Ed elli a me: <
d'invidia si che gia
trabocca
il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
seco mi tenne in la vita serena.
Dante - La Divina Commedia
Io cominciai: <<Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtu s'ell' e possente,
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.
Tu dici che di Silvio il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo ando, e fu sensibilmente.
Pero, se l'avversario d'ogne male
cortese i fu, pensando l'alto effetto
ch'uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale
non pare indegno ad omo d'intelletto;
ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
ne l'empireo ciel per padre eletto:
la quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u' siede il successor del maggior Piero.
Per quest' andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d'elezione,
per recarne conforto a quella fede
ch'e principio a la via di salvazione.
Ma io, perche venirvi? o chi 'l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono;
me degno a cio ne io ne altri 'l crede.
Per che, se del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono>>.
E qual e quei che disvuol cio che volle
e per novi pensier cangia proposta,
si che dal cominciar tutto si tolle,
tal mi fec' io 'n quella oscura costa,
perche, pensando, consumai la 'mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.
<<S'i' ho ben la parola tua intesa>>,
rispuose del magnanimo quell' ombra,
<<l'anima tua e da viltade offesa;
la qual molte fiate l'omo ingombra
si che d'onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand' ombra.
Da questa tema accio che tu ti solve,
dirotti perch' io venni e quel ch'io 'ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamo beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi piu che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:
"O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durera quanto 'l mondo lontana,
l'amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia e impedito
si nel cammin, che volt' e per paura;
e temo che non sia gia si smarrito,
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata
e con cio c'ha mestieri al suo campare,
l'aiuta si ch'i' ne sia consolata.
I' son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando saro dinanzi al segnor mio,
di te mi lodero sovente a lui".
Tacette allora, e poi comincia' io:
"O donna di virtu sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,
tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se gia fosse, m'e tardi;
piu non t'e uo' ch'aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l'ampio loco ove tornar tu ardi".
"Da che tu vuo' saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
"perch' i' non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose
c'hanno potenza di fare altrui male;
de l'altre no, che non son paurose.
I' son fatta da Dio, sua merce, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
ne fiamma d'esto 'ncendio non m'assale.
Donna e gentil nel ciel che si compiange
di questo 'mpedimento ov' io ti mando,
si che duro giudicio la su frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse:--Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando--.
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov' i' era,
che mi sedea con l'antica Rachele.
Disse:--Beatrice, loda di Dio vera,
che non soccorri quei che t'amo tanto,
ch'usci per te de la volgare schiera?
Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che 'l combatte
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto? --.
Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com' io, dopo cotai parole fatte,
venni qua giu del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch'onora te e quei ch'udito l'hanno".
Poscia che m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir piu presto.
E venni a te cosi com' ella volse:
d'inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque: che e? perche, perche restai,
perche tanta vilta nel core allette,
perche ardire e franchezza non hai,
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e 'l mio parlar tanto ben ti promette? >>.
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,
tal mi fec' io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch'i' cominciai come persona franca:
<<Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch'ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!
Tu m'hai con disiderio il cor disposto
si al venir con le parole tue,
ch'i' son tornato nel primo proposto.
Or va, ch'un sol volere e d'ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro>>.
Cosi li dissi; e poi che mosso fue,
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Inferno ? Canto III
'Per me si va ne la citta dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate'.
Queste parole di colore oscuro
vid' io scritte al sommo d'una porta;
per ch'io: <<Maestro, il senso lor m'e duro>>.
Ed elli a me, come persona accorta:
<<Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne vilta convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto>>.
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond' io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell' aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: <<Maestro, che e quel ch'i' odo?
e che gent' e che par nel duol si vinta? >>.
Ed elli a me: <<Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
ne fur fedeli a Dio, ma per se fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
ne lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli>>.
E io: <<Maestro, che e tanto greve
a lor che lamentar li fa si forte? >>.
Rispuose: <<Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita e tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa>>.
E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venia si lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: <<Maestro, or mi concedi
ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer si pronte,
com' i' discerno per lo fioco lume>>.
Ed elli a me: <<Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d'Acheronte>>.
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: <<Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che se' costi, anima viva,
partiti da cotesti che son morti>>.
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: <<Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
piu lieve legno convien che ti porti>>.
E 'l duca lui: <<Caron, non ti crucciare:
vuolsi cosi cola dove si puote
cio che si vuole, e piu non dimandare>>.
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Cosi sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di la discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.
<<Figliuol mio>>, disse 'l maestro cortese,
<<quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
che la divina giustizia li sprona,
si che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e pero, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona>>.
Finito questo, la buia campagna
tremo si forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che baleno una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l'uom cui sonno piglia.
Inferno ? Canto IV
Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, si ch'io mi riscossi
come persona ch'e per forza desta;
e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero e che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
<<Or discendiam qua giu nel cieco mondo>>,
comincio il poeta tutto smorto.
<<Io saro primo, e tu sarai secondo>>.
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: <<Come verro, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto? >>.
Ed elli a me: <<L'angoscia de le genti
che son qua giu, nel viso mi dipigne
quella pieta che tu per tema senti.
Andiam, che la via lunga ne sospigne>>.
Cosi si mise e cosi mi fe intrare
nel primo cerchio che l'abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri
che l'aura etterna facevan tremare;
cio avvenia di duol sanza martiri,
ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
d'infanti e di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: <<Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che piu andi,
ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perche non ebber battesmo,
ch'e porta de la fede che tu credi;
e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi
che sanza speme vivemo in disio>>.
Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
pero che gente di molto valore
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
<<Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore>>,
comincia' io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
<<uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato? >>.
E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
rispuose: <<Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l'ombra del primo parente,
d'Abel suo figlio e quella di Noe,
di Moise legista e ubidente;
Abraam patriarca e David re,
Israel con lo padre e co' suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fe,
e altri molti, e feceli beati.
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati>>.
Non lasciavam l'andar perch' ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand' io vidi un foco
ch'emisperio di tenebre vincia.
Di lungi n'eravamo ancora un poco,
ma non si ch'io non discernessi in parte
ch'orrevol gente possedea quel loco.
<<O tu ch'onori scienzia e arte,
questi chi son c'hanno cotanta onranza,
che dal modo de li altri li diparte? >>.
E quelli a me: <<L'onrata nominanza
che di lor suona su ne la tua vita,
grazia acquista in ciel che si li avanza>>.
Intanto voce fu per me udita:
<<Onorate l'altissimo poeta;
l'ombra sua torna, ch'era dipartita>>.
Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand' ombre a noi venire:
sembianz' avevan ne trista ne lieta.
Lo buon maestro comincio a dire:
<<Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre si come sire:
quelli e Omero poeta sovrano;
l'altro e Orazio satiro che vene;
Ovidio e 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
Pero che ciascun meco si convene
nel nome che sono la voce sola,
fannomi onore, e di cio fanno bene>>.
Cosi vid' i' adunar la bella scola
di quel segnor de l'altissimo canto
che sovra li altri com' aquila vola.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e 'l mio maestro sorrise di tanto;
e piu d'onore ancora assai mi fenno,
ch'e' si mi fecer de la loro schiera,
si ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Cosi andammo infino a la lumera,
parlando cose che 'l tacere e bello,
si com' era 'l parlar cola dov' era.
Venimmo al pie d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
difeso intorno d'un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorita ne' lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
Traemmoci cosi da l'un de' canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
si che veder si potien tutti quanti.
Cola diritto, sovra 'l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m'essalto.
I' vidi Eletra con molti compagni,
tra ' quai conobbi Ettor ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte vidi 'l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto che caccio Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
Poi ch'innalzai un poco piu le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid' io Socrate e Platone,
che 'nnanzi a li altri piu presso li stanno;
Democrito che 'l mondo a caso pone,
Diogenes, Anassagora e Tale,
Empedocles, Eraclito e Zenone;
e vidi il buono accoglitor del quale,
Diascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale;
Euclide geometra e Tolomeo,
Ipocrate, Avicenna e Galieno,
Averois, che 'l gran comento feo.
Io non posso ritrar di tutti a pieno,
pero che si mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l'aura che trema.
E vegno in parte ove non e che luca.
Inferno ? Canto V
Cosi discesi del cerchio primaio
giu nel secondo, che men loco cinghia
e tanto piu dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minos orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno e da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giu sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giu volte.
<<O tu che vieni al doloroso ospizio>>,
disse Minos a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
<<guarda com' entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare! >>.
E 'l duca mio a lui: <<Perche pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi cosi cola dove si puote
cio che si vuole, e piu non dimandare>>.
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
la dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti e combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtu divina.
Intesi ch'a cosi fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
cosi quel fiato li spiriti mali
di qua, di la, di giu, di su li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di se lunga riga,
cosi vid' io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: <<Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera si gastiga? >>.
<<La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper>>, mi disse quelli allotta,
<<fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu si rotta,
che libito fe licito in sua legge,
per torre il biasmo in che era condotta.
Ell' e Semiramis, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra e colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi e Cleopatras lussuriosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
Vedi Paris, Tristano>>; e piu di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pieta mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: <<Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion si al vento esser leggeri>>.
Ed elli a me: <<Vedrai quando saranno
piu presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno>>.
Si tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: <<O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega! >>.
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' e Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
si forte fu l'affettuoso grido.
<<O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pieta del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer si forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense>>.
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: <<Che pense? >>.
Quando rispuosi, cominciai: <<Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
meno costoro al doloroso passo! >>.
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: <<Francesca, i tuoi martiri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri? >>.
E quella a me: <<Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e cio sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
diro come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per piu fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi bascio tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno piu non vi leggemmo avante>>.
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; si che di pietade
io venni men cosi com' io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Inferno ? Canto VI
Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pieta d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch'io mi mova
e ch'io mi volga, e come che io guati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualita mai non l'e nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l'aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi e sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.
E 'l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gitto dentro a le bramose canne.
Qual e quel cane ch'abbaiando agogna,
e si racqueta poi che 'l pasto morde,
che solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
l'anime si, ch'esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanita che par persona.
Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d'una ch'a seder si levo, ratto
ch'ella ci vide passarsi davante.
<<O tu che se' per questo 'nferno tratto>>,
mi disse, <<riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto>>.
E io a lui: <<L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
si che non par ch'i' ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se' che 'n si dolente
loco se' messo, e hai si fatta pena,
che, s'altra e maggio, nulla e si spiacente>>.
Ed elli a me: <
seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,
che tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa>>. E piu non fe parola.
Io li rispuosi: <<Ciacco, il tuo affanno
mi pesa si, ch'a lagrimar mi 'nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadin de la citta partita;
s'alcun v'e giusto; e dimmi la cagione
per che l'ha tanta discordia assalita>>.
E quelli a me: <<Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccera l'altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l'altra sormonti
con la forza di tal che teste piaggia.
Alte terra lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
come che di cio pianga o che n'aonti.
Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c'hanno i cuori accesi>>.
Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: <<Ancor vo' che mi 'nsegni
e che di piu parlar mi facci dono.
Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor si degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,
dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
che gran disio mi stringe di savere
se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca>>.
E quelli: <<Ei son tra l'anime piu nere;
diverse colpe giu li grava al fondo:
se tanto scendi, la i potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
piu non ti dico e piu non ti rispondo>>.
Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chino la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.
E 'l duca disse a me: <<Piu non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verra la nimica podesta:
ciascun rivedera la trista tomba,
ripigliera sua carne e sua figura,
udira quel ch'in etterno rimbomba>>.
Si trapassammo per sozza mistura
de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;
per ch'io dissi: <<Maestro, esti tormenti
crescerann' ei dopo la gran sentenza,
o fier minori, o saran si cocenti? >>.
Ed elli a me: <<Ritorna a tua scienza,
che vuol, quanto la cosa e piu perfetta,
piu senta il bene, e cosi la doglienza.
Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion gia mai non vada,
di la piu che di qua essere aspetta>>.
Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando piu assai ch'i' non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:
quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
Inferno ? Canto VII
<<Pape Satan, pape Satan aleppe! >>,
comincio Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
disse per confortarmi: <<Non ti noccia
la tua paura; che, poder ch'elli abbia,
non ci torra lo scender questa roccia>>.
Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
e disse: <<Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.
Non e sanza cagion l'andare al cupo:
vuolsi ne l'alto, la dove Michele
fe la vendetta del superbo strupo>>.
Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele.
Cosi scendemmo ne la quarta lacca,
pigliando piu de la dolente ripa
che 'l mal de l'universo tutto insacca.
Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
nove travaglie e pene quant' io viddi?
e perche nostra colpa si ne scipa?
Come fa l'onda la sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s'intoppa,
cosi convien che qui la gente riddi.
Qui vid' i' gente piu ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand' urli,
voltando pesi per forza di poppa.
Percoteansi 'ncontro; e poscia pur li
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: <<Perche tieni? >> e <<Perche burli? >>.
Cosi tornavan per lo cerchio tetro
da ogne mano a l'opposito punto,
gridandosi anche loro ontoso metro;
poi si volgea ciascun, quand' era giunto,
per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
E io, ch'avea lo cor quasi compunto,
dissi: <<Maestro mio, or mi dimostra
che gente e questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra>>.
Ed elli a me: <<Tutti quanti fuor guerci
si de la mente in la vita primaia,
che con misura nullo spendio ferci.
Assai la voce lor chiaro l'abbaia,
quando vegnono a' due punti del cerchio
dove colpa contraria li dispaia.
Questi fuor cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
in cui usa avarizia il suo soperchio>>.
E io: <<Maestro, tra questi cotali
dovre' io ben riconoscere alcuni
che furo immondi di cotesti mali>>.
Ed elli a me: <<Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fe sozzi,
ad ogne conoscenza or li fa bruni.
In etterno verranno a li due cozzi:
questi resurgeranno del sepulcro
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
d'i ben che son commessi a la fortuna,
per che l'umana gente si rabbuffa;
che tutto l'oro ch'e sotto la luna
e che gia fu, di quest' anime stanche
non poterebbe farne posare una>>.
<<Maestro mio>>, diss' io, <<or mi di anche:
questa fortuna di che tu mi tocche,
che e, che i ben del mondo ha si tra branche? >>.
E quelli a me: <<Oh creature sciocche,
quanta ignoranza e quella che v'offende!
Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.
Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e die lor chi conduce
si, ch'ogne parte ad ogne parte splende,
distribuendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor mondani
ordino general ministra e duce
che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d'uno in altro sangue,
oltre la difension d'i senni umani;
per ch'una gente impera e l'altra langue,
seguendo lo giudicio di costei,
che e occulto come in erba l'angue.
Vostro saver non ha contasto a lei:
questa provede, giudica, e persegue
suo regno come il loro li altri dei.
Le sue permutazion non hanno triegue:
necessita la fa esser veloce;
si spesso vien chi vicenda consegue.
Quest' e colei ch'e tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
dandole biasmo a torto e mala voce;
ma ella s'e beata e cio non ode:
con l'altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode.
Or discendiamo omai a maggior pieta;
gia ogne stella cade che saliva
quand' io mi mossi, e 'l troppo star si vieta>>.
Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
sovr' una fonte che bolle e riversa
per un fossato che da lei deriva.
L'acqua era buia assai piu che persa;
e noi, in compagnia de l'onde bige,
intrammo giu per una via diversa.
In la palude va c'ha nome Stige
questo tristo ruscel, quand' e disceso
al pie de le maligne piagge grige.
E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.
Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co' denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse: <<Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira;
e anche vo' che tu per certo credi
che sotto l'acqua e gente che sospira,
e fanno pullular quest' acqua al summo,
come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidioso fummo:
or ci attristiam ne la belletta negra".
Quest' inno si gorgoglian ne la strozza,
che dir nol posson con parola integra>>.
Cosi girammo de la lorda pozza
grand' arco tra la ripa secca e 'l mezzo,
con li occhi volti a chi del fango ingozza.
Venimmo al pie d'una torre al da sezzo.
Inferno ? Canto VIII
Io dico, seguitando, ch'assai prima
che noi fossimo al pie de l'alta torre,
li occhi nostri n'andar suso a la cima
per due fiammette che i vedemmo porre,
e un'altra da lungi render cenno,
tanto ch'a pena il potea l'occhio torre.
E io mi volsi al mar di tutto 'l senno;
dissi: <<Questo che dice? e che risponde
quell' altro foco? e chi son quei che 'l fenno? >>.
Ed elli a me: <<Su per le sucide onde
gia scorgere puoi quello che s'aspetta,
se 'l fummo del pantan nol ti nasconde>>.
Corda non pinse mai da se saetta
che si corresse via per l'aere snella,
com' io vidi una nave piccioletta
venir per l'acqua verso noi in quella,
sotto 'l governo d'un sol galeoto,
che gridava: <<Or se' giunta, anima fella! >>.
<<Flegias, Flegias, tu gridi a voto>>,
disse lo mio segnore, <<a questa volta:
piu non ci avrai che sol passando il loto>>.
Qual e colui che grande inganno ascolta
che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
fecesi Flegias ne l'ira accolta.
Lo duca mio discese ne la barca,
e poi mi fece intrare appresso lui;
e sol quand' io fui dentro parve carca.
Tosto che 'l duca e io nel legno fui,
segando se ne va l'antica prora
de l'acqua piu che non suol con altrui.
Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: <<Chi se' tu che vieni anzi ora? >>.
E io a lui: <<S'i' vegno, non rimango;
ma tu chi se', che si se' fatto brutto? >>.
Rispuose: <<Vedi che son un che piango>>.
E io a lui: <<Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto>>.
Allor distese al legno ambo le mani;
per che 'l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: <<Via costa con li altri cani! >>.
Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi 'l volto e disse: <<Alma sdegnosa,
benedetta colei che 'n te s'incinse!
Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bonta non e che sua memoria fregi:
cosi s'e l'ombra sua qui furiosa.
Quanti si tegnon or la su gran regi
che qui staranno come porci in brago,
di se lasciando orribili dispregi! >>.
E io: <<Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago>>.
Ed elli a me: <<Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disio convien che tu goda>>.
Dopo cio poco vid' io quello strazio
far di costui a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Tutti gridavano: <<A Filippo Argenti! >>;
e 'l fiorentino spirito bizzarro
in se medesmo si volvea co' denti.
Quivi il lasciammo, che piu non ne narro;
ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,
per ch'io avante l'occhio intento sbarro.
Lo buon maestro disse: <<Omai, figliuolo,
s'appressa la citta c'ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo>>.
E io: <<Maestro, gia le sue meschite
la entro certe ne la valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite
fossero>>. Ed ei mi disse: <<Il foco etterno
ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno>>.
Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse
che vallan quella terra sconsolata:
le mura mi parean che ferro fosse.
Non sanza prima far grande aggirata,
venimmo in parte dove il nocchier forte
<<Usciteci>>, grido: <<qui e l'intrata>>.
Io vidi piu di mille in su le porte
da ciel piovuti, che stizzosamente
dicean: <<Chi e costui che sanza morte
va per lo regno de la morta gente? >>.
E 'l savio mio maestro fece segno
di voler lor parlar segretamente.
Allor chiusero un poco il gran disdegno
e disser: <<Vien tu solo, e quei sen vada
che si ardito intro per questo regno.
Sol si ritorni per la folle strada:
pruovi, se sa; che tu qui rimarrai,
che li ha' iscorta si buia contrada>>.
Pensa, lettor, se io mi sconfortai
nel suon de le parole maladette,
che non credetti ritornarci mai.
<<O caro duca mio, che piu di sette
volte m'hai sicurta renduta e tratto
d'alto periglio che 'ncontra mi stette,
non mi lasciar>>, diss' io, <<cosi disfatto;
e se 'l passar piu oltre ci e negato,
ritroviam l'orme nostre insieme ratto>>.
E quel segnor che li m'avea menato,
mi disse: <<Non temer; che 'l nostro passo
non ci puo torre alcun: da tal n'e dato.
Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona,
ch'i' non ti lascero nel mondo basso>>.
Cosi sen va, e quivi m'abbandona
lo dolce padre, e io rimagno in forse,
che si e no nel capo mi tenciona.
Udir non potti quello ch'a lor porse;
ma ei non stette la con essi guari,
che ciascun dentro a pruova si ricorse.
Chiuser le porte que' nostri avversari
nel petto al mio segnor, che fuor rimase
e rivolsesi a me con passi rari.
Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
<<Chi m'ha negate le dolenti case! >>.
E a me disse: <<Tu, perch' io m'adiri,
non sbigottir, ch'io vincero la prova,
qual ch'a la difension dentro s'aggiri.
Questa lor tracotanza non e nova;
che gia l'usaro a men segreta porta,
la qual sanza serrame ancor si trova.
Sovr' essa vedestu la scritta morta:
e gia di qua da lei discende l'erta,
passando per li cerchi sanza scorta,
tal che per lui ne fia la terra aperta>>.
Inferno ? Canto IX
Quel color che vilta di fuor mi pinse
veggendo il duca mio tornare in volta,
piu tosto dentro il suo novo ristrinse.
Attento si fermo com' uom ch'ascolta;
che l'occhio nol potea menare a lunga
per l'aere nero e per la nebbia folta.
<<Pur a noi converra vincer la punga>>,
comincio el, <<se non . . . Tal ne s'offerse.
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga! >>.
I' vidi ben si com' ei ricoperse
lo cominciar con l'altro che poi venne,
che fur parole a le prime diverse;
ma nondimen paura il suo dir dienne,
perch' io traeva la parola tronca
forse a peggior sentenzia che non tenne.
<<In questo fondo de la trista conca
discende mai alcun del primo grado,
che sol per pena ha la speranza cionca? >>.
Questa question fec' io; e quei <<Di rado
incontra>>, mi rispuose, <<che di noi
faccia il cammino alcun per qual io vado.
Ver e ch'altra fiata qua giu fui,
congiurato da quella Eriton cruda
che richiamava l'ombre a' corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda,
ch'ella mi fece intrar dentr' a quel muro,
per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quell' e 'l piu basso loco e 'l piu oscuro,
e 'l piu lontan dal ciel che tutto gira:
ben so 'l cammin; pero ti fa sicuro.
Questa palude che 'l gran puzzo spira
cigne dintorno la citta dolente,
u' non potemo intrare omai sanz' ira>>.
E altro disse, ma non l'ho a mente;
pero che l'occhio m'avea tutto tratto
ver' l'alta torre a la cima rovente,
dove in un punto furon dritte ratto
tre furie infernal di sangue tinte,
che membra feminine avieno e atto,
e con idre verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avien per crine,
onde le fiere tempie erano avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
de la regina de l'etterno pianto,
<<Guarda>>, mi disse, <<le feroci Erine.
Quest' e Megera dal sinistro canto;
quella che piange dal destro e Aletto;
Tesifon e nel mezzo>>; e tacque a tanto.
Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
battiensi a palme e gridavan si alto,
ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.
<<Vegna Medusa: si 'l farem di smalto>>,
dicevan tutte riguardando in giuso;
<<mal non vengiammo in Teseo l'assalto>>.
<<Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
che se 'l Gorgon si mostra e tu 'l vedessi,
nulla sarebbe di tornar mai suso>>.
Cosi disse 'l maestro; ed elli stessi
mi volse, e non si tenne a le mie mani,
che con le sue ancor non mi chiudessi.
O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.
E gia venia su per le torbide onde
un fracasso d'un suon, pien di spavento,
per cui tremavano amendue le sponde,
non altrimenti fatto che d'un vento
impetuoso per li avversi ardori,
che fier la selva e sanz' alcun rattento
li rami schianta, abbatte e porta fori;
dinanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e li pastori.
Li occhi mi sciolse e disse: <<Or drizza il nerbo
del viso su per quella schiuma antica
per indi ove quel fummo e piu acerbo>>.
Come le rane innanzi a la nimica
biscia per l'acqua si dileguan tutte,
fin ch'a la terra ciascuna s'abbica,
vid' io piu di mille anime distrutte
fuggir cosi dinanzi ad un ch'al passo
passava Stige con le piante asciutte.
Dal volto rimovea quell' aere grasso,
menando la sinistra innanzi spesso;
e sol di quell' angoscia parea lasso.
Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
e volsimi al maestro; e quei fe segno
ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne a la porta e con una verghetta
l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
<<O cacciati del ciel, gente dispetta>>,
comincio elli in su l'orribil soglia,
<<ond' esta oltracotanza in voi s'alletta?
Perche recalcitrate a quella voglia
a cui non puote il fin mai esser mozzo,
e che piu volte v'ha cresciuta doglia?
Che giova ne le fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo>>.
Poi si rivolse per la strada lorda,
e non fe motto a noi, ma fe sembiante
d'omo cui altra cura stringa e morda
che quella di colui che li e davante;
e noi movemmo i piedi inver' la terra,
sicuri appresso le parole sante.
Dentro li 'ntrammo sanz' alcuna guerra;
e io, ch'avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra,
com' io fui dentro, l'occhio intorno invio:
e veggio ad ogne man grande campagna,
piena di duolo e di tormento rio.
Si come ad Arli, ove Rodano stagna,
si com' a Pola, presso del Carnaro
ch'Italia chiude e suoi termini bagna,
fanno i sepulcri tutt' il loco varo,
cosi facevan quivi d'ogne parte,
salvo che 'l modo v'era piu amaro;
che tra li avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran si del tutto accesi,
che ferro piu non chiede verun' arte.
Tutti li lor coperchi eran sospesi,
e fuor n'uscivan si duri lamenti,
che ben parean di miseri e d'offesi.
E io: <<Maestro, quai son quelle genti
che, seppellite dentro da quell' arche,
si fan sentir coi sospiri dolenti? >>.
E quelli a me: <<Qui son li eresiarche
con lor seguaci, d'ogne setta, e molto
piu che non credi son le tombe carche.
Simile qui con simile e sepolto,
e i monimenti son piu e men caldi>>.
E poi ch'a la man destra si fu volto,
passammo tra i martiri e li alti spaldi.
Inferno ? Canto X
Ora sen va per un secreto calle,
tra 'l muro de la terra e li martiri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.
<<O virtu somma, che per li empi giri
mi volvi>>, cominciai, <<com' a te piace,
parlami, e sodisfammi a' miei disiri.
La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? gia son levati
tutt' i coperchi, e nessun guardia face>>.
E quelli a me: <<Tutti saran serrati
quando di Iosafat qui torneranno
coi corpi che la su hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l'anima col corpo morta fanno.
Pero a la dimanda che mi faci
quinc' entro satisfatto sara tosto,
e al disio ancor che tu mi taci>>.
E io: <<Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m'hai non pur mo a cio disposto>>.
<<O Tosco che per la citta del foco
vivo ten vai cosi parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio,
a la qual forse fui troppo molesto>>.
Subitamente questo suono uscio
d'una de l'arche; pero m'accostai,
temendo, un poco piu al duca mio.
Ed el mi disse: <<Volgiti! Che fai?
Vedi la Farinata che s'e dritto:
da la cintola in su tutto 'l vedrai>>.
Io avea gia il mio viso nel suo fitto;
ed el s'ergea col petto e con la fronte
com' avesse l'inferno a gran dispitto.
E l'animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: <<Le parole tue sien conte>>.
Com' io al pie de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimando: <<Chi fuor li maggior tui? >>.
Io ch'era d'ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel' apersi;
ond' ei levo le ciglia un poco in suso;
poi disse: <<Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
si che per due fiate li dispersi>>.
<<S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte>>,
rispuos' io lui, <<l'una e l'altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell' arte>>.
Allor surse a la vista scoperchiata
un'ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s'era in ginocchie levata.
Dintorno mi guardo, come talento
avesse di veder s'altri era meco;
e poi che 'l sospecciar fu tutto spento,
piangendo disse: <<Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
mio figlio ov' e? e perche non e teco? >>.
E io a lui: <<Da me stesso non vegno:
colui ch'attende la, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno>>.
Le sue parole e 'l modo de la pena
m'avean di costui gia letto il nome;
pero fu la risposta cosi piena.
Di subito drizzato grido: <<Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv' elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume? >>.
Quando s'accorse d'alcuna dimora
ch'io facea dinanzi a la risposta,
supin ricadde e piu non parve fora.
Ma quell' altro magnanimo, a cui posta
restato m'era, non muto aspetto,
ne mosse collo, ne piego sua costa;
e se continuando al primo detto,
<<S'elli han quell' arte>>, disse, <<male appresa,
cio mi tormenta piu che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell' arte pesa.
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perche quel popolo e si empio
incontr' a' miei in ciascuna sua legge?
