò conoscer così tosto:
45
che mentre duo suoi figli erano vivi,
molto diversi dai paterni stili,
ch'amavan forestieri, ed eran schivi
di crudeltade e degli altri atti vili;
quivi le cortesie fiorivan, quivi
i bei costumi e l'opere gentili:
che 'l padre mai, quantunque avaro fosse,
da quel che lor piacea non li rimosse.
46
Le donne e i cavallier che questa via
facean talor, venian sì ben raccolti,
che si partian de l'alta cortesia
dei duo germani inamorati molti.
Amendui questi di cavalleria
parimente i santi ordini avean tolti:
Cilandro l'un, l'altro Tanacro detto,
gagliardi, arditi e di reale aspetto.
47
Ed eran veramente, e sarian stati
sempre di laude degni e d'ogni onore,
s'in preda non si fossino sì dati
a quel desir che nominiamo amore;
per cui dal buon sentier fur traviati
al labirinto ed al camin d'errore;
e ciò che mai di buono aveano fatto,
restò contaminato e brutto a un tratto.
48
Capitò quivi un cavallier di corte
del greco imperator, che seco avea
una sua donna di maniere accorte,
bella quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s'inamorò sì forte,
che morir, non l'avendo, gli parea:
gli parea che dovesse, alla partita
di lei, partire insieme la sua vita.
49
E perché i prieghi non v'avriano loco,
di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal castel lontano un poco,
ove passar dovean, cheto s'ascose.
L'usata audacia e l'amoroso fuoco
non gli lasciò pensar troppo le cose:
sì che vedendo il cavallier venire,
l'andò lancia per lancia ad assalire.
50
Al primo incontro credea porlo in terra,
portar la donna e la vittoria indietro:
ma 'l cavallier, che mastro era di guerra,
l'osbergo gli spezzò come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra,
che lo fe' riportar sopra un ferètro;
e ritrovandol morto, con gran pianto
gli diè sepulcro agli antiqui avi a canto.
51
Né più però né manco si contese
l'albergo e l'accoglienza a questo e a quello,
perché non men Tanacro era cortese,
né meno era gentil di suo fratello.
L'anno medesmo di lontan paese
con la moglie un baron venne al castello,
a maraviglia egli gagliardo, ed ella,
quanto si possa dir, leggiadra e bella;
52
né men che bella, onesta e valorosa,
e degna veramente d'ogni loda:
il cavallier, di stirpe generosa,
di tanto ardir, quanto più d'altri s'oda.
E ben conviensi a tal valor, che cosa
di tanto prezzo e sì eccellente goda.
Olindro il cavallier da Lungavilla,
la donna nominata era Drusilla.
53
Non men di questa il giovene Tanacro
arse, che 'l suo fratel di quella ardesse,
che gli fe' gustar fine acerbo ed acro
del desiderio ingiusto ch'in lei messe.
Non men di lui di violar del sacro
e santo ospizio ogni ragione ellesse,
più tosto che patir che 'l duro e forte
nuovo desir lo conducesse a morte.
54
Ma perch'avea dinanzi agli occhi il tema
del suo fratel che n'era stato morto,
pensa di torla in guisa, che non tema
ch'Olindro s'abbia a vendicar del torto.
Tosto s'estingue in lui, non pur si scema
quella virtù su che solea star sorto;
ché non lo sommergean dei vizi l'acque,
de le quai sempre al fondo il padre giacque.
55
Con gran silenzio fece quella notte
seco raccor da vent'uomini armati;
e lontan dal castel, fra certe grotte
che si trovan tra via, messe gli aguati.
Quivi ad Olindro il dì le strade rotte,
e chiusi i passi fur da tutti i lati;
e ben che fe' lunga difesa e molta,
pur la moglie e la vita gli fu tolta.
56
Ucciso Olindro, ne menò captiva
la bella donna, addolorata in guisa,
ch'a patto alcun restar non volea viva,
e di grazia chiedea d'essere uccisa.
Per morir si gittò giù d'una riva
che vi trovò sopra un vallone assisa;
e non poté morir, ma con la testa
rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.
57
Altrimente Tanacro riportarla
a casa non poté che s'una bara.
Fece con diligenza medicarla;
che perder non volea preda sì cara.
E mentre che s'indugia a risanarla,
di celebrar le nozze si prepara:
ch'aver sì bella donna e sì pudica
debbe nome di moglie, e non d'amica.
58
Non pensa altro Tanacro, altro non brama,
d'altro non cura, e d'altro mai non parla.
Si vede averla offesa, e se ne chiama
in colpa, e ciò che può, fa d'emendarla.
Ma tutto è invano: quanto egli più l'ama,
quanto più s'affatica di placarla,
tant'ella odia più lui, tanto è più forte,
tanto è più ferma in voler porlo a morte.
59
Ma non però quest'odio così ammorza
la conoscenza in lei, che non comprenda
che, se vuol far quanto disegna, è forza
che simuli, ed occulte insidie tenda;
e che 'l desir sotto contraria scorza
(il quale è sol come Tanacro offenda)
veder gli faccia; e che si mostri tolta
dal primo amore, e tutto a lui rivolta.
60
Simula il viso pace; ma vendetta
chiama il cor dentro, e ad altro non attende.
Molte cose rivolge, alcune accetta,
altre ne lascia, ed altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta,
avrà il suo intento; e quivi al fin s'apprende.
E dove meglio può morire, o quando,
che 'l suo caro marito vendicando?
61
Ella si mostra tutta lieta, e finge
di queste nozze aver sommo disio;
e ciò che può indugiarle, a dietro spinge,
non ch'ella mostri averne il cor restio.
Più de l'altre s'adorna e si dipinge:
Olindro al tutto par messo in oblio.
Ma che sian fatte queste nozze vuole,
come ne la sua patria far si suole.
62
Non era però ver che questa usanza
che dir volea, ne la sua patria fosse:
ma, perché in lei pensier mai non avanza,
che spender possa altrove, imaginosse
una bugia, la qual le diè speranza
di far morir chi 'l suo signor percosse:
e disse di voler le nozze a guisa
de la sua patria, e 'l modo gli devisa.
63
— La vedovella che marito prende,
deve, prima (dicea) ch'a lui s'appresse,
placar l'alma del morto ch'ella offende,
facendo celebrargli offici e messe,
in remission de le passate mende,
nel tempio ove di quel son l'ossa messe;
e dato fin ch'al sacrificio sia,
alla sposa l'annel lo sposo dia:
64
ma ch'abbia in questo mezzo il sacerdote
sul vino ivi portato a tale effetto
appropriate orazion devote,
sempre il liquor benedicendo, detto;
indi che 'l fiasco in una coppa vote,
e dia alli sposi il vino benedetto:
ma portare alla sposa il vino tocca,
ed esser prima a porvi su la bocca. —
65
Tanacro, che non mira quanto importe
ch'ella le nozze alla sua usanza faccia,
le dice: — Pur che 'l termine si scorte
d'essere insieme, in questo si compiaccia. —
Né s'avede il meschin ch'essa la morte
d'Olindro vendicar così procaccia,
e sì la voglia ha in uno oggetto intensa,
che sol di quello, e mai d'altro non pensa.
66
Avea seco Drusilla una sua vecchia,
che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all'orecchia,
sì che non poté udire uomo di casa:
— Un subitano tosco m'apparecchia,
qual so che sai comporre, e me lo invasa;
c'ho trovato la via di vita torre
il traditor figliuol di Marganorre.
67
E me so come, e te salvar non meno:
ma diferisco a dirtelo più ad agio. —
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno,
ed acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno
trovò da por con quel succo malvagio,
e lo serbò pel giorno de le nozze;
ch'omai tutte l'indugie erano mozze.
68
Lo statuito giorno al tempio venne,
di gemme ornata e di leggiadre gonne,
ove d'Olindro, come gli convenne,
fatto avea l'arca alzar su due colonne.
Quivi l'officio si cantò solenne:
trasseno a udirlo tutti, uomini e donne,
e lieto Marganor più de l'usato,
venne col figlio e con gli amici a lato.
69
Tosto ch'al fin le sante esequie foro,
e fu col tosco il vino benedetto,
il sacerdote in una coppa d'oro
lo versò, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
si conveniva, e potea far l'effetto:
poi diè allo sposo con viso giocondo
il nappo; e quel gli fe' apparire il fondo.
70
Renduto il nappo al sacerdote, lieto
per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
in lei si cangia e quella gran bonaccia.
Lo spinge a dietro, e gli ne fa divieto,
e par ch'arda negli occhi e ne la faccia;
e con voce terribile e incomposta
gli grida: — Traditor, da me ti scosta!
71
Tu dunque avrai da me solazzo e gioia,
io lagrime da te, martìri e guai?
Io vo' per le mie man ch'ora tu muoia:
questo è stato venen, se tu nol sai.
Ben mi duol c'hai troppo onorato boia,
che troppo lieve e facil morte fai;
che mani e pene io non so sì nefande,
che fosson pari al tuo peccato grande.
72
Mi duol di non vedere in questa morte
il sacrificio mio tutto perfetto:
che s'io 'l poteva far di quella sorte
ch'era il disio, non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte:
riguardi al buon volere, e l'abbia accetto;
che non potendo come avrei voluto,
io t'ho fatto morir come ho potuto.
73
E la punizion che qui, secondo
il desiderio mio, non posso darti,
spero l'anima tua ne l'altro mondo
veder patire; ed io starò a mirarti. —
Poi disse, alzando con viso giocondo
i turbidi occhi alle superne parti:
— Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
col buon voler de la tua moglie accetta;
74
ed impetra per me dal Signor nostro
grazia, ch'in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirà che senza merto al vostro
regno anima non vien, di' ch'io l'ho meco;
che di questo empio e scelerato mostro
le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi,
spegner sì brutte e abominose pesti? —
75
Finì il parlare insieme con la vita;
e morta anco parea lieta nel volto
d'aver la crudeltà così punita
di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta, o se seguita
fu da lo spirto di Tanacro sciolto:
fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe
prima il veneno in lui, perché più bebbe.
76
Marganor che cader vede il figliuolo,
e poi restar ne le sue braccia estinto,
fu per morir con lui, dal grave duolo
ch'alla sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n'ebbe un tempo, or si ritrova solo:
due femine a quel termine l'han spinto.
La morte a l'un da l'una fu causata;
e l'altra all'altro di sua man l'ha data.
77
Amor, pietà, sdegno, dolore ed ira,
disio di morte e di vendetta insieme
quell'infelice ed orbo padre aggira,
che, come il mar che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira
che di sua vita ha chiuse l'ore estreme;
e come il punge e sferza l'odio ardente,
cerca offendere il corpo che non sente.
78
Qual serpe che ne l'asta ch'alla sabbia
la tenga fissa, indarno i denti metta;
o qual mastin ch'al ciottolo che gli abbia
gittato il viandante, corra in fretta,
e morda invano con stizza e con rabbia,
né se ne voglia andar senza vendetta:
tal Marganor d'ogni mastin, d'ogni angue
via più crudel, fa contra il corpo esangue.
79
E poi che per stracciarlo e farne scempio
non si sfoga il fellon né disacerba,
vien fra le donne di che è pieno il tempio,
né più l'una de l'altra ci riserba;
ma di noi fa col brando crudo ed empio
quel che fa con la falce il villan d'erba.
Non vi fu alcun ripar, ch'in un momento
trenta n'uccise, e ne ferì ben cento.
80
Egli da la sua gente è sì temuto,
ch'uomo non fu ch'ardisse alzar la testa.
Fuggon le donne col popul minuto
fuor de la chiesa, e chi può uscir, non resta.
Quel pazzo impeto al fin fu ritenuto
dagli amici con prieghi e forza onesta,
e lasciando ogni cosa in pianto al basso,
fatto entrar ne la rocca in cima al sasso.
81
E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e 'l populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:
e quel medesmo dì fe' andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel più s'avvicine!
82
Da le mogli così furo i mariti,
da le madri così i figli divisi.
S'alcuni sono a noi venire arditi,
nol sappia già chi Marganor n'avisi;
che di multe gravissime puniti
n'ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una legge,
di cui peggior non s'ode né si legge.
83
Ogni donna che trovin ne la valle,
la legge vuol (ch'alcuna pur vi cade)
che percuotan con vimini alle spalle,
e la faccian sgombrar queste contrade:
ma scorciar prima i panni, e mostrar falle
quel che Natura asconde ed Onestade;
e s'alcuna vi va, ch'armata scorta
abbia di cavallier, vi resta morta.
84
Quelle c'hanno per scorta cavallieri,
son da questo nimico di pietate,
come vittime, tratte ai cimiteri
dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
e poi caccia in prigion chi l'ha guidate:
e lo può far; che sempre notte e giorno
si trova più di mille uomini intorno.
85
E dir di più vi voglio ancora, ch'esso,
s'alcun ne lascia, vuol che prima giuri
su l'ostia sacra, che 'l femineo sesso
in odio avrà fin che la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
dunque vi pare, ite a veder quei muri
ove alberga il fellone, e fate prova
s'in lui più forza o crudeltà si trova. —
86
Così dicendo, le guerriere mosse
prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
che se, come era notte, giorno fosse,
sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse;
e tosto che l'Aurora fece segno
che dar dovesse al Sol loco ogni stella,
ripigliò l'arme e si rimesse in sella.
87
Già sendo in atto di partir, s'udiro
le strade risonar dietro le spalle
d'un lungo calpestio, che gli occhi in giro
fece a tutti voltar giù ne la valle.
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
di mano, andar per uno istretto calle
vider da forse venti armati in schiera,
di che parte in arcion, parte a pied'era;
88
e che traean con lor sopra un cavallo
donna ch'al viso aver parea molt'anni,
a guisa che si mena un che per fallo
a fuoco o a ceppo o a laccio si condanni:
la qual fu, non ostante l'intervallo,
tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste de la villa
esser la cameriera di Drusilla:
89
la cameriera che con lei fu presa
dal rapace Tanacro, come ho detto,
ed a chi fu dipoi data l'impresa
di quel venen che fe' 'l crudele effetto.
Non era entrata ella con l'altre in chiesa;
che di quel che seguì stava in sospetto:
anzi in quel tempo, de la villa uscita,
ove esser sperò salva, era fugita.
90
Avuto Marganor poi di lei spia,
la qual s'era ridotta in Ostericche,
non ha cessato mai di cercar via
come in man l'abbia, acciò l'abruci o impicche:
e finalmente l'Avarizia ria,
mossa da doni e da proferte ricche,
ha fatto ch'un baron, ch'assicurata
l'avea in sua terra, a Marganor l'ha data:
91
e mandata glie l'ha fin a Costanza
sopra un somier, come la merce s'usa,
legata e stretta, e toltole possanza
di far parole, e in una cassa chiusa:
onde poi questa gente l'ha ad istanza
de l'uom ch'ogni pietade ha da sé esclusa,
quivi condotta con disegno ch'abbia
l'empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.
92
Come il gran fiume che di Vesulo esce,
quanto più inanzi e verso il mar discende,
e che con lui Lambra e Ticin si mesce,
ed Ada e gli altri onde tributo prende,
tanto più altiero e impetuoso cresce;
così Ruggier, quante più colpe intende
di Marganor, così le due guerriere
se gli fan contra più sdegnose e fiere.
93
Elle fur d'odio, elle fur d'ira tanta
contra il crudel, per tante colpe, accese,
che di punirlo, mal grado di quanta
gente egli avea, conclusion si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
pena lor parve e indegna a tante offese;
ed era meglio fargliela sentire,
fra strazio prolungandola e martìre.
94
Ma prima liberar la donna è onesto,
che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
uno incontro più acerbo né più forte;
sì che han di grazia di lasciar gli scudi
e la donna e l'arnese, e fuggir nudi:
95
sì come il lupo che di preda vada
carco alla tana, e quando più si crede
d'esser sicur, dal cacciator la strada
e da' suoi cani attraversar si vede,
getta la soma, e dove appar men rada
la scura macchia inanzi, affretta il piede.
Già men presti non fur quelli a fuggire,
che li fusson quest'altri ad assalire.
96
Non pur la donna e l'arme vi lasciaro,
ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
e da rive e da grotte si lanciaro,
parendo lor così d'esser più sciolti.
Il che alle donne ed a Ruggier fu caro;
che tre di quei cavalli ebbono tolti
per portar quelle tre che 'l giorno d'ieri
feron sudar le groppe ai tre destrieri.
97
Quindi espediti segueno la strada
verso l'infame e dispietata villa.
Voglion che seco quella vecchia vada,
per veder la vendetta di Drusilla.
Ella che teme che non ben le accada,
lo niega indarno, e piange e grida e strilla;
ma per forza Ruggier la leva in groppa
del buon Frontino, e via con lei galoppa.
98
Giunseno in somma onde vedeano al basso
di molte case un ricco borgo e grosso,
che non serrava d'alcun lato il passo,
perché né muro intorno avea né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso
ch'un'alta rocca sostenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza,
ch'esser sapean di Marganor la stanza.
99
Tosto che son nel borgo, alcuni fanti
che v'erano alla guardia de l'entrata,
dietro chiudon la sbarra, e già davanti
veggion che l'altra uscita era serrata:
ed ecco Marganorre, e seco alquanti
a piè e a cavallo, e tutta gente armata;
che con brevi parole, ma orgogliose,
la ria costuma di sua terra espose.
100
Marfisa, la qual prima avea composta
con Bradamante e con Ruggier la cosa,
gli spronò incontro in cambio di risposta;
e com'era possente e valorosa,
senza ch'abbassi lancia, o che sia posta
in opra quella spada sì famosa,
col pugno in guisa l'elmo gli martella,
che lo fa tramortir sopra la sella.
101
Con Marfisa la giovane di Francia
spinge a un tempo il destrier, né Ruggier resta
ma con tanto valor corre la lancia,
che sei, senza levarsela di resta,
n'uccide, uno ferito ne la pancia,
duo nel petto, un nel collo, un ne la testa:
nel sesto che fuggia l'asta si roppe,
ch'entrò alle schene e riuscì alle poppe.
102
La figliuola d'Amon quanti ne tocca
con la sua lancia d'or, tanti n'atterra:
fulmine par, che 'l cielo ardendo scocca,
che ciò ch'incontra, spezza e getta a terra.
Il popul sgombra, chi verso la rocca,
chi verso il piano; altri si chiude e serra,
chi ne le chiese e chi ne le sue case;
né, fuor che morti, in piazza uomo rimase.
103
Marfisa Marganorre avea legato
intanto con le man dietro alle rene,
ed alla vecchia di Drusilla dato,
ch'appagata e contenta se ne tiene.
D'arder quel borgo poi fu ragionato,
s'a penitenza del suo error non viene:
levi la legge ria di Marganorre,
e questa accetti, ch'essa vi vuol porre.
104
Non fu già d'ottener questo fatica;
con quella gente, oltre al timor ch'avea
che più faccia Marfisa che non dica,
ch'uccider tutti ed abbruciar volea,
di Marganorre affatto era nimica
e de la legge sua crudele e rea.
Ma 'l populo facea come i più fanno,
ch'ubbidiscon più a quei che più in odio hanno.
105
Però che l'un de l'altro non si fida,
e non ardisce conferir sua voglia,
lo lascian ch'un bandisca, un altro uccida,
a quel l'avere, a questo l'onor toglia.
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e santi alla vendetta invoglia;
la qual, se ben tarda a venir, compensa
l'indugio poi con punizione immensa.
106
Or quella turba d'ira e d'odio pregna
con fatti e con mal dir cerca vendetta:
com'è in proverbio, ognun corre a far legna
all'arbore che 'l vento in terra getta.
Sia Marganorre esempio di chi regna;
che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
peccati, avean piacer piccioli e grandi.
107
Molti a chi fur le mogli o le sorelle
o le figlie o le madri da lui morte,
non più celando l'animo ribelle,
correan per dargli di lor man la morte:
e con fatica lo difeser quelle
magnanime guerriere e Ruggier forte;
che disegnato avean farlo morire
d'affanno, di disagio e di martire.
108
A quella vecchia che l'odiava quanto
femina odiare alcun nimico possa,
nudo in mano lo dier, legato tanto,
che non si scioglierà per una scossa;
ed ella, per vendetta del suo pianto,
gli andò facendo la persona rossa
con un stimulo aguzzo ch'un villano,
che quivi si trovò, le pose in mano.
109
La messaggera e le sue giovani anco,
che quell'onta non son mai per scordarsi,
non s'hanno più a tener le mani al fianco,
né meno che la vecchia, a vendicarsi;
ma sì è il desir d'offenderlo, che manco
viene il potere, e pur vorrian sfogarsi:
chi con sassi il percuote, chi con l'unge;
altra lo morde, altra cogli aghi il punge.
110
Come torrente che superbo faccia
lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,
va ruinoso, e giù da' monti caccia
gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte;
vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia
gli cade, e sì le forze gli son tolte,
ch'un fanciullo, una femina per tutto
passar lo puote, e spesso a piede asciutto:
111
così già fu che Marganorre intorno
fece tremar, dovunque udiasi il nome;
or venuto è chi gli ha spezzato il corno
di tanto orgoglio, e sì le forze dome,
che gli puon far sin a' bambini scorno,
chi pelargli la barba e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
alla rocca voltar, ch'era sul sasso.
112
La diè senza contrasto in poter loro
chi v'era dentro, e così i ricchi arnesi,
ch'in parte messi a sacco, in parte foro
dati ad Ullania ed a' compagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d'oro,
e quei tre re ch'avea il tiranno presi,
li quai venendo quivi, come parmi
d'avervi detto, erano a piè senz'armi;
113
perché dal dì che fur tolti di sella
da Bradamante, a piè sempre eran iti
senz'arme, in compagnia de la donzella
la qual venìa da sì lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella,
che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:
114
perché stata saria, com'eran tutte
quelle ch'armate avean seco le scorte,
al cimitero misere condutte
dei due fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è pur men che morir, mostrar le brutte
e disoneste parti, duro e forte;
e sempre questo e ogn'altro obbrobrio amorza
il poter dir che le sia fatto a forza.
115
Prima ch'indi si partan le guerriere,
fan venir gli abitanti a giuramento,
che daranno i mariti alle mogliere
de la terra e del tutto il reggimento;
e castigato con pene severe
sarà chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel ch'altrove è del marito,
che sia qui de la moglie è statuito.
116
Poi si feccion promettere ch'a quanti
mai verrian quivi, non darian ricetto,
o fosson cavallieri, o fosson fanti,
né 'ntrar li lascerian pur sotto un tetto,
se per Dio non giurassino e per santi,
o s'altro giuramento v'è più stretto,
che sarian sempre de le donne amici,
e dei nimici lor sempre nimici;
117
e s'avranno in quel tempo, e se saranno,
tardi o più tosto, mai per aver moglie,
che sempre a quelle sudditi saranno,
e ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa, prima ch'esca l'anno,
disse, e che perdan gli arbori le foglie;
e se la legge in uso non trovasse,
fuoco e ruina il borgo s'aspettasse.
118
Né quindi si partir, che de l'immondo
luogo dov'era, fer Drusilla torre,
e col marito in uno avel, secondo
ch'ivi potean più riccamente porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
con lo stimulo il dosso a Marganorre:
sol si dolea di non aver tal lena,
che potesse non dar triegua alla pena.
119
L'animose guerriere a lato un tempio
videno quivi una colonna in piazza,
ne la qual fatt'avea quel tiranno empio
scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d'un trofeo l'esempio,
lo scudo v'attaccaro e la corazza
di Marganorre e l'elmo; e scriver fenno
la legge appresso, ch'esse al loco denno.
120
Quivi s'indugiar tanto, che Marfisa
fe' por la legge sua ne la colonna,
contraria a quella che già v'era incisa
a morte ed ignominia d'ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
quella d'Islanda, per rifar la gonna;
che comparire in corte obbrobrio stima,
se non si veste ed orna come prima.
121
Quivi rimase Ullania; e Marganorre
di lei restò in potere: ed essa poi,
perché non s'abbia in qualche modo a sciorre,
e le donzelle un'altra volta annoi,
lo fe' un giorno saltar giù d'una torre,
che non fe' il maggior salto a' giorni suoi.
Non più di lei, né più dei suoi si parli,
ma de la compagnia che va verso Arli.
122
Tutto quel giorno, e l'altro fin appresso
l'ora di terza andaro; e poi che furo
giunti dove in due strade è il camin fesso
(l'una va al campo, e l'altra d'Arli al muro),
tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso
a tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero; ed io il mio canto ho qui finito.
CANTO TRENTOTTESIMO
1
Cortesi donne, che benigna udienza
date a' miei versi, io vi veggo al sembiante,
che quest'altra sì subita partenza
che fa Ruggier da la sua fida amante,
vi dà gran noia, e avete displicenza
poco minor ch'avesse Bradamante;
e fate anco argumento ch'esser poco
in lui dovesse l'amoroso fuoco.
2
Per ogni altra cagion ch'allontanato
contra la voglia d'essa se ne fusse,
ancor ch'avesse più tesor sperato
che Creso o Crasso insieme non ridusse,
io crederia con voi, che penetrato
non fosse al cor lo stral che lo percusse;
ch'un almo gaudio, un così gran contento
non potrebbe comprare oro né argento.
3
Pur, per salvar l'onor, non solamente
d'escusa, ma di laude è degno ancora;
per salvar, dico, in caso ch'altrimente
facendo, biasmo ed ignominia fôra:
e se la donna fosse renitente
ed ostinata in fargli far dimora,
darebbe di sé indizio e chiaro segno
o d'amar poco o d'aver poco ingegno.
4
Che se l'amante de l'amato deve
la vita amar più de la propria, o tanto
(io parlo d'uno amante a cui non lieve
colpo d'Amor passò più là del manto);
al piacer tanto più, ch'esso riceve,
l'onor di quello antepor deve, quanto
l'onore è di più pregio che la vita,
ch'a tutti altri piaceri è preferita.
5
Fece Ruggiero il debito a seguire
il suo signor, che non se ne potea,
se non con ignominia, dipartire;
che ragion di lasciarlo non avea.
E s'Almonte gli fe' il padre morire,
tal colpa in Agramante non cadea;
ch'in molti effetti avea con Ruggier poi
emendato ogni error dei maggior suoi.
6
Farà Ruggiero il debito a tornare
al suo signore; ed ella ancor lo fece,
che sforzar non lo volse di restare,
come potea, con iterata prece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
a un altro tempo, s'or non satisfece:
ma all'onor, chi gli manca d'un momento,
non può in cento anni satisfar né in cento.
7
Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
col parentado avean grande amistanza,
andaro insieme ove re Carlo fatta
la maggior prova avea di sua possanza,
sperando, o per battaglia o per assedio,
levar di Francia così lungo tedio.
8
Di Bradamante, poi che conosciuta
in campo fu, si fe' letizia e festa:
ognun la riverisce e la saluta;
ed ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udì la sua venuta,
le venne incontra; né Ricciardo resta
né Ricciardetto od altri di sua gente,
e la raccoglion tutti allegramente.
9
Come s'intese poi che la compagna
era Marfisa, in arme sì famosa,
che dal Cataio ai termini di Spagna
di mille chiare palme iva pomposa;
non è povero o ricco che rimagna
nel padiglion: la turba disiosa
vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme
sol per veder sì bella coppia insieme.
10
A Carlo riverenti appresentarsi.
Questo fu il primo dì (scrive Turpino)
che fu vista Marfisa inginocchiarsi;
che sol le parve il figlio di Pipino
degno, a cui tanto onor dovesse farsi,
tra quanti, o mai nel popul saracino
o nel cristiano, imperatori e regi
per virtù vide o per ricchezza egregi.
11
Carlo benignamente la raccolse,
e le uscì incontra fuor dei padiglioni;
e che sedesse a lato suo poi volse
sopra tutti re, principi e baroni.
Si diè licenza a chi non se la tolse;
sì che tosto restaro in pochi e buoni:
restaro i paladini e i gran signori;
la vilipesa plebe andò di fuori.
12
Marfisa cominciò con grata voce:
— Eccelso, invitto e glorioso Augusto,
che dal mar Indo alla Tirinzia foce,
dal bianco Scita all'Etiope adusto
riverir fai la tua candida croce,
né di te regna il più saggio o 'l più giusto;
tua fama, ch'alcun termine non serra,
qui tratto m'ha fin da l'estrema terra.
13
E, per narrarti il ver, sola mi mosse
invidia, e sol per farti guerra io venni,
acciò che sì possente un re non fosse,
che non tenesse la legge ch'io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
del cristian sangue; ed altri fieri cenni
era per farti da crudel nimica,
se non cadea chi mi t'ha fatto amica.
14
Quando nuocer pensai più alle tue squadre,
io trovo (e come sia dirò più adagio)
che 'l bon Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un mago infin al settimo anno,
a cui gli Arabi poi rubata m'hanno.
15
E mi vendero in Persia per ischiava
a un re che poi cresciuta io posi a morte;
che mia virginità tor mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte;
tutta cacciai la sua progenie prava,
e presi il regno; e tal fu la mia sorte,
che diciotto anni d'uno o di due mesi
io non passai, che sette regni presi.
16
E di tua fama invidiosa, come
io t'ho già detto, avea fermo nel core
la grande altezza abbatter del tuo nome:
forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome,
e faccia cader l'ale al mio furore,
l'aver inteso, poi che qui son giunta,
come io ti son d'affinità congiunta.
17
E come il padre mio parente e servo
ti fu, ti son parente e serva anch'io:
e quella invidia e quell'odio protervo
il qual io t'ebbi un tempo, or tutto oblio;
anzi contra Agramante io lo riservo,
e contra ogn'altro che sia al padre o al zio
di lui stato parente, che fur rei
di porre a morte i genitori miei. —
18
E seguitò, voler cristiana farsi,
e dopo ch'avrà estinto il re Agramante,
voler piacendo a Carlo, ritornarsi
a battezzare il suo regno in Levante;
ed indi contra tutto il mondo armarsi,
ove Macon s'adori e Trivigante;
e con promission, ch'ogni suo acquisto
sia de l'Impero e de la fé di Cristo.
19
L'imperator, che non meno eloquente
era, che fosse valoroso e saggio,
molto esaltando la donna eccellente,
e molto il padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad ogni parte umanamente,
e mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
e conchiuse ne l'ultima parola,
per parente accettarla e per figliuola.
20
E qui si leva, e di nuovo l'abbraccia,
e, come figlia, bacia ne la fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fôra, quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
vedute avea più volte al paragone,
quando Albracca assediar col suo girone.
21
Lungo a dir fôra, quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sansonetto
ch'alla città crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
ch'all'occision de' Maganzesi rei
e di quei venditori empi di Spagna
l'aveano avuta sì fedel compagna.
22
Apparecchiar per lo seguente giorno,
ed ebbe cura Carlo egli medesmo,
che fosse un luogo riccamente adorno,
ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi e gran chierici d'intorno,
che le leggi sapean del cristianesmo,
fece raccorre, acciò da lor in tutta
la santa fé fosse Marfisa istrutta.
23
Venne in pontificale abito sacro
l'arcivesco Turpino, e battizzolla:
Carlo dal salutifero lavacro
con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai ch'al capo voto e macro
di senno si soccorra con l'ampolla,
con che dal ciel più basso ne venìa
il duca Astolfo sul carro d'Elia.
24
Sceso era Astolfo dal giro lucente
alla maggiore altezza de la terra,
con la felice ampolla che la mente
dovea sanare al gran mastro di guerra.
Un'erba quivi di virtù eccellente
mostra Giovanni al duca d'Inghilterra:
con essa vuol ch'al suo ritorno tocchi
al re di Nubia e gli risani gli occhi;
25
acciò per questi e per li primi merti
gente gli dia con che Biserta assaglia.
E come poi quei populi inesperti
armi ed acconci ad uso di battaglia,
e senza danno passi pei deserti
ove l'arena gli uomini abbarbaglia,
a punto a punto l'ordine che tegna,
tutto il vecchio santissimo gl'insegna.
26
Poi lo fe' rimontar su quello alato
che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante.
Il paladin lasciò, licenziato
da San Giovanni, le contrade sante;
e secondando il Nilo a lato a lato,
tosto i Nubi apparir si vide inante;
e ne la terra che del regno è capo
scese da l'aria, e ritrovò il Senapo.
27
Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
che portò a quel signor nel suo ritorno;
che ben si raccordava de la noia
che gli avea tolta, de l'arpie, d'intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
di quello umor che già gli tolse il giorno,
e che gli rende la vista di prima,
l'adora e cole, e come un Dio sublima:
28
sì che non pur la gente che gli chiede
per muover guerra al regno di Biserta,
ma centomila sopra gli ne diede,
e gli fe' ancor di sua persona offerta.
La gente a pena, ch'era tutta a piede,
potea capir ne la campagna aperta;
che di cavalli ha quel paese inopia,
ma d'elefanti e de camelli copia.
29
La notte inanzi il dì che a suo camino
l'esercito di Nubia dovea porse,
montò su l'ippogrifo il paladino,
e verso mezzodì con fretta corse,
tanto che giunse al monte che l'austrino
vento produce e spira contra l'Orse.
Trovò la cava, onde per stretta bocca,
quando si desta, il furioso scocca.
30
E come raccordògli il suo maestro,
avea seco arrecato un utre voto,
il qual, mentre ne l'antro oscuro e alpestro,
affaticato dorme il fiero Noto,
allo spiraglio pon tacito e destro:
ed è l'aguato in modo al vento ignoto,
che, credendosi uscir fuor la dimane,
preso e legato in quello utre rimane.
31
Di tanta preda il paladino allegro,
ritorna in Nubia, e la medesma luce
si pone a caminar col popul negro,
e vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
verso l'Atlante il glorioso duce
pel mezzo vien de la minuta sabbia,
senza temer che 'l vento a nuocer gli abbia.
32
E giunto poi di qua dal giogo, in parte
onde il pian si discuopre e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
del campo, e la meglio atta a disciplina;
e qua e là per ordine la parte
a piè d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d'uom ch'a gran pensieri intende.
33
Poi che, inchinando le ginocchia, fece
al santo suo maestro orazione,
sicuro che sia udita la sua prece,
copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor di natural ragione
crescendo, si vedean venire in giuso,
e formar ventre e gambe e collo e muso:
34
e con chiari anitrir giù per quei calli
venian saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch'aspettando ne le valli
stava alla posta, lor dava di mano:
sì che in poche ore fur tutti montati;
che con sella e con freno erano nati.
35
Ottantamila cento e dua in un giorno
fe', di pedoni, Astolfo cavallieri.
Con questi tutta scorse Africa intorno,
facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante avea fin al ritorno
il re di Fersa e 'l re degli Algazeri,
col re Branzardo a guardia del paese:
e questi si fer contra al duca inglese;
36
prima avendo spacciato un suttil legno,
ch'a vele e a remi andò battendo l'ali,
ad Agramante aviso, come il regno
patia dal re de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
tanto che giunse ai liti provenzali;
e trovò in Arli il suo re mezzo oppresso,
che 'l campo avea di Carlo un miglio appresso.
37
Sentendo il re Agramante a che periglio,
per guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
principi e re del popul saracino.
E poi ch'una o due volte girò il ciglio
quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d'ogni altro fur, che vi venisse,
i duo più antiqui e saggi, così disse:
38
— Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non mel pensai,
pur lo dirò; che quando un danno vegna
da ogni discorso uman lontano assai,
a quel fallir par che sia escusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch'errai
a lasciar d'arme l'Africa sfornita,
se da li Nubi esser dovea assalita.
39
Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non è cosa futura ignota,
che dovesse venir con sì gran stuolo
a farne danno gente sì remota?
tra i quali e noi giace l'instabil suolo
di quella arena ognor da' venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
ed ha in gran parte l'Africa deserta.
40
Or sopra ciò vostro consiglio chieggio:
se partirmi di qui senza far frutto,
o pur seguir tanto l'impresa deggio,
che prigion Carlo meco abbi condutto;
o come insieme io salvi il nostro seggio,
e questo imperial lasci distrutto.
S'alcun di voi sa dir, priego nol taccia,
acciò si trovi il meglio, e quel si faccia. —
41
Così disse Agramante; e volse gli occhi
al re di Spagna, che gli sedea appresso,
come mostrando di voler che tocchi
di quel c'ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
per riverenza, e così il capo flesso,
nel suo onorato seggio si raccolse;
indi la lingua a tai parole sciolse:
42
— O bene o mal che la Fama ci apporti,
signor, di sempre accrescere ha in usanza.
Perciò non sarà mai ch'io mi sconforti,
o mai più del dover pigli baldanza
per casi o buoni o rei, che sieno sorti:
ma sempre avrò di par tema e speranza
ch'esser debban minori, e non del modo
ch'a noi per tante lingue venir odo.
43
E tanto men prestar gli debbo fede,
quanto più al verisimile s'oppone.
Or se gli è verisimile si vede,
ch'abbia con tanto numer di persone
posto ne la pugnace Africa il piede
un re di sì lontana regione,
traversando l'arene a cui Cambise
con male augurio il popul suo commise.
44
Crederò ben, che sian gli Arabi scesi
da le montagne, ed abbian dato il guasto,
e saccheggiato, e morti uomini e presi,
ove trovato avran poco contrasto;
e che Branzardo che di quei paesi
luogotenente e viceré è rimasto,
per le decine scriva le migliaia,
acciò la scusa sua più degna paia.
45
Vo' concedergli ancor che sieno i Nubi
per miracol dal ciel forse piovuti:
o forse ascosi venner ne le nubi;
poi che non fur mai per camin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
se ben di più soccorso non l'aiuti?
Il tuo presidio avria ben trista pelle,
quando temesse un populo sì imbelle.
46
Ma se tu mandi ancor che poche navi,
pur che si veggan gli stendardi tuoi,
non scioglieran di qua sì tosto i cavi,
che fuggiranno nei confini suoi
questi, o sien Nubi o sieno Arabi ignavi,
ai quali il ritrovarti qui con noi,
separato pel mar da la tua terra,
ha dato ardir di romperti la guerra.
47
Or piglia il tempo che, per esser senza
il suo nipote Carlo, hai di vendetta:
poi ch'Orlando non c'è, far resistenza
non ti può alcun de la nimica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
l'onorata vittoria che t'aspetta,
volterà il calvo, ove ora il crin ne mostra,
con molto danno e lunga infamia nostra. —
48
Con questo ed altri detti accortamente
l'Ispano persuader vuol nel concilio
che non esca di Francia questa gente,
fin che Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il re Sobrin, che vide apertamente
il camino a che andava il re Marsilio,
che più per l'util proprio queste cose,
che pel commun dicea, così rispose:
49
— Quando io ti confortava a stare in pace,
fosse io stato, signor, falso indovino;
o tu, se io dovea pure esser verace,
creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
e non più tosto a Rodomonte audace,
a Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
li quali ora vorrei qui avere a fronte:
ma vorrei più degli altri Rodomonte,
50
per rinfacciargli che volea di Francia
far quel che si faria d'un fragil vetro,
e in cielo e ne lo 'nferno la tua lancia
seguire, anzi lasciarsela di dietro;
poi nel bisogno si gratta la pancia
ne l'ozio immerso abominoso e tetro:
ed io, che per predirti il vero allora
codardo detto fui, son teco ancora;
51
e sarò sempremai, fin ch'io finisca
questa vita ch'ancor che d'anni grave,
porsi incontra ogni dì per te s'arrisca
a qualunque di Francia più nome have.
Né sarà alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
di dir che l'opre mie mai fosser prave:
e non han più di me fatto, né tanto,
molti che si donar di me più vanto.
52
Dico così, per dimostrar che quello
ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,
né da viltade vien né da cor fello,
ma d'amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch'al paterno ostello,
più tosto che tu pòi, vogli redire;
che poco saggio si può dir colui
che perde il suo per acquistar l'altrui.
53
S'acquisto c'è, tu 'l sai. Trentadui fummo
re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
or, se di nuovo il conto ne rassummo,
c'è a pena il terzo, e tutto 'l resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi seguir, temo di corto,
che non ne rimarrà quarto né quinto;
e 'l miser popul tuo fia tutto estinto.
54
Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
siàn pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
se ben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
mostra che non minor d'Orlando sia:
c'è il suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno a' nostri Saracini.
55
Ed hanno appresso quel secondo Marte
(ben che i nimici al mio dispetto lodo),
io dico il valoroso Brandimarte,
non men d'Orlando ad ogni prova sodo;
del qual provata ho la virtude in parte,
parte ne veggo all'altrui spese ed odo.
Poi son più dì che non c'è Orlando stato;
e più perduto abbiàn che guadagnato.
56
Se per adietro abbiàn perduto, io temo
che da qui inanzi perderen più in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo:
Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha lasciata al punto estremo,
e così il re d'Algier, di cui dir posso
che, se fosse fedel come gagliardo,
poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
57
Ove sono a noi tolti questi aiuti,
e tante mila son dei nostri morti;
e quei ch'a venir han, son già venuti,
né s'aspetta altro legno che n'apporti:
quattro son giunti a Carlo, non tenuti
manco d'Orlando o di Rinaldo forti;
e con ragion; che da qui sino a Battro
potresti mal trovar tali altri quattro.
58
Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto e i figli d'Oliviero.
Di questi fo più stima e più tema aggio,
che d'ogni altro lor duca e cavalliero
che di Lamagna o d'altro stran linguaggio
sia contra noi per aiutar l'Impero:
ben ch'importa anco assai la gente nuova
ch'a' nostri danni in campo si ritrova.
59
Quante volte uscirai alla campagna,
tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perdé il campo Africa e Spagna,
quando siàn stati sedici per otto,
che sarà poi ch'Italia e che Lamagna
con Francia è unita, e 'l populo anglo e scotto,
e che sei contra dodici saranno?
Ch'altro si può sperar, che biasmo e danno?
60
La gente qui, là perdi a un tempo il regno,
s'in questa impresa più duri ostinato;
ove, s'al ritornar muti disegno,
l'avanzo di noi servi con lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno,
ch'ognun te ne terrebbe molto ingrato:
ma c'è rimedio, far con Carlo pace;
ch'a lui deve piacer, se a te pur piace.
61
Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
se tu, che prima offeso sei, la chiedi;
e la battaglia più ti sta nel core,
che, come sia fin qui successa, vedi;
studia almen di restarne vincitore:
il che forse averrà, se tu mi credi;
se d'ogni tua querela a un cavalliero
darai l'assunto, e se quel fia Ruggiero.
62
Io 'l so, e tu 'l sai che Ruggier nostro è tale,
che già da solo a sol con l'arme in mano
non men d'Orlando o di Rinaldo vale,
né d'alcun altro cavallier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
ancor che 'l valor suo sia sopraumano,
egli però non sarà più ch'un solo,
ed avrà di par suoi contra uno stuolo.
63
A me par, s'a te par, ch'a dir si mandi
al re cristian, che per finir le liti,
e perché cessi il sangue che tu spandi
ognor de' suoi, egli de' tuo' infiniti;
che contra un tuo guerrier tu gli domandi
che metta in campo uno dei suoi più arditi;
e faccian questi duo tutta la guerra,
fin che l'un vinca, e l'altro resti in terra:
64
con patto, che qual d'essi perde, faccia
che 'l suo re all'altro re tributo dia.
Questa condizion non credo spiaccia
a Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido sì ne le robuste braccia
poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion tanta è da la nostra parte,
che vincerà, s'avesse incontra Marte. —
65
Con questi ed altri più efficaci detti
fece Sobrin sì che 'l partito ottenne;
e gl'interpreti fur quel giorno eletti,
e quel dì a Carlo l'imbasciata venne.
Carlo ch'avea tanti guerrier perfetti,
vinta per sé quella battaglia tenne,
di cui l'impresa al buon Rinaldo diede,
in ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.
66
Di questo accordo lieto parimente
l'uno esercito e l'altro si godea;
che 'l travaglio del corpo e de la mente
tutti avea stanchi e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
de la sua vita disegnato avea;
ognun maledicea l'ire e i furori
ch'a risse e a gare avean lor desti i cori.
67
Rinaldo che esaltar molto si vede,
che Carlo in lui di quel che tanto pesa,
via più ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,
lieto si mette all'onorata impresa.
Ruggier non stima; e veramente crede
che contra sé non potrà far difesa:
che suo pari esser possa non gli è aviso,
se ben in campo ha Mandricardo ucciso.
68
Ruggier da l'altra parte, ancor che molto
onor gli sia che 'l suo re l'abbia eletto,
e pel miglior di tutti i buoni tolto,
a cui commetta un sì importante effetto;
pur mostra affanno e gran mestizia in volto,
non per paura che gli turbi il petto;
che non ch'un sol Rinaldo, ma non teme
se fosse con Rinaldo Orlando insieme:
69
ma perché vede esser di lui sorella
la sua cara e fidissima consorte
ch'ognor scrivendo stimula e martella,
come colei ch'è ingiuriata forte.
Or s'alle vecchie offese aggiunge quella
d'entrare in campo a porle il frate a morte,
se la farà, d'amante, così odiosa,
ch'a placarla mai più fia dura cosa.
70
Se tacito Ruggier s'affligge ed ange
de la battaglia che mal grado prende,
la sua cara moglier lacrima e piange,
come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l'auree chiome frange,
e le guance innocenti irriga e offende;
e chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.
71
D'ogni fin che sortisca la contesa,
a lei non può venir altro che doglia.
Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresa,
pensar non vuol; che par che 'l cor le toglia.
Quando anco, per punir più d'una offesa,
la ruina di Francia Cristo voglia,
oltre che sarà morto il suo fratello,
seguirà un danno a lei più acerbo e fello:
72
che non potrà, se non con biasmo e scorno,
e nimicizia di tutta sua gente,
fare al marito suo mai più ritorno,
sì che lo sappia ognun publicamente,
come s'avea, pensando notte e giorno,
più volte disegnato ne la mente:
e tra lor era la promessa tale,
che 'l ritrarsi e il pentir più poco vale.
73
Ma quella usata ne le cose avverse
di non mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa maga, non sofferse
udirne il pianto e i dolorosi gridi;
e venne a consolarla, e le proferse,
quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
e disturbar quella pugna futura
di ch'ella piange e si pon tanta cura.
74
Rinaldo intanto e l'inclito Ruggiero
apparechiavan l'arme alla tenzone,
di cui dovea l'eletta al cavalliero
che del romano Imperio era campione:
e come quel, che poi che 'l buon destriero
perdé Baiardo, andò sempre pedone,
si elesse a piè, coperto a piastra e a maglia,
con l'azza e col pugnal far la battaglia.
75
O fosse caso, o fosse pur ricordo
di Malagigi suo provido e saggio,
che sapea quanto Balisarda ingordo
il taglio avea di fare all'arme oltraggio;
combatter senza spada fur d'accordo
l'uno e l'altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s'accordar presso alle mura
de l'antiquo Arli, in una gran pianura.
76
A pena avea la vigilante Aurora
da l'ostel di Titon fuor messo il capo,
per dare al giorno terminato, e all'ora
ch'era prefissa alla battaglia, capo;
quando di qua e di là vennero fuora
i deputati; e questi in ciascun capo
degli steccati i padiglion tiraro,
appresso ai quali ambi un altar fermaro.
77
Non molto dopo, istrutto a schiera a schiera,
si vide uscir l'esercito pagano.
In mezzo armato e suntuoso v'era
di barbarica pompa il re africano;
e s'un baio corsier di chioma nera,
di fronte bianca, e di duo piè balzano,
a par a par con lui venìa Ruggiero,
a cui servir non è Marsilio altiero.
78
L'elmo, che dianzi con travaglio tanto
trasse di testa al re di Tartaria,
l'elmo, che celebrato in maggior canto
portò il troiano Ettòr mill'anni pria,
gli porta il re Marsilio a canto a canto:
altri principi ed altra baronia
s'hanno partite l'altr'arme fra loro,
ricche di gioie e ben fregiate d'oro.
79
Da l'altra parte fuor dei gran ripari
re Carlo uscì con la sua gente d'arme,
con gli ordini medesmi e modi pari
che terria se venisse al fatto d'arme.