23
Quel che la tigre de l'armento imbelle
ne' campi ircani o là vicino al Gange,
o 'l lupo de le capre e de l'agnelle
nel monte che Tifeo sotto si frange;
quivi il crudel pagan facea di quelle
non dirò squadre, non dirò falange,
ma vulgo e populazzo voglio dire,
degno, prima che nasca, di morire.
Quel che la tigre de l'armento imbelle
ne' campi ircani o là vicino al Gange,
o 'l lupo de le capre e de l'agnelle
nel monte che Tifeo sotto si frange;
quivi il crudel pagan facea di quelle
non dirò squadre, non dirò falange,
ma vulgo e populazzo voglio dire,
degno, prima che nasca, di morire.
Ariosto - Orlando Furioso
17
Quasi radendo l'aurea Chersonesso,
la bella armata il gran pelago frange:
e costeggiando i ricchi liti, spesso
vede come nel mar biancheggi il Gange;
e Traprobane vede e Cori appresso;
e vede il mar che fra i duo liti s'ange.
Dopo gran via furo a Cochino, e quindi
usciro fuor dei termini degl'Indi.
18
Scorrendo il duca il mar con sì fedele
e sì sicura scorta, intender vuole,
e ne domanda Andronica, se de le
parti c'han nome dal cader del sole,
mai legno alcun che vada a remi e a vele,
nel mare orientale apparir suole;
e s'andar può senza toccar mai terra,
chi d'India scioglia, in Francia o in Inghilterra.
19
— Tu déi sapere (Andronica risponde)
che d'ogn'intorno il mar la terra abbraccia;
e van l'una ne l'altra tutte l'onde,
sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia;
ma perché qui davante si difonde,
e sotto il mezzodì molto si caccia
la terra d'Etiopia, alcuno ha detto
ch'a Nettuno ir più inanzi ivi è interdetto.
20
Per questo del nostro indico levante
nave non è che per Europa scioglia;
né si muove d'Europa navigante
ch'in queste nostre parti arrivar voglia.
Il ritrovarsi questa terra avante,
e questi e quelli al ritornare invoglia;
che credono, veggendola sì lunga,
che con l'altro emisperio si congiunga.
21
Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire
da l'estreme contrade di ponente
nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
la strada ignota infin al dì presente:
altri volteggiar l'Africa, e seguire
tanto la costa de la negra gente,
che passino quel segno onde ritorno
fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;
22
e ritrovar del lungo tratto il fine,
che questo fa parer dui mar diversi;
e scorrer tutti i liti e le vicine
isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:
altri lasciar le destre e le mancine
rive che due per opra Erculea fersi;
e del sole imitando il camin tondo,
ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
23
Veggio la santa croce, e veggio i segni
imperial nel verde lito eretti:
veggio altri a guardia dei battuti legni,
altri all'acquisto del paese eletti:
veggio da dieci cacciar mille, e i regni
di là da l'India ad Aragon suggetti;
e veggio i capitan di Carlo quinto,
dovunque vanno, aver per tutto vinto.
24
Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa
strada sia stata, e ancor gran tempo stia;
né che prima si sappia, che la sesta
e la settima età passata sia:
e serba a farla al tempo manifesta,
che vorrà porre il mondo a monarchia,
sotto il più saggio imperatore e giusto,
che sia stato o sarà mai dopo Augusto.
25
Del sangue d'Austria e d'Aragon io veggio
nascer sul Reno alla sinistra riva
un principe, al valor del qual pareggio
nessun valor, di cui si parli o scriva.
Astrea veggio per lui riposta in seggio,
anzi di morta ritornata viva;
e le virtù che cacciò il mondo, quando
lei cacciò ancora, uscir per lui di bando.
26
Per questi merti la Bontà suprema
non solamente di quel grande impero
ha disegnato ch'abbia diadema
ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo;
ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema,
che mai né al sol né all'anno apre il sentiero:
e vuol che sotto a questo imperatore
solo un ovile sia, solo un pastore.
27
E perch'abbian più facile successo
gli ordini in cielo eternamente scritti,
gli pon la somma Providenza appresso
in mare e in terra capitani invitti.
Veggio Hernando Cortese, il qualo ha messo
nuove città sotto i cesarei editti,
e regni in Oriente sì remoti,
ch'a noi, che siamo in India, non son noti.
28
Veggio Prosper Colonna, e di Pescara
veggio un marchese, e veggio dopo loro
un giovene del Vasto, che fan cara
parer la bella Italia ai Gigli d'oro:
veggio ch'entrare inanzi si prepara
quel terzo agli altri a guadagnar l'alloro:
come buon corridor ch'ultimo lassa
le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.
29
Veggio tanto il valor, veggio la fede
tanta d'Alfonso (che 'l suo nome è questo),
ch'in così acerba età, che non eccede
dopo il vigesimo anno ancora il sesto,
l'imperator l'esercito gli crede,
il qual salvando, salvar non che 'l resto,
ma farsi tutto il mondo ubidiente
con questo capitan sarà possente.
30
Come con questi, ovunque andar per terra
si possa, accrescerà l'imperio antico;
così per tutto il mar, ch'in mezzo serra
di là l'Europa e di qua l'Afro aprico,
sarà vittorioso in ogni guerra,
poi ch'Andrea Doria s'avrà fatto amico.
Questo è quel Doria che fa dai pirati
sicuro il vostro mar per tutti i lati.
31
Non fu Pompeio a par di costui degno,
se ben vinse e cacciò tutti i corsari;
però che quelli al più possente regno
che fosse mai, non poteano esser pari:
ma questo Doria, sol col proprio ingegno
e proprie forze purgherà quei mari;
sì che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda
il nome suo, tremar veggio ogni proda.
32
Sotto la fede entrar, sotto la scorta
di questo capitan di ch'io ti parlo,
veggio in Italia, ove da lui la porta
gli sarà aperta, alla corona Carlo.
Veggio che 'l premio che di ciò riporta,
non tien per sé, ma fa alla patria darlo:
con prieghi ottien ch'in libertà la metta,
dove altri a sé l'avria forse suggetta.
33
Questa pietà, ch'egli alla patria mostra,
è degna di più onor d'ogni battaglia
ch'in Francia o in Spagna o ne la terra vostra
vincesse Iulio, o in Africa o in Tessaglia.
Né il grande Ottavio, né chi seco giostra
di par, Antonio, in più onoranza saglia
pei gesti suoi; ch'ogni lor laude amorza
l'avere usato alla lor patria forza.
34
Questi ed ogn'altro che la patria tenta
di libera far serva, si arrosisca;
né dove il nome d'Andrea Doria senta,
di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.
Veggio Carlo che 'l premio gli augumenta;
ch'oltre quel ch'in commun vuol che fruisca,
gli dà la ricca terra ch'ai Normandi
sarà principio a farli in Puglia grandi.
35
A questo capitan non pur cortese
il magnanimo Carlo ha da mostrarsi,
ma a quanti avrà ne le cesaree imprese
del sangue lor non ritrovati scarsi.
D'aver città, d'aver tutto un paese
donato a un suo fedel, più ralegrarsi
lo veggio, e a tutti quei che ne son degni,
che d'acquistar nuov'altri imperi e regni. —
36
Così de le vittorie, le qual, poi
ch'un gran numero d'anni sarà corso,
daranno a Carlo i capitani suoi,
facea col duca Andronica discorso:
e la compagna intanto ai venti eoi
viene allentando e raccogliendo il morso;
e fa ch'or questo or quel propizio l'esce,
e come vuol li minuisce e cresce.
37
Veduto aveano intanto il mar de' Persi
come in sì largo spazio si dilaghi;
onde vicini in pochi giorni fersi
al golfo che nomar gli antiqui Maghi.
Quivi pigliaro il porto, e fur conversi
con la poppa alla ripa i legni vaghi;
quindi sicur d'Alcina e di sua guerra,
Astolfo il suo camin prese per terra.
38
Passò per più d'un campo e più d'un bosco,
per più d'un monte e per più d'una valle;
ove ebbe spesso, all'aer chiaro e al fosco,
i ladroni or inanzi or alle spalle.
Vide leoni, e draghi pien di tosco,
ed altre fere attraversarsi il calle;
ma non sì tosto avea la bocca al corno,
che spaventati gli fuggian d'intorno.
39
Vien per l'Arabia ch'è detta Felice,
ricca di mirra e d'odorato incenso,
che per suo albergo l'unica fenice
eletto s'ha di tutto il mondo immenso;
fin che l'onda trovò vendicatrice
già d'Israel, che per divin consenso
Faraone sommerse e tutti i suoi:
e poi venne alla terra degli Eroi.
40
Lungo il fiume Traiano egli cavalca
su quel destrier ch'al mondo è senza pare,
che tanto leggiermente e corre e valca,
che ne l'arena l'orma non n'appare:
l'erba non pur, non pur la nieve calca;
coi piedi asciutti andar potria sul mare;
e sì si stende al corso, e sì s'affretta,
che passa e vento e folgore e saetta.
41
Questo è il destrier che fu de l'Argalia,
che di fiamma e di vento era concetto;
e senza fieno e biada, si nutria
de l'aria pura, e Rabican fu detto.
Venne, seguendo il Duca la sua via,
dove dà il Nilo a quel fiume ricetto;
e prima che giugnesse in su la foce,
vide un legno venire a sé veloce.
42
Naviga in su la poppa uno eremita
con bianca barba, a mezzo il petto lunga,
che sopra il legno il paladino invita,
e: — Figliuol mio (gli grida da la lunga),
se non t'è in odio la tua propria vita,
se non brami che morte oggi ti giunga,
venir ti piaccia su quest'altra arena;
ch'a morir quella via dritto ti mena.
43
Tu non andrai più che sei miglia inante,
che troverai la saguinosa stanza
dove s'alberga un orribil gigante
che d'otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavallier né viandante
di partirsi da lui, vivo, speranza:
ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia,
molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.
44
Piacer, fra tanta crudeltà, si prende
d'una rete ch'egli ha, molto ben fatta:
poco lontana al tetto suo la tende,
e ne la trita polve in modo appiatta,
che chi prima nol sa, non la comprende,
tanto è sottil, tanto egli ben l'adatta:
e con tai gridi i peregrin minaccia,
che spaventati dentro ve li caccia.
45
E con gran risa, aviluppati in quella
se li strascina sotto il suo coperto;
né cavallier riguarda né donzella,
o sia di grande o sia di picciol merto:
e mangiata la carne, e la cervella
succhiate e 'l sangue, dà l'ossa al deserto;
e de l'umane pelli intorno intorno
fa il suo palazzo orribilmente adorno.
46
Prendi quest'altra via, prendila, figlio,
che fin al mar ti fia tutta sicura. —
— Io ti ringrazio, padre, del consiglio
(rispose il cavallier senza paura),
ma non istimo per l'onor periglio,
di ch'assai più che de la vita ho cura.
Per far ch'io passi, invan tu parli meco;
anzi vo al dritto a ritrovar lo speco.
47
Fuggendo, posso con disnor salvarmi;
ma tal salute ho più che morte a schivo.
S'io vi vo, al peggio che potrà incontrarmi,
fra molti resterò di vita privo;
ma quando Dio così mi drizzi l'armi,
che colui morto, ed io rimanga vivo,
sicura a mille renderò la via:
sì che l'util maggior che 'l danno fia.
48
Metto all'incontro la morte d'un solo
alla salute di gente infinita. —
— Vattene in pace (rispose), figliuolo;
Dio mandi in difension de la tua vita
l'arcangelo Michel dal sommo polo: —
e benedillo il semplice eremita.
Astolfo lungo il Nil tenne la strada,
sperando più nel suon che ne la spada.
49
Giace tra l'alto fiume e la palude
picciol sentier nell'arenosa riva:
la solitaria casa lo richiude,
d'umanitade e di commercio priva.
Son fisse intorno teste e membra nude
de l'infelice gente che v'arriva.
Non v'è finestra, non v'è merlo alcuno,
onde penderne almen non si veggia uno.
50
Qual ne le alpine ville o ne' castelli
suol cacciator che gran perigli ha scorsi,
su le porte attaccar l'irsute pelli,
l'orride zampe e i grossi capi d'orsi;
tal dimostrava il fier gigante quelli
che di maggior virtù gli erano occorsi.
D'altri infiniti sparse appaion l'ossa;
ed è di sangue uman piena ogni fossa.
51
Stassi Caligorante in su la porta;
che così ha nome il dispietato mostro
ch'orna la sua magion di gente morta,
come alcun suol di panni d'oro o d'ostro.
Costui per gaudio a pena si comporta,
come il duca lontan se gli è dimostro;
ch'eran duo mesi, e il terzo ne venìa,
che non fu cavallier per quella via.
52
Vêr la palude, ch'era scura e folta
di verdi canne, in gran fretta ne viene;
che disegnato avea correre in volta,
e uscir al paladin dietro alle schene;
che ne la rete, che tenea sepolta
sotto la polve, di cacciarlo ha spene,
come avea fatto gli altri peregrini
che quivi tratto avean lor rei destini.
53
Come venire il paladin lo vede,
ferma il destrier, non senza gran sospetto
che vada in quelli lacci a dar del piede,
di che il buon vecchiarel gli avea predetto.
Quivi il soccorso del suo corno chiede,
e quel sonando fa l'usato effetto:
nel cor fere il gigante che l'ascolta,
di tal timor, ch'a dietro i passi volta.
54
Astolfo suona, e tuttavolta bada;
che gli par sempre che la rete scocchi.
Fugge il fellon, né vede ove si vada;
che, come il core, avea perduti gli occhi.
Tanta è la tema, che non sa far strada,
che ne li propri aguati non trabocchi:
va ne la rete; e quella si disserra,
tutto l'annoda, e lo distende in terra.
55
Astolfo, ch'andar giù vede il gran peso,
già sicuro per sé, v'accorre in fretta;
e con la spada in man, d'arcion disceso,
va per far di mill'anime vendetta.
Poi gli par che s'uccide un che sia preso,
viltà, più che virtù, ne sarà detta;
che legate le braccia, i piedi e il collo
gli vede sì, che non può dare un crollo.
56
Avea la rete già fatta Vulcano
di sottil fil d'acciar, ma con tal arte,
che saria stata ogni fatica invano
per ismagliarne la più debol parte;
ed era quella che già piedi e mano
avea legate a Venere ed a Marte.
La fe' il geloso, e non ad altro effetto,
che per pigliarli insieme ambi nel letto.
57
Mercurio al fabbro poi la rete invola;
che Cloride pigliar con essa vuole,
Cloride bella che per l'aria vola
dietro all'Aurora, all'apparir del sole,
e dal raccolto lembo de la stola
gigli spargendo va, rose e viole.
Mercurio tanto questa ninfa attese,
che con la rete in aria un dì la prese.
58
Dove entra in mare il gran fiume etiopo,
par che la dea presa volando fosse.
Poi nei tempio d'Anubide a Canopo
la rete molti seculi serbosse.
Caligorante tremila anni dopo,
di là, dove era sacra, la rimosse:
se ne portò la rete il ladrone empio,
ed arse la cittade, e rubò il tempio.
59
Quivi adattolla in modo in su l'arena,
che tutti quei ch'avean da lui la caccia
vi davan dentro; ed era tocca a pena,
che lor legava e collo e piedi e braccia.
Di questa levò Astolfo una catena,
e le man dietro a quel fellon n'allaccia;
le braccia e 'l petto in guisa gli ne fascia,
che non può sciorsi: indi levar lo lascia,
60
dagli altri nodi avendol sciolto prima,
ch'era tornato uman più che donzella.
Di trarlo seco e di mostrarlo stima
per ville, per cittadi e per castella.
Vuol la rete anco aver, di che né lima
né martel fece mai cosa più bella:
ne fa somier colui ch'alla catena
con pompa trionfal dietro si mena.
61
L'elmo e lo scudo anche a portar gli diede,
come a valletto, e seguitò il camino,
di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,
ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.
Astolfo se ne va tanto, che vede
ch'ai sepolcri di Memfi è già vicino,
Memfi per le piramidi famoso:
vede all'incontro il Cairo populoso.
62
Tutto il popul correndo si traea
per vedere il gigante smisurato.
— Come è possibil (l'un l'altro dicea)
che quel piccolo il grande abbia legato? —
Astolfo a pena inanzi andar potea,
tanto la calca il preme da ogni lato:
e come cavallier d'alto valore
ognun l'ammira, e gli fa grande onore.
63
Non era grande il Cairo così allora,
come se ne ragiona a nostra etade:
che 'l populo capir, che vi dimora,
non puon diciottomila gran contrade;
e che le case hanno tre palchi, e ancora
ne dormono infiniti in su le strade;
e che 'l soldano v'abita un castello
mirabil di grandezza, e ricco e bello;
64
e che quindicimila suoi vasalli,
che son cristiani rinegati tutti,
con mogli, con famiglie e con cavalli
ha sotto un tetto sol quivi ridutti.
Astolfo veder vuole ove s'avalli,
e quanto il Nilo entri nei salsi flutti
a Damiata; ch'avea quivi inteso,
qualunque passa restar morto o preso.
65
Però ch'in ripa al Nilo in su la foce
si ripara un ladron dentro una torre,
ch'a paesani e a peregrini nuoce,
e fin al Cairo, ognun rubando scorre.
Non gli può alcun resistere; ed ha voce
che l'uom gli cerca invan la vita torre:
centomila ferite egli ha già avuto,
né ucciderlo però mai s'è potuto.
66
Per veder se può far rompere il filo
alla Parca di lui, sì che non viva,
Astolfo viene a ritrovare Orrilo
(così avea nome), e a Damiata arriva;
ed indi passa ove entra in mare il Nilo,
e vede la gran torre in su la riva,
dove s'alberga l'anima incantata
che d'un folletto nacque e d'una fata.
67
Quivi ritruova che crudel battaglia
era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.
Orrilo è solo; e sì que' dui travaglia,
ch'a gran fatica gli puon far difesa:
e quando in arme l'uno e l'altro vaglia,
a tutto il mondo la fama palesa.
Questi erano i dui figli d'Oliviero,
Grifone il bianco ed Aquilante il nero.
68
Gli è ver che 'l negromante venuto era
alla battaglia con vantaggio grande;
che seco tratto in campo avea una fera,
la qual si truova solo in quelle bande:
vive sul lito e dentro alla rivera;
e i corpi umani son le sue vivande,
de le persone misere ed incaute
de viandanti e d'infelici naute.
69
La bestia ne l'arena appresso al porto
per man dei duo fratei morta giacea;
e per questo ad Orril non si fa torto,
s'a un tempo l'uno e l'altro gli nocea.
Più volte l'han smembrato e non mai morto,
né, per smembrarlo, uccider si potea;
che se tagliato o mano o gamba gli era,
la rapiccava, che parea di cera.
70
Or fin a' denti il capo gli divide
Grifone, or Aquilante fin al petto.
Egli dei colpi lor sempre si ride:
s'adiran essi, che non hanno effetto.
Chi mai d'alto cader l'argento vide,
che gli alchimisti hanno mercurio detto,
e sparger e raccor tutti i suo' membri,
sentendo di costui, se ne rimembri.
71
Se gli spiccano il capo, Orrilo scende,
né cessa brancolar fin che lo truovi;
ed or pel crine ed or pel naso il prende,
lo salda al collo, e non so con che chiovi.
Piglial talor Grifone, e 'l braccio stende,
nel fiume il getta, e non par ch'anco giovi;
che nuota Orrilo al fondo come un pesce,
e col suo capo salvo alla ripa esce.
72
Due belle donne onestamente ornate,
l'una vestita a bianco e l'altra a nero,
che de la pugna causa erano state,
stavano a riguardar l'assalto fiero.
Queste eran quelle due benigne fate
ch'avean notriti i figli d'Oliviero,
poi che li trasson teneri citelli
dai curvi artigli di duo grandi augelli,
73
che rapiti gli avevano a Gismonda,
e portati lontan dal suo paese.
Ma non bisogna in ciò ch'io mi diffonda,
ch'a tutto il mondo è l'istoria palese;
ben che l'autor nel padre si confonda,
ch'un per un altro (io non so come) prese.
Or la battaglia i duo gioveni fanno,
che le due donne ambi pregati n'hanno.
74
Era in quel clima già sparito il giorno,
all'isole ancor alto di Fortuna;
l'ombre avean tolto ogni vedere a torno
sotto l'incerta e mal compresa luna;
quando alla rocca Orril fece ritorno,
poi ch'alla bianca e alla sorella bruna
piacque di differir l'aspra battaglia
fin che 'l sol nuovo all'orizzonte saglia.
75
Astolfo, che Grifone ed Aquilante,
ed all'insegne e più al ferir gagliardo,
riconosciuto avea gran pezzo inante,
lor non fu altiero a salutar né tardo.
Essi vedendo che quel che 'l gigante
traea legato, era il baron dal pardo
(che così in corte era quel duca detto),
raccolser lui con non minore affetto.
76
Le donne a riposare i cavallieri
menaro a un lor palagio indi vicino.
Donzelle incontra vennero e scudieri
con torchi accesi, a mezzo del camino.
Diero a chi n'ebbe cura i lor destrieri,
trassonsi l'arme; e dentro un bel giardino
trovar ch'apparechiata era la cena
ad una fonte limpida ed amena.
77
Fan legare il gigante alla verdura
Con un'altra catena molto grossa
ad una quercia di molt'anni dura,
che non si romperà per una scossa;
e da dieci sergenti averne cura,
che la notte discior non se ne possa,
ed assalirli, e forse far lor danno,
mentre sicuri e senza guardia stanno.
78
All'abondante e sontuosa mensa,
dove il manco piacer fur le vivande,
del ragionar gran parte si dispensa
sopra d'Orrilo e del miracol grande,
che quasi par un sogno a chi vi pensa,
ch'or capo or braccio a terra se gli mande,
ed egli lo raccolga e lo raggiugna,
e più feroce ognor torni alla pugna.
79
Astolfo nel suo libro avea già letto
(quel ch'agl'incanti riparare insegna)
ch'ad Orril non trarrà l'alma del petto
fin ch'un crine fatal nel capo tegna;
ma, se lo svelle o tronca, fia costretto
che suo mal grado fuor l'alma ne vegna.
Questo ne dice il libro; ma non come
conosca il crine in così folte chiome.
80
Non men de la vittoria si godea,
che se n'avesse Astolfo già la palma;
come chi speme in pochi colpi avea
svellere il crine al negromante e l'alma.
Però di quella impresa promettea
tor su gli omeri suoi tutta la salma:
Orril farà morir, quando non spiaccia
ai duo fratei, ch'egli la pugna faccia.
81
Ma quei gli danno volentier l'impresa,
certi che debbia affaticarsi invano.
Era già l'altra aurora in cielo ascesa,
quando calò dai muri Orrilo al piano.
Tra il duca e lui fu la battaglia accesa:
la mazza l'un, l'altro ha la spada in mano.
Di mille attende Astolfo un colpo trarne,
che lo spirto gli sciolga da la carne.
82
Or cader gli fa il pugno con la mazza,
or l'uno or l'altro braccio con la mano;
quando taglia a traverso la corazza,
e quando il va troncando a brano a brano:
ma ricogliendo sempre de la piazza
va le sue membra Orrilo, e si fa sano.
S'in cento pezzi ben l'avesse fatto,
redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.
83
Al fin di mille colpi un gli ne colse
sopra le spalle ai termini del mento:
la testa e l'elmo dal capo gli tolse,
né fu d'Orrilo a dismontar più lento.
La sanguinosa chioma in man s'avolse,
e risalse a cavallo in un momento;
e la portò correndo incontra 'l Nilo,
che riaver non la potesse Orrilo.
84
Quel sciocco, che del fatto non s'accorse,
per la polve cercando iva la testa:
ma come intese il corridor via torse,
portare il capo suo per la foresta;
immantinente al suo destrier ricorse,
sopra vi sale, e di seguir non resta.
Volea gridare: — Aspetta, volta, volta! —
ma gli avea il duca già la bocca tolta.
85
Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna
si riconforta, e segue a tutta briglia.
Dietro il lascia gran spazio di campagna
quel Rabican che corre a maraviglia.
Astolfo intanto per la cuticagna
va da la nuca fin sopra le ciglia
cercando in fretta, se 'l crine fatale
conoscer può, ch'Orril tiene immortale.
86
Fra tanti e innumerabili capelli,
un più de l'altro non si stende o torce:
qual dunque Astolfo sceglierà di quelli,
che per dar morte al rio ladron raccorce?
— Meglio è (disse) che tutti io tagli o svelli: —
né si trovando aver rasoi né force,
ricorse immantinente alla sua spada,
che taglia sì, che si può dir che rada.
87
E tenendo quel capo per lo naso,
dietro e dinanzi lo dischioma tutto.
Trovò fra gli altri quel fatale a caso:
si fece il viso allor pallido e brutto,
travolse gli occhi, e dimostrò all'occaso,
per manifesti segni, esser condutto;
e 'l busto che seguia troncato al collo,
di sella cadde, e diè l'ultimo crollo.
88
Astolfo, ove le donne e i cavallieri
lasciato avea, tornò col capo in mano,
che tutti avea di morte i segni veri,
e mostrò il tronco ove giacea lontano.
Non so ben se lo vider volentieri,
ancor che gli mostrasser viso umano;
che la intercetta lor vittoria forse
d'invidia ai duo germani il petto morse.
89
Né che tal fin quella battuglia avesse,
credo più fosse alle due donne grato.
Queste, perché più in lungo si traesse
de' duo fratelli il doloroso fato
ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse,
con loro Orrilo avean quivi azzuffato,
con speme di tenerli tanto a bada,
che la trista influenza se ne vada.
90
Tosto che 'l castellan di Damiata
certificossi ch'era morto Orrilo,
la columba lasciò, ch'avea legata
sotto l'ala la lettera col filo.
Quella andò al Cairo; ed indi fu lasciata
un'altra altrove, come quivi è stilo:
sì che in pochissime ore andò l'aviso
per tutto Egitto, ch'era Orrilo ucciso.
91
Il duca, come al fin trasse l'impresa,
confortò molto i nobili garzoni,
ben che da sé v'avean la voglia intesa,
né bisognavan stimuli né sproni,
che per difender de la santa Chiesa
e del romano Imperio le ragioni,
lasciasser le battaglie d'Oriente,
e cercassino onor ne la lor gente.
92
Così Grifone ed Aquilante tolse
ciascuno da la sua donna licenza;
le quali, ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse,
non vi seppon però far resistenza.
Con essi Astolfo a man destra si volse;
che si deliberar far riverenza
ai santi luoghi ove Dio in carne visse,
prima che verso Francia si venisse.
93
Potuto avrian pigliar la via mancina,
ch'era più dilettevole e più piana,
e mai non si scostar da la marina;
ma per la destra andaro orrida e strana,
perché l'alta città di Palestina
per questa sei giornate è men lontana.
Acqua si truova ed erba in questa via:
di tutti gli altri ben v'è carestia.
94
Sì che prima ch'entrassero in viaggio,
ciò che lor bisognò, fecion raccorre,
e carcar sul gigante il carriaggio,
ch'avria portato in collo anco una torre.
Al finir del camino aspro e selvaggio,
da l'alto monte alla lor vista occorre
la santa terra, ove il superno Amore
lavò col proprio sangue il nostro errore.
95
Trovano in su l'entrar de la cittade
un giovene gentil, lor conoscente,
Sansonetto da Meca, oltre l'etade,
ch'era nel primo fior, molto prudente;
d'alta cavalleria, d'alta bontade
famoso, e riverito fra la gente.
Orlando lo converse a nostra fede,
e di sua man battesmo anco gli diede.
96
Quivi lo trovan che disegna a fronte
del calife d'Egitto una fortezza;
e circondar vuole il Calvario monte
di muro di duo miglia di lunghezza.
Da lui raccolti fur con quella fronte
che può d'interno amor dar più chiarezza,
e dentro accompagnati, e con grande agio
fatti alloggiar nel suo real palagio.
97
Avea in governo egli la terra, e in vece
di Carlo vi reggea l'imperio giusto.
Il duca Astolfo a costui dono fece
di quel sì grande e smisurato busto,
ch'a portar pesi gli varrà per diece
bestie da soma, tanto era robusto.
Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso
la rete ch'in sua forza l'avea messo.
98
Sansonetto all'incontro al duca diede
per la spada una cinta ricca e bella;
e diede spron per l'uno e l'altro piede,
che d'oro avean la fibbia e la girella;
ch'esser del cavallier stati si crede,
che liberò dal drago la donzella:
al Zaffo avuti con molt'altro arnese
Sansonetto gli avea, quando lo prese.
99
Purgati de lor colpe a un monasterio
che dava di sé odor di buoni esempi,
de la passion di Cristo ogni misterio
contemplando n'andar per tutti i tempi
ch'or con eterno obbrobrio e vituperio
agli cristiani usurpano i Mori empi.
L'Europa è in arme, e di far guerra agogna
in ogni parte, fuor ch'ove bisogna.
100
Mentre avean quivi l'animo divoto,
a perdonanze e a cerimonie intenti,
un peregrin di Grecia, a Grifon noto,
novelle gli arrecò gravi e pungenti,
dal suo primo disegno e lungo voto
troppo diverse e troppo differenti;
e quelle il petto gl'infiammaron tanto,
che gli scacciar l'orazion da canto.
101
Amava il cavallier, per sua sciagura,
una donna ch'avea nome Orrigille:
di più bel volto e di miglior statura
non se ne sceglierebbe una fra mille;
ma disleale e di sì rea natura,
che potresti cercar cittadi e ville,
la terra ferma e l'isole del mare,
né credo ch'una le trovassi pare.
102
Ne la città di Costantin lasciata
grave l'avea di febbre acuta e fiera.
Or quando rivederla alla tornata
più che mai bella, e di goderla spera,
ode il meschin, ch'in Antiochia andata
dietro un suo nuovo amante ella se n'era,
non le parendo ormai di più patire
ch'abbia in sì fresca età sola a dormire.
103
Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova,
sospirava Grifon notte e dì sempre.
Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova,
par ch'a costui più l'animo distempre:
pensilo ognun, ne li cui danni pruova
Amor, se li suoi strali han buone tempre.
Ed era grave sopra ogni martire,
che 'l mal ch'avea si vergognava a dire.
104
Questo, perché mille fiate inante
già ripreso l'avea di quello amore,
di lui più saggio, il fratello Aquilante,
e cercato colei trargli del core,
colei ch'al suo giudicio era di quante
femine rie si trovin la peggiore.
Grifon l'escusa, se 'l fratel la danna;
e le più volte il parer proprio inganna.
105
Però fece pensier, senza parlarne
con Aquilante, girsene soletto
sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne
colei che tratto il cor gli avea del petto;
trovar colui che gli l'ha tolta, e farne
vendetta tal, che ne sia sempre detto.
Dirò, come ad effetto il pensier messe,
nell'altro canto, e ciò che ne successe.
CANTO SEDICESIMO
1
Gravi pene in amor si provan molte,
di che patito io n'ho la maggior parte,
e quelle in danno mio sì ben raccolte,
ch'io ne posso parlar come per arte.
Però s'io dico e s'ho detto altre volte,
e quando in voce e quando in vive carte,
ch'un mal sia lieve, un altro acerbo e fiero,
date credenza al mio giudicio vero.
2
Io dico e dissi, e dirò fin ch'io viva,
che chi si truova in degno laccio preso,
se ben di sé vede sua donna schiva,
se in tutto aversa al suo desire acceso;
se bene Amor d'ogni mercede il priva,
poscia che 'l tempo e la fatica ha speso;
pur ch'altamente abbia locato il core,
pianger non de', se ben languisce e muore.
3
Pianger de' quel che già sia fatto servo
di duo vaghi occhi e d'una bella treccia,
sotto cui si nasconda un cor protervo,
che poco puro abbia con molta feccia.
Vorria il miser fuggire; e come cervo
ferito, ovunque va, porta la freccia:
ha di se stesso e del suo amor vergogna,
né l'osa dire, e invan sanarsi agogna.
4
In questo caso è il giovene Grifone,
che non si può emendare, e il suo error vede,
vede quanto vilmente il suo cor pone
in Orrigille iniqua e senza fede;
pur dal mal uso è vinta la ragione,
e pur l'arbitrio all'appetito cede:
perfida sia quantunque, ingrata e ria,
sforzato è di cercar dove ella sia.
5
Dico, la bella istoria ripigliando,
ch'uscì de la città secretamente,
né parlarne s'ardì col fratel, quando
ripreso invan da lui ne fu sovente.
Verso Rama, a sinistra declinando,
prese la via più piana e più corrente.
Fu in sei giorni a Damasco di Soria;
indi verso Antiochia se ne gìa.
6
Scontrò presso a Damasco il cavalliero
a cui donato aveva Orrigille il core:
e convenian di rei costumi in vero,
come ben si convien l'erba col fiore;
che l'uno e l'altro era di cor leggiero,
perfido l'uno e l'altro e traditore;
e copria l'uno e l'altro il suo difetto,
con danno altrui, sotto cortese aspetto.
7
Come io vi dico, il cavallier venìa
s'un gran destrier con molta pompa armato:
la perfida Orrigille in compagnia,
in un vestire azzur d'oro fregiato,
e duo valletti, donde si servia
a portar elmo e scudo, aveva allato;
come quel che volea con bella mostra
comparire in Damasco ad una giostra.
8
Una splendida festa che bandire
fece il re di Damasco in quelli giorni,
era cagion di far quivi venire
i cavallier quanto potean più adorni.
Tosto che la puttana comparire
vede Grifon, ne teme oltraggi e scorni:
sa che l'amante suo non è sì forte,
che contra lui l'abbia a campar da morte.
9
Ma sì come audacissima e scaltrita,
ancor che tutta di paura trema,
s'acconcia il viso, e sì la voce aita,
che non appar in lei segno di tema.
Col drudo avendo già l'astuzia ordita,
corre, e fingendo una letizia estrema,
verso Grifon l'aperte braccia tende,
lo stringe al collo, e gran pezzo ne pende.
10
Dopo, accordando affettuosi gesti
alla suavità de le parole,
dicea piangendo: — Signor mio, son questi
debiti premi a chi t'adora e cole?
che sola senza te già un anno resti,
e va per l'altro, e ancor non te ne duole?
E s'io stava aspettare il suo ritorno,
non so se mai veduto avrei quel giorno!
11
Quando aspettava che di Nicosia,
dove tu te n'andasti alla gran corte,
tornassi a me che con la febbre ria
lasciata avevi in dubbio de la morte,
intesi che passato eri in Soria:
il che a patir mi fu sì duro e forte,
che non sapendo come io ti seguissi,
quasi il cor di man propria mi traffissi.
12
Ma Fortuna di me con doppio dono
mostra d'aver, quel che non hai tu, cura:
mandommi il fratel mio, col quale io sono
sin qui venuta del mio onor sicura;
ed or mi manda questo incontro buono
di te, ch'io stimo sopra ogni aventura:
e bene a tempo il fa; che più tardando,
morta sarei, te, signor mio, bramando. —
13
E seguitò la donna fraudolente,
di cui l'opere fur più che di volpe,
la sua querela così astutamente,
che riversò in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui, non che parente,
ma che d'un padre seco abbia ossa e polpe:
e con tal modo sa tesser gl'inganni,
che men verace par Luca e Giovanni.
14
Non pur di sua perfidia non riprende
Grifon la donna iniqua più che bella;
non pur vendetta di colui non prende,
che fatto s'era adultero di quella:
ma gli par far assai, se si difende
che tutto il biasmo in lui non riversi ella;
e come fosse suo cognato vero,
d'accarezzar non cessa il cavalliero.
15
E con lui se ne vien verso le porte
di Damasco, e da lui sente tra via,
che là dentro dovea splendida corte
tenere il ricco re de la Soria;
e ch'ognun quivi, di qualunque sorte,
o sia cristiano, o d'altra legge sia,
dentro e di fuori ha la città sicura
per tutto il tempo che la festa dura.
16
Non però son di seguitar sì intento
l'istoria de la perfida Orrigille,
ch'a' giorni suoi non pur un tradimento
fatto agli amanti avea, ma mille e mille;
ch'io non ritorni a riveder dugento
mila persone, o più de le scintille
del fuoco stuzzicato, ove alle mura
di Parigi facean danno e paura.
17
Io vi lasciai, come assaltato avea
Agramante una porta de la terra,
che trovar senza guardia si credea:
né più riparo altrove il passo serra;
perché in persona Carlo la tenea,
ed avea seco i mastri de la guerra,
duo Guidi, duo Angelini; uno Angeliero,
Avino, Avolio, Otone e Berlingiero.
18
Inanzi a Carlo, inanzi al re Agramante
l'un stuolo e l'altro si vuol far vedere,
ove gran loda, ove mercé abondante
si può acquistar, facendo il suo dovere.
I Mori non però fer pruove tante,
che par ristoro al danno abbiano avere;
perché ve ne restar morti parecchi,
ch'agli altri fur di folle audacia specchi.
19
Grandine sembran le spesse saette
dal muro sopra gli nimici sparte.
Il grido insin al ciel paura mette,
che fa la nostra e la contraria parte.
Ma Carlo un poco ed Agramante aspette;
ch'io vo' cantar de l'africano Marte,
Rodomonte terribile ed orrendo,
che va per mezzo la città correndo.
20
Non so, Signor, se più vi ricordiate,
di questo Saracin tanto sicuro,
che morte le sue genti avea lasciate
tra il secondo riparo e 'l primo muro,
da la rapace fiamma devorate,
che non fu mai spettacolo più oscuro.
Dissi ch'entrò d'un salto ne la terra
sopra la fossa che la cinge e serra.
21
Quando fu noto il Saracino atroce
all'arme istrane, alla scagliosa pelle,
là dove i vecchi e 'l popul men feroce
tendean l'orecchie a tutte le novelle,
levossi un pianto, un grido, un'alta voce,
con un batter di man ch'andò alle stelle;
e chi poté fuggir non vi rimase,
per serrarsi ne' templi e ne le case.
22
Ma questo a pochi il brando rio conciede,
ch'intorno ruota il Saracin robusto.
Qui fa restar con mezza gamba un piede,
là fa un capo sbalzar lungi dal busto;
l'un tagliare a traverso se gli vede,
dal capo all'anche un altro fender giusto:
e di tanti ch'uccide, fere e caccia,
non se gli vede alcun segnare in faccia.
23
Quel che la tigre de l'armento imbelle
ne' campi ircani o là vicino al Gange,
o 'l lupo de le capre e de l'agnelle
nel monte che Tifeo sotto si frange;
quivi il crudel pagan facea di quelle
non dirò squadre, non dirò falange,
ma vulgo e populazzo voglio dire,
degno, prima che nasca, di morire.
24
Non ne trova un che veder possa in fronte,
fra tanti che ne taglia, fora e svena.
Per quella strada che vien dritto al ponte
di san Michel, sì popolata e piena,
corre il fiero e terribil Rodomonte,
e la sanguigna spada a cerco mena:
non riguarda né al servo né al signore,
né al giusto ha più pietà ch'al peccatore.
25
Religion non giova al sacerdote,
né la innocenza al pargoletto giova:
per sereni occhi o per vermiglie gote
mercé né donna né donzella truova:
la vecchiezza si caccia e si percuote;
né quivi il Saracin fa maggior pruova
di gran valor, che di gran crudeltade;
che non discerne sesso, ordine, etade.
26
Non pur nel sangue uman l'ira si stende
de l'empio re, capo e signor degli empi,
ma contra i tetti ancor, sì che n'incende
le belle case e i profanati tempi.
Le case eran, per quel che se n'intende,
quasi tutte di legno in quelli tempi:
e ben creder si può; ch'in Parigi ora
de le diece le sei son così ancora.
27
Non par, quantunque il fuoco ogni cosa arda,
che sì grande odio ancor saziar si possa.
Dove s'aggrappi con le mani, guarda,
sì che ruini un tetto ad ogni scossa.
Signor, avete a creder che bombarda
mai non vedeste a Padova sì grossa,
che tanto muro possa far cadere,
quanto fa in una scossa il re d'Algiere.
28
Mentre quivi col ferro il maledetto
e con le fiamme facea tanta guerra,
se di fuor Agramante avesse astretto,
perduta era quel dì tutta la terra:
ma non v'ebbe agio; che gli fu interdetto
dal paladin che venìa d'Inghilterra
col populo alle spalle inglese e scotto,
dal Silenzio e da l'angelo condotto.
29
Dio volse che all'entrar che Rodomonte
fe' ne la terra, e tanto fuoco accese,
che presso ai muri il fior di Chiaramonte,
Rinaldo, giunse, e seco il campo inglese.
Tre leghe sopra avea gittato il ponte,
e torte vie da man sinistra prese;
che disegnando i barbari assalire,
il fiume non l'avesse ad impedire.
30
Mandato avea seimila fanti arcieri
sotto l'altiera insegna d'Odoardo,
e duomila cavalli, e più, leggieri
dietro alla guida d'Ariman gagliardo;
e mandati gli avea per li sentieri
che vanno e vengon dritto al mar picardo,
ch'a porta San Martino e San Dionigi
entrassero a soccorso di Parigi.
31
I cariaggi e gli altri impedimenti
con lor fece drizzar per questa strada.
Egli con tutto il resto de le genti
più sopra andò girando la contrada.
Seco avean navi e ponti ed argumenti
da passar Senna che non ben si guada.
Passato ognuno, e dietro i ponti rotti,
ne le lor schiere ordinò Inglesi e Scotti.
32
Ma prima quei baroni e capitani
Rinaldo intorno avendosi ridutti,
sopra la riva ch'alta era dai piani
sì, che poteano udirlo e veder tutti,
disse: — Signor, ben a levar le mani
avete a Dio, che qui v'abbia condutti,
acciò, dopo un brevissimo sudore,
sopra ogni nazion vi doni onore.
33
Per voi saran dui principi salvati,
se levate l'assedio a quelle porte:
il vostro re, che voi sete ubligati
da servitù difendere e da morte;
ed uno imperator de' più lodati
che mai tenuto al mondo abbiano corte;
e con loro altri re, duci e marchesi,
signori e cavallier di più paesi.
34
Sì che, salvando una città, non soli
Parigini ubligati vi saranno,
che molto più che per li propri duoli,
timidi, afflitti e sbigottiti stanno
per le lor mogli e per li lor figliuoli
ch'a un medesmo pericolo seco hanno,
e per le sante vergini richiuse,
ch'oggi non sien dei voti lor deluse:
35
dico, salvando voi questa cittade,
v'ubligate non solo i Parigini,
ma d'ogn'intorno tutte le contrade.
Non parlo sol dei populi vicini;
ma non è terra per Cristianitade,
che non abbia qua dentro cittadini:
sì che, vincendo, avete da tenere
che più che Francia v'abbia obligo avere.
36
Se donavan gli antiqui una corona
a chi salvasse a un cittadin la vita,
or che degna mercede a voi si dona,
salvando multitudine infinita?
Ma se da invidia o da viltà sì buona
e sì santa opra rimarrà impedita,
credetemi che prese quelle mura,
né Italia né Lamagna anco è sicura;
37
né qualunque altra parte ove s'adori
quel che volse per noi pender sul legno.
Né voi crediate aver lontani i Mori,
né che pel mar sia forte il vostro regno:
che s'altre volte quelli, uscendo fuori
di Zibeltaro e de l'Erculeo segno,
riportar prede da l'isole vostre,
che faranno or, s'avran le terre nostre?
38
Ma quando ancor nessuno onor, nessuno
util v'inanimasse a questa impresa,
commun debito è ben soccorrer l'uno
l'altro, che militiàn sotto una Chiesa.
Ch'io non vi dia rotti i nemici, alcuno
non sia chi tema, e con poca contesa;
che gente male esperta tutta parmi,
senza possanza, senza cor, senz'armi. —
39
Poté con queste e con miglior ragioni,
con parlare espedito e chiara voce
eccitar quei magnanimi baroni
Rinaldo, e quello esercito feroce:
e fu, com'è in proverbio, aggiunger sproni
al buon corsier che già ne va veloce.
Finito il ragionar, fece le schiere
muover pian pian sotto le lor bandiere.
40
Senza strepito alcun, senza rumore
fa il tripartito esercito venire:
lungo il fiume a Zerbin dona l'onore
di dover prima i barbari assalire;
e fa quelli d'Irlanda con maggiore
volger di via più tra campagna gire;
e i cavallieri e i fanti d'Inghilterra
col duca di Lincastro in mezzo serra.
41
Drizzati che gli ha tutti al lor camino,
cavalca il paladin lungo la riva,
e passa inanzi al buon duca Zerbino
e a tutto il campo che con lui veniva;
tanto ch'al re d'Orano e al re Sobrino
e agli altri lor compagni soprarriva,
che mezzo miglio appresso a quei di Spagna
guardavan da quel canto la campagna.
42
L'esercito cristian che con sì fida
e sì sicura scorta era venuto,
ch'ebbe il Silenzio e l'angelo per guida,
non poté ormai patir più di star muto.
Sentiti gli nimici, alzò le grida,
e de le trombe udir fe' il suono arguto:
e con l'alto rumor ch'arrivò al cielo,
mandò ne l'ossa a' Saracini il gelo.
43
Rinaldo inanzi agli altri il destrier punge;
e con la lancia per cacciarla in resta
lascia gli Scotti un tratto d'arco lunge,
ch'ogni indugio a ferir sì lo molesta.
Come groppo di vento talor giunge,
che si tra' dietro un'orrida tempesta,
tal fuor di squadra il cavallier gagliardo
venìa spronando il corridor Baiardo.
44
Al comparir del paladin di Francia,
dan segno i Mori alle future angosce:
tremare a tutti in man vedi la lancia,
i piedi in staffa, e ne l'arcion le cosce.
Re Puliano sol non muta guancia,
che questo esser Rinaldo non conosce;
né pensando trovar sì duro intoppo,
gli muove il destrier contra di galoppo:
45
e su la lancia nel partir si stringe,
e tutta in sé raccoglie la persona;
poi con ambo gli sproni il destrier spinge,
e le redine inanzi gli abandona.
Da l'altra parte il suo valor non finge,
e mostra in fatti quel ch'in nome suona,
quanto abbia nel giostrare e grazia ed arte,
il figliuolo d'Amone, anzi di Marte.
46
Furo al segnar degli aspri colpi, pari,
che si posero i ferri ambi alla testa:
ma furo in arme ed in virtù dispari,
che l'un via passa, e l'altro morto resta.
Bisognan di valor segni più chiari,
che por con leggiadria la lancia in resta:
ma fortuna anco più bisogna assai;
che senza, val virtù raro o non mai.
47
La buona lancia il paladin racquista,
e verso il re d'Oran ratto si spicca,
che la persona avea povera e trista
di cor, ma d'ossa e di gran polpe ricca.
Questo por tra bei colpi si può in lista,
ben ch'in fondo allo scudo gli l'appicca:
e chi non vuol lodarlo, abbialo escuso,
perché non si potea giunger più in suso.
48
Non lo ritien lo scudo, che non entre,
ben che fuor sia d'acciar, dentro di palma;
e che da quel gran corpo uscir pel ventre
non faccia l'inequale e piccola alma.
Il destrier che portar si credea, mentre
durasse il lungo dì, sì grave salma,
riferì in mente sua grazie a Rinaldo,
ch'a quello incontro gli schivò un gran caldo.
49
Rotta l'asta, Rinaldo il destrier volta
tanto legger, che fa sembrar ch'abbia ale;
e dove la più stretta e maggior folta
stiparsi vede, impetuoso assale.
Mena Fusberta sanguinosa in volta
che fa l'arme parer di vetro frale:
tempra di ferro il suo tagliar non schiva,
che non vada a trovar la carne viva.
50
Ritrovar poche tempre e pochi ferri
può la tagliente spada, ove s'incappi,
ma targhe, altre di cuoio, altre di cerri,
giupe trapunte e attorcigliati drappi.
Giusto è ben dunque che Rinaldo atterri
qualunque assale, e fori e squarci e affrappi;
che non più si difende da sua spada,
ch'erba da falce, o da tempesta biada.
51
La prima schiera era già messa in rotta,
quando Zerbin con l'antiguardia arriva.
Il cavallier inanzi alla gran frotta
con la lancia arrestata ne veniva.
La gente sotto il suo pennon condotta,
con non minor fierezza lo seguiva:
tanti lupi parean, tanti leoni
ch'andassero assalir capre o montoni.
52
Spinse a un tempo ciascuno il suo cavallo,
poi che fur presso; e sparì immantinente
quel breve spazio, quel poco intervallo
che si vedea fra l'una e l'altra gente.
Non fu sentito mai più strano ballo;
che ferian gli Scozzesi solamente:
solamente i pagani eran distrutti,
come sol per morir fosser condutti.
53
Parve più freddo ogni pagan che ghiaccio;
parve ogni Scotto più che fiamma caldo.
I Mori si credean ch'avere il braccio
dovesse ogni cristian, ch'ebbe Rinaldo.
Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio,
senza aspettar che lo 'nvitasse araldo:
de l'altra squadra questa era migliore
di capitano, d'arme e di valore.
54
D'Africa v'era la men trista gente;
ben che né questa ancor gran prezzo vaglia.
Dardinel la sua mosse incontinente,
e male armata, e peggio usa in battaglia;
ben ch'egli in capo avea l'elmo lucente,
e tutto era coperto a piastra e a maglia.
Io credo che la quarta miglior sia,
con la qual Isolier dietro venìa.
55
Trasone intanto, il buon duca di Marra,
che ritrovarsi all'alta impresa gode,
ai cavallieri suoi leva la sbarra,
e seco invita alle famose lode,
poi ch'Isolier con quelli di Navarra
entrar ne la battaglia vede ed ode.
Poi mosse Ariodante la sua schiera,
che nuovo duca d'Albania fatt'era.
56
L'alto rumor de le sonore trombe,
de' timpani e de' barbari stromenti,
giunti al continuo suon d'archi, di frombe,
di machine, di ruote e di tormenti;
e quel di che più par che 'l ciel ribombe,
gridi, tumulti, gemiti e lamenti;
rendeno un alto suon ch'a quel s'accorda,
con che i vicin, cadendo, il Nilo assorda.
57
Grande ombra d'ogn'intorno il cielo involve,
nata dal saettar de li duo campi;
l'alito, il fumo del sudor, la polve
par che ne l'aria oscura nebbia stampi.
Or qua l'un campo, or l'altro là si volve:
vedresti or come un segua, or come scampi;
ed ivi alcuno, o non troppo diviso,
rimaner morto ove ha il nimico ucciso.
58
Dove una squadra per stanchezza è mossa,
un'altra si fa tosto andare inanti.
Di qua di là la gente d'arme ingrossa:
là cavallieri, e qua si metton fanti.
La terra che sostien l'assalto, è rossa:
mutato ha il verde ne' sanguigni manti;
e dov'erano i fiori azzurri e gialli,
giaceno uccisi or gli uomini e i cavalli.
59
Zerbin facea le più mirabil pruove
che mai facesse di sua età garzone:
l'esercito pagan che 'ntorno piove,
taglia ed uccide e mena a destruzione.
Ariodante alle sue genti nuove
mostra di sua virtù gran paragone;
e dà di sé timore e meraviglia
a quelli di Navarra e di Castiglia.
60
Chelindo e Mosco, i duo figli bastardi
del morto Calabrun re d'Aragona,
ed un che reputato fra' gagliardi
era, Calamidor da Barcelona,
s'avean lasciato a dietro gli stendardi;
e credendo acquistar gloria e corona
per uccider Zerbin, gli furo adosso;
e ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.
61
Passato da tre lance il destrier morto
cade; ma il buon Zerbin subito è in piede;
ch'a quei ch'al suo cavallo han fatto torto,
per vendicarlo va dove gli vede:
e prima a Mosco, al giovene inaccorto,
che gli sta sopra, e di pigliar sel crede,
mena di punta, e lo passa nel fianco,
e fuor di sella il caccia freddo e bianco.
62
Poi che si vide tor, come di furto,
Chelindo il fratel suo, di furor pieno
venne a Zerbino, e pensò dargli d'urto;
ma gli prese egli il corridor pel freno:
trasselo in terra, onde non è mai surto,
e non mangiò mai più biada né fieno;
che Zerbin sì gran forza a un colpo mise,
che lui col suo signor d'un taglio uccise.
63
Come Calamidor quel colpo mira,
volta la briglia per levarsi in fretta;
ma Zerbin dietro un gran fendente tira,
dicendo: — Traditore, aspetta, aspetta! —
Non va la botta ove n'andò la mira,
non che però lontana vi si metta;
lui non poté arrivar, ma il destrier prese
sopra la groppa, e in terra lo distese.
64
Colui lascia il cavallo, e via carpone
va per campar, ma poco gli successe;
che venne caso che 'l duca Trasone
gli passò sopra, e col peso l'oppresse.
Ariodante e Lurcanio si pone
dove Zerbino è fra le genti spesse;
e seco hanno altri e cavallieri e conti,
che fanno ogn'opra che Zerbin rimonti.
65
Menava Ariodante il brando in giro,
e ben lo seppe Artalico e Margano;
ma molto più Etearco e Casimiro
la possanza sentir di quella mano:
i primi duo feriti se ne giro,
rimaser gli altri duo morti sul piano.
Lurcanio fa veder quanto sia forte;
che fere, urta, riversa e mette a morte.
66
Non crediate, Signor, che fra campagna
pugna minor che presso al fiume sia,
né ch'a dietro l'esercito rimagna,
che di Lincastro il buon duca seguia.
Le bandiere assalì questo di Spagna,
e molto ben di par la cosa gìa;
che fanti, cavallieri e capitani
di qua e di là sapean menar le mani.
67
Dinanzi vien Oldrado e Fieramonte,
un duca di Glocestra, un d'Eborace;
con lor Ricardo, di Varvecia conte,
e di Chiarenza il duca, Enrigo audace.
Han Matalista e Follicone a fronte,
e Baricondo ed ogni lor seguace.
Tiene il primo Almeria, tiene il secondo
Granata, tien Maiorca Baricondo.
68
La fiera pugna un pezzo andò di pare,
che vi si discernea poco vantaggio.
Vedeasi or l'uno or l'altro ire e tornare,
come le biade al ventolin di maggio,
o come sopra 'l lito un mobil mare
or viene or va, né mai tiene un viaggio.
Poi che fortuna ebbe scherzato un pezzo,
dannosa ai Mori ritornò da sezzo.
69
Tutto in un tempo il duca di Glocestra
a Matalista fa votar l'arcione;
ferito a un tempo ne la spalla destra
Fieramonte riversa Follicone:
e l'un pagano e l'altro si sequestra,
e tra gl'Inglesi se ne va prigione.
E Baricondo a un tempo riman senza
vita per man del duca di Chiarenza.
70
Indi i pagani tanto a spaventarsi,
indi i fedeli a pigliar tanto ardire,
che quei non facean altro che ritrarsi
e partirsi da l'ordine e fuggire,
e questi andar inanzi ed avanzarsi
sempre terreno, e spingere e seguire:
e se non vi giungea chi lor dié aiuto,
il campo da quel lato era perduto.
71
Ma Ferraù, che sin qui mai non s'era
dal re Marsilio suo troppo disgiunto,
quando vide fuggir quella bandiera,
e l'esercito suo mezzo consunto,
spronò il cavallo, e dove ardea più fiera
la battaglia, lo spinse; e arrivò a punto
che vide dal destrier cadere in terra
col capo fesso Olimpio da la Serra;
72
un giovinetto che col dolce canto,
concorde al suon de la cornuta cetra,
d'intenerire un cor si dava vanto,
ancor che fosse più duro che pietra.
Felice lui, se contentar di tanto
onor sapeasi, e scudo, arco e faretra
aver in odio, e scimitarra e lancia,
che lo fecer morir giovine in Francia!
73
Quando lo vide Ferraù cadere,
che solea amarlo e avere in molta estima,
si sente di lui sol via più dolere,
che di mill'altri che periron prima:
e sopra chi l'uccise in modo fere,
che gli divide l'elmo da la cima
per la fronte, per gli occhi e per la faccia,
per mezzo il petto, e morto a terra il caccia.
74
Né qui s'indugia; e il brando intorno ruota,
ch'ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia;
a chi segna la fronte, a chi la gota,
ad altri il capo, ad altri il braccio taglia;
or questo or quel di sangue e d'alma vota:
e ferma da quel canto la battaglia,
onde la spaventata ignobil frotta
senza ordine fuggia spezzata e rotta.
75
Entrò ne la battaglia il re Agramante,
d'uccider gente e di far pruove vago;
e seco ha Baliverzo, Farurante,
Prusion, Soridano e Bambirago.
Poi son le genti senza nome tante,
che del lor sangue oggi faranno un lago,
che meglio conterei ciascuna foglia,
quando l'autunno gli arbori ne spoglia.
76
Agramante dal muro una gran banda
di fanti avendo e di cavalli tolta,
col re di Feza subito li manda,
che dietro ai padiglion piglin la volta,
e vadano ad opporsi a quei d'Irlanda,
le cui squadre vedea con fretta molta,
dopo gran giri e larghi avolgimenti,
venir per occupar gli alloggiamenti.
77
Fu 'l re di Feza ad esequir ben presto;
ch'ogni tardar troppo nociuto avria.
Raguna intanto il re Agramante il resto;
parte le squadre, e alla battaglia invia.
Egli va al fiume; che gli par ch'in questo
luogo del suo venir bisogno sia:
e da quel canto un messo era venuto
del re Sobrino a domandare aiuto.
78
Menava in una squadra più di mezzo
il campo dietro; e sol del gran rumore
tremar gli Scotti, e tanto fu il ribrezzo,
ch'abbandonavan l'ordine e l'onore.
Zerbin, Lurcanio e Ariodante in mezzo
vi restar soli incontra a quel furore;
e Zerbin, ch'era a pié, vi peria forse,
ma 'l buon Rinaldo a tempo se n'accorse.
79
Altrove intanto il paladin s'avea
fatto inanzi fuggir cento bandiere.
Or che l'orecchie la novella rea
del gran periglio di Zerbin gli fere,
ch'a piedi fra la gente cirenea
lasciato solo aveano le sue schiere,
volta il cavallo, e dove il campo scotto
vede fuggir, prende la via di botto.
80
Dove gli Scotti ritornar fuggendo
vede, s'appara, e grida: — Or dove andate?
perché tanta viltade in voi comprendo,
che a sì vil gente il campo abbandonate?
Ecco le spoglie, de le quali intendo
ch'esser dovean le vostre chiese ornate.
Oh che laude, oh che gloria, che 'l figliuolo
del vostro re si lasci a piedi e solo! —
81
D'un suo scudier una grossa asta afferra,
e vede Prusion poco lontano,
re d'Alvaracchie, e adosso se gli serra,
e de l'arcion lo porta morto al piano.
Morto Agricalte e Bambirago atterra:
dopo fere aspramante Soridano;
e come gli altri l'avria messo a morte,
se nel ferir la lancia era più forte.
82
Stringe Fusberta, poi che l'asta è rotta,
e tocca Serpentin, quel da la Stella.
Fatate l'arme avea, ma quella botta
pur tramortito il manda fuor di sella.
E così al duca de la gente scotta
fa piazza intorno spaziosa e bella;
sì che senza contesa un destrier puote
salir di quei che vanno a selle vote.
83
E ben si ritrovò salito a tempo,
che forse nol facea, se più tardava:
perché Agramante e Dardinello a un tempo,
Sobrin col re Balastro v'arrivava.
Ma egli, che montato era per tempo,
di qua e di là col brando s'aggirava,
mandando or questo or quel giù ne l'inferno
a dar notizia del viver moderno.
84
Il buon Rinaldo, il quale a porre in terra
i più dannosi avea sempre riguardo,
la spada contra il re Agramante afferra,
che troppo gli parea fiero e gagliardo
(facea egli sol più che mille altri guerra);
e se gli spinse adosso con Baiardo:
lo fere a un tempo ed urta di traverso,
sì che lui col destrier manda riverso.
85
Mentre di fuor con sì crudel battaglia,
odio, rabbia, furor l'un l'altro offende,
Rodomonte in Parigi il popul taglia,
le belle case e i sacri templi accende.
Carlo, ch'in altra parte si travaglia,
questo non vede, e nulla ancor ne 'ntende:
Odoardo raccoglie ed Arimanno
ne la città, col lor popul britanno.
86
A lui venne un scudier pallido in volto,
che potea a pena trar del petto il fiato.
— Ahimè! signor, ahimè — replica molto,
prima ch'abbia a dir altro incominciato:
— Oggi il romano Imperio, oggi è sepolto;
oggi ha il suo popul Cristo abandonato:
il demonio dal cielo è piovuto oggi,
perché in questa città più non s'alloggi.
87
Satanasso (perch'altri esser non puote)
strugge e ruina la città infelice.
Volgiti e mira le fumose ruote
de la rovente fiamma predatrice;
ascolta il pianto che nel ciel percuote;
e faccian fede a quel che 'l servo dice.
Un solo è quel ch'a ferro e a fuoco strugge
la bella terra, e inanzi ognun gli fugge. —
88
Quale è colui che prima oda il tumulto,
e de le sacre squille il batter spesso,
che vegga il fuoco a nessun altro occulto,
ch'a sé, che più gli tocca, e gli è più presso;
tal è il re Carlo, udendo il nuovo insulto,
e conoscendol poi con l'occhio istesso:
onde lo sforzo di sua miglior gente
al grido drizza e al gran rumor che sente.
89
Dei paladini e dei guerrier più degni
Carlo si chiama dietro una gran parte,
e vêr la piazza fa drizzare i segni;
che 'l pagan s'era tratto in quella parte.
Ode il rumor, vede gli orribil segni
di crudeltà, l'umane membra sparte.
Ora non più: ritorni un'altra volta
chi voluntier la bella istoria ascolta.
CANTO DICIASSETTESIMO
1
Il giusto Dio, quando i peccati nostri
hanno di remission passato il segno,
acciò che la giustizia sua dimostri
uguale alla pietà, spesso dà regno
a tiranni atrocissimi ed a mostri,
e dà lor forza e di mal fare ingegno.
Per questo Mario e Silla pose al mondo,
e duo Neroni e Caio furibondo,
2
Domiziano e l'ultimo Antonino;
e tolse da la immonda e bassa plebe,
ed esaltò all'imperio Massimino;
e nascer prima fe' Creonte a Tebe;
e dié Mezenzio al populo Agilino,
che fe' di sangue uman grasse le glebe;
e diede Italia a tempi men remoti
in preda agli Unni, ai Longobardi, ai Goti.
3
Che d'Atila dirò? che de l'iniquo
Ezzellin da Roman? che d'altri cento?
che dopo un lungo andar sempre in obliquo,
ne manda Dio per pena e per tormento.
Di questo abbiàn non pur al tempo antiquo,
ma ancora al nostro, chiaro esperimento,
quando a noi, greggi inutili e malnati,
ha dato per guardian lupi arrabbiati:
4
a cui non par ch'abbi a bastar lor fame,
ch'abbi il lor ventre a capir tanta carne;
e chiaman lupi di più ingorde brame
da boschi oltramontani a divorarne.
Di Trasimeno l'insepulto ossame
e di Canne e di Trebia poco parne
verso quel che le ripe e i campi ingrassa,
dov'Ada e Mella e Ronco e Tarro passa.
5
Or Dio consente che noi siàn puniti
da populi di noi forse peggiori,
per li multiplicati ed infiniti
nostri nefandi, obbrobriosi errori.
Tempo verrà ch'a depredar lor liti
andremo noi, se mai saren migliori,
e che i peccati lor giungano al segno,
che l'eterna Bontà muovano a sdegno.
6
Doveano allora aver gli eccessi loro
di Dio turbata la serena fronte,
che scórse ogni lor luogo il Turco e 'l Moro
con stupri, uccision, rapine ed onte:
ma più di tutti gli altri danni, foro
gravati dal furor di Rodomonte.
Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,
e che 'n piazza venia per ritrovarlo.
7
Vede tra via la gente sua troncata,
arsi i palazzi, e ruinati i templi,
gran parte de la terra desolata;
mai non si vider sì crudeli esempli.
— Dove fuggite, turba spaventata?
Non è tra voi chi 'l danno suo contempli?
Che città, che refugio più vi resta,
quando si perda sì vilmente questa?
8
Dunque un uom solo in vostra terra preso,
cinto di mura onde non può fuggire,
si partirà che non l'avrete offeso,
quando tutti v'avrà fatto morire? —
Così Carlo dicea, che d'ira acceso
tanta vergogna non potea patire.
E giunse dove inanti alla gran corte
vide il pagan por la sua gente a morte.
9
Quivi gran parte era del populazzo,
sperandovi trovare aiuto, ascesa;
perché forte di mura era il palazzo,
con munizion da far lunga difesa.
Rodomonte, d'orgoglio e d'ira pazzo,
solo s'avea tutta la piazza presa:
e l'una man, che prezza il mondo poco,
ruota la spada, e l'altra getta il fuoco.
10
E de la regal casa, alta e sublime,
percuote e risuonar fa le gran porte.
Gettan le turbe da le eccelse cime
e merli e torri, e si metton per morte.
Guastare i tetti non è alcun che stime;
e legne e pietre vanno ad una sorte,
lastre e colonne, e le dorate travi
che furo in prezzo agli lor padri e agli avi.
11
Sta su la porta il re d'Algier, lucente
di chiaro acciar che 'l capo gli arma e 'l busto,
come uscito di tenebre serpente,
poi c'ha lasciato ogni squalor vetusto,
del nuovo scoglio altiero, e che si sente
ringiovenito e più che mai robusto:
tre lingue vibra, ed ha negli occhi foco;
dovunque passa, ogn'animal dà loco.
12
Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,
né ciò che sopra il Saracin percuote,
ponno allentar la sanguinosa destra
che la gran porta taglia, spezza e scuote:
e dentro fatto v'ha tanta finestra,
che ben vedere e veduto esser puote
dai visi impressi di color di morte,
che tutta piena quivi hanno la corte.
13
Suonar per gli alti e spaziosi tetti
s'odono gridi e feminil lamenti:
l'afflitte donne, percotendo i petti,
corron per casa pallide e dolenti;
e abbraccian gli usci e i geniali letti
che tosto hanno a lasciare a strane genti.
Tratta la cosa era in periglio tanto,
quando 'l re giunse, e suoi baroni accanto.
14
Carlo si volse a quelle man robuste
ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.
— Non sète quelli voi, che meco fuste
contra Agolante (disse) in Aspramonte?
Sono le forze vostre ora sì fruste,
che, s'uccideste lui, Troiano e Almonte
con centomila, or ne temete un solo
pur di quel sangue e pur di quello stuolo?
15
Perché debbo vedere in voi fortezza
ora minor ch'io la vedessi allora?
Mostrate a questo can vostra prodezza,
a questo can che gli uomini devora.
Un magnanimo cor morte non prezza,
presta o tarda che sia, pur che ben muora.
Ma dubitar non posso ove voi sète,
che fatto sempre vincitor m'avete. —
16
Al fin de le parole urta il destriero,
con l'asta bassa, al Saracino adosso.
Mossesi a un tratto il paladino Ugiero,
a un tempo Namo ed Ulivier si è mosso,
Avino, Avolio, Otone e Berlingiero,
ch'un senza l'altro mai veder non posso:
e ferir tutti sopra a Rodomonte
e nel petto e nei fianchi e ne la fronte.
17
Ma lasciamo, per Dio, Signore, ormai
di parlar d'ira e di cantar di morte;
e sia per questa volta detto assai
del Saracin non men crudel che forte:
che tempo è ritornar dov'io lasciai
Grifon, giunto a Damasco in su le porte
con Orrigille perfida, e con quello
ch'adulter era, e non di lei fratello.
18
De le più ricche terre di Levante,
de le più populose e meglio ornate
si dice esser Damasco, che distante
siede a Ierusalem sette giornate,
in un piano fruttifero e abondante,
non men giocondo il verno, che l'estate.
A questa terra il primo raggio tolle
de la nascente aurora un vicin colle.
19
Per la città duo fiumi cristallini
vanno inaffiando per diversi rivi
un numero infinito di giardini,
non mai di fior, non mai di fronde privi.
Dicesi ancor, che macinar molini
potrian far l'acque lanfe che son quivi;
e chi va per le vie vi sente, fuore
di tutte quelle case, uscire odore.
20
Tutta coperta è la strada maestra
di panni di diversi color lieti;
e d'odorifera erba, e di silvestra
fronda la terra e tutte le pareti.
Adorna era ogni porta, ogni finestra
di finissimi drappi e di tapeti,
ma più di belle e ben ornate donne
di ricche gemme e di superbe gonne.
21
Vedeasi celebrar dentr'alle porte,
in molti lochi, solazzevol balli;
il popul, per le vie, di miglior sorte
maneggiar ben guarniti e bei cavalli:
facea più bel veder la ricca corte
de' signor, de' baroni e de' vasalli,
con ciò che d'India e d'eritree maremme
di perle aver si può, d'oro e di gemme.
22
Venia Grifone e la sua compagnia
mirando e quinci e quindi il tutto ad agio,
quando fermolli un cavalliero in via,
e gli fece smontare a un suo palagio;
e per l'usanza e per sua cortesia
di nulla lasciò lor patir disagio.
Li fe' nel bagno entrar, poi con serena
fronte gli accolse a sontuosa cena.
23
E narrò lor come il re Norandino,
re di Damasco e di tutta Soria,
fatto avea il paesano e 'l peregrino
ch'ordine avesse di cavalleria,
alla giostra invitar, ch'al matutino
del dì sequente in piazza si faria;
e che s'avean valor pari al sembiante,
potrian mostrarlo senza andar più inante.
24
Ancor che quivi non venne Grifone
a questo effetto, pur lo 'nvito tenne;
che qual volta se n'abbia occasione,
mostrar virtude mai non disconvenne.
Interrogollo poi de la cagione
di quella festa, e s'ella era solenne
usata ogn'anno, o pure impresa nuova
del re ch'i suoi veder volesse in pruova.
25
Rispose il cavallier: — La bella festa
s'ha da far sempre ad ogni quarta luna:
de l'altre che verran, la prima è questa:
ancora non se n'è fatta più alcuna.
Sarà in memoria che salvò la testa
il re in tal giorno da una gran fortuna,
dopo che quattro mesi in doglie e 'n pianti
sempre era stato, e con la morte inanti.
26
Ma per dirvi la cosa pienamente,
il nostro re, che Norandin s'appella,
molti e molt'anni ha avuto il core ardente
de la leggiadra e sopra ogn'altra bella
figlia del re di Cipro: e finalmente
avutala per moglie, iva con quella,
con cavallieri e donne in compagnia;
e dritto avea il camin verso Soria.
27
Ma poi che fummo tratti a piene vele
lungi dal porto nel Carpazio iniquo,
la tempesta saltò tanto crudele,
che sbigottì sin al padrone antiquo.
Tre dì e tre notti andammo errando ne le
minacciose onde per camino obliquo.
Uscimo al fin nel lito stanchi e molli,
tra freschi rivi, ombrosi e verdi colli.
28
Piantare i padiglioni, e le cortine
fra gli arbori tirar facemo lieti.
S'apparechiano i fuochi e le cucine;
le mense d'altra parte in su tapeti.
Intanto il re cercando alle vicine
valli era andato e a' boschi più secreti,
se ritrovasse capre o daini o cervi;
e l'arco gli portar dietro duo servi.
29
Mentre aspettamo, in gran piacer sedendo,
che da cacciar ritorni il signor nostro,
vedemo l'Orco a noi venir correndo
lungo il lito del mar, terribil mostro.
Dio vi guardi, signor, che 'l viso orrendo
de l'Orco agli occhi mai vi sia dimostro:
meglio è per fama aver notizia d'esso,
ch'andargli, si che lo veggiate, appresso.
30
Non gli può comparir quanto sia lungo,
sì smisuratamente è tutto grosso.
In luogo d'occhi, di color di fungo
sotto la fronte ha duo coccole d'osso.
Verso noi vien (come vi dico) lungo
il lito, e par ch'un monticel sia mosso.
Mostra le zanne fuor, come fa il porco;
ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.
31
Correndo viene, e 'l muso a guisa porta
che 'l bracco suol, quando entra in su la traccia.
Tutti che lo veggiam, con faccia smorta
in fuga andamo ove il timor ne caccia.
Poco il veder lui cieco ne conforta,
quando, fiutando sol, par che più faccia,
ch'altri non fa, ch'abbia odorato e lume:
e bisogno al fuggire eran le piume.
32
Corron chi qua chi là; ma poco lece
da lui fuggir, veloce più che 'l Noto.
Di quaranta persone, a pena diece
sopra il navilio si salvaro a nuoto.
Sotto il braccio un fastel d'alcuni fece,
né il grembio si lasciò né il seno voto;
un suo capace zaino empissene anco,
che gli pendea, come a pastor, dal fianco.
33
Portòci alla sua tana il mostro cieco,
cavata in lito al mar dentr'uno scoglio.
Di marmo così bianco è quello speco,
come esser soglia ancor non scritto foglio.
Quivi abitava una matrona seco,
di dolor piena in vista e di cordoglio;
ed avea in compagnia donne e donzelle
d'ogni età, d'ogni sorte, e brutte e belle.
34
Era presso alla grotta in ch'egli stava,
quasi alla cima del giogo superno,
un'altra non minor di quella cava,
dove del gregge suo facea governo.
