Cio ch'io dicea di quell' unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa,
tanto e risposto a tutte nostre prece
quanto 'l di dura; ma com' el s'annotta,
contrario suon prendemo in quella vece.
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa,
tanto e risposto a tutte nostre prece
quanto 'l di dura; ma com' el s'annotta,
contrario suon prendemo in quella vece.
Dante - La Divina Commedia
Noi andavam per lo vespero, attenti
oltre quanto potean li occhi allungarsi
contra i raggi serotini e lucenti.
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
verso di noi come la notte oscuro;
ne da quello era loco da cansarsi.
Questo ne tolse li occhi e l'aere puro.
Purgatorio ? Canto XVI
Buio d'inferno e di notte privata
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant' esser puo di nuvol tenebrata,
non fece al viso mio si grosso velo
come quel fummo ch'ivi ci coperse,
ne a sentir di cosi aspro pelo,
che l'occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s'accosto e l'omero m'offerse.
Si come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che 'l molesti, o forse ancida,
m'andava io per l'aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: <<Guarda che da me tu non sia mozzo>>.
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
l'Agnel di Dio che le peccata leva.
Pur 'Agnus Dei' eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
si che parea tra esse ogne concordia.
<<Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo? >>,
diss' io. Ed elli a me: <<Tu vero apprendi,
e d'iracundia van solvendo il nodo>>.
<<Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi? >>.
Cosi per una voce detto fue;
onde 'l maestro mio disse: <<Rispondi,
e domanda se quinci si va sue>>.
E io: <<O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
maraviglia udirai, se mi secondi>>.
<<Io ti seguitero quanto mi lece>>,
rispuose; <<e se veder fummo non lascia,
l'udir ci terra giunti in quella vece>>.
Allora incominciai: <<Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l'infernale ambascia.
E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso,
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte>>.
<<Lombardo fui, e fu' chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l'arco.
Per montar su dirittamente vai>>.
Cosi rispuose, e soggiunse: <<I' ti prego
che per me prieghi quando su sarai>>.
E io a lui: <<Per fede mi ti lego
di far cio che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.
Prima era scempio, e ora e fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov' io l'accoppio.
Lo mondo e ben cosi tutto diserto
d'ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;
ma priego che m'addite la cagione,
si ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui;
che nel cielo uno, e un qua giu la pone>>.
Alto sospir, che duolo strinse in <<uhi! >>,
mise fuor prima; e poi comincio: <<Frate,
lo mondo e cieco, e tu vien ben da lui.
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Se cosi fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica,
lume v'e dato a bene e a malizia,
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.
Pero, se 'l mondo presente disvia,
in voi e la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne saro or vera spia.
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,
l'anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a cio che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver, che discernesse
de la vera cittade almen la torre.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, pero che 'l pastor che procede,
rugumar puo, ma non ha l'unghie fesse;
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond' ella e ghiotta,
di quel si pasce, e piu oltre non chiede.
Ben puoi veder che la mala condotta
e la cagion che 'l mondo ha fatto reo,
e non natura che 'n voi sia corrotta.
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed e giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
pero che, giunti, l'un l'altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch'ogn' erba si conosce per lo seme.
In sul paese ch'Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
prima che Federigo avesse briga;
or puo sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna
di ragionar coi buoni o d'appressarsi.
Ben v'en tre vecchi ancora in cui rampogna
l'antica eta la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna:
Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo.
Di oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in se due reggimenti,
cade nel fango, e se brutta e la soma>>.
<<O Marco mio>>, diss' io, <<bene argomenti;
e or discerno perche dal retaggio
li figli di Levi furono essenti.
Ma qual Gherardo e quel che tu per saggio
di' ch'e rimaso de la gente spenta,
in rimprovero del secol selvaggio? >>.
<<O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta>>,
rispuose a me; <<che, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io nol conosco,
s'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, che piu non vegno vosco.
Vedi l'albor che per lo fummo raia
gia biancheggiare, e me convien partirmi
(l'angelo e ivi) prima ch'io li paia>>.
Cosi torno, e piu non volle udirmi.
Purgatorio ? Canto XVII
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com' io rividi
lo sole in pria, che gia nel corcar era.
Si, pareggiando i miei co' passi fidi
del mio maestro, usci' fuor di tal nube
ai raggi morti gia ne' bassi lidi.
O imaginativa che ne rube
talvolta si di fuor, ch'om non s'accorge
perche dintorno suonin mille tube,
chi move te, se 'l senso non ti porge?
Moveti lume che nel ciel s'informa,
per se o per voler che giu lo scorge.
De l'empiezza di lei che muto forma
ne l'uccel ch'a cantar piu si diletta,
ne l'imagine mia apparve l'orma;
e qui fu la mia mente si ristretta
dentro da se, che di fuor non venia
cosa che fosse allor da lei ricetta.
Poi piovve dentro a l'alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria;
intorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa e 'l giusto Mardoceo,
che fu al dire e al far cosi intero.
E come questa imagine rompeo
se per se stessa, a guisa d'una bulla
cui manca l'acqua sotto qual si feo,
surse in mia visione una fanciulla
piangendo forte, e dicea: <<O regina,
perche per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina;
or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina>>.
Come si frange il sonno ove di butto
nova luce percuote il viso chiuso,
che fratto guizza pria che muoia tutto;
cosi l'imaginar mio cadde giuso
tosto che lume il volto mi percosse,
maggior assai che quel ch'e in nostro uso.
I' mi volgea per veder ov' io fosse,
quando una voce disse <<Qui si monta>>,
che da ogne altro intento mi rimosse;
e fece la mia voglia tanto pronta
di riguardar chi era che parlava,
che mai non posa, se non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava
e per soverchio sua figura vela,
cosi la mia virtu quivi mancava.
<<Questo e divino spirito, che ne la
via da ir su ne drizza sanza prego,
e col suo lume se medesmo cela.
Si fa con noi, come l'uom si fa sego;
che quale aspetta prego e l'uopo vede,
malignamente gia si mette al nego.
Or accordiamo a tanto invito il piede;
procacciam di salir pria che s'abbui,
che poi non si poria, se 'l di non riede>>.
Cosi disse il mio duca, e io con lui
volgemmo i nostri passi ad una scala;
e tosto ch'io al primo grado fui,
senti'mi presso quasi un muover d'ala
e ventarmi nel viso e dir: 'Beati
pacifici, che son sanz' ira mala! '.
Gia eran sovra noi tanto levati
li ultimi raggi che la notte segue,
che le stelle apparivan da piu lati.
'O virtu mia, perche si ti dilegue? ',
fra me stesso dicea, che mi sentiva
la possa de le gambe posta in triegue.
Noi eravam dove piu non saliva
la scala su, ed eravamo affissi,
pur come nave ch'a la piaggia arriva.
E io attesi un poco, s'io udissi
alcuna cosa nel novo girone;
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
<<Dolce mio padre, di, quale offensione
si purga qui nel giro dove semo?
Se i pie si stanno, non stea tuo sermone>>.
Ed elli a me: <<L'amor del bene, scemo
del suo dover, quiritta si ristora;
qui si ribatte il mal tardato remo.
Ma perche piu aperto intendi ancora,
volgi la mente a me, e prenderai
alcun buon frutto di nostra dimora>>.
<<Ne creator ne creatura mai>>,
comincio el, <<figliuol, fu sanza amore,
o naturale o d'animo; e tu 'l sai.
Lo naturale e sempre sanza errore,
ma l'altro puote errar per malo obietto
o per troppo o per poco di vigore.
Mentre ch'elli e nel primo ben diretto,
e ne' secondi se stesso misura,
esser non puo cagion di mal diletto;
ma quando al mal si torce, o con piu cura
o con men che non dee corre nel bene,
contra 'l fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch'esser convene
amor sementa in voi d'ogne virtute
e d'ogne operazion che merta pene.
Or, perche mai non puo da la salute
amor del suo subietto volger viso,
da l'odio proprio son le cose tute;
e perche intender non si puo diviso,
e per se stante, alcuno esser dal primo,
da quello odiare ogne effetto e deciso.
Resta, se dividendo bene stimo,
che 'l mal che s'ama e del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
E chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch'el sia di sua grandezza in basso messo;
e chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch' altri sormonti,
onde s'attrista si che 'l contrario ama;
ed e chi per ingiuria par ch'aonti,
si che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che 'l male altrui impronti.
Questo triforme amor qua giu di sotto
si piange: or vo' che tu de l'altro intende,
che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore a lui veder vi tira
o a lui acquistar, questa cornice,
dopo giusto penter, ve ne martira.
Altro ben e che non fa l'uom felice;
non e felicita, non e la buona
essenza, d'ogne ben frutto e radice.
L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona,
di sovr' a noi si piange per tre cerchi;
ma come tripartito si ragiona,
tacciolo, accio che tu per te ne cerchi>>.
Purgatorio ? Canto XVIII
Posto avea fine al suo ragionamento
l'alto dottore, e attento guardava
ne la mia vista s'io parea contento;
e io, cui nova sete ancor frugava,
di fuor tacea, e dentro dicea: 'Forse
lo troppo dimandar ch'io fo li grava'.
Ma quel padre verace, che s'accorse
del timido voler che non s'apriva,
parlando, di parlare ardir mi porse.
Ond' io: <<Maestro, il mio veder s'avviva
si nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
quanto la tua ragion parta o descriva.
Pero ti prego, dolce padre caro,
che mi dimostri amore, a cui reduci
ogne buono operare e 'l suo contraro>>.
<<Drizza>>, disse, <<ver' me l'agute luci
de lo 'ntelletto, e fieti manifesto
l'error de' ciechi che si fanno duci.
L'animo, ch'e creato ad amar presto,
ad ogne cosa e mobile che piace,
tosto che dal piacere in atto e desto.
Vostra apprensiva da esser verace
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
si che l'animo ad essa volger face;
e se, rivolto, inver' di lei si piega,
quel piegare e amor, quell' e natura
che per piacer di novo in voi si lega.
Poi, come 'l foco movesi in altura
per la sua forma ch'e nata a salire
la dove piu in sua matera dura,
cosi l'animo preso entra in disire,
ch'e moto spiritale, e mai non posa
fin che la cosa amata il fa gioire.
Or ti puote apparer quant' e nascosa
la veritate a la gente ch'avvera
ciascun amore in se laudabil cosa;
pero che forse appar la sua matera
sempre esser buona, ma non ciascun segno
e buono, ancor che buona sia la cera>>.
<<Le tue parole e 'l mio seguace ingegno>>,
rispuos' io lui, <<m'hanno amor discoverto,
ma cio m'ha fatto di dubbiar piu pregno;
che, s'amore e di fuori a noi offerto
e l'anima non va con altro piede,
se dritta o torta va, non e suo merto>>.
Ed elli a me: <<Quanto ragion qui vede,
dir ti poss' io; da indi in la t'aspetta
pur a Beatrice, ch'e opra di fede.
Ogne forma sustanzial, che setta
e da matera ed e con lei unita,
specifica vertute ha in se colletta,
la qual sanza operar non e sentita,
ne si dimostra mai che per effetto,
come per verdi fronde in pianta vita.
Pero, la onde vegna lo 'ntelletto
de le prime notizie, omo non sape,
e de' primi appetibili l'affetto,
che sono in voi si come studio in ape
di far lo mele; e questa prima voglia
merto di lode o di biasmo non cape.
Or perche a questa ogn' altra si raccoglia,
innata v'e la virtu che consiglia,
e de l'assenso de' tener la soglia.
Quest' e 'l principio la onde si piglia
ragion di meritare in voi, secondo
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andaro al fondo,
s'accorser d'esta innata libertate;
pero moralita lasciaro al mondo.
Onde, poniam che di necessitate
surga ogne amor che dentro a voi s'accende,
di ritenerlo e in voi la podestate.
La nobile virtu Beatrice intende
per lo libero arbitrio, e pero guarda
che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende>>.
La luna, quasi a mezza notte tarda,
facea le stelle a noi parer piu rade,
fatta com' un secchion che tuttor arda;
e correa contro 'l ciel per quelle strade
che 'l sole infiamma allor che quel da Roma
tra ' Sardi e ' Corsi il vede quando cade.
E quell' ombra gentil per cui si noma
Pietola piu che villa mantoana,
del mio carcar diposta avea la soma;
per ch'io, che la ragione aperta e piana
sovra le mie quistioni avea ricolta,
stava com' om che sonnolento vana.
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
subitamente da gente che dopo
le nostre spalle a noi era gia volta.
E quale Ismeno gia vide e Asopo
lungo di se di notte furia e calca,
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
cotal per quel giron suo passo falca,
per quel ch'io vidi di color, venendo,
cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto fur sovr' a noi, perche correndo
si movea tutta quella turba magna;
e due dinanzi gridavan piangendo:
<<Maria corse con fretta a la montagna;
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
punse Marsilia e poi corse in Ispagna>>.
<<Ratto, ratto, che 'l tempo non si perda
per poco amor>>, gridavan li altri appresso,
<<che studio di ben far grazia rinverda>>.
<<O gente in cui fervore aguto adesso
ricompie forse negligenza e indugio
da voi per tepidezza in ben far messo,
questi che vive, e certo i' non vi bugio,
vuole andar su, pur che 'l sol ne riluca;
pero ne dite ond' e presso il pertugio>>.
Parole furon queste del mio duca;
e un di quelli spirti disse: <<Vieni
di retro a noi, e troverai la buca.
Noi siam di voglia a muoverci si pieni,
che restar non potem; pero perdona,
se villania nostra giustizia tieni.
Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona.
E tale ha gia l'un pie dentro la fossa,
che tosto piangera quel monastero,
e tristo fia d'avere avuta possa;
perche suo figlio, mal del corpo intero,
e de la mente peggio, e che mal nacque,
ha posto in loco di suo pastor vero>>.
Io non so se piu disse o s'ei si tacque,
tant' era gia di la da noi trascorso;
ma questo intesi, e ritener mi piacque.
E quei che m'era ad ogne uopo soccorso
disse: <<Volgiti qua: vedine due
venir dando a l'accidia di morso>>.
Di retro a tutti dicean: <<Prima fue
morta la gente a cui il mar s'aperse,
che vedesse Iordan le rede sue.
E quella che l'affanno non sofferse
fino a la fine col figlio d'Anchise,
se stessa a vita sanza gloria offerse>>.
Poi quando fuor da noi tanto divise
quell' ombre, che veder piu non potiersi,
novo pensiero dentro a me si mise,
del qual piu altri nacquero e diversi;
e tanto d'uno in altro vaneggiai,
che li occhi per vaghezza ricopersi,
e 'l pensamento in sogno trasmutai.
Purgatorio ? Canto XIX
Ne l'ora che non puo 'l calor diurno
intepidar piu 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno
--quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in oriente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna--,
mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i pie distorta,
con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava; e come 'l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
cosi lo sguardo mio le facea scorta
la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
com' amor vuol, cosi le colorava.
Poi ch'ell' avea 'l parlar cosi disciolto,
cominciava a cantar si, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto.
<<Io son>>, cantava, <<io son dolce serena,
che ' marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s'ausa,
rado sen parte; si tutto l'appago! >>.
Ancor non era sua bocca richiusa,
quand' una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa.
<<O Virgilio, Virgilio, chi e questa? >>,
fieramente dicea; ed el venia
con li occhi fitti pur in quella onesta.
L'altra prendea, e dinanzi l'apria
fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
quel mi sveglio col puzzo che n'uscia.
Io mossi li occhi, e 'l buon maestro: <<Almen tre
voci t'ho messe! >>, dicea, <<Surgi e vieni;
troviam l'aperta per la qual tu entre>>.
Su mi levai, e tutti eran gia pieni
de l'alto di i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni.
Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l'ha di pensier carca,
che fa di se un mezzo arco di ponte;
quand' io udi' <<Venite; qui si varca>>
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca.
Con l'ali aperte, che parean di cigno,
volseci in su colui che si parlonne
tra due pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
'Qui lugent' affermando esser beati,
ch'avran di consolar l'anime donne.
<<Che hai che pur inver' la terra guati? >>,
la guida mia incomincio a dirmi,
poco amendue da l'angel sormontati.
E io: <<Con tanta sospeccion fa irmi
novella vision ch'a se mi piega,
si ch'io non posso dal pensar partirmi>>.
<<Vedesti>>, disse, <<quell'antica strega
che sola sovr' a noi omai si piagne;
vedesti come l'uom da lei si slega.
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne>>.
Quale 'l falcon, che prima a' pie si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che la il tira,
tal mi fec' io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n'andai infin dove 'l cerchiar si prende.
Com' io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso.
'Adhaesit pavimento anima mea'
sentia dir lor con si alti sospiri,
che la parola a pena s'intendea.
<<O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri>>.
<<Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via piu tosto,
le vostre destre sien sempre di fori>>.
Cosi prego 'l poeta, e si risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
nel parlare avvisai l'altro nascosto,
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond' elli m'assenti con lieto cenno
cio che chiedea la vista del disio.
Poi ch'io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno,
dicendo: <<Spirto in cui pianger matura
quel sanza 'l quale a Dio tornar non possi,
sosta un poco per me tua maggior cura.
Chi fosti e perche volti avete i dossi
al su, mi di, e se vuo' ch'io t'impetri
cosa di la ond' io vivendo mossi>>.
Ed elli a me: <<Perche i nostri diretri
rivolga il cielo a se, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri.
Intra Siestri e Chiaveri s'adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco piu prova' io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversione, ome! , fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
cosi scopersi la vita bugiarda.
Vidi che li non s'acquetava il core,
ne piu salir potiesi in quella vita;
per che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita.
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de l'anime converse;
e nulla pena il monte ha piu amara.
Si come l'occhio nostro non s'aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
cosi giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdesi,
cosi giustizia qui stretti ne tene,
ne' piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi>>.
Io m'era inginocchiato e volea dire;
ma com' io cominciai ed el s'accorse,
solo ascoltando, del mio reverire,
<<Qual cagion>>, disse, <<in giu cosi ti torse? >>.
E io a lui: <<Per vostra dignitate
mia coscienza dritto mi rimorse>>.
<<Drizza le gambe, levati su, frate! >>,
rispuose; <<non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate.
Se mai quel santo evangelico suono
che dice 'Neque nubent' intendesti,
ben puoi veder perch' io cosi ragiono.
Vattene omai: non vo' che piu t'arresti;
che la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo cio che tu dicesti.
Nepote ho io di la c'ha nome Alagia,
buona da se, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia;
e questa sola di la m'e rimasa>>.
Purgatorio ? Canto XX
Contra miglior voler voler mal pugna;
onde contra 'l piacer mio, per piacerli,
trassi de l'acqua non sazia la spugna.
Mossimi; e 'l duca mio si mosse per li
luoghi spediti pur lungo la roccia,
come si va per muro stretto a' merli;
che la gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto 'l mondo occupa,
da l'altra parte in fuor troppo s'approccia.
Maladetta sie tu, antica lupa,
che piu che tutte l'altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!
O ciel, nel cui girar par che si creda
le condizion di qua giu trasmutarsi,
quando verra per cui questa disceda?
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
e io attento a l'ombre, ch'i' sentia
pietosamente piangere e lagnarsi;
e per ventura udi' <<Dolce Maria! >>
dinanzi a noi chiamar cosi nel pianto
come fa donna che in parturir sia;
e seguitar: <<Povera fosti tanto,
quanto veder si puo per quello ospizio
dove sponesti il tuo portato santo>>.
Seguentemente intesi: <<O buon Fabrizio,
con poverta volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio>>.
Queste parole m'eran si piaciute,
ch'io mi trassi oltre per aver contezza
di quello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor de la larghezza
che fece Niccolo a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza.
<<O anima che tanto ben favelle,
dimmi chi fosti>>, dissi, <<e perche sola
tu queste degne lode rinovelle.
Non fia sanza merce la tua parola,
s'io ritorno a compier lo cammin corto
di quella vita ch'al termine vola>>.
Ed elli: <<Io ti diro, non per conforto
ch'io attenda di la, ma perche tanta
grazia in te luce prima che sie morto.
Io fui radice de la mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
si che buon frutto rado se ne schianta.
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta;
e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
Chiamato fui di la Ugo Ciappetta;
di me son nati i Filippi e i Luigi
per cui novellamente e Francia retta.
Figliuol fu' io d'un beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi,
trova'mi stretto ne le mani il freno
del governo del regno, e tanta possa
di nuovo acquisto, e si d'amici pieno,
ch'a la corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
cominciar di costor le sacrate ossa.
Mentre che la gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male.
Li comincio con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Ponti e Normandia prese e Guascogna.
Carlo venne in Italia e, per ammenda,
vittima fe di Curradino; e poi
ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e se e ' suoi.
Sanz' arme n'esce e solo con la lancia
con la qual giostro Giuda, e quella ponta
si, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnera, per se tanto piu grave,
quanto piu lieve simil danno conta.
L'altro, che gia usci preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
come fanno i corsar de l'altre schiave.
O avarizia, che puoi tu piu farne,
poscia c'ha' il mio sangue a te si tratto,
che non si cura de la propria carne?
Perche men paia il mal futuro e 'l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un'altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.
Veggio il novo Pilato si crudele,
che cio nol sazia, ma sanza decreto
portar nel Tempio le cupide vele.
O Segnor mio, quando saro io lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce l'ira tua nel tuo secreto?
Cio ch'io dicea di quell' unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa,
tanto e risposto a tutte nostre prece
quanto 'l di dura; ma com' el s'annotta,
contrario suon prendemo in quella vece.
Noi repetiam Pigmalion allotta,
cui traditore e ladro e paricida
fece la voglia sua de l'oro ghiotta;
e la miseria de l'avaro Mida,
che segui a la sua dimanda gorda,
per la qual sempre convien che si rida.
Del folle Acan ciascun poi si ricorda,
come furo le spoglie, si che l'ira
di Iosue qui par ch'ancor lo morda.
Indi accusiam col marito Saffira;
lodiam i calci ch'ebbe Eliodoro;
e in infamia tutto 'l monte gira
Polinestor ch'ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: "Crasso,
dilci, che 'l sai: di che sapore e l'oro? ".
Talor parla l'uno alto e l'altro basso,
secondo l'affezion ch'ad ir ci sprona
ora a maggiore e ora a minor passo:
pero al ben che 'l di ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
non alzava la voce altra persona>>.
Noi eravam partiti gia da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n'era permesso,
quand' io senti', come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch'a morte vada.
Certo non si scoteo si forte Delo,
pria che Latona in lei facesse 'l nido
a parturir li due occhi del cielo.
Poi comincio da tutte parti un grido
tal, che 'l maestro inverso me si feo,
dicendo: <<Non dubbiar, mentr' io ti guido>>.
'Gloria in excelsis' tutti 'Deo'
dicean, per quel ch'io da' vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo.
No' istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
fin che 'l tremar cesso ed el compiesi.
Poi ripigliammo nostro cammin santo,
guardando l'ombre che giacean per terra,
tornate gia in su l'usato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
mi fe desideroso di sapere,
se la memoria mia in cio non erra,
quanta pareami allor, pensando, avere;
ne per la fretta dimandare er' oso,
ne per me li potea cosa vedere:
cosi m'andava timido e pensoso.
Purgatorio ? Canto XXI
La sete natural che mai non sazia
se non con l'acqua onde la femminetta
samaritana domando la grazia,
mi travagliava, e pungeami la fretta
per la 'mpacciata via dietro al mio duca,
e condoleami a la giusta vendetta.
Ed ecco, si come ne scrive Luca
che Cristo apparve a' due ch'erano in via,
gia surto fuor de la sepulcral buca,
ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia,
dal pie guardando la turba che giace;
ne ci addemmo di lei, si parlo pria,
dicendo: <<O frati miei, Dio vi dea pace>>.
Noi ci volgemmo subiti, e Virgilio
rendeli 'l cenno ch'a cio si conface.
Poi comincio: <<Nel beato concilio
ti ponga in pace la verace corte
che me rilega ne l'etterno essilio>>.
<<Come! >>, diss' elli, e parte andavam forte:
<<se voi siete ombre che Dio su non degni,
chi v'ha per la sua scala tanto scorte? >>.
E 'l dottor mio: <<Se tu riguardi a' segni
che questi porta e che l'angel profila,
ben vedrai che coi buon convien ch'e' regni.
Ma perche lei che di e notte fila
non li avea tratta ancora la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila,
l'anima sua, ch'e tua e mia serocchia,
venendo su, non potea venir sola,
pero ch'al nostro modo non adocchia.
Ond' io fui tratto fuor de l'ampia gola
d'inferno per mostrarli, e mosterrolli
oltre, quanto 'l potra menar mia scola.
Ma dimmi, se tu sai, perche tai crolli
die dianzi 'l monte, e perche tutto ad una
parve gridare infino a' suoi pie molli>>.
Si mi die, dimandando, per la cruna
del mio disio, che pur con la speranza
si fece la mia sete men digiuna.
Quei comincio: <<Cosa non e che sanza
ordine senta la religione
de la montagna, o che sia fuor d'usanza.
Libero e qui da ogne alterazione:
di quel che 'l ciel da se in se riceve
esser ci puote, e non d'altro, cagione.
Per che non pioggia, non grando, non neve,
non rugiada, non brina piu su cade
che la scaletta di tre gradi breve;
nuvole spesse non paion ne rade,
ne coruscar, ne figlia di Taumante,
che di la cangia sovente contrade;
secco vapor non surge piu avante
ch'al sommo d'i tre gradi ch'io parlai,
dov' ha 'l vicario di Pietro le piante.
Trema forse piu giu poco o assai;
ma per vento che 'n terra si nasconda,
non so come, qua su non tremo mai.
Tremaci quando alcuna anima monda
sentesi, si che surga o che si mova
per salir su; e tal grido seconda.
De la mondizia sol voler fa prova,
che, tutto libero a mutar convento,
l'alma sorprende, e di voler le giova.
Prima vuol ben, ma non lascia il talento
che divina giustizia, contra voglia,
come fu al peccar, pone al tormento.
E io, che son giaciuto a questa doglia
cinquecent' anni e piu, pur mo sentii
libera volonta di miglior soglia:
pero sentisti il tremoto e li pii
spiriti per lo monte render lode
a quel Segnor, che tosto su li 'nvii>>.
Cosi ne disse; e pero ch'el si gode
tanto del ber quant' e grande la sete,
non saprei dir quant' el mi fece prode.
E 'l savio duca: <<Omai veggio la rete
che qui vi 'mpiglia e come si scalappia,
perche ci trema e di che congaudete.
Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia,
e perche tanti secoli giaciuto
qui se', ne le parole tue mi cappia>>.
<<Nel tempo che 'l buon Tito, con l'aiuto
del sommo rege, vendico le fora
ond' usci 'l sangue per Giuda venduto,
col nome che piu dura e piu onora
era io di la>>, rispuose quello spirto,
<<famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
che, tolosano, a se mi trasse Roma,
dove mertai le tempie ornar di mirto.
Stazio la gente ancor di la mi noma:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma.
Al mio ardor fuor seme le faville,
che mi scaldar, de la divina fiamma
onde sono allumati piu di mille;
de l'Eneida dico, la qual mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz' essa non fermai peso di dramma.
E per esser vivuto di la quando
visse Virgilio, assentirei un sole
piu che non deggio al mio uscir di bando>>.
Volser Virgilio a me queste parole
con viso che, tacendo, disse 'Taci';
ma non puo tutto la virtu che vuole;
che riso e pianto son tanto seguaci
a la passion di che ciascun si spicca,
che men seguon voler ne' piu veraci.
Io pur sorrisi come l'uom ch'ammicca;
per che l'ombra si tacque, e riguardommi
ne li occhi ove 'l sembiante piu si ficca;
e <<Se tanto labore in bene assommi>>,
disse, <<perche la tua faccia testeso
un lampeggiar di riso dimostrommi? >>.
Or son io d'una parte e d'altra preso:
l'una mi fa tacer, l'altra scongiura
ch'io dica; ond' io sospiro, e sono inteso
dal mio maestro, e <<Non aver paura>>,
mi dice, <<di parlar; ma parla e digli
quel ch'e' dimanda con cotanta cura>>.
Ond' io: <<Forse che tu ti maravigli,
antico spirto, del rider ch'io fei;
ma piu d'ammirazion vo' che ti pigli.
Questi che guida in alto li occhi miei,
e quel Virgilio dal qual tu togliesti
forte a cantar de li uomini e d'i dei.
Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti>>.
Gia s'inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: <<Frate,
non far, che tu se' ombra e ombra vedi>>.
Ed ei surgendo: <<Or puoi la quantitate
comprender de l'amor ch'a te mi scalda,
quand' io dismento nostra vanitate,
trattando l'ombre come cosa salda>>.
Purgatorio ? Canto XXII
Gia era l'angel dietro a noi rimaso,
l'angel che n'avea volti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;
e quei c'hanno a giustizia lor disiro
detto n'avea beati, e le sue voci
con 'sitiunt', sanz' altro, cio forniro.
E io piu lieve che per l'altre foci
m'andava, si che sanz' alcun labore
seguiva in su li spiriti veloci;
quando Virgilio incomincio: <<Amore,
acceso di virtu, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore;
onde da l'ora che tra noi discese
nel limbo de lo 'nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fe palese,
mia benvoglienza inverso te fu quale
piu strinse mai di non vista persona,
si ch'or mi parran corte queste scale.
Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurta m'allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:
come pote trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno? >>.
Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
<<Ogne tuo dir d'amor m'e caro cenno.
Veramente piu volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose.
La tua dimanda tuo creder m'avvera
esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita,
forse per quella cerchia dov' io era.
Or sappi ch'avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.
E se non fosse ch'io drizzai mia cura,
quand' io intesi la dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:
'Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l'appetito de' mortali? ',
voltando sentirei le giostre grame.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
potean le mani a spendere, e pente'mi
cosi di quel come de li altri mali.
Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie 'l penter vivendo e ne li stremi!
E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca;
pero, s'io son tra quella gente stato
che piange l'avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m'e incontrato>>.
<<Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta>>,
disse 'l cantor de' buccolici carmi,
<<per quello che Clio teco li tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.
Se cosi e, qual sole o quai candele
ti stenebraron si, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele? >>.
Ed elli a lui: <<Tu prima m'inviasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m'alluminasti.
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e se non giova,
ma dopo se fa le persone dotte,
quando dicesti: 'Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova'.
Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perche veggi mei cio ch'io disegno,
a colorare stendero la mano.
Gia era 'l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l'etterno regno;
e la parola tua sopra toccata
si consonava a' nuovi predicanti;
ond' io a visitarli presi usata.
Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;
e mentre che di la per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.
E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi
di Tebe poetando, ebb' io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu'mi,
lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fe piu che 'l quarto centesmo.
Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,
dimmi dov' e Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico>>.
<<Costoro e Persio e io e altri assai>>,
rispuose il duca mio, <<siam con quel Greco
che le Muse lattar piu ch'altri mai,
nel primo cinghio del carcere cieco;
spesse fiate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.
Euripide v'e nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piue
Greci che gia di lauro ornar la fronte.
Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene si trista come fue.
Vedeisi quella che mostro Langia;
evvi la figlia di Tiresia, e Teti,
e con le suore sue Deidamia>>.
Tacevansi ambedue gia li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;
e gia le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in su l'ardente corno,
quando il mio duca: <<Io credo ch'a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo>>.
Cosi l'usanza fu li nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell' anima degna.
Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;
e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, cosi quello in giuso,
cred' io, perche persona su non vada.
Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.
Li due poeti a l'alber s'appressaro;
e una voce per entro le fronde
grido: <<Di questo cibo avrete caro>>.
Poi disse: <<Piu pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.
E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d'acqua; e Daniello
dispregio cibo e acquisto savere.
Lo secol primo, quant' oro fu bello,
fe savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.
Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch'elli e glorioso e tanto grande
quanto per lo Vangelio v'e aperto>>.
Purgatorio ? Canto XXIII
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava io si come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,
lo piu che padre mi dicea: <<Figliuole,
vienne oramai, che 'l tempo che n'e imposto
piu utilmente compartir si vuole>>.
Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sie,
che l'andar mi facean di nullo costo.
Ed ecco piangere e cantar s'udie
'Labia mea, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturie.
<<O dolce padre, che e quel ch'i' odo? >>,
comincia' io; ed elli: <<Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo>>.
Si come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,
cosi di retro a noi, piu tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota.
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema
che da l'ossa la pelle s'informava.
Non credo che cosi a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando piu n'ebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perde Ierusalemme,
quando Maria nel figlio die di becco! '
Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'
ben avria quivi conosciuta l'emme.
Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
si governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como?
Gia era in ammirar che si li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,
ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardo fiso;
poi grido forte: <<Qual grazia m'e questa? >>.
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
cio che l'aspetto in se avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.
<<Deh, non contendere a l'asciutta scabbia
che mi scolora>>, pregava, <<la pelle,
ne a difetto di carne ch'io abbia;
ma dimmi il ver di te, di chi son quelle
due anime che la ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle! >>.
<<La faccia tua, ch'io lagrimai gia morta,
mi da di pianger mo non minor doglia>>,
rispuos' io lui, <<veggendola si torta.
Pero mi di, per Dio, che si vi sfoglia;
non mi far dir mentr' io mi maraviglio,
che mal puo dir chi e pien d'altra voglia>>.
Ed elli a me: <<De l'etterno consiglio
cade vertu ne l'acqua e ne la pianta
rimasa dietro ond' io si m'assottiglio.
Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rifa santa.
Di bere e di mangiar n'accende cura
l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.
E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,
che quella voglia a li alberi ci mena
che meno Cristo lieto a dire 'Eli',
quando ne libero con la sua vena>>.
E io a lui: <<Forese, da quel di
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinqu' anni non son volti infino a qui.
Se prima fu la possa in te finita
di peccar piu, che sovvenisse l'ora
del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,
come se' tu qua su venuto ancora?
Io ti credea trovar la giu di sotto,
dove tempo per tempo si ristora>>.
Ond' elli a me: <<Si tosto m'ha condotto
a ber lo dolce assenzo d'i martiri
la Nella mia con suo pianger dirotto.
Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m'ha de la costa ove s'aspetta,
e liberato m'ha de li altri giri.
Tanto e a Dio piu cara e piu diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare e piu soletta;
che la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue piu e pudica
che la Barbagia dov' io la lasciai.
O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica?
Tempo futuro m'e gia nel cospetto,
cui non sara quest' ora molto antica,
nel qual sara in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe
di quel che 'l ciel veloce loro ammanna,
gia per urlare avrian le bocche aperte;
che, se l'antiveder qui non m'inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.
Deh, frate, or fa che piu non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira la dove 'l sol veli>>.
Per ch'io a lui: <<Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr' ier, quando tonda
vi si mostro la suora di colui>>,
e 'l sol mostrai; <<costui per la profonda
notte menato m'ha d'i veri morti
con questa vera carne che 'l seconda.
Indi m'han tratto su li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che 'l mondo fece torti.
Tanto dice di farmi sua compagna
che io saro la dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.
Virgilio e questi che cosi mi dice>>,
e addita'lo; <<e quest' altro e quell' ombra
per cui scosse dianzi ogne pendice
lo vostro regno, che da se lo sgombra>>.
Purgatorio ? Canto XXIV
Ne 'l dir l'andar, ne l'andar lui piu lento
facea, ma ragionando andavam forte,
si come nave pinta da buon vento;
e l'ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte.
E io, continuando al mio sermone,
dissi: <<Ella sen va su forse piu tarda
che non farebbe, per altrui cagione.
Ma dimmi, se tu sai, dov' e Piccarda;
dimmi s'io veggio da notar persona
tra questa gente che si mi riguarda>>.
<<La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse piu, triunfa lieta
ne l'alto Olimpo gia di sua corona>>.
Si disse prima; e poi: <<Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch'e si munta
nostra sembianza via per la dieta.
Questi>>, e mostro col dito, <<e Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di la da lui piu che l'altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l'anguille di Bolsena e la vernaccia>>.
Molti altri mi nomo ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
si ch'io pero non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a voto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturo col rocco molte genti.
Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio
gia di bere a Forli con men secchezza,
e si fu tal, che non si senti sazio.
Ma come fa chi guarda e poi s'apprezza
piu d'un che d'altro, fei a quel da Lucca,
che piu parea di me aver contezza.
El mormorava; e non so che <<Gentucca>>
sentiv' io la, ov' el sentia la piaga
de la giustizia che si li pilucca.
<<O anima>>, diss' io, <<che par si vaga
di parlar meco, fa si ch'io t'intenda,
e te e me col tuo parlare appaga>>.
<<Femmina e nata, e non porta ancor benda>>,
comincio el, <<che ti fara piacere
la mia citta, come ch'om la riprenda.
Tu te n'andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere.
Ma di s'i' veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
'Donne ch'avete intelletto d'amore'>>.
E io a lui: <<I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando>>.
<<O frate, issa vegg' io>>, diss' elli, <<il nodo
che 'l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual piu a gradire oltre si mette,
non vede piu da l'uno a l'altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette.
Come li augei che vernan lungo 'l Nilo,
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan piu a fretta e vanno in filo,
cosi tutta la gente che li era,
volgendo 'l viso, raffretto suo passo,
e per magrezza e per voler leggera.
E come l'uom che di trottare e lasso,
lascia andar li compagni, e si passeggia
fin che si sfoghi l'affollar del casso,
si lascio trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: <<Quando fia ch'io ti riveggia? >>.
<<Non so>>, rispuos' io lui, <<quant' io mi viva;
ma gia non fia il tornar mio tantosto,
ch'io non sia col voler prima a la riva;
pero che 'l loco u' fui a viver posto,
di giorno in giorno piu di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto>>.
<<Or va>>, diss' el; <<che quei che piu n'ha colpa,
vegg' io a coda d'una bestia tratto
inver' la valle ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogne passo va piu ratto,
crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,
e lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle ruote>>,
e drizzo li occhi al ciel, <<che ti fia chiaro
cio che 'l mio dir piu dichiarar non puote.
Tu ti rimani omai; che 'l tempo e caro
in questo regno, si ch'io perdo troppo
venendo teco si a paro a paro>>.
Qual esce alcuna volta di gualoppo
lo cavalier di schiera che cavalchi,
e va per farsi onor del primo intoppo,
tal si parti da noi con maggior valchi;
e io rimasi in via con esso i due
che fuor del mondo si gran marescalchi.
E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
come la mente a le parole sue,
parvermi i rami gravidi e vivaci
d'un altro pomo, e non molto lontani
per esser pur allora volto in laci.
Vidi gente sott' esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani
che pregano, e 'l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde.
Poi si parti si come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
<<Trapassate oltre sanza farvi presso:
legno e piu su che fu morso da Eva,
e questa pianta si levo da esso>>.
Si tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
oltre andavam dal lato che si leva.
<<Ricordivi>>, dicea, <<d'i maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
Teseo combatter co' doppi petti;
e de li Ebrei ch'al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
quando inver' Madian discese i colli>>.
Si accostati a l'un d'i due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
seguite gia da miseri guadagni.
Poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e piu ci portar oltre,
contemplando ciascun sanza parola.
<<Che andate pensando si voi sol tre? >>.
subita voce disse; ond' io mi scossi
come fan bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi;
e gia mai non si videro in fornace
vetri o metalli si lucenti e rossi,
com' io vidi un che dicea: <<S'a voi piace
montare in su, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace>>.
L'aspetto suo m'avea la vista tolta;
per ch'io mi volsi dietro a' miei dottori,
com' om che va secondo ch'elli ascolta.
E quale, annunziatrice de li albori,
l'aura di maggio movesi e olezza,
tutta impregnata da l'erba e da' fiori;
tal mi senti' un vento dar per mezza
la fronte, e ben senti' mover la piuma,
che fe sentir d'ambrosia l'orezza.
E senti' dir: <<Beati cui alluma
tanto di grazia, che l'amor del gusto
nel petto lor troppo disir non fuma,
esuriendo sempre quanto e giusto! >>.
Purgatorio ? Canto XXV
Ora era onde 'l salir non volea storpio;
che 'l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge,
cosi intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia.
E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giu la cala;
tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta.
Non lascio, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: <<Scocca
l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto>>.
Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: <<Come si puo far magro
la dove l'uopo di nodrir non tocca? >>.
<<Se t'ammentassi come Meleagro
si consumo al consumar d'un stizzo,
non fora>>, disse, <<a te questo si agro;
e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
cio che par duro ti parrebbe vizzo.
Ma perche dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage>>.
<<Se la veduta etterna li dislego>>,
rispuose Stazio, <<la dove tu sie,
discolpi me non potert' io far nego>>.
Poi comincio: <<Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.
Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.
Ancor digesto, scende ov' e piu bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr' altrui sangue in natural vasello.
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;
e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
cio che per sua matera fe constare.
Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa e in via e quella e gia a riva,
tanto ovra poi, che gia si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond' e semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtu ch'e dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.
Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest' e tal punto,
che piu savio di te fe gia errante,
si che per sua dottrina fe disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perche da lui non vide organo assunto.
Apri a la verita che viene il petto;
e sappi che, si tosto come al feto
l'articular del cerebro e perfetto,
lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant' arte di natura, e spira
spirito novo, di vertu repleto,
che cio che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e se in se rigira.
E perche meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola.
Quando Lachesis non ha piu del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:
l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto piu che prima agute.
Sanza restarsi, per se stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che loco li la circunscrive,
la virtu formativa raggia intorno
cosi e quanto ne le membra vive.
E come l'aere, quand' e ben piorno,
per l'altrui raggio che 'n se si reflette,
di diversi color diventa addorno;
cosi l'aere vicin quivi si mette
e in quella forma ch'e in lui suggella
virtualmente l'alma che ristette;
e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco la 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.
Pero che quindi ha poscia sua paruta,
e chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci affliggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest' e la cagion di che tu miri>>.
E gia venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e volto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;
ond' ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.
