Per li tre gradi su di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: <
umilemente
che 'l serrame scioglia>>.
mi trasse il duca mio, dicendo: <
Dante - La Divina Commedia
E 'l mio maestro: <<Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che 'l corpo di costui e vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com' io avviso, assai e lor risposto:
faccianli onore, ed esser puo lor caro>>.
Vapori accesi non vid' io si tosto
di prima notte mai fender sereno,
ne, sol calando, nuvole d'agosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti la, con li altri a noi dier volta,
come schiera che scorre sanza freno.
<<Questa gente che preme a noi e molta,
e vegnonti a pregar>>, disse 'l poeta:
<<pero pur va, e in andando ascolta>>.
<<O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti>>,
venian gridando, <<un poco il passo queta.
Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,
si che di lui di la novella porti:
deh, perche vai? deh, perche non t'arresti?
Noi fummo tutti gia per forza morti,
e peccatori infino a l'ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
si che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di se veder n'accora>>.
E io: <<Perche ne' vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma s'a voi piace
cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io faro per quella pace
che, dietro a' piedi di si fatta guida,
di mondo in mondo cercar mi si face>>.
E uno incomincio: <<Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che 'l voler nonpossa non ricida.
Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, si che ben per me s'adori
pur ch'i' possa purgar le gravi offese.
Quindi fu' io; ma li profondi fori
ond' usci 'l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
la dov' io piu sicuro esser credea:
quel da Esti il fe far, che m'avea in ira
assai piu la che dritto non volea.
Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,
quando fu' sovragiunto ad Oriaco,
ancor sarei di la dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco
m'impigliar si ch'i' caddi; e li vid' io
de le mie vene farsi in terra laco>>.
Poi disse un altro: <<Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l'alto monte,
con buona pietate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch'io vo tra costor con bassa fronte>>.
E io a lui: <<Qual forza o qual ventura
ti travio si fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura? >>.
<<Oh! >>, rispuos' elli, <<a pie del Casentino
traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,
che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
La 've 'l vocabol suo diventa vano,
arriva' io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini', e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io diro vero, e tu 'l ridi tra ' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: "O tu del ciel, perche mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io faro de l'altro altro governo! ".
Ben sai come ne l'aere si raccoglie
quell' umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove 'l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento
per la virtu che sua natura diede.
Indi la valle, come 'l di fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,
si che 'l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a' fossati venne
di lei cio che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver' lo fiume real tanto veloce
si ruino, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovo l'Archian rubesto; e quel sospinse
ne l'Arno, e sciolse al mio petto la croce
ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;
voltommi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse>>.
<<Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via>>,
seguito 'l terzo spirito al secondo,
<<ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fe, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma>>.
Purgatorio ? Canto VI
Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;
con l'altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;
el non s'arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, piu non fa pressa;
e cosi da la calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e la, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa.
Quiv' era l'Aretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
e l'altro ch'annego correndo in caccia.
Quivi pregava con le mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa
che fe parer lo buon Marzucco forte.
Vidi conte Orso e l'anima divisa
dal corpo suo per astio e per inveggia,
com' e' dicea, non per colpa commisa;
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
mentr' e di qua, la donna di Brabante,
si che pero non sia di peggior greggia.
Come libero fui da tutte quante
quell' ombre che pregar pur ch'altri prieghi,
si che s'avacci lor divenir sante,
io cominciai: <<El par che tu mi nieghi,
o luce mia, espresso in alcun testo
che decreto del cielo orazion pieghi;
e questa gente prega pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana,
o non m'e 'l detto tuo ben manifesto? >>.
Ed elli a me: <<La mia scrittura e piana;
e la speranza di costor non falla,
se ben si guarda con la mente sana;
che cima di giudicio non s'avvalla
perche foco d'amor compia in un punto
cio che de' sodisfar chi qui s'astalla;
e la dov' io fermai cotesto punto,
non s'ammendava, per pregar, difetto,
perche 'l priego da Dio era disgiunto.
Veramente a cosi alto sospetto
non ti fermar, se quella nol ti dice
che lume fia tra 'l vero e lo 'ntelletto.
Non so se 'ntendi: io dico di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
di questo monte, ridere e felice>>.
E io: <<Segnore, andiamo a maggior fretta,
che gia non m'affatico come dianzi,
e vedi omai che 'l poggio l'ombra getta>>.
<<Noi anderem con questo giorno innanzi>>,
rispuose, <<quanto piu potremo omai;
ma 'l fatto e d'altra forma che non stanzi.
Prima che sie la su, tornar vedrai
colui che gia si cuopre de la costa,
si che ' suoi raggi tu romper non fai.
Ma vedi la un'anima che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda:
quella ne 'nsegnera la via piu tosta>>.
Venimmo a lei: o anima lombarda,
come ti stavi altera e disdegnosa
e nel mover de li occhi onesta e tarda!
Ella non ci dicea alcuna cosa,
ma lasciavane gir, solo sguardando
a guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava
<<Mantua . . . >>, e l'ombra, tutta in se romita,
surse ver' lui del loco ove pria stava,
dicendo: <<O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra! >>; e l'un l'altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu cosi presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perche ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella e vota?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi cio che Dio ti nota,
guarda come esta fiera e fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'e fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costa distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color gia tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d'i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com' e oscura!
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e di e notte chiama:
<<Cesare mio, perche non m'accompagne? >>.
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
e se nulla di noi pieta ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
E se licito m'e, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O e preparazion che ne l'abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l'accorger nostro scisso?
Che le citta d'Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
merce del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: <<I' mi sobbarco! >>.
Or ti fa lieta, che tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S'io dico 'l ver, l'effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
l'antiche leggi e furon si civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch'a mezzo novembre
non giugne quel che tu d'ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non puo trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
Purgatorio ? Canto VII
Poscia che l'accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: <<Voi, chi siete? >>.
<<Anzi che a questo monte fosser volte
l'anime degne di salire a Dio,
fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.
Io son Virgilio; e per null' altro rio
lo ciel perdei che per non aver fe>>.
Cosi rispuose allora il duca mio.
Qual e colui che cosa innanzi se
subita vede ond' e' si maraviglia,
che crede e non, dicendo <<Ella e . . . non e . . . >>,
tal parve quelli; e poi chino le ciglia,
e umilmente ritorno ver' lui,
e abbracciol la 've 'l minor s'appiglia.
<<O gloria di Latin>>, disse, <<per cui
mostro cio che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond' io fui,
qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S'io son d'udir le tue parole degno,
dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra>>.
<<Per tutt' i cerchi del dolente regno>>,
rispuose lui, <<son io di qua venuto;
virtu del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l'alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto.
Luogo e la giu non tristo di martiri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri.
Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da l'umana colpa essenti;
quivi sto io con quei che le tre sante
virtu non si vestiro, e sanza vizio
conobber l'altre e seguir tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
da noi per che venir possiam piu tosto
la dove purgatorio ha dritto inizio>>.
Rispuose: <<Loco certo non c'e posto;
licito m'e andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.
Ma vedi gia come dichina il giorno,
e andar su di notte non si puote;
pero e buon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qua remote;
se mi consenti, io ti merro ad esse,
e non sanza diletto ti fier note>>.
<<Com' e cio? >>, fu risposto. <<Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
d'altrui, o non sarria che non potesse? >>.
E 'l buon Sordello in terra frego 'l dito,
dicendo: <<Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo 'l sol partito:
non pero ch'altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga.
Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che l'orizzonte il di tien chiuso>>.
Allora il mio segnor, quasi ammirando,
<<Menane>>, disse, <<dunque la 've dici
ch'aver si puo diletto dimorando>>.
Poco allungati c'eravam di lici,
quand' io m'accorsi che 'l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici.
<<Cola>>, disse quell' ombra, <<n'anderemo
dove la costa face di se grembo;
e la il novo giorno attenderemo>>.
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
la dove piu ch'a mezzo muore il lembo.
Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,
da l'erba e da li fior, dentr' a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore e vinto il meno.
Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavita di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto.
'Salve, Regina' in sul verde e 'n su' fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori.
<<Prima che 'l poco sole omai s'annidi>>,
comincio 'l Mantoan che ci avea volti,
<<tra color non vogliate ch'io vi guidi.
Di questo balzo meglio li atti e ' volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giu tra essi accolti.
Colui che piu siede alto e fa sembianti
d'aver negletto cio che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti,
Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c'hanno Italia morta,
si che tardi per altri si ricrea.
L'altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l'acqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui c'ha si benigno aspetto,
mori fuggendo e disfiorando il giglio:
guardate la come si batte il petto!
L'altro vedete c'ha fatto a la guancia
de la sua palma, sospirando, letto.
Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
e quindi viene il duol che si li lancia.
Quel che par si membruto e che s'accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d'ogne valor porto cinta la corda;
e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso,
che non si puote dir de l'altre rede;
Iacomo e Federigo hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede.
Rade volte risurge per li rami
l'umana probitate; e questo vole
quei che la da, perche da lui si chiami.
Anche al nasuto vanno mie parole
non men ch'a l'altro, Pier, che con lui canta,
onde Puglia e Proenza gia si dole.
Tant' e del seme suo minor la pianta,
quanto, piu che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta.
Vedete il re de la semplice vita
seder la solo, Arrigo d'Inghilterra:
questi ha ne' rami suoi migliore uscita.
Quel che piu basso tra costor s'atterra,
guardando in suso, e Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra
fa pianger Monferrato e Canavese>>.
Purgatorio ? Canto VIII
Era gia l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo di c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;
quand' io incominciai a render vano
l'udire e a mirare una de l'alme
surta, che l'ascoltar chiedea con mano.
Ella giunse e levo ambo le palme,
ficcando li occhi verso l'oriente,
come dicesse a Dio: 'D'altro non calme'.
'Te lucis ante' si devotamente
le uscio di bocca e con si dolci note,
che fece me a me uscir di mente;
e l'altre poi dolcemente e devote
seguitar lei per tutto l'inno intero,
avendo li occhi a le superne rote.
Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
che 'l velo e ora ben tanto sottile,
certo che 'l trapassar dentro e leggero.
Io vidi quello essercito gentile
tacito poscia riguardare in sue,
quasi aspettando, palido e umile;
e vidi uscir de l'alto e scender giue
due angeli con due spade affocate,
tronche e private de le punte sue.
Verdi come fogliette pur mo nate
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate.
L'un poco sovra noi a star si venne,
e l'altro scese in l'opposita sponda,
si che la gente in mezzo si contenne.
Ben discernea in lor la testa bionda;
ma ne la faccia l'occhio si smarria,
come virtu ch'a troppo si confonda.
<<Ambo vegnon del grembo di Maria>>,
disse Sordello, <<a guardia de la valle,
per lo serpente che verra vie via>>.
Ond' io, che non sapeva per qual calle,
mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
tutto gelato, a le fidate spalle.
E Sordello anco: <<Or avvalliamo omai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
grazioso fia lor vedervi assai>>.
Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
pur me, come conoscer mi volesse.
Temp' era gia che l'aere s'annerava,
ma non si che tra li occhi suoi e ' miei
non dichiarisse cio che pria serrava.
Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
quando ti vidi non esser tra ' rei!
Nullo bel salutar tra noi si tacque;
poi dimando: <<Quant' e che tu venisti
a pie del monte per le lontane acque? >>.
<<Oh! >>, diss' io lui, <<per entro i luoghi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
ancor che l'altra, si andando, acquisti>>.
E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
come gente di subito smarrita.
L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
che sedea li, gridando: <<Su, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse>>.
Poi, volto a me: <<Per quel singular grado
che tu dei a colui che si nasconde
lo suo primo perche, che non li e guado,
quando sarai di la da le larghe onde,
di a Giovanna mia che per me chiami
la dove a li 'nnocenti si risponde.
Non credo che la sua madre piu m'ami,
poscia che trasmuto le bianche bende,
le quai convien che, misera! , ancor brami.
Per lei assai di lieve si comprende
quanto in femmina foco d'amor dura,
se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.
Non le fara si bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com' avria fatto il gallo di Gallura>>.
Cosi dicea, segnato de la stampa,
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
che misuratamente in core avvampa.
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
pur la dove le stelle son piu tarde,
si come rota piu presso a lo stelo.
E 'l duca mio: <<Figliuol, che la su guarde? >>.
E io a lui: <<A quelle tre facelle
di che 'l polo di qua tutto quanto arde>>.
Ond' elli a me: <<Le quattro chiare stelle
che vedevi staman, son di la basse,
e queste son salite ov' eran quelle>>.
Com' ei parlava, e Sordello a se il trasse
dicendo: <<Vedi la 'l nostro avversaro>>;
e drizzo il dito perche 'n la guardasse.
Da quella parte onde non ha riparo
la picciola vallea, era una biscia,
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra l'erba e ' fior venia la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
leccando come bestia che si liscia.
Io non vidi, e pero dicer non posso,
come mosser li astor celestiali;
ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.
Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
fuggi 'l serpente, e li angeli dier volta,
suso a le poste rivolando iguali.
L'ombra che s'era al giudice raccolta
quando chiamo, per tutto quello assalto
punto non fu da me guardare sciolta.
<<Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
quant' e mestiere infino al sommo smalto>>,
comincio ella, <<se novella vera
di Val di Magra o di parte vicina
sai, dillo a me, che gia grande la era.
Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l'antico, ma di lui discesi;
a' miei portai l'amor che qui raffina>>.
<<Oh! >>, diss' io lui, <<per li vostri paesi
gia mai non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa ch'ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
si che ne sa chi non vi fu ancora;
e io vi giuro, s'io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada.
Uso e natura si la privilegia,
che, perche il capo reo il mondo torca,
sola va dritta e 'l mal cammin dispregia>>.
Ed elli: <<Or va; che 'l sol non si ricorca
sette volte nel letto che 'l Montone
con tutti e quattro i pie cuopre e inforca,
che cotesta cortese oppinione
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che d'altrui sermone,
se corso di giudicio non s'arresta>>.
Purgatorio ? Canto IX
La concubina di Titone antico
gia s'imbiancava al balco d'oriente,
fuor de le braccia del suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente,
poste in figura del freddo animale
che con la coda percuote la gente;
e la notte, de' passi con che sale,
fatti avea due nel loco ov' eravamo,
e 'l terzo gia chinava in giuso l'ale;
quand' io, che meco avea di quel d'Adamo,
vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
la 've gia tutti e cinque sedavamo.
Ne l'ora che comincia i tristi lai
la rondinella presso a la mattina,
forse a memoria de' suo' primi guai,
e che la mente nostra, peregrina
piu da la carne e men da' pensier presa,
a le sue vision quasi e divina,
in sogno mi parea veder sospesa
un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
con l'ali aperte e a calare intesa;
ed esser mi parea la dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro.
Fra me pensava: 'Forse questa fiede
pur qui per uso, e forse d'altro loco
disdegna di portarne suso in piede'.
Poi mi parea che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco.
Ivi parea che ella e io ardesse;
e si lo 'ncendio imaginato cosse,
che convenne che 'l sonno si rompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
e non sappiendo la dove si fosse,
quando la madre da Chiron a Schiro
trafuggo lui dormendo in le sue braccia,
la onde poi li Greci il dipartiro;
che mi scoss' io, si come da la faccia
mi fuggi 'l sonno, e diventa' ismorto,
come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia.
Dallato m'era solo il mio conforto,
e 'l sole er' alto gia piu che due ore,
e 'l viso m'era a la marina torto.
<<Non aver tema>>, disse il mio segnore;
<<fatti sicur, che noi semo a buon punto;
non stringer, ma rallarga ogne vigore.
Tu se' omai al purgatorio giunto:
vedi la il balzo che 'l chiude dintorno;
vedi l'entrata la 've par digiunto.
Dianzi, ne l'alba che procede al giorno,
quando l'anima tua dentro dormia,
sovra li fiori ond' e la giu addorno
venne una donna, e disse: "I' son Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
si l'agevolero per la sua via".
Sordel rimase e l'altre genti forme;
ella ti tolse, e come 'l di fu chiaro,
sen venne suso; e io per le sue orme.
Qui ti poso, ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro>>.
A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta
e che muta in conforto sua paura,
poi che la verita li e discoperta,
mi cambia' io; e come sanza cura
vide me 'l duca mio, su per lo balzo
si mosse, e io di rietro inver' l'altura.
Lettor, tu vedi ben com' io innalzo
la mia matera, e pero con piu arte
non ti maravigliar s'io la rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
che la dove pareami prima rotto,
pur come un fesso che muro diparte,
vidi una porta, e tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
e un portier ch'ancor non facea motto.
E come l'occhio piu e piu v'apersi,
vidil seder sovra 'l grado sovrano,
tal ne la faccia ch'io non lo soffersi;
e una spada nuda avea in mano,
che reflettea i raggi si ver' noi,
ch'io drizzava spesso il viso in vano.
<<Dite costinci: che volete voi? >>,
comincio elli a dire, <<ov' e la scorta?
Guardate che 'l venir su non vi noi>>.
<<Donna del ciel, di queste cose accorta>>,
rispuose 'l mio maestro a lui, <<pur dianzi
ne disse: "Andate la: quivi e la porta">>.
<<Ed ella i passi vostri in bene avanzi>>,
ricomincio il cortese portinaio:
<<Venite dunque a' nostri gradi innanzi>>.
La ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era si pulito e terso,
ch'io mi specchiai in esso qual io paio.
Era il secondo tinto piu che perso,
d'una petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
porfido mi parea, si fiammeggiante
come sangue che fuor di vena spiccia.
Sovra questo tenea ambo le piante
l'angel di Dio sedendo in su la soglia
che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi su di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: <
Divoto mi gittai a' santi piedi;
misericordia chiesi e ch'el m'aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e <<Fa che lavi,
quando se' dentro, queste piaghe>> disse.
Cenere, o terra che secca si cavi,
d'un color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi.
L'una era d'oro e l'altra era d'argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta si, ch'i' fu' contento.
<<Quandunque l'una d'este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa>>,
diss' elli a noi, <<non s'apre questa calla.
Piu cara e l'una; ma l'altra vuol troppa
d'arte e d'ingegno avanti che diserri,
perch' ella e quella che 'l nodo digroppa.
Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri
anzi ad aprir ch'a tenerla serrata,
pur che la gente a' piedi mi s'atterri>>.
Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: <<Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'n dietro si guata>>.
E quando fuor ne' cardini distorti
li spigoli di quella regge sacra,
che di metallo son sonanti e forti,
non rugghio si ne si mostro si acra
Tarpea, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra.
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
e 'Te Deum laudamus' mi parea
udire in voce mista al dolce suono.
Tale imagine a punto mi rendea
cio ch'io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea;
ch'or si or no s'intendon le parole.
Purgatorio ? Canto X
Poi fummo dentro al soglio de la porta
che 'l mal amor de l'anime disusa,
perche fa parer dritta la via torta,
sonando la senti' esser richiusa;
e s'io avesse li occhi volti ad essa,
qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salavam per una pietra fessa,
che si moveva e d'una e d'altra parte,
si come l'onda che fugge e s'appressa.
<<Qui si conviene usare un poco d'arte>>,
comincio 'l duca mio, <<in accostarsi
or quinci, or quindi al lato che si parte>>.
E questo fece i nostri passi scarsi,
tanto che pria lo scemo de la luna
rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
che noi fossimo fuor di quella cruna;
ma quando fummo liberi e aperti
su dove il monte in dietro si rauna,
io stancato e amendue incerti
di nostra via, restammo in su un piano
solingo piu che strade per diserti.
Da la sua sponda, ove confina il vano,
al pie de l'alta ripa che pur sale,
misurrebbe in tre volte un corpo umano;
e quanto l'occhio mio potea trar d'ale,
or dal sinistro e or dal destro fianco,
questa cornice mi parea cotale.
La su non eran mossi i pie nostri anco,
quand' io conobbi quella ripa intorno
che dritto di salita aveva manco,
esser di marmo candido e addorno
d'intagli si, che non pur Policleto,
ma la natura li avrebbe scorno.
L'angel che venne in terra col decreto
de la molt' anni lagrimata pace,
ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,
dinanzi a noi pareva si verace
quivi intagliato in un atto soave,
che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria ch'el dicesse 'Ave! ';
perche iv' era imaginata quella
ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave;
e avea in atto impressa esta favella
'Ecce ancilla Dei', propriamente
come figura in cera si suggella.
<<Non tener pur ad un loco la mente>>,
disse 'l dolce maestro, che m'avea
da quella parte onde 'l cuore ha la gente.
Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea
di retro da Maria, da quella costa
onde m'era colui che mi movea,
un'altra storia ne la roccia imposta;
per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso,
accio che fosse a li occhi miei disposta.
Era intagliato li nel marmo stesso
lo carro e ' buoi, traendo l'arca santa,
per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a' due mie' sensi
faceva dir l'un 'No', l'altro 'Si, canta'.
Similemente al fummo de li 'ncensi
che v'era imaginato, li occhi e 'l naso
e al si e al no discordi fensi.
Li precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l'umile salmista,
e piu e men che re era in quel caso.
Di contra, effigiata ad una vista
d'un gran palazzo, Micol ammirava
si come donna dispettosa e trista.
I' mossi i pie del loco dov' io stava,
per avvisar da presso un'altra istoria,
che di dietro a Micol mi biancheggiava.
Quiv' era storiata l'alta gloria
del roman principato, il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
i' dico di Traiano imperadore;
e una vedovella li era al freno,
di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro
sovr' essi in vista al vento si movieno.
La miserella intra tutti costoro
pareva dir: <<Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol ch'e morto, ond' io m'accoro>>;
ed elli a lei rispondere: <<Or aspetta
tanto ch'i' torni>>; e quella: <<Segnor mio>>,
come persona in cui dolor s'affretta,
<<se tu non torni? >>; ed ei: <<Chi fia dov' io,
la ti fara>>; ed ella: <<L'altrui bene
a te che fia, se 'l tuo metti in oblio? >>;
ond' elli: <<Or ti conforta; ch'ei convene
ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:
giustizia vuole e pieta mi ritene>>.
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perche qui non si trova.
Mentr' io mi dilettava di guardare
l'imagini di tante umilitadi,
e per lo fabbro loro a veder care,
<<Ecco di qua, ma fanno i passi radi>>,
mormorava il poeta, <<molte genti:
questi ne 'nvieranno a li alti gradi>>.
Li occhi miei, ch'a mirare eran contenti
per veder novitadi ond' e' son vaghi,
volgendosi ver' lui non furon lenti.
Non vo' pero, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento per udire
come Dio vuol che 'l debito si paghi.
Non attender la forma del martire:
pensa la succession; pensa ch'al peggio
oltre la gran sentenza non puo ire.
Io cominciai: <<Maestro, quel ch'io veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
e non so che, si nel veder vaneggio>>.
Ed elli a me: <<La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
si che ' miei occhi pria n'ebber tencione.
Ma guarda fiso la, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
gia scorger puoi come ciascun si picchia>>.
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?
Di che l'animo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
si come vermo in cui formazion falla?
Come per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
si vede giugner le ginocchia al petto,
la qual fa del non ver vera rancura
nascere 'n chi la vede; cosi fatti
vid' io color, quando puosi ben cura.
Vero e che piu e meno eran contratti
secondo ch'avien piu e meno a dosso;
e qual piu pazienza avea ne li atti,
piangendo parea dicer: 'Piu non posso'.
Purgatorio ? Canto XI
<<O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per piu amore
ch'ai primi effetti di la su tu hai,
laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogne creatura, com' e degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
che noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
cosi facciano li uomini de' suoi.
Da oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi piu di gir s'affanna.
E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtu che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che si la sprona.
Quest' ultima preghiera, segnor caro,
gia non si fa per noi, che non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro>>.
Cosi a se e noi buona ramogna
quell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,
disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.
Se di la sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c'hanno al voler buona radice?
Ben si de' loro atar lavar le note
che portar quinci, si che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.
<<Deh, se giustizia e pieta vi disgrievi
tosto, si che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,
mostrate da qual mano inver' la scala
si va piu corto; e se c'e piu d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;
che questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar su, contra sua voglia, e parco>>.
Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;
ma fu detto: <<A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.
E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,
cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.
Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo gia mai fu vosco.
L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer si arrogante,
che, non pensando a la comune madre,
ogn' uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, che tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti>>.
Ascoltando chinai in giu la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.
<<Oh! >>, diss' io lui, <<non se' tu Oderisi,
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell' arte
ch'alluminar chiamata e in Parisi? >>.
<<Frate>>, diss' elli, <<piu ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore e tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare' io stato si cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non e giunta da l'etati grosse!
Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
si che la fama di colui e scura.
Cosi ha tolto l'uno a l'altro Guido
la gloria de la lingua; e forse e nato
chi l'uno e l'altro caccera del nido.
Non e il mondan romore altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perche muta lato.
Che voce avrai tu piu, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',
pria che passin mill' anni? ch'e piu corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
al cerchio che piu tardi in cielo e torto.
Colui che del cammin si poco piglia
dinanzi a me, Toscana sono tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
ond' era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo si com' ora e putta.
La vostra nominanza e color d'erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba>>.
E io a lui: <<Tuo vero dir m'incora
bona umilta, e gran tumor m'appiani;
ma chi e quei di cui tu parlavi ora? >>.
<<Quelli e>>, rispuose, <<Provenzan Salvani;
ed e qui perche fu presuntuoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
Ito e cosi e va, sanza riposo,
poi che mori; cotal moneta rende
a sodisfar chi e di la troppo oso>>.
E io: <<Se quello spirito ch'attende,
pria che si penta, l'orlo de la vita,
qua giu dimora e qua su non ascende,
se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita? >>.
<<Quando vivea piu glorioso>>, disse,
<<liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s'affisse;
e li, per trar l'amico suo di pena,
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.
Piu non diro, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andra, che ' tuoi vicini
faranno si che tu potrai chiosarlo.
Quest' opera li tolse quei confini>>.
Purgatorio ? Canto XII
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m'andava io con quell' anima carca,
fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: <<Lascia lui e varca;
che qui e buono con l'ali e coi remi,
quantunque puo, ciascun pinger sua barca>>;
dritto si come andar vuolsi rife'mi
con la persona, avvegna che i pensieri
mi rimanessero e chinati e scemi.
Io m'era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
gia mostravam com' eravam leggeri;
ed el mi disse: <<Volgi li occhi in giue:
buon ti sara, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue>>.
Come, perche di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel ch'elli eran pria,
onde li molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a' pii da de le calcagne;
si vid' io li, ma di miglior sembianza
secondo l'artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.
Vedea colui che fu nobil creato
piu ch'altra creatura, giu dal cielo
folgoreggiando scender, da l'un lato.
Vedea Briareo fitto dal telo
celestial giacer, da l'altra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d'i Giganti sparte.
Vedea Nembrot a pie del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che 'n Sennaar con lui superbi fuoro.
O Niobe, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saul, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboe,
che poi non senti pioggia ne rugiada!
O folle Aragne, si vedea io te
gia mezza ragna, trista in su li stracci
de l'opera che mal per te si fe.
O Roboam, gia non par che minacci
quivi 'l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza ch'altri il cacci.
Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fe caro
parer lo sventurato addornamento.
Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherib dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.
Mostrava la ruina e 'l crudo scempio
che fe Tamiri, quando disse a Ciro:
<<Sangue sitisti, e io di sangue t'empio>>.
Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilion, come te basso e vile
mostrava il segno che li si discerne!
Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?
Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant' io calcai, fin che chinato givi.
Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d'Eva, e non chinate il volto
si che veggiate il vostro mal sentero!
Piu era gia per noi del monte volto
e del cammin del sole assai piu speso
che non stimava l'animo non sciolto,
quando colui che sempre innanzi atteso
andava, comincio: <<Drizza la testa;
non e piu tempo di gir si sospeso.
Vedi cola un angel che s'appresta
per venir verso noi; vedi che torna
dal servigio del di l'ancella sesta.
Di reverenza il viso e li atti addorna,
si che i diletti lo 'nviarci in suso;
pensa che questo di mai non raggiorna! >>.
Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, si che 'n quella
materia non potea parlarmi chiuso.
A noi venia la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
par tremolando mattutina stella.
Le braccia aperse, e indi aperse l'ale;
disse: <<Venite: qui son presso i gradi,
e agevolemente omai si sale.
A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar su nata,
perche a poco vento cosi cadi? >>.
Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batte l'ali per la fronte;
poi mi promise sicura l'andata.
Come a man destra, per salire al monte
dove siede la chiesa che soggioga
la ben guidata sopra Rubaconte,
si rompe del montar l'ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
ch'era sicuro il quaderno e la doga;
cosi s'allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l'altro girone;
ma quinci e quindi l'alta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
'Beati pauperes spiritu! ' voci
cantaron si, che nol diria sermone.
Ahi quanto son diverse quelle foci
da l'infernali! che quivi per canti
s'entra, e la giu per lamenti feroci.
Gia montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo piu lieve
che per lo pian non mi parea davanti.
Ond' io: <<Maestro, di, qual cosa greve
levata s'e da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve? >>.
Rispuose: <<Quando i P che son rimasi
ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com' e l'un, del tutto rasi,
fier li tuoi pie dal buon voler si vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser su pinti>>.
Allor fec' io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che ' cenni altrui sospecciar fanno;
per che la mano ad accertar s'aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si puo fornir per la veduta;
e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che 'ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:
a che guardando, il mio duca sorrise.
Purgatorio ? Canto XIII
Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
lo monte che salendo altrui dismala.
Ivi cosi una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
se non che l'arco suo piu tosto piega.
Ombra non li e ne segno che si paia:
parsi la ripa e parsi la via schietta
col livido color de la petraia.
<<Se qui per dimandar gente s'aspetta>>,
ragionava il poeta, <<io temo forse
che troppo avra d'indugio nostra eletta>>.
Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
e la sinistra parte di se torse.
<<O dolce lume a cui fidanza i' entro
per lo novo cammin, tu ne conduci>>,
dicea, <<come condur si vuol quinc' entro.
Tu scaldi il mondo, tu sovr' esso luci;
s'altra ragione in contrario non ponta,
esser dien sempre li tuoi raggi duci>>.
Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di la eravam noi gia iti,
con poco tempo, per la voglia pronta;
e verso noi volar furon sentiti,
non pero visti, spiriti parlando
a la mensa d'amor cortesi inviti.
La prima voce che passo volando
'Vinum non habent' altamente disse,
e dietro a noi l'ando reiterando.
E prima che del tutto non si udisse
per allungarsi, un'altra 'I' sono Oreste'
passo gridando, e anco non s'affisse.
<<Oh! >>, diss' io, <<padre, che voci son queste? >>.
E com' io domandai, ecco la terza
dicendo: 'Amate da cui male aveste'.
E 'l buon maestro: <<Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e pero sono
tratte d'amor le corde de la ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l'udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.
Ma ficca li occhi per l'aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascun e lungo la grotta assiso>>.
Allora piu che prima li occhi apersi;
guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.
E poi che fummo un poco piu avanti,
udia gridar: 'Maria, ora per noi':
gridar 'Michele' e 'Pietro' e 'Tutti santi'.
Non credo che per terra vada ancoi
omo si duro, che non fosse punto
per compassion di quel ch'i' vidi poi;
che, quando fui si presso di lor giunto,
che li atti loro a me venivan certi,
per li occhi fui di grave dolor munto.
Di vil ciliccio mi parean coperti,
e l'un sofferia l'altro con la spalla,
e tutti da la ripa eran sofferti.
Cosi li ciechi a cui la roba falla,
stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
e l'uno il capo sopra l'altro avvalla,
perche 'n altrui pieta tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.
E come a li orbi non approda il sole,
cosi a l'ombre quivi, ond' io parlo ora,
luce del ciel di se largir non vole;
che a tutti un fil di ferro i cigli fora
e cusce si, come a sparvier selvaggio
si fa pero che queto non dimora.
A me pareva, andando, fare oltraggio,
veggendo altrui, non essendo veduto:
per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.
Ben sapev' ei che volea dir lo muto;
e pero non attese mia dimanda,
ma disse: <<Parla, e sie breve e arguto>>.
Virgilio mi venia da quella banda
de la cornice onde cader si puote,
perche da nulla sponda s'inghirlanda;
da l'altra parte m'eran le divote
ombre, che per l'orribile costura
premevan si, che bagnavan le gote.
Volsimi a loro e: <<O gente sicura>>,
incominciai, <<di veder l'alto lume
che 'l disio vostro solo ha in sua cura,
se tosto grazia resolva le schiume
di vostra coscienza si che chiaro
per essa scenda de la mente il fiume,
ditemi, che mi fia grazioso e caro,
s'anima e qui tra voi che sia latina;
e forse lei sara buon s'i' l'apparo>>.
<<O frate mio, ciascuna e cittadina
d'una vera citta; ma tu vuo' dire
che vivesse in Italia peregrina>>.
Questo mi parve per risposta udire
piu innanzi alquanto che la dov' io stava,
ond' io mi feci ancor piu la sentire.
Tra l'altre vidi un'ombra ch'aspettava
in vista; e se volesse alcun dir 'Come? ',
lo mento a guisa d'orbo in su levava.
<<Spirto>>, diss' io, <<che per salir ti dome,
se tu se' quelli che mi rispondesti,
fammiti conto o per luogo o per nome>>.
<<Io fui sanese>>, rispuose, <<e con questi
altri rimendo qui la vita ria,
lagrimando a colui che se ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapia
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
piu lieta assai che di ventura mia.
E perche tu non creda ch'io t'inganni,
odi s'i' fui, com' io ti dico, folle,
gia discendendo l'arco d'i miei anni.
Eran li cittadin miei presso a Colle
in campo giunti co' loro avversari,
e io pregava Iddio di quel ch'e' volle.
Rotti fuor quivi e volti ne li amari
passi di fuga; e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto ch'io volsi in su l'ardita faccia,
gridando a Dio: "Omai piu non ti temo! ",
come fe 'l merlo per poca bonaccia.
Pace volli con Dio in su lo stremo
de la mia vita; e ancor non sarebbe
lo mio dover per penitenza scemo,
se cio non fosse, ch'a memoria m'ebbe
Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
a cui di me per caritate increbbe.
Ma tu chi se', che nostre condizioni
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
si com' io credo, e spirando ragioni? >>.
<<Li occhi>>, diss' io, <<mi fieno ancor qui tolti,
ma picciol tempo, che poca e l'offesa
fatta per esser con invidia volti.
Troppa e piu la paura ond' e sospesa
l'anima mia del tormento di sotto,
che gia lo 'ncarco di la giu mi pesa>>.
Ed ella a me: <<Chi t'ha dunque condotto
qua su tra noi, se giu ritornar credi? >>.
E io: <<Costui ch'e meco e non fa motto.
E vivo sono; e pero mi richiedi,
spirito eletto, se tu vuo' ch'i' mova
di la per te ancor li mortai piedi>>.
<<Oh, questa e a udir si cosa nuova>>,
rispuose, <<che gran segno e che Dio t'ami;
pero col priego tuo talor mi giova.
E cheggioti, per quel che tu piu brami,
se mai calchi la terra di Toscana,
che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
piu di speranza ch'a trovar la Diana;
ma piu vi perderanno li ammiragli>>.
Purgatorio ? Canto XIV
<<Chi e costui che 'l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia? >>.
<<Non so chi sia, ma so ch'e' non e solo;
domandal tu che piu li t'avvicini,
e dolcemente, si che parli, acco'lo>>.
Cosi due spirti, l'uno a l'altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini;
e disse l'uno: <<O anima che fitta
nel corpo ancora inver' lo ciel ten vai,
per carita ne consola e ne ditta
onde vieni e chi se'; che tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu piu mai>>.
E io: <<Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia.
Di sovr' esso rech' io questa persona:
dirvi ch'i' sia, saria parlare indarno,
che 'l nome mio ancor molto non suona>>.
<<Se ben lo 'ntendimento tuo accarno
con lo 'ntelletto>>, allora mi rispuose
quei che diceva pria, <<tu parli d'Arno>>.
E l'altro disse lui: <<Perche nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com' om fa de l'orribili cose? >>.
E l'ombra che di cio domandata era,
si sdebito cosi: <<Non so; ma degno
ben e che 'l nome di tal valle pera;
che dal principio suo, ov' e si pregno
l'alpestro monte ond' e tronco Peloro,
che 'n pochi luoghi passa oltra quel segno,
infin la 've si rende per ristoro
di quel che 'l ciel de la marina asciuga,
ond' hanno i fiumi cio che va con loro,
vertu cosi per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:
ond' hanno si mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.
Tra brutti porci, piu degni di galle
che d'altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi piu che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso.
Vassi caggendo; e quant' ella piu 'ngrossa,
tanto piu trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa.
Discesa poi per piu pelaghi cupi,
trova le volpi si piene di froda,
che non temono ingegno che le occupi.
Ne lascero di dir perch' altri m'oda;
e buon sara costui, s'ancor s'ammenta
di cio che vero spirto mi disnoda.
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e se di pregio priva.
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva>>.
