64
Questa cittade, e intorno a molte miglia
ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea l'imperator dato alla figlia
del duca Amon, in ch'avea speme e fede;
però che 'l suo valor con maraviglia
riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Questa cittade, e intorno a molte miglia
ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea l'imperator dato alla figlia
del duca Amon, in ch'avea speme e fede;
però che 'l suo valor con maraviglia
riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Ariosto - Orlando Furioso
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.
Dunque esser può che non mi sia più grata?
dunque io posso lasciar mia vita propia?
Ah più tosto oggi manchino i dì miei,
ch'io viva più, s'amar non debbo lei! —
45
Se mi domanda alcun chi costui sia,
che versa sopra il rio lacrime tante,
io dirò ch'egli è il re di Circassia,
quel d'amor travagliato Sacripante;
io dirò ancor, che di sua pena ria
sia prima e sola causa essere amante,
è pur un degli amanti di costei:
e ben riconosciuto fu da lei.
46
Appresso ove il sol cade, per suo amore
venuto era dal capo d'Oriente;
che seppe in India con suo gran dolore,
come ella Orlando sequitò in Ponente:
poi seppe in Francia che l'imperatore
sequestrata l'avea da l'altra gente,
per darla all'un de' duo che contra il Moro
più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.
47
Stato era in campo, e inteso avea di quella
rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
cercò vestigio d'Angelica bella,
né potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
che d'amorosa doglia fa penarlo,
affligger, lamentare, e dir parole
che di pietà potrian fermare il sole.
48
Mentre costui così s'affligge e duole,
e fa degli occhi suoi tepida fonte,
e dice queste e molte altre parole,
che non mi par bisogno esser racconte;
l'aventurosa sua fortuna vuole
ch'alle orecchie d'Angelica sian conte:
e così quel ne viene a un'ora, a un punto,
ch'in mille anni o mai più non è raggiunto.
49
Con molta attenzion la bella donna
al pianto, alle parole, al modo attende
di colui ch'in amarla non assonna;
né questo è il primo dì ch'ella l'intende:
ma dura e fredda più d'una colonna,
ad averne pietà non però scende,
come colei c'ha tutto il mondo a sdegno,
e non le par ch'alcun sia di lei degno.
50
Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar di tor costui per guida;
che chi ne l'acqua sta fin alla gola
ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasione or se l'invola,
non troverà mai più scorta sì fida;
ch'a lunga prova conosciuto inante
s'avea quel re fedel sopra ogni amante.
51
Ma non però disegna de l'affanno
che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
e ristorar d'ogni passato danno
con quel piacer ch'ogni amator più brama:
ma alcuna finzione, alcuno inganno
di tenerlo in speranza ordisce e trama;
tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
poi torni all'uso suo dura e proterva.
52
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa di sé bella ed improvvisa mostra,
come di selva o fuor d'ombroso speco
Diana in scena o Citerea si mostra;
e dice all'apparir: — Pace sia teco;
teco difenda Dio la fama nostra,
e non comporti, contra ogni ragione,
ch'abbi di me sì falsa opinione. —
53
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
ch'avea per morto sospirato e pianto,
poi che senza esso udì tornar le squadre;
con quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor l'alta presenza e le leggiadre
maniere, e il vero angelico sembiante,
improviso apparir si vide inante.
54
Pieno di dolce e d'amoroso affetto,
alla sua donna, alla sua diva corse,
che con le braccia al collo il tenne stretto,
quel ch'al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
seco avendo costui, l'animo torse:
subito in lei s'avviva la speranza
di tosto riveder sua ricca stanza.
55
Ella gli rende conto pienamente
dal giorno che mandato fu da lei
a domandar soccorso in Oriente
al re de' Sericani e Nabatei;
e come Orlando la guardò sovente
da morte, da disnor, da casi rei:
e che 'l fior virginal così avea salvo,
come se lo portò del materno alvo.
56
Forse era ver, ma non però credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
ch'era perduto in via più grave errore.
Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile,
e l'invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu; che 'l miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.
57
— Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
il danno se ne avrà; che da qui inante
nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé tacito parla Sacripante):
ma io per imitarlo già non sono,
che lasci tanto ben che m'è concesso,
e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.
58
Corrò la fresca e matutina rosa,
che, tardando, stagion perder potria.
So ben ch'a donna non si può far cosa
che più soave e più piacevol sia,
ancor che se ne mostri disdegnosa,
e talor mesta e flebil se ne stia:
non starò per repulsa o finto sdegno,
ch'io non adombri e incarni il mio disegno. —
59
Così dice egli; e mentre s'apparecchia
al dolce assalto, un gran rumor che suona
dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia,
sì che mal grado l'impresa abbandona:
e si pon l'elmo (ch'avea usanza vecchia
di portar sempre armata la persona),
viene al destriero e gli ripon la briglia,
rimonta in sella e la sua lancia piglia.
60
Ecco pel bosco un cavallier venire,
il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:
candido come nieve è il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire
che quel con l'importuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.
61
Come è più appresso, lo sfida a battaglia;
che crede ben fargli votar l'arcione.
Quel che di lui non stimo già che vaglia
un grano meno, e ne fa paragone,
l'orgogliose minacce a mezzo taglia,
sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
e corronsi a ferir testa per testa.
62
Non si vanno i leoni o i tori in salto
a dar di petto, ad accozzar sì crudi,
sì come i duo guerrieri al fiero assalto,
che parimente si passar li scudi.
Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto
l'erbose valli insino ai poggi ignudi;
e ben giovò che fur buoni e perfetti
gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.
63
Già non fero i cavalli un correr torto,
anzi cozzaro a guisa di montoni:
quel del guerrier pagan morì di corto,
ch'era vivendo in numero de' buoni:
quell'altro cadde ancor, ma fu risorto
tosto ch'al fianco si sentì gli sproni.
Quel del re saracin restò disteso
adosso al suo signor con tutto il peso.
64
L'incognito campion che restò ritto,
e vide l'altro col cavallo in terra,
stimando avere assai di quel conflitto,
non si curò di rinovar la guerra;
ma dove per la selva è il camin dritto,
correndo a tutta briglia si disserra;
e prima che di briga esca il pagano,
un miglio o poco meno è già lontano.
65
Qual istordito e stupido aratore,
poi ch'è passato il fulmine, si leva
di là dove l'altissimo fragore
appresso ai morti buoi steso l'aveva;
che mira senza fronde e senza onore
il pin che di lontan veder soleva:
tal si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica presente al duro caso.
66
Sospira e geme, non perché l'annoi
che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,
ma per vergogna sola, onde a' dì suoi
né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
e più, ch'oltre il cader, sua donna poi
fu che gli tolse il gran peso d'adosso.
Muto restava, mi cred'io, se quella
non gli rendea la voce e la favella.
67
— Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!
che del cader non è la colpa vostra,
ma del cavallo, a cui riposo ed esca
meglio si convenia che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca
che d'esser stato il perditor dimostra:
così, per quel ch'io me ne sappia, stimo,
quando a lasciare il campo è stato primo. —
68
Mentre costei conforta il Saracino,
ecco col corno e con la tasca al fianco,
galoppando venir sopra un ronzino
un messagger che parea afflitto e stanco;
che come a Sacripante fu vicino,
gli domandò se con un scudo bianco
e con un bianco pennoncello in testa
vide un guerrier passar per la foresta.
69
Rispose Sacripante: — Come vedi,
m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;
e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,
fa che per nome io lo conosca ancora. —
Ed egli a lui: — Di quel che tu mi chiedi
io ti satisfarò senza dimora:
tu dei saper che ti levò di sella
l'alto valor d'una gentil donzella.
70
Ella è gagliarda ed è più bella molto;
né il suo famoso nome anco t'ascondo:
fu Bradamante quella che t'ha tolto
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. —
Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto
il Saracin lasciò poco giocondo,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto avvampato di vergogna in faccia.
71
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
ebbe pensato invano, e finalmente
si trovò da una femina abbattuto,
che pensandovi più, più dolor sente;
montò l'altro destrier, tacito e muto:
e senza far parola, chetamente
tolse Angelica in groppa, e differilla
a più lieto uso, a stanza più tranquilla.
72
Non furo iti due miglia, che sonare
odon la selva che li cinge intorno,
con tal rumore e strepito, che pare
che triemi la foresta d'ogn'intorno;
e poco dopo un gran destrier n'appare,
d'oro guernito e riccamente adorno,
che salta macchie e rivi, ed a fracasso
arbori mena e ciò che vieta il passo.
73
— Se l'intricati rami e l'aer fosco,
(disse la donna) agli occhi non contende,
Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bosco
con tal rumor la chiusa via si fende.
Questo è certo Baiardo, io 'l riconosco:
deh, come ben nostro bisogno intende!
ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,
e ne viene egli a satisfarci ratto. —
74
Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,
e si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
che fu presto al girar come un baleno;
ma non arriva dove i calci apposta:
misero il cavallier se giungea a pieno!
che nei calci tal possa avea il cavallo,
ch'avria spezzato un monte di metallo.
75
Indi va mansueto alla donzella,
con umile sembiante e gesto umano,
come intorno al padrone il can saltella,
che sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d'ella,
ch'in Albracca il servia già di sua mano
nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.
76
Con la sinistra man prende la briglia,
con l'altra tocca e palpa il collo e 'l petto:
quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,
a lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
lascia la groppa, e si ripone in sella.
77
Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir sonando d'arme un gran pedone.
Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,
che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l'ama egli e desira;
l'odia e fugge ella più che gru falcone.
Già fu ch'esso odiò lei più che la morte;
ella amò lui: or han cangiato sorte.
78
E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane:
d'amoroso disio l'una empie il core;
chi bee de l'altra, senza amor rimane,
e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge;
Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.
79
Quel liquor di secreto venen misto,
che muta in odio l'amorosa cura,
fa che la donna che Rinaldo ha visto,
nei sereni occhi subito s'oscura;
e con voce tremante e viso tristo
supplica Sacripante e lo scongiura
che quel guerrier più appresso non attenda,
ma ch'insieme con lei la fuga prenda.
80
— Son dunque (disse il Saracino), sono
dunque in sì poco credito con vui,
che mi stimiate inutile e non buono
da potervi difender da costui?
Le battaglie d'Albracca già vi sono
di mente uscite, e la notte ch'io fui
per la salute vostra, solo e nudo,
contra Agricane e tutto il campo, scudo? —
81
Non risponde ella, e non sa che si faccia,
perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso,
che da lontan al Saracin minaccia,
come vide il cavallo e conobbe esso,
e riconobbe l'angelica faccia
che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che seguì tra questi duo superbi
vo' che per l'altro canto si riserbi.
CANTO SECONDO
1
Ingiustissimo Amor, perché sì raro
corrispondenti fai nostri desiri?
onde, perfido, avvien che t'è sì caro
il discorde voler ch'in duo cor miri?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel più cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m'ha in odio vuoi ch'adori ed ami.
2
Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando le parea bello e l'amava ella,
egli odiò lei quanto si può più odiare.
Ora s'affligge indarno e si flagella;
così renduto ben gli è pare a pare:
ella l'ha in odio, e l'odio è di tal sorte,
che più tosto che lui vorria la morte.
3
Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
gridò: — Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e levar questa donna anco ti voglio;
che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Sì perfetto destrier, donna sì degna
a un ladron non mi par che si convegna. —
4
— Tu te ne menti che ladrone io sia
(rispose il Saracin non meno altiero):
chi dicesse a te ladro, lo diria
(quanto io n'odo per fama) più con vero.
La pruova or si vedrà, chi di noi sia
più degno de la donna e del destriero;
ben che, quanto a lei, teco io mi convegna
che non è cosa al mondo altra sì degna. —
5
Come soglion talor duo can mordenti,
o per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi digrignando i denti,
con occhi bieci e più che bracia rossi;
indi a' morsi venir, di rabbia ardenti,
con aspri ringhi e ribuffati dossi:
così alle spade e dai gridi e da l'onte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte.
6
A piedi è l'un, l'altro a cavallo: or quale
credete ch'abbia il Saracin vantaggio?
Né ve n'ha però alcun; che così vale
forse ancor men ch'uno inesperto paggio;
che 'l destrier per istinto naturale
non volea fare al suo signore oltraggio:
né con man né con spron potea il Circasso
farlo a voluntà sua muover mai passo.
7
Quando crede cacciarlo, egli s'arresta;
E se tener lo vuole, o corre o trotta:
poi sotto il petto si caccia la testa,
giuoca di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin ch'a domar questa
bestia superba era mal tempo allotta,
ferma le man sul primo arcione e s'alza,
e dal sinistro fianco in piede sbalza.
8
Sciolto che fu il pagan con leggier salto
da l'ostinata furia di Baiardo,
si vide cominciar ben degno assalto
d'un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona l'un brando e l'altro, or basso or alto:
il martel di Vulcano era più tardo
ne la spelunca affumicata, dove
battea all'incude i folgori di Giove.
9
Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,
ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora crescer inanzi, ora ritrarsi,
ribatter colpi e spesso lor dar loco,
girarsi intorno; e donde l'uno cede,
l'altro aver posto immantinente il piede.
10
Ecco Rinaldo con la spada adosso
a Sacripante tutto s'abbandona;
e quel porge lo scudo, ch'era d'osso,
con la piastra d'acciar temprata e buona.
Taglial Fusberta, ancor che molto grosso:
ne geme la foresta e ne risuona.
L'osso e l'acciar ne va che par di ghiaccio,
e lascia al Saracin stordito il braccio.
11
Quando vide la timida donzella
dal fiero colpo uscir tanta ruina,
per gran timor cangiò la faccia bella,
qual il reo ch'al supplicio s'avvicina;
né le par che vi sia da tardar, s'ella
non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava,
quanto esso lei miseramente amava.
12
Volta il cavallo, e ne la selva folta
lo caccia per un aspro e stretto calle:
e spesso il viso smorto a dietro volta;
che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatto via molta,
che scontrò un eremita in una valle,
ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
devoto e venerabile d'aspetto.
13
Dagli anni e dal digiuno attenuato,
sopra un lento asinel se ne veniva;
e parea, più ch'alcun fosse mai stato,
di coscienza scrupolosa e schiva.
Come egli vide il viso delicato
de la donzella che sopra gli arriva,
debil quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta per carità se gli commosse.
14
La donna al fraticel chiede la via
che la conduca ad un porto di mare,
perché levar di Francia si vorria,
per non udir Rinaldo nominare.
Il frate, che sapea negromanzia,
non cessa la donzella confortare
che presto la trarrà d'ogni periglio;
ed ad una sua tasca diè di piglio.
15
Trassene un libro, e mostrò grande effetto;
che legger non finì la prima faccia,
ch'uscir fa un spirto in forma di valletto,
e gli commanda quanto vuol ch'el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
dove i dui cavallieri a faccia a faccia
eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
fra' quali entrò con grande audacia in mezzo.
16
— Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,
quando anco uccida l'altro, che gli vaglia:
che merto avrete alle fatiche vostre,
finita che tra voi sia la battaglia,
se 'l conte Orlando, senza liti o giostre,
e senza pur aver rotta una maglia,
verso Parigi mena la donzella
che v'ha condotti a questa pugna fella?
17
Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
che ne va con Angelica a Parigi,
di voi ridendo insieme, e motteggiando
che senza frutto alcun siate in litigi.
Il meglio forse vi sarebbe, or quando
non son più lungi, a seguir lor vestigi;
che s'in Parigi Orlando la può avere,
non ve la lascia mai più rivedere. —
18
Veduto avreste i cavallier turbarsi
a quel annunzio, e mesti e sbigottiti,
senza occhi e senza mente nominarsi,
che gli avesse il rival così scherniti;
ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
con sospir che parean del fuoco usciti,
e giurar per isdegno e per furore,
se giungea Orlando, di cavargli il core.
19
E dove aspetta il suo Baiardo, passa,
e sopra vi si lancia, e via galoppa,
né al cavallier, ch'a piè nel bosco lassa,
pur dice a Dio, non che lo 'nviti in groppa.
L'animoso cavallo urta e fracassa,
punto dal suo signor, ciò ch'egli 'ntoppa:
non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
far che dal corso il corridor decline.
20
Signor, non voglio che vi paia strano
se Rinaldo or sì tosto il destrier piglia,
che già più giorni ha seguitato invano,
né gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier, ch'avea intelletto umano,
non per vizio seguirsi tante miglia,
ma per guidar dove la donna giva,
il suo signor, da chi bramar l'udiva.
21
Quando ella si fuggì dal padiglione,
la vide ed appostolla il buon destriero,
che si trovava aver voto l'arcione,
però che n'era sceso il cavalliero
per combatter di par con un barone,
che men di lui non era in arme fiero;
poi ne seguitò l'orme di lontano,
bramoso porla al suo signore in mano.
22
Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,
per la gran selva inanzi se gli messe;
né lo volea lasciar montare in sella,
perché ad altro camin non lo volgesse.
Per lui trovò Rinaldo la donzella
una e due volte, e mai non gli successe;
che fu da Ferraù prima impedito,
poi dal Circasso, come avete udito.
23
Ora al demonio che mostrò a Rinaldo
de la donzella li falsi vestigi,
credette Baiardo anco, e stette saldo
e mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,
a tutta briglia, e sempre invêr Parigi;
e vola tanto col disio, che lento,
non ch'un destrier, ma gli parrebbe il vento.
24
La notte a pena di seguir rimane,
per affrontarsi col signor d'Anglante:
tanto ha creduto alle parole vane
del messagger del cauto negromante.
Non cessa cavalcar sera e dimane,
che si vede apparir la terra avante,
dove re Carlo, rotto e mal condutto,
con le reliquie sue s'era ridutto:
25
e perché dal re d'Africa battaglia
ed assedio s'aspetta, usa gran cura
a raccor buona gente e vettovaglia,
far cavamenti e riparar le mura.
Ciò ch'a difesa spera che gli vaglia,
senza gran diferir, tutto procura:
pensa mandare in Inghilterra, e trarne
gente onde possa un novo campo farne:
26
che vuole uscir di nuovo alla campagna,
e ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben de l'andata il paladin si lagna:
non ch'abbia così in odio quella terra;
ma perché Carlo il manda allora allora,
né pur lo lascia un giorno far dimora.
27
Rinaldo mai di ciò non fece meno
volentier cosa; poi che fu distolto
di gir cercando il bel viso sereno
che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:
ma, per ubidir Carlo, nondimeno
a quella via si fu subito volto,
ed a Calesse in poche ore trovossi;
e giunto, il dì medesimo imbarcossi.
28
Contra la voluntà d'ogni nocchiero,
pel gran desir che di tornare avea,
entrò nel mar ch'era turbato e fiero,
e gran procella minacciar parea.
Il Vento si sdegnò, che da l'altiero
sprezzar si vide; e con tempesta rea
sollevò il mar intorno, e con tal rabbia,
che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.
29
Calano tosto i marinari accorti
le maggior vele, e pensano dar volta,
e ritornar ne li medesmi porti
donde in mal punto avean la nave sciolta.
— Non convien (dice il Vento) ch'io comporti
tanta licenza che v'avete tolta; —
e soffia e grida e naufragio minaccia,
s'altrove van, che dove egli li caccia.
30
Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,
che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:
essi di qua di là con umil vele
vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.
Ma perché varie fila a varie tele
uopo mi son, che tutte ordire intendo,
lascio Rinaldo e l'agitata prua,
e torno a dir di Bradamante sua.
31
Io parlo di quella inclita donzella,
per cui re Sacripante in terra giacque,
che di questo signor degna sorella,
del duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza e il molto ardir di quella
non meno a Carlo e a tutta Francia piacque
(che più d'un paragon ne vide saldo),
che 'l lodato valor del buon Rinaldo.
32
La donna amata fu da un cavalliero
che d'Africa passò col re Agramante,
che partorì del seme di Ruggiero
la disperata figlia di Agolante:
e costei, che né d'orso né di fiero
leone uscì, non sdegnò tal amante;
ben che concesso, fuor che vedersi una
volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.
33
Quindi cercando Bradamante gìa
l'amante suo, ch'avea nome dal padre,
così sicura senza compagnia,
come avesse in sua guardia mille squadre:
e fatto ch'ebbe al re di Circassia
battere il volto dell'antiqua madre,
traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto che giunse ad una bella fonte.
34
La fonte discorrea per mezzo un prato,
d'arbori antiqui e di bell'ombre adorno,
Ch'i viandanti col mormorio grato
a ber invita e a far seco soggiorno:
un culto monticel dal manco lato
le difende il calor del mezzo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d'un cavallier la giovane s'accorse;
35
d'un cavallier, ch'all'ombra d'un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l'elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
ed avea gli occhi molli e 'l viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.
36
Questo disir, ch'a tutti sta nel core,
de' fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavallier del suo dolore
la cagion domandar da la donzella.
Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,
dal cortese parlar mosso di quella,
e dal sembiante altier, ch'al primo sguardo
gli sembrò di guerrier molto gagliardo.
37
E cominciò: — Signor, io conducea
pedoni e cavallieri, e venìa in campo
là dove Carlo Marsilio attendea,
perch'al scender del monte avesse inciampo;
e una giovane bella meco avea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Rodonna armato
un che frenava un gran destriero alato.
38
Tosto che 'l ladro, o sia mortale, o sia
una de l'infernali anime orrende,
vede la bella e cara donna mia;
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in un atimo, e tra via
getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m'era accorto de l'assalto,
che de la donna io senti' il grido in alto.
39
Così il rapace nibio furar suole
il misero pulcin presso alla chioccia,
che di sua inavvertenza poi si duole,
e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole,
chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia:
stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
ne l'aspre vie de' faticosi sassi.
40
Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.
41
Sei giorni me n'andai matina e sera
per balze e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove né segno di vestigie umane;
poi giunsi in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s'un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.
42
Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come più m'avicino ai muri illustri,
l'opra più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,
temprato all'onda ed allo stigio foco.
43
Di sì forbito acciar luce ogni torre,
che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
e poi là dentro il rio ladron s'immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia torre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.
44
Ah lasso! che poss'io più che mirare
la rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?
come la volpe, che 'l figlio gridare
nel nido oda de l'aquila di giuso,
s'aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l'ali non ha da gir là suso.
Erto è quel sasso sì, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.
45
Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier ch'avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso l'un, re sericano;
era l'altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne l'africana corte.
46
— Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di lor virtù col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello. —
— Deh, signor (diss'io lor), pietà vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate. —
47
E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi proferiro assai,
e giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si può trar con mano.
48
Poi che fur giunti a piè de l'alta rocca,
l'uno e l'altro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fe' Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.
49
Cominciò a poco a poco indi a levarse,
come suol far la peregrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all'aria sparse,
velocissime mostra l'ale sue.
Sì ad alto il negromante batte l'ale,
ch'a tanta altezza a pena aquila sale.
50
Quando gli parve poi, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia l'anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
l'aria fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso a pena del calar s'avede,
che se lo sente addosso e che lo fiede.
51
Sopra Gradasso il mago l'asta roppe;
ferì Gradasso il vento e l'aria vana:
per questo il volator non interroppe
il batter l'ale, e quindi s'allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso avea una alfana, la più bella
e la miglior che mai portasse sella.
52
Sin alle stelle il volator trascorse;
indi girossi e tornò in fretta al basso,
e percosse Ruggier che non s'accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
e 'l suo destrier più rinculò d'un passo;
e quando si voltò per lui ferire,
da sé lontano il vide al ciel salire.
53
Or su Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognor vote,
perché è sì presto, che si vede a pena.
Girando va con spaziose rote,
e quando all'uno accenna, all'altro mena:
all'uno e all'altro sì gli occhi abbarbaglia,
che non ponno veder donde gli assaglia.
54
Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo
la battaglia durò sino a quella ora,
che spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pelo:
io 'l vidi, i' 'l so: né m'assicuro ancora
di dirlo altrui; che questa maraviglia
al falso più ch'al ver si rassimiglia.
55
D'un bel drappo di seta avea coperto
lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
ch'immantinente che lo mostra aperto,
forza è, ch'il mira, abbarbagliato reste,
e cada come corpo morto cade,
e venga al negromante in potestade.
56
Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d'uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch'io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
né più i guerrier né più vidi quel nano,
ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.
57
Pensai per questo che l'incantatore
avesse amendui colti a un tratto insieme,
e tolto per virtù de lo splendore
la libertade a loro, e a me la speme.
Così a quel loco, che chiudea il mio core,
dissi, partendo, le parole estreme.
Or giudicate s'altra pena ria,
che causi Amor, può pareggiar la mia. —
58
Ritornò il cavallier nel primo duolo,
fatta che n'ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
d'Anselmo d'Altaripa, maganzese;
che tra sua gente scelerata, solo
leale esser non volse né cortese,
ma ne li vizi abominandi e brutti
non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.
59
La bella donna con diverso aspetto
stette ascoltando il Maganzese cheta;
che come prima di Ruggier fu detto,
nel viso si mostrò più che mai lieta:
ma quando sentì poi ch'era in distretto,
turbossi tutta d'amorosa pieta;
né per una o due volte contentosse
che ritornato a replicar le fosse.
60
E poi ch'al fin le parve esserne chiara,
gli disse: — Cavallier, datti riposo,
che ben può la mia giunta esserti cara,
parerti questo giorno aventuroso.
Andiam pur tosto a quella stanza avara,
che sì ricco tesor ci tiene ascoso;
né spesa sarà invan questa fatica,
se fortuna non m'è troppo nemica. —
61
Rispose il cavallier: — Tu vòi ch'io passi
di nuovo i monti, e mostriti la via?
A me molto non è perdere i passi,
perduta avendo ogni altra cosa mia;
ma tu per balze e ruinosi sassi
cerchi entrar in pregione; e così sia.
Non hai di che dolerti di me, poi
ch'io tel predico, e tu pur gir vi vòi. —
62
Così dice egli, e torna al suo destriero,
e di quella animosa si fa guida,
che si mette a periglio per Ruggiero,
che la pigli quel mago o che la ancida.
In questo, ecco alle spalle il messaggero,
ch': — Aspetta, aspetta! — a tutta voce grida,
il messagger da chi il Circasso intese
che costei fu ch'all'erba lo distese.
63
A Bradamante il messagger novella
di Mompolier e di Narbona porta,
ch'alzato gli stendardi di Castella
avean, con tutto il lito d'Acquamorta;
e che Marsilia, non v'essendo quella
che la dovea guardar, mal si conforta,
e consiglio e soccorso le domanda
per questo messo, e se le raccomanda.
64
Questa cittade, e intorno a molte miglia
ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea l'imperator dato alla figlia
del duca Amon, in ch'avea speme e fede;
però che 'l suo valor con maraviglia
riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Or, com'io dico, a domandar aiuto
quel messo da Marsilia era venuto.
65
Tra sì e no la giovane suspesa,
di voler ritornar dubita un poco:
quinci l'onore e il debito le pesa,
quindi l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi al fin di seguitar l'impresa,
e trar Ruggier de l'incantato loco;
e quando sua virtù non possa tanto,
almen restargli prigioniera a canto.
66
E fece iscusa tal, che quel messaggio
parve contento rimanere e cheto.
Indi girò la briglia al suo viaggio,
con Pinabel che non ne parve lieto;
che seppe esser costei di quel lignaggio
che tanto ha in odio in publico e in secreto:
e già s'avisa le future angosce,
se lui per maganzese ella conosce.
67
Tra casa di Maganza e di Chiarmonte
era odio antico e inimicizia intensa;
e più volte s'avean rotta la fronte,
e sparso di lor sangue copia immensa:
e però nel suo cor l'iniquo conte
tradir l'incauta giovane si pensa;
o, come prima commodo gli accada,
lasciarla sola, e trovar altra strada.
68
E tanto gli occupò la fantasia
il nativo odio, il dubbio e la paura,
ch'inavedutamente uscì di via:
e ritrovossi in una selva oscura,
che nel mezzo avea un monte che finia
la nuda cima in una pietra dura;
e la figlia del duca di Dordona
gli è sempre dietro, e mai non l'abandona.
69
Come si vide il Maganzese al bosco,
pensò tôrsi la donna da le spalle.
Disse: — Prima che 'l ciel torni più fosco,
verso un albergo è meglio farsi il calle.
Oltra quel monte, s'io lo riconosco,
siede un ricco castel giù ne la valle.
Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio
certificar con gli occhi me ne voglio. —
70
Così dicendo, alla cima superna
del solitario monte il destrier caccia,
mirando pur s'alcuna via discerna,
come lei possa tor da la sua traccia.
Ecco nel sasso truova una caverna,
che si profonda più di trenta braccia.
Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso
scende giù al dritto, ed ha una porta al basso.
71
Nel fondo avea una porta ampla e capace,
ch'in maggior stanza largo adito dava;
e fuor n'uscìa splendor, come di face
ch'ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon suspeso tace,
la donna, che da lungi il seguitava
(perché perderne l'orme si temea),
alla spelonca gli sopragiungea.
72
Poi che si vide il traditore uscire,
quel ch'avea prima disegnato, invano,
o da sé torla, o di farla morire,
nuovo argumento imaginossi e strano.
Le si fe' incontra, e su la fe' salire
là dove il monte era forato e vano;
e le disse ch'avea visto nel fondo
una donzella di viso giocondo.
73
Ch'a' bei sembianti ed alla ricca vesta
esser parea di non ignobil grado;
ma quanto più potea turbata e mesta,
mostrava esservi chiusa suo mal grado:
e per saper la condizion di questa,
ch'avea già cominciato a entrar nel guado;
e ch'era uscito de l'interna grotta
un che dentro a furor l'avea ridotta.
74
Bradamante, che come era animosa,
così mal cauta, a Pinabel diè fede;
e d'aiutar la donna, disiosa,
si pensa come por colà giù il piede.
Ecco d'un olmo alla cima frondosa
volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;
e con la spada quel subito tronca,
e lo declina giù ne la spelonca.
75
Dove è tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello, e poscia a quel s'apprende:
prima giù i piedi ne la tana manda,
e su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
come ella salti; e le man apre e stende,
dicendole: — Qui fosser teco insieme
tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme! —
76
Non come volse Pinabello avvenne
de l'innocente giovane la sorte;
perché, giù diroccando a ferir venne
prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzò, ma tanto la sostenne,
che 'l suo favor la liberò da morte.
Giacque stordita la donzella alquanto,
come io vi seguirò ne l'altro canto.
CANTO TERZO
1
Chi mi darà la voce e le parole
convenienti a sì nobil suggetto?
chi l'ale al verso presterà, che vole
tanto ch'arrivi all'alto mio concetto?
Molto maggior di quel furor che suole,
ben or convien che mi riscaldi il petto;
che questa parte al mio signor si debbe,
che canta gli avi onde l'origin ebbe:
2
di cui fra tutti li signori illustri,
dal ciel sortiti a governar la terra,
non vedi, o Febo, che 'l gran mondo lustri,
più gloriosa stirpe o in pace o in guerra;
né che sua nobiltade abbia più lustri
servata, e servarà (s'in me non erra
quel profetico lume che m'ispiri)
fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.
3
E volendone a pien dicer gli onori,
bisogna non la mia, ma quella cetra
con che tu dopo i gigantei furori
rendesti grazia al regnator dell'etra.
S'istrumenti avrò mai da te migliori,
atti a sculpire in così degna pietra,
in queste belle imagini disegno
porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.
4
Levando intanto queste prime rudi
scaglie n'andrò con lo scarpello inetto:
forse ch'ancor con più solerti studi
poi ridurrò questo lavor perfetto.
Ma ritorniano a quello, a cui né scudi
potran né usberghi assicurare il petto:
parlo di Pinabello di Maganza,
che d'uccider la donna ebbe speranza.
5
Il traditor pensò che la donzella
fosse ne l'alto precipizio morta;
e con pallida faccia lasciò quella
trista e per lui contaminata porta,
e tornò presto a rimontar in sella:
e come quel ch'avea l'anima torta,
per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,
di Bradamante ne menò il cavallo.
6
Lasciàn costui, che mentre all'altrui vita
ordisce inganno, il suo morir procura;
e torniamo alla donna che, tradita,
quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.
Poi ch'ella si levò tutta stordita,
ch'avea percosso in su la pietra dura,
dentro la porta andò, ch'adito dava
ne la seconda assai più larga cava.
7
La stanza, quadra e spaziosa, pare
una devota e venerabil chiesa,
che su colonne alabastrine e rare
con bella architettura era suspesa.
Surgea nel mezzo un ben locato altare,
ch'avea dinanzi una lampada accesa;
e quella di splendente e chiaro foco
rendea gran lume all'uno e all'altro loco.
8
Di devota umiltà la donna tocca,
come si vide in loco sacro e pio,
incominciò col core e con la bocca,
inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.
Un picciol uscio intanto stride e crocca,
ch'era all'incontro, onde una donna uscìo
discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,
che la donzella salutò per nome.
9
E disse: — O generosa Bradamante,
non giunta qui senza voler divino,
di te più giorni m'ha predetto inante
il profetico spirto di Merlino,
che visitar le sue reliquie sante
dovevi per insolito camino:
e qui son stata acciò ch'io ti riveli
quel c'han di te già statuito i cieli.
10
Questa è l'antiqua e memorabil grotta
ch'edificò Merlino, il savio mago
che forse ricordare odi talotta,
dove ingannollo la Donna del Lago.
Il sepolcro è qui giù, dove corrotta
giace la carne sua; dove egli, vago
di sodisfare a lei, che glil suase,
vivo corcossi, e morto ci rimase.
11
Col corpo morto il vivo spirto alberga,
sin ch'oda il suon de l'angelica tromba
che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,
secondo che sarà corvo o colomba.
Vive la voce; e come chiara emerga,
udir potrai dalla marmorea tomba,
che le passate e le future cose
a chi gli domandò, sempre rispose.
12
Più giorni son ch'in questo cimiterio
venni di remotissimo paese,
perché circa il mio studio alto misterio
mi facesse Merlin meglio palese:
e perché ebbi vederti desiderio,
poi ci son stata oltre il disegno un mese;
che Merlin, che 'l ver sempre mi predisse,
termine al venir tuo questo dì fisse. —
13
Stassi d'Amon la sbigottita figlia
tacita e fissa al ragionar di questa;
ed ha sì pieno il cor di maraviglia,
che non sa s'ella dorme o s'ella è desta:
e con rimesse e vergognose ciglia
(come quella che tutta era modesta)
rispose: — Di che merito son io,
ch'antiveggian profeti il venir mio? —
14
E lieta de l'insolita avventura,
dietro alla Maga subito fu mossa,
che la condusse a quella sepoltura
che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.
Era quell'arca d'una pietra dura,
lucida e tersa, e come fiamma rossa;
tal ch'alla stanza, ben che di sol priva,
dava splendore il lume che n'usciva.
15
O che natura sia d'alcuni marmi
che muovin l'ombre a guisa di facelle,
o forza pur di suffumigi e carmi
e segni impressi all'osservate stelle
(come più questo verisimil parmi),
discopria lo splendor più cose belle
e di scoltura e di color, ch'intorno
il venerabil luogo aveano adorno.
16
A pena ha Bradamante da la soglia
levato il piè ne la secreta cella,
che 'l vivo spirto da la morta spoglia
con chiarissima voce le favella:
— Favorisca Fortuna ogni tua voglia,
o casta e nobilissima donzella,
del cui ventre uscirà il seme fecondo
che onorar deve Italia e tutto il mondo.
17
L'antiquo sangue che venne da Troia,
per li duo miglior rivi in te commisto,
produrrà l'ornamento, il fior, la gioia
d'ogni lignaggio ch'abbia il sol mai visto
tra l'Indo e 'l Tago e 'l Nilo e la Danoia,
tra quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto.
Ne la progenie tua con sommi onori
saran marchesi, duci e imperatori.
18
I capitani e i cavallier robusti
quindi usciran, che col ferro e col senno
ricuperar tutti gli onor vetusti
de l'arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i signor giusti,
che, come il savio Augusto e Numa fenno,
sotto il benigno e buon governo loro
ritorneran la prima età de l'oro.
19
Acciò dunque il voler del ciel si metta
in effetto per te, che di Ruggiero
t'ha per moglier fin da principio eletta,
segue animosamente il tuo sentiero;
che cosa non sarà che s'intrometta
da poterti turbar questo pensiero,
sì che non mandi al primo assalto in terra
quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. —
20
Tacque Merlino avendo così detto,
ed agio all'opre de la Maga diede,
ch'a Bradamante dimostrar l'aspetto
si preparava di ciascun suo erede.
Avea di spirti un gran numero eletto,
non so se da l'Inferno o da qual sede,
e tutti quelli in un luogo raccolti
sotto abiti diversi e vari volti.
21
Poi la donzella a sé richiama in chiesa,
là dove prima avea tirato un cerchio
che la potea capir tutta distesa,
ed avea un palmo ancora di superchio.
E perché da li spirti non sia offesa,
le fa d'un gran pentacolo coperchio;
e le dice che taccia e stia a mirarla:
poi scioglie il libro, e coi demoni parla.
22
Eccovi fuor de la prima spelonca,
che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;
ma, come vuole entrar, la via l'è tronca,
come lo cinga intorno muro e fossa.
In quella stanza, ove la bella conca
in sé chiudea del gran profeta l'ossa,
entravan l'ombre, poi ch'avean tre volte
fatto d'intorno lor debite volte.
23
— Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti
(dicea l'incantatrice a Bradamante),
di questi ch'or per gl'incantati spirti,
prima che nati sien, ci sono avante,
non so veder quando abbia da espedirti;
che non basta una notte a cose tante:
sì ch'io te ne verrò scegliendo alcuno,
secondo il tempo, e che sarà oportuno.
24
Vedi quel primo che ti rassimiglia
ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:
capo in Italia fia di tua famiglia,
del seme di Ruggiero in te concetto.
Veder del sangue di Pontier vermiglia
per mano di costui la terra aspetto,
e vendicato il tradimento e il torto
contra quei che gli avranno il padre morto.
25
Per opra di costui sarà deserto
il re de' Longobardi Desiderio:
d'Este e di Calaon per questo merto
il bel dominio avrà dal sommo Imperio.
Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto,
onor de l'arme e del paese esperio:
per costui contra Barbari difesa
più d'una volta fia la santa Chiesa.
26
Vedi qui Alberto, invitto capitano
ch'ornerà di trofei tanti delubri:
Ugo il figlio è con lui, che di Milano
farà l'acquisto, e spiegherà i colubri.
Azzo è quell'altro, a cui resterà in mano
dopo il fratello, il regno degli Insubri.
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
torrà d'Italia Beringario e il figlio;
27
e sarà degno a cui Cesare Otone
Alda sua figlia, in matrimonio aggiunga.
Vedi un altro Ugo: oh bella successione,
che dal patrio valor non si dislunga!
Costui sarà, che per giusta cagione
ai superbi Roman l'orgoglio emunga,
che 'l terzo Otone e il pontefice tolga
de le man loro, e 'l grave assedio sciolga.
28
Vedi Folco, che par ch'al suo germano,
ciò che in Italia avea, tutto abbi dato,
e vada a possedere indi lontano
in mezzo agli Alamanni un gran ducato;
e dia alla casa di Sansogna mano,
che caduta sarà tutta da un lato;
e per la linea de la madre, erede,
con la progenie sua la terrà in piede.
29
Questo ch'or a nui viene è il secondo Azzo,
di cortesia più che di guerre amico,
tra dui figli, Bertoldo ed Albertazzo.
Vinto da l'un sarà il secondo Enrico,
e del sangue tedesco orribil guazzo
Parma vedrà per tutto il campo aprico:
de l'altro la contessa gloriosa,
saggia e casta Matilde, sarà sposa.
30
Virtù il farà di tal connubio degno;
ch'a quella età non poca laude estimo
quasi di mezza Italia in dote il regno,
e la nipote aver d'Enrico primo.
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo, ch'avrà l'onor opimo
d'aver la Chiesa de le man riscossa
de l'empio Federico Barbarossa.
31
Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona
avrà in poter col suo bel tenitorio;
e sarà detto marchese d'Ancona
dal quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo sarà s'io mostro ogni persona
del sangue tuo, ch'avrà del consistorio
il confalone, e s'io narro ogni impresa
vinta da lor per la romana Chiesa.
32
Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,
ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;
duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi,
e vesta di Spoleti il ducal manto.
Ecco che 'l sangue e le gran piaghe asciughi
d'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:
di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)
onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.
33
Ezellino, immanissimo tiranno,
che fia creduto figlio del demonio,
farà, troncando i sudditi, tal danno,
e distruggendo il bel paese ausonio,
che pietosi apo lui stati saranno
Mario, Silla, Neron, Caio ed Antonio.
E Federico imperator secondo
fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.
34
Terrà costui con più felice scettro
la bella terra che siede sul fiume,
dove chiamò con lacrimoso plettro
Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume,
quando fu pianto il fabuloso elettro,
e Cigno si vestì di bianche piume;
e questa di mille oblighi mercede
gli donerà l'Apostolica sede.
35
Dove lascio il fratel Aldrobandino?
che per dar al pontefice soccorso
contra Oton quarto e il campo ghibellino
che sarà presso al Campidoglio corso,
ed avrà preso ogni luogo vicino,
e posto agli Umbri e alli Piceni il morso;
né potendo prestargli aiuto senza
molto tesor, ne chiederà a Fiorenza;
36
e non avendo gioie o miglior pegni,
per sicurtà daralle il frate in mano.
Spiegherà i suoi vittoriosi segni,
e romperà l'esercito germano;
in seggio riporrà la Chiesa, e degni
darà supplici ai conti di Celano;
ed al servizio del sommo Pastore
finirà gli anni suoi nel più bel fiore.
37
Ed Azzo, il suo fratel, lascierà erede
del dominio d'Ancona e di Pisauro,
d'ogni città che da Troento siede
tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro,
e di grandezza d'animo e di fede,
e di virtù, miglior che gemme ed auro:
che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;
sol in virtù non ha possanza alcuna.
38
Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio
splenderà di valor, pur che non sia
a tanta esaltazion del bel lignaggio
Morte o Fortuna invidiosa e ria.
Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,
dove del padre allor statico fia.
Or Obizzo ne vien, che giovinetto
dopo l'avo sarà principe eletto.
39
Al bel dominio accrescerà costui
Reggio giocondo, e Modona feroce.
Tal sarà il suo valor, che signor lui
domanderanno i populi a una voce.
Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,
confalonier de la cristiana croce:
avrà il ducato d'Andria con la figlia
del secondo re Carlo di Siciglia.
40
Vedi in un bello ed amichevol groppo
de li principi illustri l'eccellenza:
Obizzo, Aldrobandin, Nicolò zoppo,
Alberto, d'amor pieno e di clemenza.
Io tacerò, per non tenerti troppo,
come al bel regno aggiungeran Favenza,
e con maggior fermezza Adria, che valse
da sé nomar l'indomite acque salse;
41
come la terra, il cui produr di rose
le diè piacevol nome in greche voci,
e la città ch'in mezzo alle piscose
paludi, del Po teme ambe le foci,
dove abitan le genti disiose
che 'l mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille
altre castella e populose ville.
42
Ve' Nicolò, che tenero fanciullo
il popul crea signor de la sua terra,
e di Tideo fa il pensier vano e nullo,
che contra lui le civil arme afferra.
Sarà di questo il pueril trastullo
sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;
e da lo studio del tempo primiero
il fior riuscirà d'ogni guerriero.
43
Farà de' suoi ribelli uscire a voto
ogni disegno, e lor tornare in danno;
ed ogni stratagema avrà sì noto,
che sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s'avedrà il terzo Oto,
e di Reggio e di Parma aspro tiranno,
che da costui spogliato a un tempo fia
e del dominio e de la vita ria.
44
Avrà il bel regno poi sempre augumento
senza torcer mai piè dal camin dritto;
né ad alcuno farà mai nocumento,
da cui prima non sia d'ingiuria afflitto:
ed è per questo il gran Motor contento
che non gli sia alcun termine prescritto:
ma duri prosperando in meglio sempre,
fin che si volga il ciel ne le sue tempre.
45
Vedi Leonello, e vedi il primo duce,
fama de la sua età, l'inclito Borso,
che siede in pace, e più trionfo adduce
di quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderà Marte ove non veggia luce,
e stringerà al Furor le mani al dorso.
Di questo signor splendido ogni intento
sarà che 'l popul suo viva contento.
46
Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia,
col piè mezzo arso e con quei debol passi,
come a Budrio col petto e con la faccia
il campo volto in fuga gli fermassi;
non perché in premio poi guerra gli faccia,
né, per cacciarlo, fin nel Barco passi.
Questo è il signor, di cui non so esplicarme
se fia maggior la gloria o in pace o in arme.
47
Terran Pugliesi, Calabri e Lucani
de' gesti di costui lunga memoria,
là dove avrà dal Re de' Catalani
di pugna singular la prima gloria;
e nome tra gl'invitti capitani
s'acquisterà con più d'una vittoria:
avrà per sua virtù la signoria,
più di trenta anni a lui debita pria.
48
E quanto più aver obligo si possa
a principe, sua terra avrà a costui;
non perché fia de le paludi mossa
tra campi fertilissimi da lui;
non perché la farà con muro e fossa
meglio capace a' cittadini sui,
e l'ornarà di templi e di palagi,
di piazze, di teatri e di mille agi;
49
non perché dagli artigli de l'audace
aligero Leon terrà difesa;
non perché, quando la gallica face
per tutto avrà la bella Italia accesa,
si starà sola col suo stato in pace,
e dal timore e dai tributi illesa:
non sì per questi ed altri benefici
saran sue genti ad Ercol debitrici:
50
quanto che darà lor l'inclita prole,
il giusto Alfonso e Ippolito benigno,
che saran quai l'antiqua fama suole
narrar de' figli del Tindareo cigno,
ch'alternamente si privan del sole
per trar l'un l'altro de l'aer maligno.
Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte
l'altro salvar con sua perpetua morte.
51
Il grande amor di questa bella coppia
renderà il popul suo via più sicuro,
che se, per opra di Vulcan, di doppia
cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso è quel che col saper accoppia
sì la bontà, ch'al secolo futuro
la gente crederà che sia dal cielo
tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.
52
A grande uopo gli fia l'esser prudente,
e di valore assimigliarsi al padre;
che si ritroverà, con poca gente,
da un lato aver le veneziane squadre,
colei dall'altro, che più giustamente
non so se devrà dir matrigna o madre;
ma se per madre, a lui poco più pia,
che Medea ai figli o Progne stata sia.
53
E quante volte uscirà giorno o notte
col suo popul fedel fuor de la terra,
tante sconfitte e memorabil rotte
darà a' nimici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte,
contra i vicini e lor già amici, in guerra,
se n'avedranno, insanguinando il suolo
che serra il Po, Santerno e Zanniolo.
54
Nei medesmi confini anco saprallo
del gran Pastore il mercenario Ispano,
che gli avrà dopo con poco intervallo
la Bastìa tolta, e morto il castellano,
quando l'avrà già preso; e per tal fallo
non fia, dal minor fante al capitano,
che del racquisto e del presidio ucciso
a Roma riportar possa l'aviso.
55
Costui sarà, col senno e con la lancia,
ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna,
d'aver dato all'esercito di Francia
la gran vittoria contra Iulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin alla pancia
nel sangue uman per tutta la campagna;
ch'a sepelire il popul verrà manco
tedesco, ispano, greco, italo, e franco.
56
Quel ch'in pontificale abito imprime
del purpureo capel la sacra chioma,
è il liberal, magnanimo, sublime,
gran cardinal de la Chiesa di Roma
Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime
darà materia eterna in ogni idioma;
la cui fiorita età vuole il ciel iusto
ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.
57
Adornerà la sua progenie bella,
come orna il sol la machina del mondo
molto più de la luna e d'ogni stella;
ch'ogn'altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici galee mena captive,
oltra mill'altri legni alle sue rive.
58
Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo.
Vedi d'Alfonso i cinque figli cari,
alla cui fama ostar, che di sé il mondo
non empia, i monti non potran né i mari:
gener del re di Francia, Ercol secondo
è l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari)
Ippolito è, che non con minor raggio
che 'l zio, risplenderà nel suo lignaggio;
59
Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son detti. Or, come io dissi prima,
s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognerà che si rischiari e abbui
più volte prima il ciel, ch'io te li esprima:
e sarà tempo ormai, quando ti piaccia,
ch'io dia licenza all'ombre e ch'io mi taccia. —
60
Così con voluntà de la donzella
la dotta incantatrice il libro chiuse.
Tutti gli spirti allora ne la cella
spariro in fretta, ove eran l'ossa chiuse.
Qui Bradamante, poi che la favella
le fu concessa usar, la bocca schiuse,
e domandò: — Chi son li dua sì tristi,
che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?
61
Veniano sospirando, e gli occhi bassi
parean tener d'ogni baldanza privi;
e gir lontan da loro io vedea i passi
dei frati sì, che ne pareano schivi. —
Parve ch'a tal domanda si cangiassi
la maga in viso, e fe' degli occhi rivi,
e gridò: — Ah sfortunati, a quanta pena
lungo istigar d'uomini rei vi mena!
62
O bona prole, o degna d'Ercol buono,
non vinca il lor fallir vostra bontade:
di vostro sangue i miseri pur sono;
qui ceda la iustizia alla pietade. —
Indi soggiunse con più basso suono:
— Di ciò dirti più inanzi non accade.
Statti col dolce in bocca; e non ti doglia
ch'amareggiare al fin non te la voglia.
63
Tosto che spunti in ciel la prima luce,
piglierai meco la più dritta via
ch'al lucente castel d'acciai' conduce,
dove Ruggier vive in altrui balìa.
Io tanto ti sarò compagna e duce,
che tu sia fuor de l'aspra selva ria:
t'insegnerò, poi che saren sul mare,
sì ben la via, che non potresti errare. —
64
Quivi l'audace giovane rimase
tutta la notte, e gran pezzo ne spese
a parlar con Merlin, che le suase
rendersi tosto al suo Ruggier cortese.
Lasciò di poi le sotterranee case,
che di nuovo splendor l'aria s'accese,
per un camin gran spazio oscuro e cieco,
avendo la spirtal femmina seco.
65
E riusciro in un burrone ascoso
tra monti inaccessibili alle genti;
e tutto 'l dì senza pigliar riposo
saliron balze e traversar torrenti.
E perché men l'andar fosse noioso,
di piacevoli e bei ragionamenti,
di quel che fu più conferir soave,
l'aspro camin facean parer men grave:
66
di quali era però la maggior parte,
ch'a Bradamante vien la dotta maga
mostrando con che astuzia e con qual arte
proceder de', se di Ruggiero è vaga.
— Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,
e conducessi gente alla tua paga
più che non ha il re Carlo e il re Agramante,
non dureresti contra il negromante;
67
che oltre che d'acciar murata sia
la rocca inespugnabile, e tant'alta;
oltre che 'l suo destrier si faccia via
per mezzo l'aria, ove galoppa e salta;
ha lo scudo mortal, che come pria
si scopre, il suo splendor sì gli occhi assalta,
la vista tolle, e tanto occupa i sensi,
che come morto rimaner conviensi.
68
E se forse ti pensi che ti vaglia
combattendo tener serrati gli occhi,
come potrai saper ne la battaglia
quando ti schivi, o l'avversario tocchi?
Ma per fuggire il lume ch'abbarbaglia,
e gli altri incanti di colui far sciocchi,
ti mostrerò un rimedio, una via presta;
né altra in tutto 'l mondo è se non questa.
69
Il re Agramante d'Africa uno annello,
che fu rubato in India a una regina,
ha dato a un suo baron detto Brunello,
che poche miglia inanzi ne camina;
di tal virtù, che chi nel dito ha quello,
contra il mal degl'incanti ha medicina.
Sa de furti e d'inganni Brunel, quanto
colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto.
70
Questo Brunel sì pratico e sì astuto,
come io ti dico, è dal suo re mandato
acciò che col suo ingegno e con l'aiuto
di questo annello, in tal cose provato,
di quella rocca dove è ritenuto,
traggia Ruggier, che così s'è vantato,
ed ha così promesso al suo signore,
a cui Ruggiero è più d'ogn'altro a core.
71
Ma perché il tuo Ruggiero a te sol abbia,
e non al re Agramante, ad obligarsi
che tratto sia de l'incantata gabbia,
t'insegnerò il rimedio che de' usarsi.
Tu te n'andrai tre dì lungo la sabbia
del mar, ch'è oramai presso a dimostrarsi;
il terzo giorno in un albergo teco
arriverà costui c'ha l'annel seco.
72
La sua statura, acciò tu lo conosca,
non è sei palmi, ed ha il capo ricciuto;
le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca;
pallido il viso, oltre il dover barbuto;
gli occhi gonfiati e guardatura losca;
schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto:
l'abito, acciò ch'io lo dipinga intero,
è stretto e corto, e sembra di corriero.
73
Con esso lui t'accaderà soggetto
di ragionar di quell'incanti strani:
mostra d'aver, come tu avra' in effetto,
disio che 'l mago sia teco alle mani;
ma non mostrar che ti sia stato detto
di quel suo annel che fa gl'incanti vani.
Egli t'offerirà mostrar la via
fin alla rocca e farti compagnia.
74
Tu gli va dietro: e come t'avicini
a quella rocca sì ch'ella si scopra,
dàgli la morte; né pietà t'inchini
che tu non metta il mio consiglio in opra.
Né far ch'egli il pensier tuo s'indovini,
e ch'abbia tempo che l'annel lo copra;
perché ti spariria dagli occhi, tosto
ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto. —
75
Così parlando, giunsero sul mare,
dove presso a Bordea mette Garonna.
Quivi, non senza alquanto lagrimare,
si dipartì l'una da l'altra donna.
La figliuola d'Amon, che per slegare
di prigione il suo amante non assonna,
caminò tanto, che venne una sera
ad uno albergo, ove Brunel prim'era.
76
Conosce ella Brunel come lo vede,
di cui la forma avea sculpita in mente:
onde ne viene, ove ne va, gli chiede;
quel le risponde, e d'ogni cosa mente.
La donna, già prevista, non gli cede
in dir menzogne, e simula ugualmente
e patria e stirpe e setta e nome e sesso;
e gli volta alle man pur gli occhi spesso.
77
Gli va gli occhi alle man spesso voltando,
in dubbio sempre esser da lui rubata;
né lo lascia venir troppo accostando,
di sua condizion bene informata.
Stavano insieme in questa guisa, quando
l'orecchia da un rumor lor fu intruonata.
Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa,
ch'avrò fatto al cantar debita pausa.
CANTO QUARTO
1
Quantunque il simular sia le più volte
ripreso, e dia di mala mente indici,
si trova pur in molte cose e molte
aver fatti evidenti benefici,
e danni e biasmi e morti aver già tolte;
che non conversiam sempre con gli amici
in questa assai più oscura che serena
vita mortal, tutta d'invidia piena.
2
Se, dopo lunga prova, a gran fatica
trovar si può chi ti sia amico vero,
ed a chi senza alcun sospetto dica
e discoperto mostri il tuo pensiero;
che de' far di Ruggier la bella amica
con quel Brunel non puro e non sincero,
ma tutto simulato e tutto finto,
come la maga le l'avea dipinto?
3
Simula anch'ella; e così far conviene
con esso lui di finzioni padre;
e, come io dissi, spesso ella gli tiene
gli occhi alle man, ch'eran rapaci e ladre.
Ecco all'orecchie un gran rumor lor viene.
Disse la donna: — O gloriosa Madre,
o Re del ciel, che cosa sarà questa? —
E dove era il rumor si trovò presta.
4
E vede l'oste e tutta la famiglia,
e chi a finestre e chi fuor ne la via,
tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,
come l'ecclisse o la cometa sia.
Vede la donna un'alta maraviglia,
che di leggier creduta non saria:
vede passar un gran destriero alato,
che porta in aria un cavalliero armato.
5
Grandi eran l'ale e di color diverso,
e vi sedea nel mezzo un cavalliero,
di ferro armato luminoso e terso;
e vêr ponente avea dritto il sentiero.
Calossi, e fu tra le montagne immerso:
e, come dicea l'oste (e dicea il vero),
quel era un negromante, e facea spesso
quel varco, or più da lungi, or più da presso.
6
Volando, talor s'alza ne le stelle,
e poi quasi talor la terra rade;
e ne porta con lui tutte le belle
donne che trova per quelle contrade:
talmente che le misere donzelle
ch'abbino o aver si credano beltade
(come affatto costui tutte le invole)
non escon fuor sì che le veggia il sole.
7
— Egli sul Pireneo tiene un castello
(narrava l'oste) fatto per incanto,
tutto d'acciaio, e sì lucente e bello,
ch'altro al mondo non è mirabil tanto.
Già molti cavallier sono iti a quello,
e nessun del ritorno si dà vanto:
sì ch'io penso, signore, e temo forte,
o che sian presi, o sian condotti a morte. —
8
La donna il tutto ascolta, e le ne giova,
credendo far, come farà per certo,
con l'annello mirabile tal prova,
che ne fia il mago e il suo castel deserto;
e dice a l'oste: — Or un de' tuoi mi trova,
che più di me sia del viaggio esperto;
ch'io non posso durar: tanto ho il cor vago
di far battaglia contro a questo mago. —
9
— Non ti mancherà guida (le rispose
Brunello allora), e ne verrò teco io:
meco ho la strada in scritto, ed altre cose
che ti faran piacere il venir mio. —
Volse dir de l'annel; ma non l'espose,
né chiarì più, per non pagarne il fio.
— Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; —
volendo dir ch'indi l'annel fia suo.
10
Quel ch'era utile a dir disse; e quel tacque,
che nuocer le potea col Saracino.
Avea l'oste un destrier ch'a costei piacque,
ch'era buon da battaglia e da camino:
comperollo e partissi come nacque
del bel giorno seguente il matutino.
Prese la via per una stretta valle,
con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.
11
Di monte in monte e d'uno in altro bosco
giunsero ove l'altezza di Pirene
può dimostrar, se non è l'aer fosco,
e Francia e Spagna e due diverse arene,
come Apennin scopre il mar schiavo e il tosco
del giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
si discendea ne la profonda valle.
12
Vi sorge in mezzo un sasso che la cima
d'un bel muro d'acciar tutta si fascia;
e quella tanto inverso il ciel sublima,
che quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse: — Ecco dove prigionieri
il mago tien le donne e i cavallieri. —
13
Da quattro canti era tagliato, e tale
che parea dritto a fil de la sinopia.
Da nessun lato né sentier né scale
v'eran, che di salir facesser copia:
e ben appar che d'animal ch'abbia ale
sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce l'ora
di tor l'annello, e far che Brunel mora.
14
Ma le par atto vile a insaguinarsi
d'un uom senza arme e di sì ignobil sorte;
che ben potrà posseditrice farsi
del ricco annello, e lui non porre a morte.
Brunel non avea mente a riguardarsi;
sì ch'ella il prese, e lo legò ben forte
ad uno abete ch'alta avea la cima:
ma di dito l'annel gli trasse prima.
15
Né per lacrime, gemiti o lamenti
che facesse Brunel, lo volse sciorre.
Smontò de la montagna a passi lenti,
tanto che fu nel pian sotto la torre.
E perché alla battaglia s'appresenti
il negromante, al corno suo ricorre:
e dopo il suon, con minacciose grida
lo chiama al campo, ed alla pugna 'l sfida.
16
Non stette molto a uscir fuor de la porta
l'incantator, ch'udì 'l suono e la voce.
L'alato corridor per l'aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta;
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia né spada né mazza,
ch'a forar l'abbia o romper la corazza.
17
Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l'alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a più d'un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.
18
Non è finto il destrier, ma naturale,
ch'una giumenta generò d'un Grifo:
simile al padre avea la piuma e l'ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari.
19
Quivi per forza lo tirò d'incanto;
e poi che l'ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch'in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d'incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.
20
Del mago ogn'altra cosa era figmento,
che comparir facea pel rosso il giallo;
ma con la donna non fu di momento,
che per l'annel non può vedere in fallo.
