Purgatorio
?
Dante - La Divina Commedia
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a' due mie' sensi
faceva dir l'un 'No', l'altro 'Si, canta'.
Similemente al fummo de li 'ncensi
che v'era imaginato, li occhi e 'l naso
e al si e al no discordi fensi.
Li precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l'umile salmista,
e piu e men che re era in quel caso.
Di contra, effigiata ad una vista
d'un gran palazzo, Micol ammirava
si come donna dispettosa e trista.
I' mossi i pie del loco dov' io stava,
per avvisar da presso un'altra istoria,
che di dietro a Micol mi biancheggiava.
Quiv' era storiata l'alta gloria
del roman principato, il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
i' dico di Traiano imperadore;
e una vedovella li era al freno,
di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro
sovr' essi in vista al vento si movieno.
La miserella intra tutti costoro
pareva dir: <<Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol ch'e morto, ond' io m'accoro>>;
ed elli a lei rispondere: <<Or aspetta
tanto ch'i' torni>>; e quella: <<Segnor mio>>,
come persona in cui dolor s'affretta,
<<se tu non torni? >>; ed ei: <<Chi fia dov' io,
la ti fara>>; ed ella: <<L'altrui bene
a te che fia, se 'l tuo metti in oblio? >>;
ond' elli: <<Or ti conforta; ch'ei convene
ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:
giustizia vuole e pieta mi ritene>>.
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perche qui non si trova.
Mentr' io mi dilettava di guardare
l'imagini di tante umilitadi,
e per lo fabbro loro a veder care,
<<Ecco di qua, ma fanno i passi radi>>,
mormorava il poeta, <<molte genti:
questi ne 'nvieranno a li alti gradi>>.
Li occhi miei, ch'a mirare eran contenti
per veder novitadi ond' e' son vaghi,
volgendosi ver' lui non furon lenti.
Non vo' pero, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento per udire
come Dio vuol che 'l debito si paghi.
Non attender la forma del martire:
pensa la succession; pensa ch'al peggio
oltre la gran sentenza non puo ire.
Io cominciai: <<Maestro, quel ch'io veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
e non so che, si nel veder vaneggio>>.
Ed elli a me: <<La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
si che ' miei occhi pria n'ebber tencione.
Ma guarda fiso la, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
gia scorger puoi come ciascun si picchia>>.
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?
Di che l'animo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
si come vermo in cui formazion falla?
Come per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
si vede giugner le ginocchia al petto,
la qual fa del non ver vera rancura
nascere 'n chi la vede; cosi fatti
vid' io color, quando puosi ben cura.
Vero e che piu e meno eran contratti
secondo ch'avien piu e meno a dosso;
e qual piu pazienza avea ne li atti,
piangendo parea dicer: 'Piu non posso'.
Purgatorio ? Canto XI
<<O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per piu amore
ch'ai primi effetti di la su tu hai,
laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogne creatura, com' e degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
che noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
cosi facciano li uomini de' suoi.
Da oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi piu di gir s'affanna.
E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtu che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che si la sprona.
Quest' ultima preghiera, segnor caro,
gia non si fa per noi, che non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro>>.
Cosi a se e noi buona ramogna
quell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,
disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.
Se di la sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c'hanno al voler buona radice?
Ben si de' loro atar lavar le note
che portar quinci, si che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.
<<Deh, se giustizia e pieta vi disgrievi
tosto, si che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,
mostrate da qual mano inver' la scala
si va piu corto; e se c'e piu d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;
che questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar su, contra sua voglia, e parco>>.
Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;
ma fu detto: <<A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.
E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,
cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.
Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo gia mai fu vosco.
L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer si arrogante,
che, non pensando a la comune madre,
ogn' uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, che tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti>>.
Ascoltando chinai in giu la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.
<<Oh! >>, diss' io lui, <<non se' tu Oderisi,
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell' arte
ch'alluminar chiamata e in Parisi? >>.
<<Frate>>, diss' elli, <<piu ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore e tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare' io stato si cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non e giunta da l'etati grosse!
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
si che la fama di colui e scura.
Cosi ha tolto l'uno a l'altro Guido
la gloria de la lingua; e forse e nato
chi l'uno e l'altro caccera del nido.
Non e il mondan romore altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perche muta lato.
Che voce avrai tu piu, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',
pria che passin mill' anni? ch'e piu corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
al cerchio che piu tardi in cielo e torto.
Colui che del cammin si poco piglia
dinanzi a me, Toscana sono tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
ond' era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo si com' ora e putta.
La vostra nominanza e color d'erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba>>.
E io a lui: <<Tuo vero dir m'incora
bona umilta, e gran tumor m'appiani;
ma chi e quei di cui tu parlavi ora? >>.
<<Quelli e>>, rispuose, <<Provenzan Salvani;
ed e qui perche fu presuntuoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
Ito e cosi e va, sanza riposo,
poi che mori; cotal moneta rende
a sodisfar chi e di la troppo oso>>.
E io: <<Se quello spirito ch'attende,
pria che si penta, l'orlo de la vita,
qua giu dimora e qua su non ascende,
se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita? >>.
<<Quando vivea piu glorioso>>, disse,
<<liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s'affisse;
e li, per trar l'amico suo di pena,
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.
Piu non diro, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andra, che ' tuoi vicini
faranno si che tu potrai chiosarlo.
Quest' opera li tolse quei confini>>.
Purgatorio ? Canto XII
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m'andava io con quell' anima carca,
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: <<Lascia lui e varca;
che qui e buono con l'ali e coi remi,
quantunque puo, ciascun pinger sua barca>>;
dritto si come andar vuolsi rife'mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.
Io m'era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
gia mostravam com' eravam leggeri;
ed el mi disse: <<Volgi li occhi in giue:
buon ti sara, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue>>.
Come, perche di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel ch'elli eran pria,
onde li molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a' pii da de le calcagne;
si vid' io li, ma di miglior sembianza
secondo l'artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.
Vedea colui che fu nobil creato
piu ch'altra creatura, giu dal cielo
folgoreggiando scender, da l'un lato.
Vedea Briareo fitto dal telo
celestial giacer, da l'altra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d'i Giganti sparte.
Vedea Nembrot a pie del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che 'n Sennaar con lui superbi fuoro.
O Niobe, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saul, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboe,
che poi non senti pioggia ne rugiada!
O folle Aragne, si vedea io te
gia mezza ragna, trista in su li stracci
de l'opera che mal per te si fe.
O Roboam, gia non par che minacci
quivi 'l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza ch'altri il cacci.
Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fe caro
parer lo sventurato addornamento.
Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherib dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.
Mostrava la ruina e 'l crudo scempio
che fe Tamiri, quando disse a Ciro:
<<Sangue sitisti, e io di sangue t'empio>>.
Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilion, come te basso e vile
mostrava il segno che li si discerne!
Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?
Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant' io calcai, fin che chinato givi.
Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d'Eva, e non chinate il volto
si che veggiate il vostro mal sentero!
Piu era gia per noi del monte volto
e del cammin del sole assai piu speso
che non stimava l'animo non sciolto,
quando colui che sempre innanzi atteso
andava, comincio: <<Drizza la testa;
non e piu tempo di gir si sospeso.
Vedi cola un angel che s'appresta
per venir verso noi; vedi che torna
dal servigio del di l'ancella sesta.
Di reverenza il viso e li atti addorna,
si che i diletti lo 'nviarci in suso;
pensa che questo di mai non raggiorna! >>.
Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, si che 'n quella
materia non potea parlarmi chiuso.
A noi venia la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
par tremolando mattutina stella.
Le braccia aperse, e indi aperse l'ale;
disse: <<Venite: qui son presso i gradi,
e agevolemente omai si sale.
A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar su nata,
perche a poco vento cosi cadi? >>.
Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batte l'ali per la fronte;
poi mi promise sicura l'andata.
Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,
si rompe del montar l'ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
ch'era sicuro il quaderno e la doga;
cosi s'allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l'altro girone;
ma quinci e quindi l'alta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
'Beati pauperes spiritu! ' voci
cantaron si, che nol diria sermone.
Ahi quanto son diverse quelle foci
da l'infernali! che quivi per canti
s'entra, e la giu per lamenti feroci.
Gia montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo piu lieve
che per lo pian non mi parea davanti.
Ond' io: <<Maestro, di, qual cosa greve
levata s'e da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve? >>.
Rispuose: <<Quando i P che son rimasi
ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com' e l'un, del tutto rasi,
fier li tuoi pie dal buon voler si vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser su pinti>>.
Allor fec' io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che ' cenni altrui sospecciar fanno;
per che la mano ad accertar s'aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si puo fornir per la veduta;
e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che 'ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:
a che guardando, il mio duca sorrise.
Purgatorio ? Canto XIII
Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.
Ivi cosi una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
se non che l'arco suo piu tosto piega.
Ombra non li e ne segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia.
<<Se qui per dimandar gente s'aspetta>>,
ragionava il poeta, <<io temo forse
che troppo avra d'indugio nostra eletta>>.
Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di se torse.
<<O dolce lume a cui fidanza i' entro
per lo novo cammin, tu ne conduci>>,
dicea, <<come condur si vuol quinc' entro.
Tu scaldi il mondo, tu sovr' esso luci;
s'altra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci>>.
Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di la eravam noi gia iti,
con poco tempo, per la voglia pronta;
e verso noi volar furon sentiti,
non pero visti, spiriti parlando
a la mensa d'amor cortesi inviti.
La prima voce che passo volando
'Vinum non habent' altamente disse,
e dietro a noi l'ando reiterando.
E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un'altra 'I' sono Oreste'
passo gridando, e anco non s'affisse.
<<Oh! >>, diss' io, <<padre, che voci son queste? >>.
E com' io domandai, ecco la terza
dicendo: 'Amate da cui male aveste'.
E 'l buon maestro: <<Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e pero sono
tratte d'amor le corde de la ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l'udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.
Ma ficca li occhi per l'aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun e lungo la grotta assiso>>.
Allora piu che prima li occhi apersi;
guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.
E poi che fummo un poco piu avanti,
udia gridar: 'Maria, ora per noi':
gridar 'Michele' e 'Pietro' e 'Tutti santi'.
Non credo che per terra vada ancoi
omo si duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch'i' vidi poi;
che, quando fui si presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto.
Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l'un sofferia l'altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.
Cosi li ciechi a cui la roba falla,
stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
e l'uno il capo sopra l'altro avvalla,
perche 'n altrui pieta tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.
E come a li orbi non approda il sole,
cosi a l'ombre quivi, ond' io parlo ora,
luce del ciel di se largir non vole;
che a tutti un fil di ferro i cigli fora
e cusce si, come a sparvier selvaggio
si fa pero che queto non dimora.
A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.
Ben sapev' ei che volea dir lo muto;
e pero non attese mia dimanda,
ma disse: <<Parla, e sie breve e arguto>>.
Virgilio mi venia da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perche da nulla sponda s'inghirlanda;
da l'altra parte m'eran le divote
ombre, che per l'orribile costura
premevan si, che bagnavan le gote.
Volsimi a loro e: <<O gente sicura>>,
incominciai, <<di veder l'alto lume
che 'l disio vostro solo ha in sua cura,
se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscienza si che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume,
ditemi, che mi fia grazioso e caro,
s'anima e qui tra voi che sia latina;
e forse lei sara buon s'i' l'apparo>>.
<<O frate mio, ciascuna e cittadina
d'una vera citta; ma tu vuo' dire
che vivesse in Italia peregrina>>.
Questo mi parve per risposta udire
piu innanzi alquanto che la dov' io stava,
ond' io mi feci ancor piu la sentire.
Tra l'altre vidi un'ombra ch'aspettava
in vista; e se volesse alcun dir 'Come? ',
lo mento a guisa d'orbo in su levava.
<<Spirto>>, diss' io, <<che per salir ti dome,
se tu se' quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome>>.
<<Io fui sanese>>, rispuose, <<e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che se ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapia
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
piu lieta assai che di ventura mia.
E perche tu non creda ch'io t'inganni,
odi s'i' fui, com' io ti dico, folle,
gia discendendo l'arco d'i miei anni.
Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co' loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.
Rotti fuor quivi e volti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto ch'io volsi in su l'ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai piu non ti temo! ",
come fe 'l merlo per poca bonaccia.
Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,
se cio non fosse, ch'a memoria m'ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.
Ma tu chi se', che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
si com' io credo, e spirando ragioni? >>.
<<Li occhi>>, diss' io, <<mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, che poca e l'offesa
fatta per esser con invidia volti.
Troppa e piu la paura ond' e sospesa
l'anima mia del tormento di sotto,
che gia lo 'ncarco di la giu mi pesa>>.
Ed ella a me: <<Chi t'ha dunque condotto
qua su tra noi, se giu ritornar credi? >>.
E io: <<Costui ch'e meco e non fa motto.
E vivo sono; e pero mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuo' ch'i' mova
di la per te ancor li mortai piedi>>.
<<Oh, questa e a udir si cosa nuova>>,
rispuose, <<che gran segno e che Dio t'ami;
pero col priego tuo talor mi giova.
E cheggioti, per quel che tu piu brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
piu di speranza ch'a trovar la Diana;
ma piu vi perderanno li ammiragli>>.
Purgatorio ? Canto XIV
<<Chi e costui che 'l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia? >>.
<<Non so chi sia, ma so ch'e' non e solo;
domandal tu che piu li t'avvicini,
e dolcemente, si che parli, acco'lo>>.
Cosi due spirti, l'uno a l'altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini;
e disse l'uno: <<O anima che fitta
nel corpo ancora inver' lo ciel ten vai,
per carita ne consola e ne ditta
onde vieni e chi se'; che tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu piu mai>>.
E io: <<Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia.
Di sovr' esso rech' io questa persona:
dirvi ch'i' sia, saria parlare indarno,
che 'l nome mio ancor molto non suona>>.
<<Se ben lo 'ntendimento tuo accarno
con lo 'ntelletto>>, allora mi rispuose
quei che diceva pria, <<tu parli d'Arno>>.
E l'altro disse lui: <<Perche nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com' om fa de l'orribili cose? >>.
E l'ombra che di cio domandata era,
si sdebito cosi: <<Non so; ma degno
ben e che 'l nome di tal valle pera;
che dal principio suo, ov' e si pregno
l'alpestro monte ond' e tronco Peloro,
che 'n pochi luoghi passa oltra quel segno,
infin la 've si rende per ristoro
di quel che 'l ciel de la marina asciuga,
ond' hanno i fiumi cio che va con loro,
vertu cosi per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:
ond' hanno si mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.
Tra brutti porci, piu degni di galle
che d'altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi piu che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso.
Vassi caggendo; e quant' ella piu 'ngrossa,
tanto piu trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa.
Discesa poi per piu pelaghi cupi,
trova le volpi si piene di froda,
che non temono ingegno che le occupi.
Ne lascero di dir perch' altri m'oda;
e buon sara costui, s'ancor s'ammenta
di cio che vero spirto mi disnoda.
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e se di pregio priva.
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva>>.
Com' a l'annunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui ch'ascolta,
da qual che parte il periglio l'assanni,
cosi vid' io l'altr' anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi ch'ebbe la parola a se raccolta.
Lo dir de l'una e de l'altra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista;
per che lo spirto che di pria parlomi
ricomincio: <<Tu vuo' ch'io mi deduca
nel fare a te cio che tu far non vuo'mi.
Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti saro scarso;
pero sappi ch'io fui Guido del Duca.
Fu il sangue mio d'invidia si riarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m'avresti di livore sparso.
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perche poni 'l core
la 'v' e mestier di consorte divieto?
Questi e Rinier; questi e 'l pregio e l'onore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto s'e reda poi del suo valore.
E non pur lo suo sangue e fatto brullo,
tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo;
che dentro a questi termini e ripieno
di venenosi sterpi, si che tardi
per coltivare omai verrebber meno.
Ov' e 'l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi!
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna?
Non ti maravigliar s'io piango, Tosco,
quando rimembro, con Guido da Prata,
Ugolin d'Azzo che vivette nosco,
Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e l'una gente e l'altra e diretata),
le donne e ' cavalier, li affanni e li agi
che ne 'nvogliava amore e cortesia
la dove i cuor son fatti si malvagi.
O Bretinoro, che non fuggi via,
poi che gita se n'e la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti piu s'impiglia.
Ben faranno i Pagan, da che 'l demonio
lor sen gira; ma non pero che puro
gia mai rimagna d'essi testimonio.
O Ugolin de' Fantolin, sicuro
e 'l nome tuo, da che piu non s'aspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro.
Ma va via, Tosco, omai; ch'or mi diletta
troppo di pianger piu che di parlare,
si m'ha nostra ragion la mente stretta>>.
Noi sapavam che quell' anime care
ci sentivano andar; pero, tacendo,
facean noi del cammin confidare.
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando l'aere fende,
voce che giunse di contra dicendo:
'Anciderammi qualunque m'apprende';
e fuggi come tuon che si dilegua,
se subito la nuvola scoscende.
Come da lei l'udir nostro ebbe triegua,
ed ecco l'altra con si gran fracasso,
che somiglio tonar che tosto segua:
<<Io sono Aglauro che divenni sasso>>;
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci, e non innanzi, il passo.
Gia era l'aura d'ogne parte queta;
ed el mi disse: <<Quel fu 'l duro camo
che dovria l'uom tener dentro a sua meta.
Ma voi prendete l'esca, si che l'amo
de l'antico avversaro a se vi tira;
e pero poco val freno o richiamo.
Chiamavi 'l cielo e 'ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e l'occhio vostro pur a terra mira;
onde vi batte chi tutto discerne>>.
Purgatorio ? Canto XV
Quanto tra l'ultimar de l'ora terza
e 'l principio del di par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza,
tanto pareva gia inver' la sera
essere al sol del suo corso rimaso;
vespero la, e qui mezza notte era.
E i raggi ne ferien per mezzo 'l naso,
perche per noi girato era si 'l monte,
che gia dritti andavamo inver' l'occaso,
quand' io senti' a me gravar la fronte
a lo splendore assai piu che di prima,
e stupor m'eran le cose non conte;
ond' io levai le mani inver' la cima
de le mie ciglia, e fecimi 'l solecchio,
che del soverchio visibile lima.
Come quando da l'acqua o da lo specchio
salta lo raggio a l'opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader de la pietra in igual tratta,
si come mostra esperienza e arte;
cosi mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me esser percosso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta.
<<Che e quel, dolce padre, a che non posso
schermar lo viso tanto che mi vaglia>>,
diss' io, <<e pare inver' noi esser mosso? >>.
<<Non ti maravigliar s'ancor t'abbaglia
la famiglia del cielo>>, a me rispuose:
<<messo e che viene ad invitar ch'om saglia.
Tosto sara ch'a veder queste cose
non ti fia grave, ma fieti diletto
quanto natura a sentir ti dispuose>>.
Poi giunti fummo a l'angel benedetto,
con lieta voce disse: <<Intrate quinci
ad un scaleo vie men che li altri eretto>>.
Noi montavam, gia partiti di linci,
e 'Beati misericordes! ' fue
cantato retro, e 'Godi tu che vinci! '.
Lo mio maestro e io soli amendue
suso andavamo; e io pensai, andando,
prode acquistar ne le parole sue;
e dirizza'mi a lui si dimandando:
<<Che volse dir lo spirto di Romagna,
e 'divieto' e 'consorte' menzionando? >>.
Per ch'elli a me: <<Di sua maggior magagna
conosce il danno; e pero non s'ammiri
se ne riprende perche men si piagna.
Perche s'appuntano i vostri disiri
dove per compagnia parte si scema,
invidia move il mantaco a' sospiri.
Ma se l'amor de la spera supprema
torcesse in suso il disiderio vostro,
non vi sarebbe al petto quella tema;
che, per quanti si dice piu li 'nostro',
tanto possiede piu di ben ciascuno,
e piu di caritate arde in quel chiostro>>.
<<Io son d'esser contento piu digiuno>>,
diss' io, <<che se mi fosse pria taciuto,
e piu di dubbio ne la mente aduno.
Com' esser puote ch'un ben, distributo
in piu posseditor, faccia piu ricchi
di se che se da pochi e posseduto? >>.
Ed elli a me: <<Pero che tu rificchi
la mente pur a le cose terrene,
di vera luce tenebre dispicchi.
Quello infinito e ineffabil bene
che la su e, cosi corre ad amore
com' a lucido corpo raggio vene.
Tanto si da quanto trova d'ardore;
si che, quantunque carita si stende,
cresce sovr' essa l'etterno valore.
E quanta gente piu la su s'intende,
piu v'e da bene amare, e piu vi s'ama,
e come specchio l'uno a l'altro rende.
E se la mia ragion non ti disfama,
vedrai Beatrice, ed ella pienamente
ti torra questa e ciascun' altra brama.
Procaccia pur che tosto sieno spente,
come son gia le due, le cinque piaghe,
che si richiudon per esser dolente>>.
Com' io voleva dicer 'Tu m'appaghe',
vidimi giunto in su l'altro girone,
si che tacer mi fer le luci vaghe.
Ivi mi parve in una visione
estatica di subito esser tratto,
e vedere in un tempio piu persone;
e una donna, in su l'entrar, con atto
dolce di madre dicer: <<Figliuol mio,
perche hai tu cosi verso noi fatto?
Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
ti cercavamo>>. E come qui si tacque,
cio che pareva prima, dispario.
Indi m'apparve un'altra con quell' acque
giu per le gote che 'l dolor distilla
quando di gran dispetto in altrui nacque,
e dir: <<Se tu se' sire de la villa
del cui nome ne' dei fu tanta lite,
e onde ogne scienza disfavilla,
vendica te di quelle braccia ardite
ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato>>.
E 'l segnor mi parea, benigno e mite,
risponder lei con viso temperato:
<<Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama e per noi condannato? >>,
Poi vidi genti accese in foco d'ira
con pietre un giovinetto ancider, forte
gridando a se pur: <<Martira, martira! >>.
E lui vedea chinarsi, per la morte
che l'aggravava gia, inver' la terra,
ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
orando a l'alto Sire, in tanta guerra,
che perdonasse a' suoi persecutori,
con quello aspetto che pieta diserra.
Quando l'anima mia torno di fori
a le cose che son fuor di lei vere,
io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, che mi potea vedere
far si com' om che dal sonno si slega,
disse: <<Che hai che non ti puoi tenere,
ma se' venuto piu che mezza lega
velando li occhi e con le gambe avvolte,
a guisa di cui vino o sonno piega? >>.
<<O dolce padre mio, se tu m'ascolte,
io ti diro>>, diss' io, <<cio che m'apparve
quando le gambe mi furon si tolte>>.
Ed ei: <<Se tu avessi cento larve
sovra la faccia, non mi sarian chiuse
le tue cogitazion, quantunque parve.
Cio che vedesti fu perche non scuse
d'aprir lo core a l'acque de la pace
che da l'etterno fonte son diffuse.
Non dimandai "Che hai? " per quel che face
chi guarda pur con l'occhio che non vede,
quando disanimato il corpo giace;
ma dimandai per darti forza al piede:
cosi frugar conviensi i pigri, lenti
ad usar lor vigilia quando riede>>.
Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi serotini e lucenti.
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
ne da quello era loco da cansarsi.
Questo ne tolse li occhi e l'aere puro.
Purgatorio ? Canto XVI
Buio d'inferno e di notte privata
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant' esser puo di nuvol tenebrata,
non fece al viso mio si grosso velo
come quel fummo ch'ivi ci coperse,
ne a sentir di cosi aspro pelo,
che l'occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s'accosto e l'omero m'offerse.
Si come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che 'l molesti, o forse ancida,
m'andava io per l'aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: <<Guarda che da me tu non sia mozzo>>.
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
l'Agnel di Dio che le peccata leva.
Pur 'Agnus Dei' eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
si che parea tra esse ogne concordia.
<<Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo? >>,
diss' io. Ed elli a me: <<Tu vero apprendi,
e d'iracundia van solvendo il nodo>>.
<<Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi? >>.
Cosi per una voce detto fue;
onde 'l maestro mio disse: <<Rispondi,
e domanda se quinci si va sue>>.
E io: <<O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
maraviglia udirai, se mi secondi>>.
<<Io ti seguitero quanto mi lece>>,
rispuose; <<e se veder fummo non lascia,
l'udir ci terra giunti in quella vece>>.
Allora incominciai: <<Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l'infernale ambascia.
E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso,
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte>>.
<<Lombardo fui, e fu' chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l'arco.
Per montar su dirittamente vai>>.
Cosi rispuose, e soggiunse: <<I' ti prego
che per me prieghi quando su sarai>>.
E io a lui: <<Per fede mi ti lego
di far cio che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.
Prima era scempio, e ora e fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov' io l'accoppio.
Lo mondo e ben cosi tutto diserto
d'ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;
ma priego che m'addite la cagione,
si ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui;
che nel cielo uno, e un qua giu la pone>>.
Alto sospir, che duolo strinse in <<uhi! >>,
mise fuor prima; e poi comincio: <<Frate,
lo mondo e cieco, e tu vien ben da lui.
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Se cosi fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica,
lume v'e dato a bene e a malizia,
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.
Pero, se 'l mondo presente disvia,
in voi e la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne saro or vera spia.
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,
l'anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a cio che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver, che discernesse
de la vera cittade almen la torre.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, pero che 'l pastor che procede,
rugumar puo, ma non ha l'unghie fesse;
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond' ella e ghiotta,
di quel si pasce, e piu oltre non chiede.
Ben puoi veder che la mala condotta
e la cagion che 'l mondo ha fatto reo,
e non natura che 'n voi sia corrotta.
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed e giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
pero che, giunti, l'un l'altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch'ogn' erba si conosce per lo seme.
In sul paese ch'Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
prima che Federigo avesse briga;
or puo sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna
di ragionar coi buoni o d'appressarsi.
Ben v'en tre vecchi ancora in cui rampogna
l'antica eta la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna:
Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo.
Di oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in se due reggimenti,
cade nel fango, e se brutta e la soma>>.
<<O Marco mio>>, diss' io, <<bene argomenti;
e or discerno perche dal retaggio
li figli di Levi furono essenti.
Ma qual Gherardo e quel che tu per saggio
di' ch'e rimaso de la gente spenta,
in rimprovero del secol selvaggio? >>.
<<O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta>>,
rispuose a me; <<che, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io nol conosco,
s'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, che piu non vegno vosco.
Vedi l'albor che per lo fummo raia
gia biancheggiare, e me convien partirmi
(l'angelo e ivi) prima ch'io li paia>>.
Cosi torno, e piu non volle udirmi.
Purgatorio ? Canto XVII
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com' io rividi
lo sole in pria, che gia nel corcar era.
Si, pareggiando i miei co' passi fidi
del mio maestro, usci' fuor di tal nube
ai raggi morti gia ne' bassi lidi.
O imaginativa che ne rube
talvolta si di fuor, ch'om non s'accorge
perche dintorno suonin mille tube,
chi move te, se 'l senso non ti porge?
Moveti lume che nel ciel s'informa,
per se o per voler che giu lo scorge.
De l'empiezza di lei che muto forma
ne l'uccel ch'a cantar piu si diletta,
ne l'imagine mia apparve l'orma;
e qui fu la mia mente si ristretta
dentro da se, che di fuor non venia
cosa che fosse allor da lei ricetta.
Poi piovve dentro a l'alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria;
intorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa e 'l giusto Mardoceo,
che fu al dire e al far cosi intero.
E come questa imagine rompeo
se per se stessa, a guisa d'una bulla
cui manca l'acqua sotto qual si feo,
surse in mia visione una fanciulla
piangendo forte, e dicea: <<O regina,
perche per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina;
or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina>>.
Come si frange il sonno ove di butto
nova luce percuote il viso chiuso,
che fratto guizza pria che muoia tutto;
cosi l'imaginar mio cadde giuso
tosto che lume il volto mi percosse,
maggior assai che quel ch'e in nostro uso.
I' mi volgea per veder ov' io fosse,
quando una voce disse <<Qui si monta>>,
che da ogne altro intento mi rimosse;
e fece la mia voglia tanto pronta
di riguardar chi era che parlava,
che mai non posa, se non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava
e per soverchio sua figura vela,
cosi la mia virtu quivi mancava.
<<Questo e divino spirito, che ne la
via da ir su ne drizza sanza prego,
e col suo lume se medesmo cela.
Si fa con noi, come l'uom si fa sego;
che quale aspetta prego e l'uopo vede,
malignamente gia si mette al nego.
Or accordiamo a tanto invito il piede;
procacciam di salir pria che s'abbui,
che poi non si poria, se 'l di non riede>>.
Cosi disse il mio duca, e io con lui
volgemmo i nostri passi ad una scala;
e tosto ch'io al primo grado fui,
senti'mi presso quasi un muover d'ala
e ventarmi nel viso e dir: 'Beati
pacifici, che son sanz' ira mala! '.
Gia eran sovra noi tanto levati
li ultimi raggi che la notte segue,
che le stelle apparivan da piu lati.
'O virtu mia, perche si ti dilegue? ',
fra me stesso dicea, che mi sentiva
la possa de le gambe posta in triegue.
Noi eravam dove piu non saliva
la scala su, ed eravamo affissi,
pur come nave ch'a la piaggia arriva.
E io attesi un poco, s'io udissi
alcuna cosa nel novo girone;
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
<<Dolce mio padre, di, quale offensione
si purga qui nel giro dove semo?
Se i pie si stanno, non stea tuo sermone>>.
Ed elli a me: <<L'amor del bene, scemo
del suo dover, quiritta si ristora;
qui si ribatte il mal tardato remo.
Ma perche piu aperto intendi ancora,
volgi la mente a me, e prenderai
alcun buon frutto di nostra dimora>>.
<<Ne creator ne creatura mai>>,
comincio el, <<figliuol, fu sanza amore,
o naturale o d'animo; e tu 'l sai.
Lo naturale e sempre sanza errore,
ma l'altro puote errar per malo obietto
o per troppo o per poco di vigore.
Mentre ch'elli e nel primo ben diretto,
e ne' secondi se stesso misura,
esser non puo cagion di mal diletto;
ma quando al mal si torce, o con piu cura
o con men che non dee corre nel bene,
contra 'l fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch'esser convene
amor sementa in voi d'ogne virtute
e d'ogne operazion che merta pene.
Or, perche mai non puo da la salute
amor del suo subietto volger viso,
da l'odio proprio son le cose tute;
e perche intender non si puo diviso,
e per se stante, alcuno esser dal primo,
da quello odiare ogne effetto e deciso.
Resta, se dividendo bene stimo,
che 'l mal che s'ama e del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
E chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch'el sia di sua grandezza in basso messo;
e chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch' altri sormonti,
onde s'attrista si che 'l contrario ama;
ed e chi per ingiuria par ch'aonti,
si che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che 'l male altrui impronti.
Questo triforme amor qua giu di sotto
si piange: or vo' che tu de l'altro intende,
che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore a lui veder vi tira
o a lui acquistar, questa cornice,
dopo giusto penter, ve ne martira.
Altro ben e che non fa l'uom felice;
non e felicita, non e la buona
essenza, d'ogne ben frutto e radice.
L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona,
di sovr' a noi si piange per tre cerchi;
ma come tripartito si ragiona,
tacciolo, accio che tu per te ne cerchi>>.
Purgatorio ? Canto XVIII
Posto avea fine al suo ragionamento
l'alto dottore, e attento guardava
ne la mia vista s'io parea contento;
e io, cui nova sete ancor frugava,
di fuor tacea, e dentro dicea: 'Forse
lo troppo dimandar ch'io fo li grava'.
Ma quel padre verace, che s'accorse
del timido voler che non s'apriva,
parlando, di parlare ardir mi porse.
Ond' io: <<Maestro, il mio veder s'avviva
si nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
quanto la tua ragion parta o descriva.
Pero ti prego, dolce padre caro,
che mi dimostri amore, a cui reduci
ogne buono operare e 'l suo contraro>>.
<<Drizza>>, disse, <<ver' me l'agute luci
de lo 'ntelletto, e fieti manifesto
l'error de' ciechi che si fanno duci.
L'animo, ch'e creato ad amar presto,
ad ogne cosa e mobile che piace,
tosto che dal piacere in atto e desto.
Vostra apprensiva da esser verace
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
si che l'animo ad essa volger face;
e se, rivolto, inver' di lei si piega,
quel piegare e amor, quell' e natura
che per piacer di novo in voi si lega.
Poi, come 'l foco movesi in altura
per la sua forma ch'e nata a salire
la dove piu in sua matera dura,
cosi l'animo preso entra in disire,
ch'e moto spiritale, e mai non posa
fin che la cosa amata il fa gioire.
Or ti puote apparer quant' e nascosa
la veritate a la gente ch'avvera
ciascun amore in se laudabil cosa;
pero che forse appar la sua matera
sempre esser buona, ma non ciascun segno
e buono, ancor che buona sia la cera>>.
<<Le tue parole e 'l mio seguace ingegno>>,
rispuos' io lui, <<m'hanno amor discoverto,
ma cio m'ha fatto di dubbiar piu pregno;
che, s'amore e di fuori a noi offerto
e l'anima non va con altro piede,
se dritta o torta va, non e suo merto>>.
Ed elli a me: <<Quanto ragion qui vede,
dir ti poss' io; da indi in la t'aspetta
pur a Beatrice, ch'e opra di fede.
Ogne forma sustanzial, che setta
e da matera ed e con lei unita,
specifica vertute ha in se colletta,
la qual sanza operar non e sentita,
ne si dimostra mai che per effetto,
come per verdi fronde in pianta vita.
Pero, la onde vegna lo 'ntelletto
de le prime notizie, omo non sape,
e de' primi appetibili l'affetto,
che sono in voi si come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
merto di lode o di biasmo non cape.
Or perche a questa ogn' altra si raccoglia,
innata v'e la virtu che consiglia,
e de l'assenso de' tener la soglia.
Quest' e 'l principio la onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andaro al fondo,
s'accorser d'esta innata libertate;
pero moralita lasciaro al mondo.
Onde, poniam che di necessitate
surga ogne amor che dentro a voi s'accende,
di ritenerlo e in voi la podestate.
La nobile virtu Beatrice intende
per lo libero arbitrio, e pero guarda
che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende>>.
La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer piu rade,
fatta com' un secchion che tuttor arda;
e correa contro 'l ciel per quelle strade
che 'l sole infiamma allor che quel da Roma
tra ' Sardi e ' Corsi il vede quando cade.
E quell' ombra gentil per cui si noma
Pietola piu che villa mantoana,
del mio carcar diposta avea la soma;
per ch'io, che la ragione aperta e piana
sovra le mie quistioni avea ricolta,
stava com' om che sonnolento vana.
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
subitamente da gente che dopo
le nostre spalle a noi era gia volta.
E quale Ismeno gia vide e Asopo
lungo di se di notte furia e calca,
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
cotal per quel giron suo passo falca,
per quel ch'io vidi di color, venendo,
cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto fur sovr' a noi, perche correndo
si movea tutta quella turba magna;
e due dinanzi gridavan piangendo:
<<Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
punse Marsilia e poi corse in Ispagna>>.
<<Ratto, ratto, che 'l tempo non si perda
per poco amor>>, gridavan li altri appresso,
<<che studio di ben far grazia rinverda>>.
<<O gente in cui fervore aguto adesso
ricompie forse negligenza e indugio
da voi per tepidezza in ben far messo,
questi che vive, e certo i' non vi bugio,
vuole andar su, pur che 'l sol ne riluca;
pero ne dite ond' e presso il pertugio>>.
Parole furon queste del mio duca;
e un di quelli spirti disse: <<Vieni
di retro a noi, e troverai la buca.
Noi siam di voglia a muoverci si pieni,
che restar non potem; pero perdona,
se villania nostra giustizia tieni.
Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona.
E tale ha gia l'un pie dentro la fossa,
che tosto piangera quel monastero,
e tristo fia d'avere avuta possa;
perche suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
ha posto in loco di suo pastor vero>>.
Io non so se piu disse o s'ei si tacque,
tant' era gia di la da noi trascorso;
ma questo intesi, e ritener mi piacque.
E quei che m'era ad ogne uopo soccorso
disse: <<Volgiti qua: vedine due
venir dando a l'accidia di morso>>.
Di retro a tutti dicean: <<Prima fue
morta la gente a cui il mar s'aperse,
che vedesse Iordan le rede sue.
E quella che l'affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d'Anchise,
se stessa a vita sanza gloria offerse>>.
Poi quando fuor da noi tanto divise
quell' ombre, che veder piu non potiersi,
novo pensiero dentro a me si mise,
del qual piu altri nacquero e diversi;
e tanto d'uno in altro vaneggiai,
che li occhi per vaghezza ricopersi,
e 'l pensamento in sogno trasmutai.
Purgatorio ? Canto XIX
Ne l'ora che non puo 'l calor diurno
intepidar piu 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno
--quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in oriente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna--,
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i pie distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e come 'l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
cosi lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
com' amor vuol, cosi le colorava.
Poi ch'ell' avea 'l parlar cosi disciolto,
cominciava a cantar si, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto.
<<Io son>>, cantava, <<io son dolce serena,
che ' marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s'ausa,
rado sen parte; si tutto l'appago! >>.
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand' una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa.
<<O Virgilio, Virgilio, chi e questa? >>,
fieramente dicea; ed el venia
con li occhi fitti pur in quella onesta.
L'altra prendea, e dinanzi l'apria
fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
quel mi sveglio col puzzo che n'uscia.
Io mossi li occhi, e 'l buon maestro: <<Almen tre
voci t'ho messe! >>, dicea, <<Surgi e vieni;
troviam l'aperta per la qual tu entre>>.
Su mi levai, e tutti eran gia pieni
de l'alto di i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni.
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l'ha di pensier carca,
che fa di se un mezzo arco di ponte;
quand' io udi' <<Venite; qui si varca>>
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca.
Con l'ali aperte, che parean di cigno,
volseci in su colui che si parlonne
tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
'Qui lugent' affermando esser beati,
ch'avran di consolar l'anime donne.
<<Che hai che pur inver' la terra guati? >>,
la guida mia incomincio a dirmi,
poco amendue da l'angel sormontati.
E io: <<Con tanta sospeccion fa irmi
novella vision ch'a se mi piega,
si ch'io non posso dal pensar partirmi>>.
<<Vedesti>>, disse, <<quell'antica strega
che sola sovr' a noi omai si piagne;
vedesti come l'uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne>>.
Quale 'l falcon, che prima a' pie si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che la il tira,
tal mi fec' io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n'andai infin dove 'l cerchiar si prende.
Com' io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso.
'Adhaesit pavimento anima mea'
sentia dir lor con si alti sospiri,
che la parola a pena s'intendea.
<<O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri>>.
<<Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via piu tosto,
le vostre destre sien sempre di fori>>.
Cosi prego 'l poeta, e si risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
nel parlare avvisai l'altro nascosto,
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond' elli m'assenti con lieto cenno
cio che chiedea la vista del disio.
Poi ch'io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno,
dicendo: <<Spirto in cui pianger matura
quel sanza 'l quale a Dio tornar non possi,
sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e perche volti avete i dossi
al su, mi di, e se vuo' ch'io t'impetri
cosa di la ond' io vivendo mossi>>.
Ed elli a me: <<Perche i nostri diretri
rivolga il cielo a se, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri.
Intra Siestri e Chiaveri s'adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco piu prova' io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversione, ome! , fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
cosi scopersi la vita bugiarda.
