Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
Dante - La Divina Commedia
Di sua bestialitate il suo processo
fara la prova; si ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello
sara la cortesia del gran Lombardo
che 'n su la scala porta il santo uccello;
ch'in te avra si benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra li altri e piu tardo.
Con lui vedrai colui che 'mpresso fue,
nascendo, si da questa stella forte,
che notabili fier l'opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella eta, che pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar d'argento ne d'affanni.
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, si che ' suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t'aspetta e a' suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici;
e portera'ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai>>; e disse cose
incredibili a quei che fier presente.
Poi giunse: <<Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie
che dietro a pochi giri son nascose.
Non vo' pero ch'a' tuoi vicini invidie,
poscia che s'infutura la tua vita
vie piu la che 'l punir di lor perfidie>>.
Poi che, tacendo, si mostro spedita
l'anima santa di metter la trama
in quella tela ch'io le porsi ordita,
io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama:
<<Ben veggio, padre mio, si come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch'e piu grave a chi piu s'abbandona;
per che di provedenza e buon ch'io m'armi,
si che, se loco m'e tolto piu caro,
io non perdessi li altri per miei carmi.
Giu per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro,
e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s'io ridico,
a molti fia sapor di forte agrume;
e s'io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico>>.
La luce in che rideva il mio tesoro
ch'io trovai li, si fe prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d'oro;
indi rispuose: <<Coscienza fusca
o de la propria o de l'altrui vergogna
pur sentira la tua parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua vision fa manifesta;
e lascia pur grattar dov' e la rogna.
Che se la voce tua sara molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascera poi, quando sara digesta.
Questo tuo grido fara come vento,
che le piu alte cime piu percuote;
e cio non fa d'onor poco argomento.
Pero ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l'anime che son di fama note,
che l'animo di quel ch'ode, non posa
ne ferma fede per essempro ch'aia
la sua radice incognita e ascosa,
ne per altro argomento che non paia>>.
Paradiso ? Canto XVIII
Gia si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo;
e quella donna ch'a Dio mi menava
disse: <<Muta pensier; pensa ch'i' sono
presso a colui ch'ogne torto disgrava>>.
Io mi rivolsi a l'amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l'abbandono:
non perch' io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non puo redire
sovra se tanto, s'altri non la guidi.
Tanto poss' io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,
fin che 'l piacere etterno, che diretto
raggiava in Beatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lume d'un sorriso,
ella mi disse: <<Volgiti e ascolta;
che non pur ne' miei occhi e paradiso>>.
Come si vede qui alcuna volta
l'affetto ne la vista, s'elli e tanto,
che da lui sia tutta l'anima tolta,
cosi nel fiammeggiar del folgor santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
El comincio: <<In questa quinta soglia
de l'albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
spiriti son beati, che giu, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
si ch'ogne musa ne sarebbe opima.
Pero mira ne' corni de la croce:
quello ch'io nomero, li fara l'atto
che fa in nube il suo foco veloce>>.
Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosue, com' el si feo;
ne mi fu noto il dir prima che 'l fatto.
E al nome de l'alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo.
Cosi per Carlo Magno e per Orlando
due ne segui lo mio attento sguardo,
com' occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e 'l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista,
mostrommi l'alma che m'avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;
e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l'ultimo solere.
E come, per sentir piu dilettanza
bene operando, l'uom di giorno in giorno
s'accorge che la sua virtute avanza,
si m'accors' io che 'l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
veggendo quel miracol piu addorno.
E qual e 'l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando 'l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
tal fu ne li occhi miei, quando fui volto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a se m'avea ricolto.
Io vidi in quella giovial facella
lo sfavillar de l'amor che li era
segnare a li occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di se or tonda or altra schiera,
si dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.
Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l'un di questi segni,
un poco s'arrestavano e taciensi.
O diva Pegasea che li 'ngegni
fai gloriosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ' regni,
illustrami di te, si ch'io rilevi
le lor figure com' io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti si, come mi parver dette.
'DILIGITE IUSTITIAM', primai
fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;
'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai.
Poscia ne l'emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; si che Giove
pareva argento li d'oro distinto.
E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l'emme, e li quetarsi
cantando, credo, il ben ch'a se le move.
Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,
resurger parver quindi piu di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
si come 'l sol che l'accende sortille;
e quietata ciascuna in suo loco,
la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.
Quei che dipinge li, non ha chi 'l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtu ch'e forma per li nidi.
L'altra beatitudo, che contenta
pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,
con poco moto seguito la 'mprenta.
O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!
Per ch'io prego la mente in che s'inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond' esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;
si ch'un'altra fiata omai s'adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si muro di segni e di martiri.
O milizia del ciel cu' io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti sviati dietro al malo essemplo!
Gia si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che 'l pio Padre a nessun serra.
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: <<I' ho fermo 'l disiro
si a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,
ch'io non conosco il pescator ne Polo>>.
Paradiso ? Canto XIX
Parea dinanzi a me con l'ali aperte
la bella image che nel dolce frui
liete facevan l'anime conserte;
parea ciascuna rubinetto in cui
raggio di sole ardesse si acceso,
che ne' miei occhi rifrangesse lui.
E quel che mi convien ritrar testeso,
non porto voce mai, ne scrisse incostro,
ne fu per fantasia gia mai compreso;
ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e <<io>> e <<mio>>,
quand' era nel concetto e 'noi' e 'nostro'.
E comincio: <<Per esser giusto e pio
son io qui essaltato a quella gloria
che non si lascia vincere a disio;
e in terra lasciai la mia memoria
si fatta, che le genti li malvage
commendan lei, ma non seguon la storia>>.
Cosi un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image.
Ond' io appresso: <<O perpetui fiori
de l'etterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori,
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m'ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se 'n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che 'l vostro non l'apprende con velame.
Sapete come attento io m'apparecchio
ad ascoltar; sapete qual e quello
dubbio che m'e digiun cotanto vecchio>>.
Quasi falcone ch'esce del cappello,
move la testa e con l'ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello,
vid' io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi la su gaude.
Poi comincio: <<Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto,
non pote suo valor si fare impresso
in tutto l'universo, che 'l suo verbo
non rimanesse in infinito eccesso.
E cio fa certo che 'l primo superbo,
che fu la somma d'ogne creatura,
per non aspettar lume, cadde acerbo;
e quinci appar ch'ogne minor natura
e corto recettacolo a quel bene
che non ha fine e se con se misura.
Dunque vostra veduta, che convene
esser alcun de' raggi de la mente
di che tutte le cose son ripiene,
non po da sua natura esser possente
tanto, che suo principio discerna
molto di la da quel che l'e parvente.
Pero ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com' occhio per lo mare, entro s'interna;
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
eli, ma cela lui l'esser profondo.
Lume non e, se non vien dal sereno
che non si turba mai; anzi e tenebra
od ombra de la carne o suo veleno.
Assai t'e mo aperta la latebra
che t'ascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra;
che tu dicevi: "Un uom nasce a la riva
de l'Indo, e quivi non e chi ragioni
di Cristo ne chi legga ne chi scriva;
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e sanza fede:
ov' e questa giustizia che 'l condanna?
ov' e la colpa sua, se ei non crede? ".
Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d'una spanna?
Certo a colui che meco s'assottiglia,
se la Scrittura sovra voi non fosse,
da dubitar sarebbe a maraviglia.
Oh terreni animali! oh menti grosse!
La prima volonta, ch'e da se buona,
da se, ch'e sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto e giusto quanto a lei consuona:
nullo creato bene a se la tira,
ma essa, radiando, lui cagiona>>.
Quale sovresso il nido si rigira
poi c'ha pasciuti la cicogna i figli,
e come quel ch'e pasto la rimira;
cotal si fece, e si levai i cigli,
la benedetta imagine, che l'ali
movea sospinte da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea: <<Quali
son le mie note a te, che non le 'ntendi,
tal e il giudicio etterno a voi mortali>>.
Poi si quetaro quei lucenti incendi
de lo Spirito Santo ancor nel segno
che fe i Romani al mondo reverendi,
esso ricomincio: <<A questo regno
non sali mai chi non credette 'n Cristo,
ne pria ne poi ch'el si chiavasse al legno.
Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo! ",
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo;
e tai Cristian dannera l'Etiope,
quando si partiranno i due collegi,
l'uno in etterno ricco e l'altro inope.
Che poran dir li Perse a' vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
Li si vedra, tra l'opere d'Alberto,
quella che tosto movera la penna,
per che 'l regno di Praga fia diserto.
Li si vedra il duol che sovra Senna
induce, falseggiando la moneta,
quel che morra di colpo di cotenna.
Li si vedra la superbia ch'asseta,
che fa lo Scotto e l'Inghilese folle,
si che non puo soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e 'l viver molle
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
che mai valor non conobbe ne volle.
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
segnata con un i la sua bontate,
quando 'l contrario segnera un emme.
Vedrassi l'avarizia e la viltate
di quei che guarda l'isola del foco,
ove Anchise fini la lunga etate;
e a dare ad intender quanto e poco,
la sua scrittura fian lettere mozze,
che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun l'opere sozze
del barba e del fratel, che tanto egregia
nazione e due corone han fatte bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
li si conosceranno, e quel di Rascia
che male ha visto il conio di Vinegia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia
piu malmenare! e beata Navarra,
se s'armasse del monte che la fascia!
E creder de' ciascun che gia, per arra
di questo, Niccosia e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra,
che dal fianco de l'altre non si scosta>>.
Paradiso ? Canto XX
Quando colui che tutto 'l mondo alluma
de l'emisperio nostro si discende,
che 'l giorno d'ogne parte si consuma,
lo ciel, che sol di lui prima s'accende,
subitamente si rifa parvente
per molte luci, in che una risplende;
e questo atto del ciel mi venne a mente,
come 'l segno del mondo e de' suoi duci
nel benedetto rostro fu tacente;
pero che tutte quelle vive luci,
vie piu lucendo, cominciaron canti
da mia memoria labili e caduci.
O dolce amor che di riso t'ammanti,
quanto parevi ardente in que' flailli,
ch'avieno spirto sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli
ond' io vidi ingemmato il sesto lume
puoser silenzio a li angelici squilli,
udir mi parve un mormorar di fiume
che scende chiaro giu di pietra in pietra,
mostrando l'uberta del suo cacume.
E come suono al collo de la cetra
prende sua forma, e si com' al pertugio
de la sampogna vento che penetra,
cosi, rimosso d'aspettare indugio,
quel mormorar de l'aguglia salissi
su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
per lo suo becco in forma di parole,
quali aspettava il core ov' io le scrissi.
<<La parte in me che vede e pate il sole
ne l'aguglie mortali>>, incominciommi,
<<or fisamente riguardar si vole,
perche d'i fuochi ond' io figura fommi,
quelli onde l'occhio in testa mi scintilla,
e' di tutti lor gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla,
fu il cantor de lo Spirito Santo,
che l'arca traslato di villa in villa:
ora conosce il merto del suo canto,
in quanto effetto fu del suo consiglio,
per lo remunerar ch'e altrettanto.
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
colui che piu al becco mi s'accosta,
la vedovella consolo del figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l'esperienza
di questa dolce vita e de l'opposta.
E quel che segue in la circunferenza
di che ragiono, per l'arco superno,
morte indugio per vera penitenza:
ora conosce che 'l giudicio etterno
non si trasmuta, quando degno preco
fa crastino la giu de l'odierno.
L'altro che segue, con le leggi e meco,
sotto buona intenzion che fe mal frutto,
per cedere al pastor si fece greco:
ora conosce come il mal dedutto
dal suo bene operar non li e nocivo,
avvegna che sia 'l mondo indi distrutto.
E quel che vedi ne l'arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora
che piagne Carlo e Federigo vivo:
ora conosce come s'innamora
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giu nel mondo errante
che Rifeo Troiano in questo tondo
fosse la quinta de le luci sante?
Ora conosce assai di quel che 'l mondo
veder non puo de la divina grazia,
ben che sua vista non discerna il fondo>>.
Quale allodetta che 'n aere si spazia
prima cantando, e poi tace contenta
de l'ultima dolcezza che la sazia,
tal mi sembio l'imago de la 'mprenta
de l'etterno piacere, al cui disio
ciascuna cosa qual ell' e diventa.
E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio
li quasi vetro a lo color ch'el veste,
tempo aspettar tacendo non patio,
ma de la bocca, <<Che cose son queste? >>,
mi pinse con la forza del suo peso:
per ch'io di coruscar vidi gran feste.
Poi appresso, con l'occhio piu acceso,
lo benedetto segno mi rispuose
per non tenermi in ammirar sospeso:
<<Io veggio che tu credi queste cose
perch' io le dico, ma non vedi come;
si che, se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
apprende ben, ma la sua quiditate
veder non puo se altri non la prome.
Regnum celorum violenza pate
da caldo amore e da viva speranza,
che vince la divina volontate:
non a guisa che l'omo a l'om sobranza,
ma vince lei perche vuole esser vinta,
e, vinta, vince con sua beninanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
ti fa maravigliar, perche ne vedi
la region de li angeli dipinta.
D'i corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
quel d'i passuri e quel d'i passi piedi.
Che l'una de lo 'nferno, u' non si riede
gia mai a buon voler, torno a l'ossa;
e cio di viva spene fu mercede:
di viva spene, che mise la possa
ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla,
si che potesse sua voglia esser mossa.
L'anima gloriosa onde si parla,
tornata ne la carne, in che fu poco,
credette in lui che potea aiutarla;
e credendo s'accese in tanto foco
di vero amor, ch'a la morte seconda
fu degna di venire a questo gioco.
L'altra, per grazia che da si profonda
fontana stilla, che mai creatura
non pinse l'occhio infino a la prima onda,
tutto suo amor la giu pose a drittura:
per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
l'occhio a la nostra redenzion futura;
ond' ei credette in quella, e non sofferse
da indi il puzzo piu del paganesmo;
e riprendiene le genti perverse.
Quelle tre donne li fur per battesmo
che tu vedesti da la destra rota,
dinanzi al battezzar piu d'un millesmo.
O predestinazion, quanto remota
e la radice tua da quelli aspetti
che la prima cagion non veggion tota!
E voi, mortali, tenetevi stretti
a giudicar: che noi, che Dio vedemo,
non conosciamo ancor tutti li eletti;
ed enne dolce cosi fatto scemo,
perche il ben nostro in questo ben s'affina,
che quel che vole Iddio, e noi volemo>>.
Cosi da quella imagine divina,
per farmi chiara la mia corta vista,
data mi fu soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
fa seguitar lo guizzo de la corda,
in che piu di piacer lo canto acquista,
si, mentre ch'e' parlo, si mi ricorda
ch'io vidi le due luci benedette,
pur come batter d'occhi si concorda,
con le parole mover le fiammette.
Paradiso ? Canto XXI
Gia eran li occhi miei rifissi al volto
de la mia donna, e l'animo con essi,
e da ogne altro intento s'era tolto.
E quella non ridea; ma <<S'io ridessi>>,
mi comincio, <<tu ti faresti quale
fu Semele quando di cener fessi:
che la bellezza mia, che per le scale
de l'etterno palazzo piu s'accende,
com' hai veduto, quanto piu si sale,
se non si temperasse, tanto splende,
che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto 'l petto del Leone ardente
raggia mo misto giu del suo valore.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
e fa di quelli specchi a la figura
che 'n questo specchio ti sara parvente>>.
Qual savesse qual era la pastura
del viso mio ne l'aspetto beato
quand' io mi trasmutai ad altra cura,
conoscerebbe quanto m'era a grato
ubidire a la mia celeste scorta,
contrapesando l'un con l'altro lato.
Dentro al cristallo che 'l vocabol porta,
cerchiando il mondo, del suo caro duce
sotto cui giacque ogne malizia morta,
di color d'oro in che raggio traluce
vid' io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tanti splendor, ch'io pensai ch'ogne lume
che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
E come, per lo natural costume,
le pole insieme, al cominciar del giorno,
si movono a scaldar le fredde piume;
poi altre vanno via sanza ritorno,
altre rivolgon se onde son mosse,
e altre roteando fan soggiorno;
tal modo parve me che quivi fosse
in quello sfavillar che 'nsieme venne,
si come in certo grado si percosse.
E quel che presso piu ci si ritenne,
si fe si chiaro, ch'io dicea pensando:
'Io veggio ben l'amor che tu m'accenne.
Ma quella ond' io aspetto il come e 'l quando
del dire e del tacer, si sta; ond' io,
contra 'l disio, fo ben ch'io non dimando'.
Per ch'ella, che vedea il tacer mio
nel veder di colui che tutto vede,
mi disse: <<Solvi il tuo caldo disio>>.
E io incominciai: <<La mia mercede
non mi fa degno de la tua risposta;
ma per colei che 'l chieder mi concede,
vita beata che ti stai nascosta
dentro a la tua letizia, fammi nota
la cagion che si presso mi t'ha posta;
e di perche si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso,
che giu per l'altre suona si divota>>.
<<Tu hai l'udir mortal si come il viso>>,
rispuose a me; <<onde qui non si canta
per quel che Beatrice non ha riso.
Giu per li gradi de la scala santa
discesi tanto sol per farti festa
col dire e con la luce che mi ammanta;
ne piu amor mi fece esser piu presta,
che piu e tanto amor quinci su ferve,
si come il fiammeggiar ti manifesta.
Ma l'alta carita, che ci fa serve
pronte al consiglio che 'l mondo governa,
sorteggia qui si come tu osserve>>.
<<Io veggio ben>>, diss' io, <<sacra lucerna,
come libero amore in questa corte
basta a seguir la provedenza etterna;
ma questo e quel ch'a cerner mi par forte,
perche predestinata fosti sola
a questo officio tra le tue consorte>>.
Ne venni prima a l'ultima parola,
che del suo mezzo fece il lume centro,
girando se come veloce mola;
poi rispuose l'amor che v'era dentro:
<<Luce divina sopra me s'appunta,
penetrando per questa in ch'io m'inventro,
la cui virtu, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, ch'i' veggio
la somma essenza de la quale e munta.
Quinci vien l'allegrezza ond' io fiammeggio;
per ch'a la vista mia, quant' ella e chiara,
la chiarita de la fiamma pareggio.
Ma quell' alma nel ciel che piu si schiara,
quel serafin che 'n Dio piu l'occhio ha fisso,
a la dimanda tua non satisfara,
pero che si s'innoltra ne lo abisso
de l'etterno statuto quel che chiedi,
che da ogne creata vista e scisso.
E al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, si che non presumma
a tanto segno piu mover li piedi.
La mente, che qui luce, in terra fumma;
onde riguarda come puo la giue
quel che non pote perche 'l ciel l'assumma>>.
Si mi prescrisser le parole sue,
ch'io lasciai la quistione e mi ritrassi
a dimandarla umilmente chi fue.
<<Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ' troni assai suonan piu bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale e consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria>>.
Cosi ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continuando, disse: <<Quivi
al servigio di Dio mi fe' si fermo,
che pur con cibi di liquor d'ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne' pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora e fatto vano,
si che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu' io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu' ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.
Poca vita mortal m'era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa.
Venne Cefas e venne il gran vasello
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
Cuopron d'i manti loro i palafreni,
si che due bestie van sott' una pelle:
oh pazienza che tanto sostieni! >>.
A questa voce vid' io piu fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi,
e ogne giro le facea piu belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
e fero un grido di si alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;
ne io lo 'ntesi, si mi vinse il tuono.
Paradiso ? Canto XXII
Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre cola dove piu si confida;
e quella, come madre che soccorre
subito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che 'l suol ben disporre,
mi disse: <<Non sai tu che tu se' in cielo?
e non sai tu che 'l cielo e tutto santo,
e cio che ci si fa vien da buon zelo?
Come t'avrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;
nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi,
gia ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua su non taglia in fretta
ne tardo, ma' ch'al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
ch'assai illustri spiriti vedrai,
se com' io dico l'aspetto redui>>.
Come a lei piacque, li occhi ritornai,
e vidi cento sperule che 'nsieme
piu s'abbellivan con mutui rai.
Io stava come quei che 'n se repreme
la punta del disio, e non s'attenta
di domandar, si del troppo si teme;
e la maggiore e la piu luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di se la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': <<Se tu vedessi
com' io la carita che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perche tu, aspettando, non tarde
a l'alto fine, io ti faro risposta
pur al pensier, da che si ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino e ne la costa
fu frequentato gia in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui che 'n terra addusse
la verita che tanto ci soblima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti
da l'empio colto che 'l mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e ' frutti santi.
Qui e Maccario, qui e Romoaldo,
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo>>.
E io a lui: <<L'affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
cosi m'ha dilatata mia fidanza,
come 'l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant' ell' ha di possanza.
Pero ti priego, e tu, padre, m'accerta
s'io posso prender tanta grazia, ch'io
ti veggia con imagine scoverta>>.
Ond' elli: <<Frate, il tuo alto disio
s'adempiera in su l'ultima spera,
ove s'adempion tutti li altri e 'l mio.
Ivi e perfetta, matura e intera
ciascuna disianza; in quella sola
e ogne parte la ove sempr' era,
perche non e in loco e non s'impola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde cosi dal viso ti s'invola.
Infin la su la vide il patriarca
Iacobbe porger la superna parte,
quando li apparve d'angeli si carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa e per danno de le carte.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor de' monaci si folle;
che quantunque la Chiesa guarda, tutto
e de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti ne d'altro piu brutto.
La carne d'i mortali e tanto blanda,
che giu non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier comincio sanz' oro e sanz' argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi 'l principio di ciascuno,
poscia riguardi la dov' e trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan volto retrorso
piu fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui 'l soccorso>>.
Cosi mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
poi, come turbo, in su tutto s'avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
si sua virtu la mia natura vinse;
ne mai qua giu dove si monta e cala
naturalmente, fu si ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel divoto
triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtu, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'e padre d'ogne mortal vita,
quand' io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a se la tira.
<<Tu se' si presso a l'ultima salute>>,
comincio Beatrice, <<che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
e pero, prima che tu piu t'inlei,
rimira in giu, e vedi quanto mondo
sotto li piedi gia esser ti fei;
si che 'l tuo cor, quantunque puo, giocondo
s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo etera tondo>>.
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell' ombra che mi fu cagione
per che gia la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com' si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Paradiso ? Canto XXIII
Come l'augello, intra l'amate fronde,
posato al nido de' suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disiati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l'alba nasca;
cosi la donna mia stava eretta
e attenta, rivolta inver' la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:
si che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual e quei che disiando
altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir piu e piu rischiarando;
e Beatrice disse: <<Ecco le schiere
del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto
ricolto del girar di queste spere! >>.
Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia si pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.
Quale ne' plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
vid' i' sopra migliaia di lucerne
un sol che tutte quante l'accendea,
come fa 'l nostro le viste superne;
e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
Oh Beatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: <<Quel che ti sobranza
e virtu da cui nulla si ripara.
Quivi e la sapienza e la possanza
ch'apri le strade tra 'l cielo e la terra,
onde fu gia si lunga disianza>>.
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi si che non vi cape,
e fuor di sua natura in giu s'atterra,
la mente mia cosi, tra quelle dape
fatta piu grande, di se stessa uscio,
e che si fesse rimembrar non sape.
<<Apri li occhi e riguarda qual son io;
tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio>>.
Io era come quei che si risente
di visione oblita e che s'ingegna
indarno di ridurlasi a la mente,
quand' io udi' questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che 'l preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue
che Polimnia con le suore fero
del latte lor dolcissimo piu pingue,
per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
e cosi, figurando il paradiso,
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l'omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott' esso trema:
non e pareggio da picciola barca
quel che fendendo va l'ardita prora,
ne da nocchier ch'a se medesmo parca.
<<Perche la faccia mia si t'innamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s'infiora?
Quivi e la rosa in che 'l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino>>.
Cosi Beatrice; e io, che a' suoi consigli
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de' debili cigli.
Come a raggio di sol, che puro mei
per fratta nube, gia prato di fiori
vider, coverti d'ombra, li occhi miei;
vid' io cosi piu turbe di splendori,
folgorate di su da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgori.
O benigna vertu che si li 'mprenti,
su t'essaltasti, per largirmi loco
a li occhi li che non t'eran possenti.
Il nome del bel fior ch'io sempre invoco
e mane e sera, tutto mi ristrinse
l'animo ad avvisar lo maggior foco;
e come ambo le luci mi dipinse
il quale e il quanto de la viva stella
che la su vince come qua giu vinse,
per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.
Qualunque melodia piu dolce suona
qua giu e piu a se l'anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,
comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel piu chiaro s'inzaffira.
<<Io sono amore angelico, che giro
l'alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;
e girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia
piu la spera suprema perche li entre>>.
Cosi la circulata melodia
si sigillava, e tutti li altri lumi
facean sonare il nome di Maria.
Lo real manto di tutti i volumi
del mondo, che piu ferve e piu s'avviva
ne l'alito di Dio e nei costumi,
avea sopra di noi l'interna riva
tanto distante, che la sua parvenza,
la dov' io era, ancor non appariva:
pero non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levo appresso sua semenza.
E come fantolin che 'nver' la mamma
tende le braccia, poi che 'l latte prese,
per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;
ciascun di quei candori in su si stese
con la sua cima, si che l'alto affetto
ch'elli avieno a Maria mi fu palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto,
'Regina celi' cantando si dolce,
che mai da me non si parti 'l diletto.
Oh quanta e l'uberta che si soffolce
in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giu buone bobolce!
Quivi si vive e gode del tesoro
che s'acquisto piangendo ne lo essilio
di Babillon, ove si lascio l'oro.
Quivi triunfa, sotto l'alto Filio
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
e con l'antico e col novo concilio,
colui che tien le chiavi di tal gloria.
Paradiso ? Canto XXIV
<<O sodalizio eletto a la gran cena
del benedetto Agnello, il qual vi ciba
si, che la vostra voglia e sempre piena,
se per grazia di Dio questi preliba
di quel che cade de la vostra mensa,
prima che morte tempo li prescriba,
ponete mente a l'affezione immensa
e roratelo alquanto: voi bevete
sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa>>.
Cosi Beatrice; e quelle anime liete
si fero spere sopra fissi poli,
fiammando, a volte, a guisa di comete.
E come cerchi in tempra d'oriuoli
si giran si, che 'l primo a chi pon mente
quieto pare, e l'ultimo che voli;
cosi quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.
Di quella ch'io notai di piu carezza
vid' io uscire un foco si felice,
che nullo vi lascio di piu chiarezza;
e tre fiate intorno di Beatrice
si volse con un canto tanto divo,
che la mia fantasia nol mi ridice.
Pero salta la penna e non lo scrivo:
che l'imagine nostra a cotai pieghe,
non che 'l parlare, e troppo color vivo.
<<O santa suora mia che si ne prieghe
divota, per lo tuo ardente affetto
da quella bella spera mi disleghe>>.
Poscia fermato, il foco benedetto
a la mia donna dirizzo lo spiro,
che favello cosi com' i' ho detto.
Ed ella: <<O luce etterna del gran viro
a cui Nostro Segnor lascio le chiavi,
ch'ei porto giu, di questo gaudio miro,
tenta costui di punti lievi e gravi,
come ti piace, intorno de la fede,
per la qual tu su per lo mare andavi.
S'elli ama bene e bene spera e crede,
non t'e occulto, perche 'l viso hai quivi
dov' ogne cosa dipinta si vede;
ma perche questo regno ha fatto civi
per la verace fede, a gloriarla,
di lei parlare e ben ch'a lui arrivi>>.
Si come il baccialier s'arma e non parla
fin che 'l maestro la question propone,
per approvarla, non per terminarla,
cosi m'armava io d'ogne ragione
mentre ch'ella dicea, per esser presto
a tal querente e a tal professione.
<<Di, buon Cristiano, fatti manifesto:
fede che e? >>. Ond' io levai la fronte
in quella luce onde spirava questo;
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
sembianze femmi perch' io spandessi
l'acqua di fuor del mio interno fonte.
<<La Grazia che mi da ch'io mi confessi>>,
comincia' io, <<da l'alto primipilo,
faccia li miei concetti bene espressi>>.
E seguitai: <<Come 'l verace stilo
ne scrisse, padre, del tuo caro frate
che mise teco Roma nel buon filo,
fede e sustanza di cose sperate
e argomento de le non parventi;
e questa pare a me sua quiditate>>.
Allora udi': <<Dirittamente senti,
se bene intendi perche la ripuose
tra le sustanze, e poi tra li argomenti>>.
E io appresso: <<Le profonde cose
che mi largiscon qui la lor parvenza,
a li occhi di la giu son si ascose,
che l'esser loro v'e in sola credenza,
sopra la qual si fonda l'alta spene;
e pero di sustanza prende intenza.
E da questa credenza ci convene
silogizzar, sanz' avere altra vista:
pero intenza d'argomento tene>>.
Allora udi': <<Se quantunque s'acquista
giu per dottrina, fosse cosi 'nteso,
non li avria loco ingegno di sofista>>.
Cosi spiro di quello amore acceso;
indi soggiunse: <<Assai bene e trascorsa
d'esta moneta gia la lega e 'l peso;
ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa>>.
Ond' io: <<Si ho, si lucida e si tonda,
che nel suo conio nulla mi s'inforsa>>.
Appresso usci de la luce profonda
che li splendeva: <<Questa cara gioia
sopra la quale ogne virtu si fonda,
onde ti venne? >>. E io: <<La larga ploia
de lo Spirito Santo, ch'e diffusa
in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,
e silogismo che la m'ha conchiusa
acutamente si, che 'nverso d'ella
ogne dimostrazion mi pare ottusa>>.
Io udi' poi: <<L'antica e la novella
proposizion che cosi ti conchiude,
perche l'hai tu per divina favella? >>.
E io: <<La prova che 'l ver mi dischiude,
son l'opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai ne batte incude>>.
Risposto fummi: <<Di, chi t'assicura
che quell' opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura>>.
<<Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo>>,
diss' io, <<sanza miracoli, quest' uno
e tal, che li altri non sono il centesmo:
che tu intrasti povero e digiuno
in campo, a seminar la buona pianta
che fu gia vite e ora e fatta pruno>>.
Finito questo, l'alta corte santa
risono per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che la su si canta.
E quel baron che si di ramo in ramo,
essaminando, gia tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo,
ricomincio: <<La Grazia, che donnea
con la tua mente, la bocca t'aperse
infino a qui come aprir si dovea,
si ch'io approvo cio che fuori emerse;
ma or convien espremer quel che credi,
e onde a la credenza tua s'offerse>>.
<<O santo padre, e spirito che vedi
cio che credesti si, che tu vincesti
ver' lo sepulcro piu giovani piedi>>,
comincia' io, <<tu vuo' ch'io manifesti
la forma qui del pronto creder mio,
e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove
fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verita che quinci piove
per Moise, per profeti e per salmi,
per l'Evangelio e per voi che scriveste
poi che l'ardente Spirto vi fe almi;
e credo in tre persone etterne, e queste
credo una essenza si una e si trina,
che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.
De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
piu volte l'evangelica dottrina.
Quest' e 'l principio, quest' e la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla>>.
Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,
da indi abbraccia il servo, gratulando
per la novella, tosto ch'el si tace;
cosi, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, si com' io tacqui,
l'appostolico lume al cui comando
io avea detto: si nel dir li piacqui!
Paradiso ? Canto XXV
Se mai continga che 'l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
si che m'ha fatto per molti anni macro,
vinca la crudelta che fuor mi serra
del bello ovile ov' io dormi' agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornero poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prendero 'l cappello;
pero che ne la fede, che fa conte
l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi
Pietro per lei si mi giro la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera ond' usci la primizia
che lascio Cristo d'i vicari suoi;
e la mia donna, piena di letizia,
mi disse: <<Mira, mira: ecco il barone
per cui la giu si vicita Galizia>>.
Si come quando il colombo si pone
presso al compagno, l'uno a l'altro pande,
girando e mormorando, l'affezione;
cosi vid' io l'un da l'altro grande
principe glorioso essere accolto,
laudando il cibo che la su li prande.
Ma poi che 'l gratular si fu assolto,
tacito coram me ciascun s'affisse,
ignito si che vincea 'l mio volto.
Ridendo allora Beatrice disse:
<<Inclita vita per cui la larghezza
de la nostra basilica si scrisse,
fa risonar la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesu ai tre fe piu carezza>>.
<<Leva la testa e fa che t'assicuri:
che cio che vien qua su del mortal mondo,
convien ch'ai nostri raggi si maturi>>.
Questo conforto del foco secondo
mi venne; ond' io levai li occhi a' monti
che li 'ncurvaron pria col troppo pondo.
<<Poi che per grazia vuol che tu t'affronti
lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne l'aula piu secreta co' suoi conti,
si che, veduto il ver di questa corte,
la spene, che la giu bene innamora,
in te e in altrui di cio conforte,
di' quel ch'ell' e, di' come se ne 'nfiora
la mente tua, e di onde a te venne>>.
Cosi segui 'l secondo lume ancora.
E quella pia che guido le penne
de le mie ali a cosi alto volo,
a la risposta cosi mi prevenne:
<<La Chiesa militante alcun figliuolo
non ha con piu speranza, com' e scritto
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
pero li e conceduto che d'Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che 'l militar li sia prescritto.
Li altri due punti, che non per sapere
son dimandati, ma perch' ei rapporti
quanto questa virtu t'e in piacere,
a lui lasc' io, che non li saran forti
ne di iattanza; ed elli a cio risponda,
e la grazia di Dio cio li comporti>>.
Come discente ch'a dottor seconda
pronto e libente in quel ch'elli e esperto,
perche la sua bonta si disasconda,
<<Spene>>, diss' io, <<e uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto.
Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillo nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce.
'Sperino in te', ne la sua teodia
dice, 'color che sanno il nome tuo':
e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?
Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; si ch'io son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo>>.
Mentr' io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
subito e spesso a guisa di baleno.
Indi spiro: <<L'amore ond' io avvampo
ancor ver' la virtu che mi seguette
infin la palma e a l'uscir del campo,
vuol ch'io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti 'mpromette>>.
E io: <<Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de l'anime che Dio s'ha fatte amiche.
Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra e questa dolce vita;
e 'l tuo fratello assai vie piu digesta,
la dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta>>.
E prima, appresso al fin d'este parole,
'Sperent in te' di sopr' a noi s'udi;
a che rispuoser tutte le carole.
Poscia tra esse un lume si schiari
si che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo,
l'inverno avrebbe un mese d'un sol di.
E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo,
cosi vid' io lo schiarato splendore
venire a' due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore.
Misesi li nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l'aspetto,
pur come sposa tacita e immota.
<<Questi e colui che giacque sopra 'l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto>>.
La donna mia cosi; ne pero piue
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue.
Qual e colui ch'adocchia e s'argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;
tal mi fec' io a quell' ultimo foco
mentre che detto fu: <<Perche t'abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra e terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che 'l numero nostro
con l'etterno proposito s'agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro>>.
A questa voce l'infiammato giro
si quieto con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro,
si come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l'acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d'un fischio.
Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benche io fossi
presso di lei, e nel mondo felice!
Paradiso ? Canto XXVI
Mentr' io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
usci un spiro che mi fece attento,
dicendo: <<Intanto che tu ti risense
de la vista che hai in me consunta,
ben e che ragionando la compense.
Comincia dunque; e di ove s'appunta
l'anima tua, e fa ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:
perche la donna che per questa dia
region ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtu ch'ebbe la man d'Anania>>.
Io dissi: <<Al suo piacere e tosto e tardo
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
quand' ella entro col foco ond' io sempr' ardo.
Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O e di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte>>.
Quella medesma voce che paura
tolta m'avea del subito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;
e disse: <<Certo a piu angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzo l'arco tuo a tal berzaglio>>.
E io: <<Per filosofici argomenti
e per autorita che quinci scende
cotale amor convien che in me si 'mprenti:
che 'l bene, in quanto ben, come s'intende,
cosi accende amore, e tanto maggio
quanto piu di bontate in se comprende.
Dunque a l'essenza ov' e tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non e ch'un lume di suo raggio,
piu che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.
Tal vero a l'intelletto mio sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.
Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moise, di se parlando:
'Io ti faro vedere ogne valore'.
Sternilmi tu ancora, incominciando
l'alto preconio che grida l'arcano
di qui la giu sovra ogne altro bando>>.
E io udi': <<Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma di ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, si che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde>>.
Non fu latente la santa intenzione
de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi
dove volea menar mia professione.
Pero ricominciai: <<Tutti quei morsi
che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi:
che l'essere del mondo e l'esser mio,
la morte ch'el sostenne perch' io viva,
e quel che spera ogne fedel com' io,
con la predetta conoscenza viva,
tratto m'hanno del mar de l'amor torto,
e del diritto m'han posto a la riva.
Le fronde onde s'infronda tutto l'orto
de l'ortolano etterno, am' io cotanto
quanto da lui a lor di bene e porto>>.
Si com' io tacqui, un dolcissimo canto
risono per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: <<Santo, santo, santo! >>.
E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna,
e lo svegliato cio che vede aborre,
si nescia e la subita vigilia
fin che la stimativa non soccorre;
cosi de li occhi miei ogne quisquilia
fugo Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da piu di mille milia:
onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
d'un quarto lume ch'io vidi tra noi.
E la mia donna: <<Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l'anima prima
che la prima virtu creasse mai>>.
Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtu che la soblima,
fec' io in tanto in quant' ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond' io ardeva.
E cominciai: <<O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa e figlia e nuro,
divoto quanto posso a te supplico
perche mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico>>.
Talvolta un animal coverto broglia,
si che l'affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la 'nvoglia;
e similmente l'anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant' ella a compiacermi venia gaia.
Indi spiro: <<Sanz' essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa t'e piu certa;
perch' io la veggio nel verace speglio
che fa di se pareglio a l'altre cose,
e nulla face lui di se pareglio.
Tu vuogli udir quant' e che Dio mi puose
ne l'eccelso giardino, ove costei
a cosi lunga scala ti dispuose,
e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e l'idioma ch'usai e che fei.
Or, figluol mio, non il gustar del legno
fu per se la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.
Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;
e vidi lui tornare a tutt' i lumi
de la sua strada novecento trenta
fiate, mentre ch'io in terra fu'mi.
La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembrot attenta:
che nullo effetto mai razionabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale e ch'uom favella;
ma cosi o cosi, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.
Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,
I s'appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;
e El si chiamo poi: e cio convene,
che l'uso d'i mortali e come fronda
in ramo, che sen va e altra vene.
Nel monte che si leva piu da l'onda,
fu' io, con vita pura e disonesta,
da la prim' ora a quella che seconda,
come 'l sol muta quadra, l'ora sesta>>.
Paradiso ? Canto XXVII
'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo',
comincio, 'gloria! ', tutto 'l paradiso,
si che m'inebriava il dolce canto.
Cio ch'io vedeva mi sembiava un riso
de l'universo; per che mia ebbrezza
intrava per l'udire e per lo viso.
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita integra d'amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!
Dinanzi a li occhi miei le quattro face
stavano accese, e quella che pria venne
incomincio a farsi piu vivace,
e tal ne la sembianza sua divenne,
qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte
fossero augelli e cambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comparte
vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte,
quand' io udi': <<Se io mi trascoloro,
non ti maravigliar, che, dicend' io,
vedrai trascolorar tutti costoro.
Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio, che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio,
fatt' ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde 'l perverso
che cadde di qua su, la giu si placa>>.
Di quel color che per lo sole avverso
nube dipigne da sera e da mane,
vid' io allora tutto 'l ciel cosperso.
E come donna onesta che permane
di se sicura, e per l'altrui fallanza,
pur ascoltando, timida si fane,
cosi Beatrice trasmuto sembianza;
e tale eclissi credo che 'n ciel fue
quando pati la supprema possanza.
Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da se trasmutata,
che la sembianza non si muto piue:
<<Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d'oro usata;
ma per acquisto d'esto viver lieto
e Sisto e Pio e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
d'i nostri successor parte sedesse,
parte da l'altra del popol cristiano;
ne che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
ne ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond' io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua su per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perche pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s'apparecchian di bere: o buon principio,
a che vil fine convien che tu caschi!
Ma l'alta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorra tosto, si com' io concipio;
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
ancor giu tornerai, apri la bocca,
e non asconder quel ch'io non ascondo>>.
Si come di vapor gelati fiocca
in giuso l'aere nostro, quando 'l corno
de la capra del ciel col sol si tocca,
in su vid' io cosi l'etera addorno
farsi e fioccar di vapor triunfanti
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
e segui fin che 'l mezzo, per lo molto,
li tolse il trapassar del piu avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto
de l'attendere in su, mi disse: <<Adima
il viso e guarda come tu se' volto>>.
Da l'ora ch'io avea guardato prima
i' vidi mosso me per tutto l'arco
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
si ch'io vedea di la da Gade il varco
folle d'Ulisse, e di qua presso il lito
nel qual si fece Europa dolce carco.
E piu mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma 'l sol procedea
sotto i mie' piedi un segno e piu partito.
La mente innamorata, che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
ad essa li occhi piu che mai ardea;
e se natura o arte fe pasture
da pigliare occhi, per aver la mente,
in carne umana o ne le sue pitture,
tutte adunate, parrebber niente
ver' lo piacer divin che mi refulse,
quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtu che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo m'impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
si uniforme son, ch'i' non so dire
qual Beatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedea 'l mio disire,
incomincio, ridendo tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:
<<La natura del mondo, che quieta
il mezzo e tutto l'altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta;
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s'accende
l'amor che 'l volge e la virtu ch'ei piove.
Luce e amor d'un cerchio lui comprende,
si come questo li altri; e quel precinto
colui che 'l cinge solamente intende.
Non e suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
si come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
omai a te puo esser manifesto.
Oh cupidigia che i mortali affonde
si sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde!
Ben fiorisce ne li uomini il volere;
ma la pioggia continua converte
in bozzacchioni le sosine vere.
Fede e innocenza son reperte
solo ne' parvoletti; poi ciascuna
pria fugge che le guance sian coperte.
Tale, balbuziendo ancor, digiuna,
che poi divora, con la lingua sciolta,
qualunque cibo per qualunque luna;
e tal, balbuziendo, ama e ascolta
la madre sua, che, con loquela intera,
disia poi di vederla sepolta.
Cosi si fa la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la bella figlia
di quel ch'apporta mane e lascia sera.
Tu, perche non ti facci maraviglia,
pensa che 'n terra non e chi governi;
onde si svia l'umana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni
per la centesma ch'e la giu negletta,
raggeran si questi cerchi superni,
che la fortuna che tanto s'aspetta,
le poppe volgera u' son le prore,
si che la classe correra diretta;
e vero frutto verra dopo 'l fiore>>.
Paradiso ? Canto XXVIII
Poscia che 'ncontro a la vita presente
d'i miseri mortali aperse 'l vero
quella che 'mparadisa la mia mente,
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n'alluma retro,
prima che l'abbia in vista o in pensiero,
e se rivolge per veder se 'l vetro
li dice il vero, e vede ch'el s'accorda
con esso come nota con suo metro;
cosi la mia memoria si ricorda
ch'io feci riguardando ne' belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com' io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da cio che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s'adocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto si, che 'l viso ch'elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci piu poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si colloca.
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che 'l dipigne
quando 'l vapor che 'l porta piu e spesso,
distante intorno al punto un cerchio d'igne
si girava si ratto, ch'avria vinto
quel moto che piu tosto il mondo cigne;
e questo era d'un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo si sparto
gia di larghezza, che 'l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Cosi l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno
piu tardo si movea, secondo ch'era
in numero distante piu da l'uno;
e quello avea la fiamma piu sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, pero che piu di lei s'invera.
La donna mia, che mi vedea in cura
forte sospeso, disse: <<Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che piu li e congiunto;
e sappi che 'l suo muovere e si tosto
per l'affocato amore ond' elli e punto>>.
E io a lei: <<Se 'l mondo fosse posto
con l'ordine ch'io veggio in quelle rote,
sazio m'avrebbe cio che m'e proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto piu divine,
quant' elle son dal centro piu remote.
Onde, se 'l mio disir dee aver fine
in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine,
udir convienmi ancor come l'essemplo
e l'essemplare non vanno d'un modo,
che io per me indarno a cio contemplo>>.
<<Se li tuoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non e maraviglia:
tanto, per non tentare, e fatto sodo! >>.
Cosi la donna mia; poi disse: <<Piglia
quel ch'io ti dicero, se vuo' saziarti;
e intorno da esso t'assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti
secondo il piu e 'l men de la virtute
che si distende per tutte lor parti.
Maggior bonta vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
s'elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape
l'altro universo seco, corrisponde
al cerchio che piu ama e che piu sape:
per che, se tu a la virtu circonde
la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t'appaion tonde,
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a piu e di minore a meno,
in ciascun cielo, a sua intelligenza>>.
Come rimane splendido e sereno
l'emisperio de l'aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond' e piu leno,
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, si che 'l ciel ne ride
con le bellezze d'ogne sua paroffia;
cosi fec'io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
e come stella in cielo il ver si vide.
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L'incendio suo seguiva ogne scintilla;
ed eran tante, che 'l numero loro
piu che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
e terra sempre, ne' quai sempre fuoro.
E quella che vedea i pensier dubi
ne la mia mente, disse: <<I cerchi primi
t'hanno mostrato Serafi e Cherubi.
Cosi veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
e posson quanto a veder son soblimi.
Quelli altri amori che 'ntorno li vonno,
si chiaman Troni del divino aspetto,
per che 'l primo ternaro terminonno;
e dei saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si puo veder come si fonda
l'esser beato ne l'atto che vede,
non in quel ch'ama, che poscia seconda;
e del vedere e misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
cosi di grado in grado si procede.
L'altro ternaro, che cosi germoglia
in questa primavera sempiterna
che notturno Ariete non dispoglia,
perpetualemente 'Osanna' sberna
con tre melode, che suonano in tree
ordini di letizia onde s'interna.
In essa gerarcia son l'altre dee:
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
l'ordine terzo di Podestadi ee.
Poscia ne' due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano;
l'ultimo e tutto d'Angelici ludi.
Questi ordini di su tutti s'ammirano,
e di giu vincon si, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomo e distinse com' io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, si tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di se medesmo rise.
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch'ammiri:
che chi 'l vide qua su gliel discoperse
con altro assai del ver di questi giri>>.
Paradiso ? Canto XXIX
Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l'orizzonte insieme zona,
quant' e dal punto che 'l cenit inlibra
infin che l'uno e l'altro da quel cinto,
cambiando l'emisperio, si dilibra,
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Beatrice, riguardando
fiso nel punto che m'avea vinto.
Poi comincio: <<Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto
la 've s'appunta ogne ubi e ogne quando.
Non per aver a se di bene acquisto,
ch'esser non puo, ma perche suo splendore
potesse, risplendendo, dir "Subsisto",
in sua etternita di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque,
s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.
Ne prima quasi torpente si giacque;
che ne prima ne poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest' acque.
Forma e materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come d'arco tricordo tre saette.
E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende si, che dal venire
a l'esser tutto non e intervallo,
cosi 'l triforme effetto del suo sire
ne l'esser suo raggio insieme tutto
sanza distinzione in essordire.
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto;
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che gia mai non si divima.
Ieronimo vi scrisse lungo tratto
di secoli de li angeli creati
anzi che l'altro mondo fosse fatto;
ma questo vero e scritto in molti lati
da li scrittor de lo Spirito Santo,
e tu te n'avvedrai se bene agguati;
e anche la ragione il vede alquanto,
che non concederebbe che ' motori
sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
furon creati e come: si che spenti
nel tuo disio gia son tre ardori.
Ne giugneriesi, numerando, al venti
si tosto, come de li angeli parte
turbo il suggetto d'i vostri alimenti.
L'altra rimase, e comincio quest' arte
che tu discerni, con tanto diletto,
che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli che vedi qui furon modesti
a riconoscer se da la bontate
che li avea fatti a tanto intender presti:
per che le viste lor furo essaltate
con grazia illuminante e con lor merto,
si c'hanno ferma e piena volontate;
e non voglio che dubbi, ma sia certo,
che ricever la grazia e meritorio
secondo che l'affetto l'e aperto.
Omai dintorno a questo consistorio
puoi contemplare assai, se le parole
mie son ricolte, sanz' altro aiutorio.
Ma perche 'n terra per le vostre scole
si legge che l'angelica natura
e tal, che 'ntende e si ricorda e vole,
ancor diro, perche tu veggi pura
la verita che la giu si confonde,
equivocando in si fatta lettura.
Queste sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:
pero non hanno vedere interciso
da novo obietto, e pero non bisogna
rememorar per concetto diviso;
si che la giu, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l'uno e piu colpa e piu vergogna.
