L'altra
dubitazion
che ti commove
ha men velen, pero che sua malizia
non ti poria menar da me altrove.
ha men velen, pero che sua malizia
non ti poria menar da me altrove.
Dante - La Divina Commedia
<<Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi>>,
era la sua canzone, <<al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti!
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, si che discerna
la seconda bellezza che tu cele>>.
O isplendor di viva luce etterna,
chi palido si fece sotto l'ombra
si di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
la dove armonizzando il ciel t'adombra,
quando ne l'aere aperto ti solvesti?
Purgatorio ? Canto XXXII
Tant' eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m'eran tutti spenti.
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non caler--cosi lo santo riso
a se traeli con l'antica rete! --;
quando per forza mi fu volto il viso
ver' la sinistra mia da quelle dee,
perch' io udi' da loro un <<Troppo fiso! >>;
e la disposizion ch'a veder ee
ne li occhi pur teste dal sol percossi,
sanza la vista alquanto esser mi fee.
Ma poi ch'al poco il viso riformossi
(e dico 'al poco' per rispetto al molto
sensibile onde a forza mi rimossi),
vidi 'n sul braccio destro esser rivolto
lo glorioso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto li scudi per salvarsi
volgesi schiera, e se gira col segno,
prima che possa tutta in se mutarsi;
quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi a le rote si tornar le donne,
e 'l grifon mosse il benedetto carco
si, che pero nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
che fe l'orbita sua con minore arco.
Si passeggiando l'alta selva vota,
colpa di quella ch'al serpente crese,
temprava i passi un'angelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
rimossi, quando Beatrice scese.
Io senti' mormorare a tutti <<Adamo>>;
poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e d'altra fronda in ciascun ramo.
La coma sua, che tanto si dilata
piu quanto piu e su, fora da l'Indi
ne' boschi lor per altezza ammirata.
<<Beato se', grifon, che non discindi
col becco d'esto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindi>>.
Cosi dintorno a l'albero robusto
gridaron li altri; e l'animal binato:
<<Si si conserva il seme d'ogne giusto>>.
E volto al temo ch'elli avea tirato,
trasselo al pie de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lascio legato.
Come le nostre piante, quando casca
giu la gran luce mischiata con quella
che raggia dietro a la celeste lasca,
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che 'l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella;
men che di rose e piu che di viole
colore aprendo, s'innovo la pianta,
che prima avea le ramora si sole.
Io non lo 'ntesi, ne qui non si canta
l'inno che quella gente allor cantaro,
ne la nota soffersi tutta quanta.
S'io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
li occhi a cui pur vegghiar costo si caro;
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com' io m'addormentai;
ma qual vuol sia che l'assonnar ben finga.
Pero trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch'un splendor mi squarcio 'l velo
del sonno, e un chiamar: <<Surgi: che fai? >>.
Quali a veder de' fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
e perpetue nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
da la qual furon maggior sonni rotti,
e videro scemata loro scuola
cosi di Moise come d'Elia,
e al maestro suo cangiata stola;
tal torna' io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de' miei passi lungo 'l fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: <<Ov' e Beatrice? >>.
Ond' ella: <<Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice.
Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo 'l grifon sen vanno suso
con piu dolce canzone e piu profonda>>.
E se piu fu lo suo parlar diffuso,
non so, pero che gia ne li occhi m'era
quella ch'ad altro intender m'avea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
come guardia lasciata li del plaustro
che legar vidi a la biforme fera.
In cerchio le facevan di se claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri d'Aquilone e d'Austro.
<<Qui sarai tu poco tempo silvano;
e sarai meco sanza fine cive
di quella Roma onde Cristo e romano.
Pero, in pro del mondo che mal vive,
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
ritornato di la, fa che tu scrive>>.
Cosi Beatrice; e io, che tutto ai piedi
d'i suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov' ella volle diedi.
Non scese mai con si veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che piu va remoto,
com' io vidi calar l'uccel di Giove
per l'alber giu, rompendo de la scorza,
non che d'i fiori e de le foglie nove;
e feri 'l carro di tutta sua forza;
ond' el piego come nave in fortuna,
vinta da l'onda, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del triunfal veiculo una volpe
che d'ogne pasto buon parea digiuna;
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser l'ossa sanza polpe.
Poscia per indi ond' era pria venuta,
l'aguglia vidi scender giu ne l'arca
del carro e lasciar lei di se pennuta;
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce usci del cielo e cotal disse:
<<O navicella mia, com' mal se' carca! >>.
Poi parve a me che la terra s'aprisse
tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro su la coda fisse;
e come vespa che ritragge l'ago,
a se traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.
Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna,
si ricoperse, e funne ricoperta
e l'una e l'altra rota e 'l temo, in tanto
che piu tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato cosi 'l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra 'l temo e una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
simile mostro visto ancor non fue.
Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
m'apparve con le ciglia intorno pronte;
e come perche non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
e basciavansi insieme alcuna volta.
Ma perche l'occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagello dal capo infin le piante;
poi, di sospetto pieno e d'ira crudo,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo
a la puttana e a la nova belva.
Purgatorio ? Canto XXXIII
'Deus, venerunt gentes', alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
le donne incominciaro, e lagrimando;
e Beatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava si fatta, che poco
piu a la croce si cambio Maria.
Ma poi che l'altre vergini dier loco
a lei di dir, levata dritta in pe,
rispuose, colorata come foco:
'Modicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis me'.
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
e dopo se, solo accennando, mosse
me e la donna e 'l savio che ristette.
Cosi sen giva; e non credo che fosse
lo decimo suo passo in terra posto,
quando con li occhi li occhi mi percosse;
e con tranquillo aspetto <<Vien piu tosto>>,
mi disse, <<tanto che, s'io parlo teco,
ad ascoltarmi tu sie ben disposto>>.
Si com' io fui, com' io dovea, seco,
dissemi: <<Frate, perche non t'attenti
a domandarmi omai venendo meco? >>.
Come a color che troppo reverenti
dinanzi a suo maggior parlando sono,
che non traggon la voce viva ai denti,
avvenne a me, che sanza intero suono
incominciai: <<Madonna, mia bisogna
voi conoscete, e cio ch'ad essa e buono>>.
Ed ella a me: <<Da tema e da vergogna
voglio che tu omai ti disviluppe,
si che non parli piu com' om che sogna.
Sappi che 'l vaso che 'l serpente ruppe,
fu e non e; ma chi n'ha colpa, creda
che vendetta di Dio non teme suppe.
Non sara tutto tempo sanza reda
l'aguglia che lascio le penne al carro,
per che divenne mostro e poscia preda;
ch'io veggio certamente, e pero il narro,
a darne tempo gia stelle propinque,
secure d'ogn' intoppo e d'ogne sbarro,
nel quale un cinquecento diece e cinque,
messo di Dio, ancidera la fuia
con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buia,
qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
perch' a lor modo lo 'ntelletto attuia;
ma tosto fier li fatti le Naiade,
che solveranno questo enigma forte
sanza danno di pecore o di biade.
Tu nota; e si come da me son porte,
cosi queste parole segna a' vivi
del viver ch'e un correre a la morte.
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta
ch'e or due volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella o quella schianta,
con bestemmia di fatto offende a Dio,
che solo a l'uso suo la creo santa.
Per morder quella, in pena e in disio
cinquemilia anni e piu l'anima prima
bramo colui che 'l morso in se punio.
Dorme lo 'ngegno tuo, se non estima
per singular cagione esser eccelsa
lei tanto e si travolta ne la cima.
E se stati non fossero acqua d'Elsa
li pensier vani intorno a la tua mente,
e 'l piacer loro un Piramo a la gelsa,
per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne l'interdetto,
conosceresti a l'arbor moralmente.
Ma perch' io veggio te ne lo 'ntelletto
fatto di pietra e, impetrato, tinto,
si che t'abbaglia il lume del mio detto,
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
che 'l te ne porti dentro a te per quello
che si reca il bordon di palma cinto>>.
E io: <<Si come cera da suggello,
che la figura impressa non trasmuta,
segnato e or da voi lo mio cervello.
Ma perche tanto sovra mia veduta
vostra parola disiata vola,
che piu la perde quanto piu s'aiuta? >>.
<<Perche conoschi>>, disse, <<quella scuola
c'hai seguitata, e veggi sua dottrina
come puo seguitar la mia parola;
e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda
da terra il ciel che piu alto festina>>.
Ond' io rispuosi lei: <<Non mi ricorda
ch'i' straniasse me gia mai da voi,
ne honne coscienza che rimorda>>.
<<E se tu ricordar non te ne puoi>>,
sorridendo rispuose, <<or ti rammenta
come bevesti di Lete ancoi;
e se dal fummo foco s'argomenta,
cotesta oblivion chiaro conchiude
colpa ne la tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude
le mie parole, quanto converrassi
quelle scovrire a la tua vista rude>>.
E piu corusco e con piu lenti passi
teneva il sole il cerchio di merigge,
che qua e la, come li aspetti, fassi,
quando s'affisser, si come s'affigge
chi va dinanzi a gente per iscorta
se trova novitate o sue vestigge,
le sette donne al fin d'un'ombra smorta,
qual sotto foglie verdi e rami nigri
sovra suoi freddi rivi l'alpe porta.
Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
veder mi parve uscir d'una fontana,
e, quasi amici, dipartirsi pigri.
<<O luce, o gloria de la gente umana,
che acqua e questa che qui si dispiega
da un principio e se da se lontana? >>.
Per cotal priego detto mi fu: <<Priega
Matelda che 'l ti dica>>. E qui rispuose,
come fa chi da colpa si dislega,
la bella donna: <<Questo e altre cose
dette li son per me; e son sicura
che l'acqua di Lete non gliel nascose>>.
E Beatrice: <<Forse maggior cura,
che spesse volte la memoria priva,
fatt' ha la mente sua ne li occhi oscura.
Ma vedi Eunoe che la diriva:
menalo ad esso, e come tu se' usa,
la tramortita sua virtu ravviva>>.
Come anima gentil, che non fa scusa,
ma fa sua voglia de la voglia altrui
tosto che e per segno fuor dischiusa;
cosi, poi che da essa preso fui,
la bella donna mossesi, e a Stazio
donnescamente disse: <<Vien con lui>>.
S'io avessi, lettor, piu lungo spazio
da scrivere, i' pur cantere' in parte
lo dolce ber che mai non m'avria sazio;
ma perche piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia piu ir lo fren de l'arte.
Io ritornai da la santissima onda
rifatto si come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle.
PARADISO
Paradiso ? Canto I
La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte piu e meno altrove.
Nel ciel che piu de la sua luce prende
fu' io, e vidi cose che ridire
ne sa ne puo chi di la su discende;
perche appressando se al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non puo ire.
Veramente quant' io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sara ora materia del mio canto.
O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
fammi del tuo valor si fatto vaso,
come dimandi a dar l'amato alloro.
Infino a qui l'un giogo di Parnaso
assai mi fu; ma or con amendue
m'e uopo intrar ne l'aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
si come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue.
O divina virtu, se mi ti presti
tanto che l'ombra del beato regno
segnata nel mio capo io manifesti,
vedra'mi al pie del tuo diletto legno
venire, e coronarmi de le foglie
che la materia e tu mi farai degno.
Si rade volte, padre, se ne coglie
per triunfare o cesare o poeta,
colpa e vergogna de l'umane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
delfica deita dovria la fronda
peneia, quando alcun di se asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
forse di retro a me con miglior voci
si preghera perche Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
piu a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di la mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era la bianco
quello emisperio, e l'altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia si non li s'affisse unquanco.
E si come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
pur come pelegrin che tornar vuole,
cosi de l'atto suo, per li occhi infuso
ne l'imagine mia, il mio si fece,
e fissi li occhi al sole oltre nostr' uso.
Molto e licito la, che qui non lece
a le nostre virtu, merce del loco
fatto per proprio de l'umana spece.
Io nol soffersi molto, ne si poco,
ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
com' ferro che bogliente esce del foco;
e di subito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d'un altro sole addorno.
Beatrice tutta ne l'etterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
le luci fissi, di la su rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fe Glauco nel gustar de l'erba
che 'l fe consorto in mar de li altri dei.
Trasumanar significar per verba
non si poria; pero l'essemplo basti
a cui esperienza grazia serba.
S'i' era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che 'l ciel governi,
tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a se mi fece atteso
con l'armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso.
La novita del suono e 'l grande lume
di lor cagion m'accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.
Ond' ella, che vedea me si com' io,
a quietarmi l'animo commosso,
pria ch'io a dimandar, la bocca aprio
e comincio: <<Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, si che non vedi
cio che vedresti se l'avessi scosso.
Tu non se' in terra, si come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch'ad esso riedi>>.
S'io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo piu fu' inretito
e dissi: <<Gia contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com' io trascenda questi corpi levi>>.
Ond' ella, appresso d'un pio sospiro,
li occhi drizzo ver' me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,
e comincio: <<Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo e forma
che l'universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l'alte creature l'orma
de l'etterno valore, il qual e fine
al quale e fatta la toccata norma.
Ne l'ordine ch'io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
piu al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver' la luna;
questi ne' cor mortali e permotore;
questi la terra in se stringe e aduna;
ne pur le creature che son fore
d'intelligenza quest' arco saetta,
ma quelle c'hanno intelletto e amore.
La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
nel qual si volge quel c'ha maggior fretta;
e ora li, come a sito decreto,
cen porta la virtu di quella corda
che cio che scocca drizza in segno lieto.
Vero e che, come forma non s'accorda
molte fiate a l'intenzion de l'arte,
perch' a risponder la materia e sorda,
cosi da questo corso si diparte
talor la creatura, c'ha podere
di piegar, cosi pinta, in altra parte;
e si come veder si puo cadere
foco di nube, si l'impeto primo
l'atterra torto da falso piacere.
Non dei piu ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d'un rivo
se d'alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te se, privo
d'impedimento, giu ti fossi assiso,
com' a terra quiete in foco vivo>>.
Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
Paradiso ? Canto II
O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d'ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, che forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua ch'io prendo gia mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
e nove Muse mi dimostran l'Orse.
Voialtri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l'alto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l'acqua che ritorna equale.
Que' gloriosi che passaro al Colco
non s'ammiraron come voi farete,
quando Iason vider fatto bifolco.
La concreata e perpetua sete
del deiforme regno cen portava
veloci quasi come 'l ciel vedete.
Beatrice in suso, e io in lei guardava;
e forse in tanto in quanto un quadrel posa
e vola e da la noce si dischiava,
giunto mi vidi ove mirabil cosa
mi torse il viso a se; e pero quella
cui non potea mia cura essere ascosa,
volta ver' me, si lieta come bella,
<<Drizza la mente in Dio grata>>, mi disse,
<<che n'ha congiunti con la prima stella>>.
Parev' a me che nube ne coprisse
lucida, spessa, solida e pulita,
quasi adamante che lo sol ferisse.
Per entro se l'etterna margarita
ne ricevette, com' acqua recepe
raggio di luce permanendo unita.
S'io era corpo, e qui non si concepe
com' una dimensione altra patio,
ch'esser convien se corpo in corpo repe,
accender ne dovria piu il disio
di veder quella essenza in che si vede
come nostra natura e Dio s'unio.
Li si vedra cio che tenem per fede,
non dimostrato, ma fia per se noto
a guisa del ver primo che l'uom crede.
Io rispuosi: <<Madonna, si devoto
com' esser posso piu, ringrazio lui
lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che la giuso in terra
fan di Cain favoleggiare altrui? >>.
Ella sorrise alquanto, e poi <<S'elli erra
l'oppinion>>, mi disse, <<d'i mortali
dove chiave di senso non diserra,
certo non ti dovrien punger li strali
d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi
vedi che la ragione ha corte l'ali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi>>.
E io: <<Cio che n'appar qua su diverso
credo che fanno i corpi rari e densi>>.
Ed ella: <<Certo assai vedrai sommerso
nel falso il creder tuo, se bene ascolti
l'argomentar ch'io li faro avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
lumi, li quali e nel quale e nel quanto
notar si posson di diversi volti.
Se raro e denso cio facesser tanto,
una sola virtu sarebbe in tutti,
piu e men distributa e altrettanto.
Virtu diverse esser convegnon frutti
di principi formali, e quei, for ch'uno,
seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte
fora di sua materia si digiuno
esto pianeto, o, si come comparte
lo grasso e 'l magro un corpo, cosi questo
nel suo volume cangerebbe carte.
Se 'l primo fosse, fora manifesto
ne l'eclissi del sol, per trasparere
lo lume come in altro raro ingesto.
Questo non e: pero e da vedere
de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi,
falsificato fia lo tuo parere.
S'elli e che questo raro non trapassi,
esser conviene un termine da onde
lo suo contrario piu passar non lassi;
e indi l'altrui raggio si rifonde
cosi come color torna per vetro
lo qual di retro a se piombo nasconde.
Or dirai tu ch'el si dimostra tetro
ivi lo raggio piu che in altre parti,
per esser li refratto piu a retro.
Da questa instanza puo deliberarti
esperienza, se gia mai la provi,
ch'esser suol fonte ai rivi di vostr' arti.
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te d'un modo, e l'altro, piu rimosso,
tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
e torni a te da tutti ripercosso.
Ben che nel quanto tanto non si stenda
la vista piu lontana, li vedrai
come convien ch'igualmente risplenda.
Or, come ai colpi de li caldi rai
de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal freddo primai,
cosi rimaso te ne l'intelletto
voglio informar di luce si vivace,
che ti tremolera nel suo aspetto.
Dentro dal ciel de la divina pace
si gira un corpo ne la cui virtute
l'esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, c'ha tante vedute,
quell' esser parte per diverse essenze,
da lui distratte e da lui contenute.
Li altri giron per varie differenze
le distinzion che dentro da se hanno
dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo cosi vanno,
come tu vedi omai, di grado in grado,
che di su prendono e di sotto fanno.
Riguarda bene omai si com' io vado
per questo loco al vero che disiri,
si che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtu d'i santi giri,
come dal fabbro l'arte del martello,
da' beati motor convien che spiri;
e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello,
de la mente profonda che lui volve
prende l'image e fassene suggello.
E come l'alma dentro a vostra polve
per differenti membra e conformate
a diverse potenze si risolve,
cosi l'intelligenza sua bontate
multiplicata per le stelle spiega,
girando se sovra sua unitate.
Virtu diversa fa diversa lega
col prezioso corpo ch'ella avviva,
nel qual, si come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva,
la virtu mista per lo corpo luce
come letizia per pupilla viva.
Da essa vien cio che da luce a luce
par differente, non da denso e raro;
essa e formal principio che produce,
conforme a sua bonta, lo turbo e 'l chiaro>>.
Paradiso ? Canto III
Quel sol che pria d'amor mi scaldo 'l petto,
di bella verita m'avea scoverto,
provando e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
leva' il capo a proferer piu erto;
ma visione apparve che ritenne
a se me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non si profonde che i fondi sien persi,
tornan d'i nostri visi le postille
debili si, che perla in bianca fronte
non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid' io piu facce a parlar pronte;
per ch'io dentro a l'error contrario corsi
a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.
Subito si com' io di lor m'accorsi,
quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
<<Non ti maravigliar perch' io sorrida>>,
mi disse, <<appresso il tuo pueril coto,
poi sopra 'l vero ancor lo pie non fida,
ma te rivolve, come suole, a voto:
vere sustanze son cio che tu vedi,
qui rilegate per manco di voto.
Pero parla con esse e odi e credi;
che la verace luce che le appaga
da se non lascia lor torcer li piedi>>.
E io a l'ombra che parea piu vaga
di ragionar, drizza'mi, e cominciai,
quasi com' uom cui troppa voglia smaga:
<<O ben creato spirito, che a' rai
di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non s'intende mai,
grazioso mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte>>.
Ond' ella, pronta e con occhi ridenti:
<<La nostra carita non serra porte
a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a se tutta sua corte.
I' fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben se riguarda,
non mi ti celera l'esser piu bella,
ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera piu tarda.
Li nostri affetti, che solo infiammati
son nel piacer de lo Spirito Santo,
letizian del suo ordine formati.
E questa sorte che par giu cotanto,
pero n'e data, perche fuor negletti
li nostri voti, e voti in alcun canto>>.
Ond' io a lei: <<Ne' mirabili aspetti
vostri risplende non so che divino
che vi trasmuta da' primi concetti:
pero non fui a rimembrar festino;
ma or m'aiuta cio che tu mi dici,
si che raffigurar m'e piu latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici,
disiderate voi piu alto loco
per piu vedere e per piu farvi amici? >>.
Con quelle altr' ombre pria sorrise un poco;
da indi mi rispuose tanto lieta,
ch'arder parea d'amor nel primo foco:
<<Frate, la nostra volonta quieta
virtu di carita, che fa volerne
sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
Se disiassimo esser piu superne,
foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;
che vedrai non capere in questi giri,
s'essere in carita e qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.
Anzi e formale ad esto beato esse
tenersi dentro a la divina voglia,
per ch'una fansi nostre voglie stesse;
si che, come noi sem di soglia in soglia
per questo regno, a tutto il regno piace
com' a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia.
E 'n la sua volontade e nostra pace:
ell' e quel mare al qual tutto si move
cio ch'ella cria o che natura face>>.
Chiaro mi fu allor come ogne dove
in cielo e paradiso, etsi la grazia
del sommo ben d'un modo non vi piove.
Ma si com' elli avvien, s'un cibo sazia
e d'un altro rimane ancor la gola,
che quel si chere e di quel si ringrazia,
cosi fec' io con atto e con parola,
per apprender da lei qual fu la tela
onde non trasse infino a co la spuola.
<<Perfetta vita e alto merto inciela
donna piu su>>, mi disse, <<a la cui norma
nel vostro mondo giu si veste e vela,
perche fino al morir si vegghi e dorma
con quello sposo ch'ogne voto accetta
che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi
e promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal piu ch'a bene usi,
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
E quest' altro splendor che ti si mostra
da la mia destra parte e che s'accende
di tutto il lume de la spera nostra,
cio ch'io dico di me, di se intende;
sorella fu, e cosi le fu tolta
di capo l'ombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
contra suo grado e contra buona usanza,
non fu dal vel del cor gia mai disciolta.
Quest' e la luce de la gran Costanza
che del secondo vento di Soave
genero 'l terzo e l'ultima possanza>>.
Cosi parlommi, e poi comincio 'Ave,
Maria' cantando, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto lei seguio
quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgoro nel mio sguardo
si che da prima il viso non sofferse;
e cio mi fece a dimandar piu tardo.
Paradiso ? Canto IV
Intra due cibi, distanti e moventi
d'un modo, prima si morria di fame,
che liber' omo l'un recasse ai denti;
si si starebbe un agno intra due brame
di fieri lupi, igualmente temendo;
si si starebbe un cane intra due dame:
per che, s'i' mi tacea, me non riprendo,
da li miei dubbi d'un modo sospinto,
poi ch'era necessario, ne commendo.
Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto
m'era nel viso, e 'l dimandar con ello,
piu caldo assai che per parlar distinto.
Fe si Beatrice qual fe Daniello,
Nabuccodonosor levando d'ira,
che l'avea fatto ingiustamente fello;
e disse: <<Io veggio ben come ti tira
uno e altro disio, si che tua cura
se stessa lega si che fuor non spira.
Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura,
la violenza altrui per qual ragione
di meritar mi scema la misura? ".
Ancor di dubitar ti da cagione
parer tornarsi l'anime a le stelle,
secondo la sentenza di Platone.
Queste son le question che nel tuo velle
pontano igualmente; e pero pria
trattero quella che piu ha di felle.
D'i Serafin colui che piu s'india,
Moise, Samuel, e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria,
non hanno in altro cielo i loro scanni
che questi spirti che mo t'appariro,
ne hanno a l'esser lor piu o meno anni;
ma tutti fanno bello il primo giro,
e differentemente han dolce vita
per sentir piu e men l'etterno spiro.
Qui si mostraro, non perche sortita
sia questa spera lor, ma per far segno
de la celestial c'ha men salita.
Cosi parlar conviensi al vostro ingegno,
pero che solo da sensato apprende
cio che fa poscia d'intelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
e l'altro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo de l'anime argomenta
non e simile a cio che qui si vede,
pero che, come dice, par che senta.
Dice che l'alma a la sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa
quando natura per forma la diede;
e forse sua sentenza e d'altra guisa
che la voce non suona, ed esser puote
con intenzion da non esser derisa.
S'elli intende tornare a queste ruote
l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse
in alcun vero suo arco percuote.
Questo principio, male inteso, torse
gia tutto il mondo quasi, si che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
L'altra dubitazion che ti commove
ha men velen, pero che sua malizia
non ti poria menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia
ne li occhi d'i mortali, e argomento
di fede e non d'eretica nequizia.
Ma perche puote vostro accorgimento
ben penetrare a questa veritate,
come disiri, ti faro contento.
Se violenza e quando quel che pate
niente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest' alme per essa scusate:
che volonta, se non vuol, non s'ammorza,
ma fa come natura face in foco,
se mille volte violenza il torza.
Per che, s'ella si piega assai o poco,
segue la forza; e cosi queste fero
possendo rifuggir nel santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada,
e fece Muzio a la sua man severo,
cosi l'avria ripinte per la strada
ond' eran tratte, come fuoro sciolte;
ma cosi salda voglia e troppo rada.
E per queste parole, se ricolte
l'hai come dei, e l'argomento casso
che t'avria fatto noia ancor piu volte.
Ma or ti s'attraversa un altro passo
dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
non usciresti: pria saresti lasso.
Io t'ho per certo ne la mente messo
ch'alma beata non poria mentire,
pero ch'e sempre al primo vero appresso;
e poi potesti da Piccarda udire
che l'affezion del vel Costanza tenne;
si ch'ella par qui meco contradire.
Molte fiate gia, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contra grato
si fe di quel che far non si convenne;
come Almeone, che, di cio pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
per non perder pieta si fe spietato.
A questo punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno
si che scusar non si posson l'offense.
Voglia assoluta non consente al danno;
ma consentevi in tanto in quanto teme,
se si ritrae, cadere in piu affanno.
Pero, quando Piccarda quello spreme,
de la voglia assoluta intende, e io
de l'altra; si che ver diciamo insieme>>.
Cotal fu l'ondeggiar del santo rio
ch'usci del fonte ond' ogne ver deriva;
tal puose in pace uno e altro disio.
<<O amanza del primo amante, o diva>>,
diss' io appresso, <<il cui parlar m'inonda
e scalda si, che piu e piu m'avviva,
non e l'affezion mia tanto profonda,
che basti a render voi grazia per grazia;
ma quei che vede e puote a cio risponda.
Io veggio ben che gia mai non si sazia
nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra
di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera in lustra,
tosto che giunto l'ha; e giugner puollo:
se non, ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
a pie del vero il dubbio; ed e natura
ch'al sommo pinge noi di collo in collo.
Questo m'invita, questo m'assicura
con reverenza, donna, a dimandarvi
d'un'altra verita che m'e oscura.
Io vo' saper se l'uom puo sodisfarvi
ai voti manchi si con altri beni,
ch'a la vostra statera non sien parvi>>.
Beatrice mi guardo con li occhi pieni
di faville d'amor cosi divini,
che, vinta, mia virtute die le reni,
e quasi mi perdei con li occhi chini.
Paradiso ? Canto V
<<S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
di la dal modo che 'n terra si vede,
si che del viso tuo vinco il valore,
non ti maravigliar, che cio procede
da perfetto veder, che, come apprende,
cosi nel bene appreso move il piede.
Io veggio ben si come gia resplende
ne l'intelletto tuo l'etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende;
e s'altra cosa vostro amor seduce,
non e se non di quella alcun vestigio,
mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuo' saper se con altro servigio,
per manco voto, si puo render tanto
che l'anima sicuri di letigio>>.
Si comincio Beatrice questo canto;
e si com' uom che suo parlar non spezza,
continuo cosi 'l processo santo:
<<Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
piu conformato, e quel ch'e' piu apprezza,
fu de la volonta la libertate;
di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate.
Or ti parra, se tu quinci argomenti,
l'alto valor del voto, s'e si fatto
che Dio consenta quando tu consenti;
che, nel fermar tra Dio e l'omo il patto,
vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c'hai offerto,
di maltolletto vuo' far buon lavoro.
Tu se' omai del maggior punto certo;
ma perche Santa Chiesa in cio dispensa,
che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto,
convienti ancor sedere un poco a mensa,
pero che 'l cibo rigido c'hai preso,
richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel ch'io ti paleso
e fermalvi entro; che non fa scienza,
sanza lo ritenere, avere inteso.
Due cose si convegnono a l'essenza
di questo sacrificio: l'una e quella
di che si fa; l'altr' e la convenenza.
Quest' ultima gia mai non si cancella
se non servata; e intorno di lei
si preciso di sopra si favella:
pero necessitato fu a li Ebrei
pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta
si permutasse, come saver dei.
L'altra, che per materia t'e aperta,
puote ben esser tal, che non si falla
se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco a la sua spalla
per suo arbitrio alcun, sanza la volta
e de la chiave bianca e de la gialla;
e ogne permutanza credi stolta,
se la cosa dimessa in la sorpresa
come 'l quattro nel sei non e raccolta.
Pero qualunque cosa tanto pesa
per suo valor che tragga ogne bilancia,
sodisfar non si puo con altra spesa.
Non prendan li mortali il voto a ciancia;
siate fedeli, e a cio far non bieci,
come Iepte a la sua prima mancia;
cui piu si convenia dicer 'Mal feci',
che, servando, far peggio; e cosi stolto
ritrovar puoi il gran duca de' Greci,
onde pianse Efigenia il suo bel volto,
e fe pianger di se i folli e i savi
ch'udir parlar di cosi fatto colto.
Siate, Cristiani, a muovervi piu gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch'ogne acqua vi lavi.
Avete il novo e 'l vecchio Testamento,
e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
si che 'l Giudeo di voi tra voi non rida!
Non fate com' agnel che lascia il latte
de la sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte! >>.
Cosi Beatrice a me com' io scrivo;
poi si rivolse tutta disiante
a quella parte ove 'l mondo e piu vivo.
Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante
puoser silenzio al mio cupido ingegno,
che gia nuove questioni avea davante;
e si come saetta che nel segno
percuote pria che sia la corda queta,
cosi corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid' io si lieta,
come nel lume di quel ciel si mise,
che piu lucente se ne fe 'l pianeta.
E se la stella si cambio e rise,
qual mi fec' io che pur da mia natura
trasmutabile son per tutte guise!
Come 'n peschiera ch'e tranquilla e pura
traggonsi i pesci a cio che vien di fori
per modo che lo stimin lor pastura,
si vid' io ben piu di mille splendori
trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia:
<<Ecco chi crescera li nostri amori>>.
E si come ciascuno a noi venia,
vedeasi l'ombra piena di letizia
nel folgor chiaro che di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia
non procedesse, come tu avresti
di piu savere angosciosa carizia;
e per te vederai come da questi
m'era in disio d'udir lor condizioni,
si come a li occhi mi fur manifesti.
<<O bene nato a cui veder li troni
del triunfo etternal concede grazia
prima che la milizia s'abbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
noi semo accesi; e pero, se disii
di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia>>.
Cosi da un di quelli spirti pii
detto mi fu; e da Beatrice: <<Di, di
sicuramente, e credi come a dii>>.
<<Io veggio ben si come tu t'annidi
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
perch' e' corusca si come tu ridi;
ma non so chi tu se', ne perche aggi,
anima degna, il grado de la spera
che si vela a' mortai con altrui raggi>>.
Questo diss' io diritto a la lumera
che pria m'avea parlato; ond' ella fessi
lucente piu assai di quel ch'ell' era.
Si come il sol che si cela elli stessi
per troppa luce, come 'l caldo ha rose
le temperanze d'i vapori spessi,
per piu letizia si mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e cosi chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che 'l seguente canto canta.
Paradiso ? Canto VI
<<Poscia che Costantin l'aquila volse
contr' al corso del ciel, ch'ella seguio
dietro a l'antico che Lavina tolse,
cento e cent' anni e piu l'uccel di Dio
ne lo stremo d'Europa si ritenne,
vicino a' monti de' quai prima uscio;
e sotto l'ombra de le sacre penne
governo 'l mondo li di mano in mano,
e, si cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fui e son Iustiniano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.
E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piue,
credea, e di tal fede era contento;
ma 'l benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzo con le parole sue.
Io li credetti; e cio che 'n sua fede era,
vegg' io or chiaro si, come tu vedi
ogni contradizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
a Dio per grazia piacque di spirarmi
l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi;
e al mio Belisar commendai l'armi,
cui la destra del ciel fu si congiunta,
che segno fu ch'i' dovessi posarmi.
Or qui a la question prima s'appunta
la mia risposta; ma sua condizione
mi stringe a seguitare alcuna giunta,
perche tu veggi con quanta ragione
si move contr' al sacrosanto segno
e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.
Vedi quanta virtu l'ha fatto degno
di reverenza; e comincio da l'ora
che Pallante mori per darli regno.
Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
per trecento anni e oltre, infino al fine
che i tre a' tre pugnar per lui ancora.
E sai ch'el fe dal mal de le Sabine
al dolor di Lucrezia in sette regi,
vincendo intorno le genti vicine.
Sai quel ch'el fe portato da li egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
incontro a li altri principi e collegi;
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi
ebber la fama che volontier mirro.
Esso atterro l'orgoglio de li Arabi
che di retro ad Anibale passaro
l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott' esso giovanetti triunfaro
Scipione e Pompeo; e a quel colle
sotto 'l qual tu nascesti parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle
redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle.
E quel che fe da Varo infino a Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna
e ogne valle onde Rodano e pieno.
Quel che fe poi ch'elli usci di Ravenna
e salto Rubicon, fu di tal volo,
che nol seguiteria lingua ne penna.
Inver' la Spagna rivolse lo stuolo,
poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse
si ch'al Nil caldo si senti del duolo.
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
rivide e la dov' Ettore si cuba;
e mal per Tolomeo poscia si scosse.
Da indi scese folgorando a Iuba;
onde si volse nel vostro occidente,
ove sentia la pompeana tuba.
Di quel che fe col baiulo seguente,
Bruto con Cassio ne l'inferno latra,
e Modena e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
che, fuggendoli innanzi, dal colubro
la morte prese subitana e atra.
Con costui corse infino al lito rubro;
con costui puose il mondo in tanta pace,
che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma cio che 'l segno che parlar mi face
fatto avea prima e poi era fatturo
per lo regno mortal ch'a lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
con occhio chiaro e con affetto puro;
che la viva giustizia che mi spira,
li concedette, in mano a quel ch'i' dico,
gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui t'ammira in cio ch'io ti replico:
poscia con Tito a far vendetta corse
de la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
la Santa Chiesa, sotto le sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali
ch'io accusai di sopra e di lor falli,
che son cagion di tutti vostri mali.
L'uno al pubblico segno i gigli gialli
oppone, e l'altro appropria quello a parte,
si ch'e forte a veder chi piu si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
sott' altro segno, che mal segue quello
sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non l'abbatta esto Carlo novello
coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
ch'a piu alto leon trasser lo vello.
Molte fiate gia pianser li figli
per la colpa del padre, e non si creda
che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda
d'i buoni spirti che son stati attivi
perche onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,
si disviando, pur convien che i raggi
del vero amore in su poggin men vivi.
Ma nel commensurar d'i nostri gaggi
col merto e parte di nostra letizia,
perche non li vedem minor ne maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia
in noi l'affetto si, che non si puote
torcer gia mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
cosi diversi scanni in nostra vita
rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita
luce la luce di Romeo, di cui
fu l'ovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui
non hanno riso; e pero mal cammina
qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e cio li fece
Romeo, persona umile e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto,
che li assegno sette e cinque per diece,
indi partissi povero e vetusto;
e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto,
assai lo loda, e piu lo loderebbe>>.
Paradiso ? Canto VII
<<Osanna, sanctus Deus sabaoth,
superillustrans claritate tua
felices ignes horum malacoth! >>.
Cosi, volgendosi a la nota sua,
fu viso a me cantare essa sustanza,
sopra la qual doppio lume s'addua;
ed essa e l'altre mossero a sua danza,
e quasi velocissime faville
mi si velar di subita distanza.
Io dubitava e dicea 'Dille, dille! '
fra me, 'dille' dicea, 'a la mia donna
che mi diseta con le dolci stille'.
Ma quella reverenza che s'indonna
di tutto me, pur per Be e per ice,
mi richinava come l'uom ch'assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice
e comincio, raggiandomi d'un riso
tal, che nel foco faria l'uom felice:
<<Secondo mio infallibile avviso,
come giusta vendetta giustamente
punita fosse, t'ha in pensier miso;
ma io ti solvero tosto la mente;
e tu ascolta, che le mie parole
di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtu che vole
freno a suo prode, quell' uom che non nacque,
dannando se, danno tutta sua prole;
onde l'umana specie inferma giacque
giu per secoli molti in grande errore,
fin ch'al Verbo di Dio discender piacque
u' la natura, che dal suo fattore
s'era allungata, uni a se in persona
con l'atto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona:
questa natura al suo fattore unita,
qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per se stessa pur fu ella sbandita
di paradiso, pero che si torse
da via di verita e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse
s'a la natura assunta si misura,
nulla gia mai si giustamente morse;
e cosi nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse,
in che era contratta tal natura.
Pero d'un atto uscir cose diverse:
ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte;
per lei tremo la terra e 'l ciel s'aperse.
Non ti dee oramai parer piu forte,
quando si dice che giusta vendetta
poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi' or la tua mente ristretta
di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
del qual con gran disio solver s'aspetta.
Tu dici: "Ben discerno cio ch'i' odo;
ma perche Dio volesse, m'e occulto,
a nostra redenzion pur questo modo".
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
ne la fiamma d'amor non e adulto.
Veramente, pero ch'a questo segno
molto si mira e poco si discerne,
diro perche tal modo fu piu degno.
La divina bonta, che da se sperne
ogne livore, ardendo in se, sfavilla
si che dispiega le bellezze etterne.
Cio che da lei sanza mezzo distilla
non ha poi fine, perche non si move
la sua imprenta quand' ella sigilla.
Cio che da essa sanza mezzo piove
libero e tutto, perche non soggiace
a la virtute de le cose nove.
Piu l'e conforme, e pero piu le piace;
che l'ardor santo ch'ogne cosa raggia,
ne la piu somigliante e piu vivace.
Di tutte queste dote s'avvantaggia
l'umana creatura, e s'una manca,
di sua nobilita convien che caggia.
Solo il peccato e quel che la disfranca
e falla dissimile al sommo bene,
per che del lume suo poco s'imbianca;
e in sua dignita mai non rivene,
se non riempie, dove colpa vota,
contra mal dilettar con giuste pene.
Vostra natura, quando pecco tota
nel seme suo, da queste dignitadi,
come di paradiso, fu remota;
ne ricovrar potiensi, se tu badi
ben sottilmente, per alcuna via,
sanza passar per un di questi guadi:
o che Dio solo per sua cortesia
dimesso avesse, o che l'uom per se isso
avesse sodisfatto a sua follia.
Ficca mo l'occhio per entro l'abisso
de l'etterno consiglio, quanto puoi
al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea l'uomo ne' termini suoi
mai sodisfar, per non potere ir giuso
con umiltate obediendo poi,
quanto disobediendo intese ir suso;
e questa e la cagion per che l'uom fue
da poter sodisfar per se dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
riparar l'omo a sua intera vita,
dico con l'una, o ver con amendue.
Ma perche l'ovra tanto e piu gradita
da l'operante, quanto piu appresenta
de la bonta del core ond' ell' e uscita,
la divina bonta che 'l mondo imprenta,
di proceder per tutte le sue vie,
a rilevarvi suso, fu contenta.
Ne tra l'ultima notte e 'l primo die
si alto o si magnifico processo,
o per l'una o per l'altra, fu o fie:
che piu largo fu Dio a dar se stesso
per far l'uom sufficiente a rilevarsi,
che s'elli avesse sol da se dimesso;
e tutti li altri modi erano scarsi
a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio
non fosse umiliato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogne disio,
ritorno a dichiararti in alcun loco,
perche tu veggi li cosi com' io.
Tu dici: "Io veggio l'acqua, io veggio il foco,
l'aere e la terra e tutte lor misture
venire a corruzione, e durar poco;
e queste cose pur furon creature;
per che, se cio ch'e detto e stato vero,
esser dovrien da corruzion sicure".
Li angeli, frate, e 'l paese sincero
nel qual tu se', dir si posson creati,
si come sono, in loro essere intero;
ma li alimenti che tu hai nomati
e quelle cose che di lor si fanno
da creata virtu sono informati.
Creata fu la materia ch'elli hanno;
creata fu la virtu informante
in queste stelle che 'ntorno a lor vanno.
L'anima d'ogne bruto e de le piante
di complession potenziata tira
lo raggio e 'l moto de le luci sante;
ma vostra vita sanza mezzo spira
la somma beninanza, e la innamora
di se si che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
vostra resurrezion, se tu ripensi
come l'umana carne fessi allora
che li primi parenti intrambo fensi>>.
Paradiso ? Canto VIII
Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l'antico errore;
ma Dione onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;
e da costei ond' io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella
che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
Io non m'accorsi del salire in ella;
ma d'esservi entro mi fe assai fede
la donna mia ch'i' vidi far piu bella.
E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quand' una e ferma e altra va e riede,
vid' io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro piu e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne.
Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro
pria cominciato in li alti Serafini;
e dentro a quei che piu innanzi appariro
sonava 'Osanna' si, che unque poi
di riudir non fui sanza disiro.
Indi si fece l'un piu presso a noi
e solo incomincio: <<Tutti sem presti
al tuo piacer, perche di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi principi celesti
d'un giro e d'un girare e d'una sete,
ai quali tu del mondo gia dicesti:
'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete';
e sem si pien d'amor, che, per piacerti,
non fia men dolce un poco di quiete>>.
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di se contenti e certi,
rivolsersi a la luce che promessa
tanto s'avea, e <<Deh, chi siete? >> fue
la voce mia di grande affetto impressa.
E quanta e quale vid' io lei far piue
per allegrezza nova che s'accrebbe,
quando parlai, a l'allegrezze sue!
Cosi fatta, mi disse: <<Il mondo m'ebbe
giu poco tempo; e se piu fosse stato,
molto sara di mal, che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato.
Assai m'amasti, e avesti ben onde;
che s'io fossi giu stato, io ti mostrava
di mio amor piu oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi ch'e misto con Sorga,
per suo segnore a tempo m'aspettava,
e quel corno d'Ausonia che s'imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
Fulgeami gia in fronte la corona
di quella terra che 'l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona.
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora! ".
E se mio frate questo antivedesse,
l'avara poverta di Catalogna
gia fuggeria, perche non li offendesse;
che veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, si ch'a sua barca
carcata piu d'incarco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca>>.
<<Pero ch'i' credo che l'alta letizia
che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio,
la 've ogne ben si termina e s'inizia,
per te si veggia come la vegg' io,
grata m'e piu; e anco quest' ho caro
perche 'l discerni rimirando in Dio.
Fatto m'hai lieto, e cosi mi fa chiaro,
poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso
com' esser puo, di dolce seme, amaro>>.
Questo io a lui; ed elli a me: <<S'io posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terrai lo viso come tien lo dosso.
Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute
sono in la mente ch'e da se perfetta,
ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque quest' arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
si come cosa in suo segno diretta.
Se cio non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe si li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine;
e cio esser non puo, se li 'ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuo' tu che questo ver piu ti s'imbianchi? >>.
E io: <<Non gia; che impossibil veggio
che la natura, in quel ch'e uopo, stanchi>>.
Ond' elli ancora: <<Or di: sarebbe il peggio
per l'omo in terra, se non fosse cive? >>.
<<Si>>, rispuos' io; <<e qui ragion non cheggio>>.
<<E puot' elli esser, se giu non si vive
diversamente per diversi offici?
Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive>>.
Si venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: <<Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici:
per ch'un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedech e altro quello
che, volando per l'aere, il figlio perse.
La circular natura, ch'e suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l'un da l'altro ostello.
Quinci addivien ch'Esau si diparte
per seme da Iacob; e vien Quirino
da si vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a' generanti,
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t'era dietro t'e davanti:
ma perche sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t'ammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a se, com' ogne altra semente
fuor di sua region, fa mala prova.
E se 'l mondo la giu ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religione
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch'e da sermone;
onde la traccia vostra e fuor di strada>>.
Paradiso ? Canto IX
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
m'ebbe chiarito, mi narro li 'nganni
che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: <<Taci e lascia muover li anni>>;
si ch'io non posso dir se non che pianto
giusto verra di retro ai vostri danni.
E gia la vita di quel lume santo
rivolta s'era al Sol che la riempie
come quel ben ch'a ogne cosa e tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie,
che da si fatto ben torcete i cuori,
drizzando in vanita le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori
ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi
significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi
sovra me, come pria, di caro assenso
al mio disio certificato fermi.
<<Deh, metti al mio voler tosto compenso,
beato spirto>>, dissi, <<e fammi prova
ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso! >>.
Onde la luce che m'era ancor nova,
del suo profondo, ond' ella pria cantava,
seguette come a cui di ben far giova:
<<In quella parte de la terra prava
italica che siede tra Rialto
e le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge molt' alto,
la onde scese gia una facella
che fece a la contrada un grande assalto.
D'una radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
perche mi vinse il lume d'esta stella;
ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia;
che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
del nostro cielo che piu m'e propinqua,
grande fama rimase; e pria che moia,
questo centesimo anno ancor s'incinqua:
vedi se far si dee l'omo eccellente,
si ch'altra vita la prima relinqua.
E cio non pensa la turba presente
che Tagliamento e Adice richiude,
ne per esser battuta ancor si pente;
ma tosto fia che Padova al palude
cangera l'acqua che Vincenza bagna,
per essere al dover le genti crude;
e dove Sile e Cagnan s'accompagna,
tal signoreggia e va con la testa alta,
che gia per lui carpir si fa la ragna.
Piangera Feltro ancora la difalta
de l'empio suo pastor, che sara sconcia
si, che per simil non s'entro in malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia
che ricevesse il sangue ferrarese,
e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia,
che donera questo prete cortese
per mostrarsi di parte; e cotai doni
conformi fieno al viver del paese.
Su sono specchi, voi dicete Troni,
onde refulge a noi Dio giudicante;
si che questi parlar ne paion buoni>>.
Qui si tacette; e fecemi sembiante
che fosse ad altro volta, per la rota
in che si mise com' era davante.
L'altra letizia, che m'era gia nota
per cara cosa, mi si fece in vista
qual fin balasso in che lo sol percuota.
Per letiziar la su fulgor s'acquista,
si come riso qui; ma giu s'abbuia
l'ombra di fuor, come la mente e trista.
<<Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia>>,
diss' io, <<beato spirto, si che nulla
voglia di se a te puot' esser fuia.
Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali facen la coculla,
perche non satisface a' miei disii?
Gia non attendere' io tua dimanda,
s'io m'intuassi, come tu t'inmii>>.
<<La maggior valle in che l'acqua si spanda>>,
incominciaro allor le sue parole,
<<fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra ' discordanti liti contra 'l sole
tanto sen va, che fa meridiano
la dove l'orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu' io litorano
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
parte lo Genovese dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond' io fui,
che fe del sangue suo gia caldo il porto.
Folco mi disse quella gente a cui
fu noto il nome mio; e questo cielo
di me s'imprenta, com' io fe' di lui;
che piu non arse la figlia di Belo,
noiando e a Sicheo e a Creusa,
di me, infin che si convenne al pelo;
ne quella Rodopea che delusa
fu da Demofoonte, ne Alcide
quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
Non pero qui si pente, ma si ride,
non de la colpa, ch'a mente non torna,
ma del valor ch'ordino e provide.
Qui si rimira ne l'arte ch'addorna
cotanto affetto, e discernesi 'l bene
per che 'l mondo di su quel di giu torna.
Ma perche tutte le tue voglie piene
ten porti che son nate in questa spera,
proceder ancor oltre mi convene.
Tu vuo' saper chi e in questa lumera
che qui appresso me cosi scintilla
come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che la entro si tranquilla
Raab; e a nostr' ordine congiunta,
di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta
che 'l vostro mondo face, pria ch'altr' alma
del triunfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
in alcun cielo de l'alta vittoria
che s'acquisto con l'una e l'altra palma,
perch' ella favoro la prima gloria
di Iosue in su la Terra Santa,
che poco tocca al papa la memoria.
La tua citta, che di colui e pianta
che pria volse le spalle al suo fattore
e di cui e la 'nvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore
c'ha disviate le pecore e li agni,
pero che fatto ha lupo del pastore.
Per questo l'Evangelio e i dottor magni
son derelitti, e solo ai Decretali
si studia, si che pare a' lor vivagni.
