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67
Non volse Brandimarte a quell'altiero
altra risposta dar, che de la lancia.
67
Non volse Brandimarte a quell'altiero
altra risposta dar, che de la lancia.
Ariosto - Orlando Furioso
Fu sì del colpo Mandricardo afflitto,
che si lasciò la briglia uscir di mano.
D'andar tre volte accenna a capo fitto,
mentre scorrendo va d'intorno il piano
quel Brigliador che conoscete al nome,
dolente ancor de le mutate some.
56
Calcata serpe mai tanto non ebbe,
né ferito leon, sdegno e furore,
quanto il Tartaro, poi che si riebbe
dal colpo che di sé lo trasse fuore.
E quanto l'ira e la superbia crebbe,
tanto e più crebbe in lui forza e valore:
fece spiccare a Brigliadoro un salto
verso Ruggiero, e alzò la spada in alto.
57
Levossi in su le staffe, ed all'elmetto
segnolli; e si credette veramente
partirlo a quella volta fin al petto:
ma fu di lui Ruggier più diligente;
che, pria che 'l braccio scenda al duro effetto,
gli caccia sotto la spada pungente,
e gli fa ne la maglia ampla finestra,
che sotto difendea l'ascella destra.
58
E Balisarda al suo ritorno trasse
di fuori il sangue tiepido e vermiglio,
e vietò a Durindana che calasse
impetuosa con tanto periglio;
ben che fin su la groppa si piegasse
Ruggiero, e per dolor strignesse il ciglio:
e s'elmo in capo avea di peggior tempre,
gli era quel colpo memorabil sempre.
59
Ruggier non cessa, e spinge il suo cavallo,
e Mandricardo al destro fianco trova.
Quivi scelta finezza di metallo
e ben condutta tempra poco giova
contra la spada che non scende in fallo,
che fu incantata non per altra prova,
che per far ch'a' suoi colpi nulla vaglia
piastra incantata ed incantata maglia.
60
Taglionne quanto ella ne prese, e insieme
lasciò ferito il Tartaro nel fianco,
che 'l ciel bestemmia, e di tant'ira freme,
che 'l tempestoso mare è orribil manco.
Or s'apparecchia a por le forze estreme:
lo scudo ove in azzurro è l'augel bianco,
vinto da sdegno, si gittò lontano,
e messe al brando e l'una e l'altra mano.
61
— Ah (disse a lui Ruggier), senza più basti
a mostrar che non merti quella insegna,
ch'or tu la getti, e dianzi la tagliasti;
né potrai dir mai più che ti convegna. —
Così dicendo, forza è che egli attasti
con quanta furia Durindana vegna;
che sì gli grava e sì gli pesa in fronte,
che più leggier potea cadervi un monte.
62
E per mezzo gli fende la visiera;
buon per lui che dal viso si discosta:
poi calò su l'arcion che ferrato era,
né lo difese averne doppia crosta:
giunse al fin su l'arnese, e come cera
l'aperse con la falda sopraposta;
e ferì gravemente ne la coscia
Ruggier, sì ch'assai stette a guarir poscia.
63
De l'un, come de l'altro, fatte rosse
il sangue l'arme avea con doppia riga;
tal che diverso era il parer, chi fosse
di lor, ch'avesse il meglio in quella briga.
Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse
con la spada che tanti ne castiga:
mena di punta, e drizza il colpo crudo
onde gittato avea colui lo scudo.
64
Fora de la corazza il lato manco,
e di venire al cor trova la strada,
che gli entra più d'un palmo sopra il fianco:
sì che convien che Mandricardo cada
d'ogni ragion che può ne l'augel bianco,
o che può aver ne la famosa spada;
e da la cara vita cada insieme,
che, più che spada e scudo, assai gli preme.
65
Non morì quel meschin senza vendetta;
ch'a quel medesmo tempo che fu colto,
la spada, poco sua, menò di fretta;
ed a Ruggier avria partito il volto,
se già Ruggier non gli avesse intercetta
prima la forza, e assai del vigor tolto:
di forza e di vigor troppo gli tolse
dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
66
Da Mandricardo fu Ruggier percosso
nel punto ch'egli a lui tolse la vita;
tal ch'un cerchio di ferro, anco che grosso,
e una cuffia d'acciar ne fu partita.
Durindana tagliò cotenna ed osso,
e nel capo a Ruggiero entrò due dita.
Ruggier stordito in terra si riversa,
e di sangue un ruscel dal capo versa.
67
Il primo fu Ruggier, ch'andò per terra;
e dipoi stette l'altro a cader tanto,
che quasi crede ognun che de la guerra
riporti Mandricardo il pregio e il vanto:
e Doralice sua, che con gli altri erra,
e che quel dì più volte ha riso e pianto,
Dio ringraziò con mani al ciel supine,
ch'avesse avuta la pugna tal fine.
68
Ma poi ch'appare a manifesti segni
vivo chi vive, e senza vita il morto,
nei petti dei fautor mutano regni:
di là mestizia, e di qua vien conforto.
I re, i signori, i cavallier più degni,
con Ruggier ch'a fatica era risorto,
a rallegrarsi ed abbracciarsi vanno,
e gloria senza fine e onor gli danno.
69
Ognun s'allegra con Ruggiero, e sente
il medesmo nel cor, c'ha ne la bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
tutto da quel che fuor la lingua scocca:
mostra gaudio nel viso; e occultamente
del glorioso acquisto invidia il tocca;
e maledice o sia destino o caso,
il qual trasse Ruggier prima del vaso.
70
Che dirò del favor, che de le tante
carezze e tante, affettuose e vere,
che fece a quel Ruggiero il re Agramante,
senza il qual dare al vento le bandiere,
né volse muover d'Africa le piante,
né senza lui si fidò in tante schiere?
Or che del re Agricane ha spento il seme,
prezza più lui, che tutto il mondo insieme.
71
Né di tal volontà gli uomini soli
eran verso Ruggier, ma le donne anco,
che d'Africa e di Spagna fra gli stuoli
eran venute al tenitorio franco.
E Doralice istessa, che con duoli
piangea l'amante suo pallido e bianco,
forse con l'altre ita sarebbe in schiera,
se di vergogna un duro fren non era.
72
Io dico forse, non ch'io ve l'accerti,
ma potrebbe esser stato di leggiero:
tal la bellezza e tali erano i merti,
i costumi e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel che già ne siamo esperti,
sì facile era a variar pensiero,
che per non si veder priva d'amore,
avria potuto in Ruggier porre il core.
73
Per lei buono era vivo Mandricardo:
ma che ne volea far dopo la morte?
Proveder le convien d'un che gagliardo
sia notte e dì ne' suoi bisogni, e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
il più perito medico di corte,
che di Ruggier veduta ogni ferita,
già l'avea assicurato de la vita.
74
Con molta diligenza il re Agramante
fece colcar Ruggier ne le sue tende;
che notte e dì veder sel vuole inante:
sì l'ama, sì di lui cura si prende.
Lo scudo al letto e l'arme tutte quante,
che fur di Mandricardo, il re gli appende;
tutte le appende, eccetto Durindana,
che fu lasciata al re di Sericana.
75
Con l'arme l'altre spoglie a Ruggier sono
date di Mandricardo, e insieme dato
gli è Brigliador, quel destrier bello e buono,
che per furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al re diede Ruggiero in dono,
che s'avide ch'assai gli saria grato.
Non più di questo; che tornar bisogna
a chi Ruggiero invan sospira e agogna.
76
Gli amorosi tormenti che sostenne
Bradamante aspettando, io v'ho da dire.
A Montalbano Ippalca a lei rivenne
e nuova le arrecò del suo desire.
Prima, di quanto di Frontin le avenne
con Rodomonte, l'ebbe a riferire;
poi di Ruggier, che ritrovò alla fonte
con Ricciardetto e' frati d'Agrismonte:
77
e che con esso lei s'era partito
con speme di trovare il Saracino,
e punirlo di quanto avea fallito
d'aver tolto a una donna il suo Frontino;
e che 'l disegno poi non gli era uscito,
perché diverso avea fatto il camino.
La cagione anco, perché non venisse
a Montalban Ruggier, tutta le disse;
78
e riferille le parole a pieno,
ch'in sua scusa Ruggier le avea commesse.
Poi si trasse la lettera di seno,
ch'egli le diè, perch'ella a lei la desse.
Con viso più turbato che sereno
prese la carta Bradamante, e lesse;
che, se non fosse la credenza stata
già di veder Ruggier, fôra più grata.
79
L'aver Ruggiero ella aspettato, e invece
di lui vedersi ora appagar d'un scritto,
del bel viso turbar l'aria le fece
di timor, di cordoglio e di despitto.
Baciò la carta diece volte e diece,
avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Le lacrime vietar, che su vi sparse,
che con sospiri ardenti ella non l'arse.
80
Lesse la carta quattro volte e sei,
e volse ch'altretante l'imbasciata
replicata le fosse da colei
che l'una e l'altra avea quivi arrecata,
pur tuttavia piangendo: e crederei
che mai non si saria più racchetata,
se non avesse avuto pur conforto
di riveder il suo Ruggier di corto.
81
Termine a ritornar quindici o venti
giorni avea Ruggier tolto, ed affermato
l'avea ad Ippalca poi con giuramenti
da non temer che mai fosse mancato.
— Chi m'assicura, ohimè, degli accidenti
(ella dicea), c'han forza in ogni lato,
ma ne le guerre più, che non distorni
alcun tanto Ruggier, che più non torni?
82
Ohimè! Ruggiero, ohimè! chi arìa creduto
ch'avendoti amato io più di me stessa,
tu più di me, non ch'altri, ma potuto
abbi amar gente tua inimica espressa?
A chi opprimer dovresti, doni aiuto:
chi tu dovresti aitare, è da te oppressa.
Non so se biasmo o laude esser ti credi,
ch'al premiar e al punir sì poco vedi.
83
Fu morto da Troian (non so se 'l sai)
il padre tuo; ma fin ai sassi il sanno:
e tu del figlio di Troian cura hai
che non riceva alcun disnor né danno.
È questa la vendetta che ne fai,
Ruggiero? e a quei che vendicato l'hanno,
rendi tal premio, che del sangue loro
me fai morir di strazio e di martoro? —
84
Dicea la donna al suo Ruggiero assente
queste parole ed altre, lacrimando,
non una sola volta, ma sovente.
Ippalca la venìa pur confortando,
che Ruggier servarebbe interamente
sua fede, e ch'ella l'aspettasse, quando
altro far non potea, fin a quel giorno
ch'avea Ruggier prescritto al suo ritorno.
85
I conforti d'Ippalca, e la speranza
che degli amanti suole esser compagna,
alla tema e al dolor tolgon possanza
di far che Bradamante ognora piagna;
in Montalban senza mutar mai stanza
voglion che fin al termine rimagna,
fino al promesso termine e giurato,
che poi fu da Ruggier male osservato.
86
Ma ch'egli alla promessa sua mancasse
non però debbe aver la colpa affatto;
ch'una causa ed un'altra sì lo trasse,
che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto si colcasse,
e più d'un mese si stesse di piatto
in dubbio di morir, sì il dolor crebbe
dopo la pugna che col Tartaro ebbe.
87
L'innamorata giovane l'attese
tutto quel giorno e desiollo invano,
né mai ne seppe, fuor quanto ne 'ntese
ora da Ippalca, e poi dal suo germano,
che le narrò che Ruggier lui difese,
e Malagigi liberò e Viviano.
Questa novella, ancor ch'avesse grata,
pur di qualche amarezza era turbata:
88
che di Marfisa in quel discorso udito
l'alto valore e le bellezze avea:
udì come Ruggier s'era partito
con esso lei, e che d'andar dicea
là dove con disagio in debol sito
malsicuro Agramante si tenea.
Sì degna compagnia la donna lauda
ma non che se n'allegri, o che l'applauda.
89
Né picciolo è il sospetto che la preme;
che se Marfisa è bella, come ha fama,
e che fin a quel dì sien giti insieme,
è maraviglia se Ruggier non l'ama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme:
e 'l giorno che la può far lieta e grama,
misera aspetta; e sospirando stassi,
da Montalban mai non movendo i passi.
90
Stando ella quivi, il principe, il signore
del bel castello, il primo de' suoi frati
(io non dico d'etade, ma d'onore,
che di lui prima dui n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore
gli ha, come il sol le stelle, illuminati,
giunse al castello un giorno in su la nona;
né, fuor ch'un paggio, era con lui persona.
91
Cagion del suo venir fu, che da Brava
ritornandosi un dì verso Parigi
(come v'ho detto che sovente andava
per ritrovar d'Angelica vestigi),
avea sentita la novella prava
del suo Viviano e del suo Malagigi,
ch'eran per essere dati al Maganzese;
e perciò ad Agrismonte la via prese.
92
Dove intendendo poi ch'eran salvati,
e gli aversari lor morti e distrutti,
e Marfisa e Ruggiero erano stati,
che gli aveano a quei termini ridutti;
e suoi fratelli e suoi cugin tornati
a Montalbano insieme erano tutti;
gli parve un'ora un anno di trovarsi
con esso lor là dentro ad abbracciarsi.
93
Venne Rinaldo a Montalbano, e quivi
madre, moglie abbracciò, figli e fratelli,
e i cugini che dianzi eran captivi;
e parve, quando egli arrivò tra quelli,
dopo gran fame irondine ch'arrivi
col cibo in bocca ai pargoletti augelli.
E poi ch'un giorno vi fu stato o dui,
partissi, e fe' partire altri con lui.
94
Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, e d'essi
figli d'Amone, il più vecchio Guicciardo,
Malagigi e Vivian, si furon messi
in arme dietro al paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s'appressi
il tempo ch'al disio suo ne vien tardo,
inferma disse agli fratelli ch'era,
e non volse con lor venire in schiera.
95
E ben lor disse il ver, ch'ella era inferma,
ma non per febbre o corporal dolore:
era il disio che l'alma dentro inferma,
e le fa alterazion patir d'amore.
Rinaldo in Montalban più non si ferma,
e seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquosse, e quanto
Carlo aiutò, vi dirà l'altro canto.
CANTO TRENTUNESIMO
1
Che dolce più, che più giocondo stato
saria di quel d'un amoroso core?
che viver più felice e più beato,
che ritrovarsi in servitù d'Amore?
se non fosse l'uom sempre stimulato
da quel sospetto rio, da quel timore,
da quel martìr, da quella frenesia,
da quella rabbia detta gelosia.
2
Però ch'ogni altro amaro che si pone
tra questa soavissima dolcezza,
è un augumento, una perfezione,
ed è un condurre amore a più finezza.
L'acque parer fa saporite e buone
la sete, e il cibo pel digiun s'apprezza:
non conosce la pace e non l'estima
chi provato non ha la guerra prima.
3
Se ben non veggon gli occhi ciò che vede
ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano, poi quando si riede,
quanto più lungo fu, più riconforta.
Lo stare in servitù senza mercede
(pur che non resti la speranza morta)
patir si può: che premio al ben servire
pur viene al fin, se ben tarda a venire.
4
Gli sdegni, le repulse, e finalmente
tutti i martìr d'amor, tutte le pene,
fan per lor rimembranza, che si sente
con miglior gusto un piacer quando viene.
Ma se l'infernal peste una egra mente
avvien ch'infetti, ammorbi ed avelene;
se ben segue poi festa ed allegrezza,
non la cura l'amante e non l'apprezza.
5
Questa è la cruda e avelenata piaga
a cui non val liquor, non vale impiastro,
né murmure, né imagine di saga,
né val lungo osservar di benigno astro,
né quanta esperienza d'arte maga
fece mai l'inventor suo Zoroastro:
piaga crudel che sopra ogni dolore
conduce l'uom, che disperato muore.
6
Oh incurabil piaga che nel petto
d'un amator sì facile s'imprime,
non men per falso che per ver sospetto!
piaga che l'uom sì crudelmente opprime,
che la ragion gli offusca e l'intelletto,
e lo tra' fuor de le sembianze prime!
Oh iniqua gelosia, che così a torto
levasti a Bradamante ogni conforto!
7
Non di questo ch'Ippalca e che 'l fratello
le avea nel core amaramente impresso,
ma dico d'uno annunzio crudo e fello
che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla a paragon di quello
ch'io vi dirò, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente,
che vêr Parigi vien con la sua gente.
8
Scontraro il dì seguente invêr la sera
un cavallier ch'avea una donna al fianco,
con scudo e sopravesta tutta nera,
se non che per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò alla giostra Ricciardetto, ch'era
dinanzi, e vista avea di guerrier franco:
e quel, che mai nessun ricusar volse,
girò la briglia e spazio a correr tolse.
9
Senza dir altro, o più notizia darsi
de l'esser lor, si vengono all'incontro.
Rinaldo e gli altri cavallier fermarsi
per veder come seguiria lo scontro.
— Tosto costui per terra ha da versarsi,
se in luogo fermo a mio modo lo incontro —
dicea tra sé medesmo Ricciardetto;
ma contrario al pensier seguì l'effetto:
10
però che lui sotto la vista offese
di tanto colpo il cavalliero istrano,
che lo levò di sella, e lo distese
più di due lance al suo destrier lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
l'assunto Alardo, e ritrovossi al piano
stordito e male acconcio: sì fu crudo
lo scontro fier, che gli spezzò lo scudo.
11
Guicciardo pone incontinente in resta
l'asta, che vede i duo germani in terra,
ben che Rinaldo gridi: — Resta, resta;
che mia convien che sia la terza guerra: —
ma l'elmo ancor non ha allacciato in testa
sì che Guicciardo al corso si disserra;
né più degli altri si seppe tenere,
e ritrovossi subito a giacere.
12
Vuol Ricciardo, Viviano e Malagigi,
e l'un prima de l'altro essere in giostra:
ma Rinaldo pon fine ai lor litigi;
ch'inanzi a tutti armato si dimostra,
dicendo loro: — È tempo ire a Parigi;
e saria troppo la tardanza nostra,
s'io volesse aspettar fin che ciascuno
di voi fosse abbattuto ad uno ad uno. —
13
Dissel tra sé, ma non che fosse inteso,
che saria stato agli altri ingiuria e scorno.
L'uno e l'altro del campo avea già preso,
e si faceano incontra aspro ritorno.
Non fu Rinaldo per terra disteso,
che valea tutti gli altri ch'avea intorno;
le lance si fiaccar, come di vetro,
né i cavallier si piegar oncia a dietro.
14
L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse,
che gli fu forza in terra a por le groppe.
Baiardo immantinente ridrizzosse,
tanto ch'a pena il correre interroppe.
Sinistramente sì l'altro percosse,
che la spalla e la schena insieme roppe.
Il cavallier che 'l destrier morto vede,
lascia le staffe ed è subito in piede.
15
Ed al figlio d'Amon, che già rivolto
tornava a lui con la man vota, disse:
— Signore, il buon destrier che tu m'hai tolto,
perché caro mi fu mentre che visse,
mi faria uscir del mio debito molto,
se così invendicato si morisse:
sì che vientene, e fa ciò che tu puoi,
perché battaglia esser convien tra noi. —
16
Disse Rinaldo a lui: — Se 'l destrier morto,
e non altro ci de' porre a battaglia,
un de' miei ti darò, piglia conforto,
che men del tuo non crederò che vaglia. —
Colui soggiunse: — Tu sei malaccorto,
se creder vuoi che d'un destrier mi caglia.
Ma poi che non comprendi ciò ch'io voglio,
ti spiegherò più chiaramente il foglio.
17
Vo' dir che mi parria commetter fallo,
se con la spada non ti provassi anco,
e non sapessi s'in quest'altro ballo
tu mi sia pari, o se più vali o manco.
Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo:
pur che le man tu non ti tegna al fianco,
io son contento ogni vantaggio darti:
tanto alla spada bramo di provarti. —
18
Rinaldo molto non lo tenne in lunga,
e disse: — La battaglia ti prometto;
e perché tu sia ardito, e non ti punga
di questi c'ho d'intorno alcun sospetto,
andranno inanzi fin ch'io gli raggiunga;
né meco resterà fuor ch'un valletto
che mi tenga il cavallo: — e così disse
alla sua compagnia che se ne gisse.
19
La cortesia del paladin gagliardo
commendò molto il cavalliero estrano.
Smontò Rinaldo, e del destrier Baiardo
diede al valletto le redine in mano:
e poi che più non vede il suo stendardo,
il qual di lungo spazio è già lontano,
lo scudo imbraccia e stringe il brando fiero,
e sfida alla battaglia il cavalliero.
20
E quivi s'incomincia una battaglia
di ch'altra mai non fu più fiera in vista.
Non crede l'un che tanto l'altro vaglia,
che troppo lungamente gli resista.
Ma poi che 'l paragon ben gli ragguaglia,
né l'un de l'altro più s'allegra o attrista,
pongon l'orgoglio ed il furor da parte,
ed al vantaggio loro usano ogn'arte.
21
S'odon lor colpi dispietati e crudi
intorno rimbombar con suono orrendo,
ora i canti levando a' grossi scudi,
schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.
Né qui bisogna tanto che si studi
a ben ferir, quanto a parar, volendo
star l'uno a l'altro par; ch'eterno danno
lor può causar il primo error che fanno.
22
Durò l'assalto un'ora e più che 'l mezzo
d'un'altra; ed era il sol già sotto l'onde,
ed era sparso il tenebroso rezzo
de l'orizzon fin all'estreme sponde;
né riposato o fatto altro intermezzo
aveano alle percosse furibonde
questi guerrier, che non ira o rancore,
ma tratto all'arme avea disio d'onore.
23
Rivolve tuttavia tra sé Rinaldo
chi sia l'estrano cavallier sì forte,
che non pur gli sta contra ardito e saldo,
ma spesso il mena a risco de la morte;
e già tanto travaglio e tanto caldo
gli ha posto, che del fin dubita forte:
e volentier, se con suo onor potesse,
vorria che quella pugna rimanesse.
24
Da l'altra parte il cavallier estrano,
che similmente non avea notizia
che quel fosse il signor di Montalbano,
quel sì famoso in tutta la milizia,
che gli avea incontra con la spada in mano
condotto così poca nimicizia,
era certo che d'uom di più eccellenza
non potesson dar l'arme esperienza.
25
Vorrebbe de l'impresa esser digiuno,
ch'avea di vendicare il suo cavallo;
e se potesse senza biasmo alcuno,
si trarria fuor del periglioso ballo.
Il mondo era già tanto oscuro e bruno,
che tutti i colpi quasi ivano in fallo.
Poco ferire e men parar sapeano,
ch'a pena in man le spade si vedeano.
26
Fu quel da Montalbano il primo a dire
che far battaglia non denno allo scuro,
ma quella indugiar tanto e differire,
ch'avesse dato volta il pigro Arturo;
e che può intanto al padiglion venire,
ove di sé non sarà men sicuro,
ma servito, onorato e ben veduto,
quanto in loco ove mai fosse venuto.
27
Non bisognò a Rinaldo pregar molto,
che 'l cortese baron tenne lo 'nvito.
Ne vanno insieme ove il drappel raccolto
di Montalbano era in sicuro sito.
Rinaldo al suo scudiero avea già tolto
un bel cavallo e molto ben guernito,
a spada e a lancia e ad ogni prova buono,
ed a quel cavallier fattone dono.
28
Il guerrier peregrin conobbe quello
esser Rinaldo, che venìa con esso;
che prima che giungessero all'ostello,
venuto a caso era a nomar se stesso:
e perché l'un de l'altro era fratello,
si sentìr dentro di dolcezza oppresso,
e di pietoso affetto tocco il core;
e lacrimar per gaudio e per amore.
29
Questo guerriero era Guidon selvaggio,
che dianzi con Marfisa e Sansonetto
e' figli d'Olivier molto viaggio
avea fatto per mar, come v'ho detto.
Di non veder più tosto il suo lignaggio
il fellon Pinabel gli avea interdetto,
avendol preso e a bada poi tenuto
alla difesa del suo rio statuto.
30
Guidon, che questo esser Rinaldo udio,
famoso sopra ogni famoso duce,
ch'avuto avea più di veder disio,
che non ha il cieco la perduta luce,
con molto gaudio disse: — O signor mio,
qual fortuna a combatter mi conduce
con voi, che lungamente ho amato ed amo,
e sopra tutto il mondo onorar bramo?
31
Mi partorì Costanza ne le estreme
ripe del mar Eusino: io son Guidone,
concetto de lo illustre inclito seme,
come ancor voi, del generoso Amone.
Di voi vedere e gli altri nostri insieme
il desiderio è del venir cagione;
e dove mia intenzion fu d'onorarvi,
mi veggo esser venuto a ingiuriarvi.
32
Ma scusimi apo voi d'un error tanto,
ch'io non ho voi né gli altri conosciuto;
e s'emendar si può, ditemi quanto
far debbo, ch'in ciò far nulla rifiuto. —
Poi che si fu da questo e da quel canto
de' complessi iterati al fin venuto,
rispose a lui Rinaldo: — Non vi caglia
meco scusarvi più de la battaglia:
33
che per certificarne che voi sète
di nostra antiqua stirpe un vero ramo,
dar miglior testimonio non potete,
che 'l gran valor ch'in voi chiaro proviamo.
Se più pacifiche erano e quiete
vostre maniere, mal vi credevamo;
che la damma non genera il leone,
né le colombe l'aquila o il falcone. —
34
Non, per andar, di ragionar lasciando,
non di seguir, per ragionar, lor via,
vennero ai padiglioni; ove narrando
il buon Rinaldo alla sua compagnia
che questo era Guidon, che disiando
veder, tanto aspettato aveano pria,
molto gaudio apportò ne le sue squadre;
e parve a tutti assimigliarsi al padre.
35
Non dirò l'accoglienze che gli fero
Alardo, Ricciardetto e gli altri dui;
che gli fece Viviano ed Aldigiero,
e Malagigi, frati e cugin sui;
ch'ogni signor gli fece e cavalliero;
ciò ch'egli disse a loro, ed essi a lui:
ma vi concluderò che finalmente
fu ben veduto da tutta la gente.
36
Caro Guidone a' suoi fratelli stato
credo sarebbe in ogni tempo assai;
ma lor fu al gran bisogno ora più grato,
ch'esser potesse in altro tempo mai.
Poscia che 'l nuovo sole incoronato
del mare uscì di luminosi rai,
Guidon coi frati e coi parenti in schiera
se ne tornò sotto la lor bandiera.
37
Tanto un giorno ed un altro se n'andaro,
che di Parigi alle assediate porte
a men di dieci miglia s'accostaro
in ripa a Senna; ove per buona sorte
Grifone ed Aquilante ritrovaro,
i duo guerrier da l'armatura forte:
Grifone il bianco ed Aquilante il nero,
che partorì Gismonda d'Oliviero.
38
Con essi ragionava una donzella,
non già di vil condizione in vista,
che di sciamito bianco la gonnella
fregiata intorno avea d'aurata lista;
molto leggiadra in apparenza e bella,
fosse quantunque lacrimosa e trista:
e mostrava ne' gesti e nel sembiante
di cosa ragionar molto importante.
39
Conobbe i cavallier, come essi lui,
Guidon, che fu con lor pochi dì inanzi;
ed a Rinaldo disse: — Eccovi dui
a cui van pochi di valore inanzi;
e se per Carlo ne verran con nui,
non ne staranno i Saracini inanzi. —
Rinaldo di Guidon conferma il detto,
che l'uno e l'altro era guerrier perfetto.
40
Gli avea riconosciuti egli non manco;
però che quelli sempre erano usati,
l'un tutto nero, e l'altro tutto bianco
vestir su l'arme, e molto andare ornati.
Da l'altra parte essi conobbero anco
e salutar Guidon, Rinaldo e i frati;
ed abbracciar Rinaldo come amico,
messo da parte ogni lor odio antico.
41
S'ebbero un tempo in urta e in gran dispetto
per Truffaldin, che fôra lungo a dire;
ma quivi insieme con fraterno affetto
s'accarezzar, tutte obliando l'ire.
Rinaldo poi si volse a Sansonetto,
ch'era tardato un poco più a venire,
e lo raccolse col debito onore,
a pieno istrutto del suo gran valore.
42
Tosto che la donzella più vicino
vide Rinaldo, e conosciuto l'ebbe
(ch'avea notizia d'ogni paladino),
gli disse una novella che gl'increbbe;
e cominciò: — Signore, il tuo cugino,
a cui la Chiesa e l'alto Imperio debbe,
quel già sì saggio ed onorato Orlando,
è fatto stolto, e va pel mondo errando.
43
Onde causato così strano e rio
accidente gli sia, non so narrarte.
La sua spada e l'altr'arme ho vedute io,
che per li campi avea gittate e sparte;
e vidi un cavallier cortese e pio
che le andò raccogliendo da ogni parte,
e poi di tutte quelle un arbuscello
fe', a guisa di trofeo, pomposo e bello.
44
Ma la spada ne fu tosto levata
dal figliuol d'Agricane il dì medesmo.
Tu pòi considerar quanto sia stata
gran perdita alla gente del battesmo
l'essere un'altra volta ritornata
Durindana in poter del paganesmo.
Né Brigliadoro men, ch'errava sciolto
intorno all'arme, fu dal pagan tolto.
45
Son pochi dì ch'Orlando correr vidi
senza vergogna e senza senno, ignudo,
con urli spaventevoli e con gridi:
ch'è fatto pazzo in somma ti conchiudo;
e non avrei, fuor ch'a questi occhi fidi,
creduto mai sì acerbo caso e crudo. —
Poi narrò che lo vide giù dal ponte
abbracciato cader con Rodomonte.
46
— A qualunque io non creda esser nimico
d'Orlando (soggiungea) di ciò favello,
acciò ch'alcun di tanti a ch'io lo dico,
mosso a pietà del caso strano e fello,
cerchi o a Parigi o in altro luogo amico
ridurlo, fin che si purghi il cervello.
Ben so, se Brandimarte n'avrà nuova,
sarà per farne ogni possibil prova. —
47
Era costei la bella Fiordiligi,
più cara a Brandimarte che se stesso,
la qual, per lui trovar, venìa a Parigi:
e de la spada ella suggiunse appresso,
che discordia e contesa e gran litigi
tra il Sericano e 'l Tartaro avea messo;
e ch'avuta l'avea, poi fu casso,
di vita Mandricardo, al fin Gradasso.
48
Di così strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole;
né il core intenerir men se ne sente,
che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole:
e con disposta ed immutabil mente,
ovunque Orlando sia, cercar lo vuole,
con speme, poi che ritrovato l'abbia,
di farlo risanar di quella rabbia.
49
Ma già lo stuolo avendo fatto unire,
sia volontà del cielo o sia aventura,
vuol fare i Saracin prima fuggire,
e liberar le parigine mura.
Ma consiglia l'assalto differire,
che vi par gran vantaggio, a notte scura,
ne la terza vigilia o ne la quarta,
ch'avrà l'acqua di Lete il Sonno sparta.
50
Tutta la gente alloggiar fece al bosco,
e quivi la posò per tutto 'l giorno;
ma poi che 'l sol, lasciando il mondo fosco,
alla nutrice antiqua fe' ritorno,
ed orsi e capre e serpi senza tosco
e l'altre fere ebbeno il cielo adorno,
che state erano ascose al maggior lampo,
mosse Rinaldo il taciturno campo:
51
e venne con Grifon, con Aquilante,
con Vivian, con Alardo e con Guidone,
con Sansonetto, agli altri un miglio inante,
a cheti passi e senza alcun sermone.
Trovò dormir l'ascolta d'Agramante:
tutta l'uccise, e non ne fe' un prigione.
Indi arrivò tra l'altra gente Mora,
che non fu visto né sentito ancora.
52
Del campo d'infedeli a prima giunta
la ritrovata guardia all'improviso
lasciò Rinaldo sì rotta e consunta,
ch'un sol non ne restò, se non ucciso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
i Saracin non l'avean più da riso,
che sonnolenti, timidi ed inermi,
poteano a tai guerrier far pochi schermi.
53
Fece Rinaldo per maggior spavento
dei Saracini, al mover de l'assalto,
a trombe e a corni dar subito vento,
e, gridando, il suo nome alzar in alto.
Spinse Baiardo, e quel non parve lento;
che dentro all'alte sbarre entrò d'un salto,
e versò cavallier, pestò pedoni,
ed atterrò trabacche e padiglioni.
54
Non fu sì ardito tra il popul pagano,
a cui non s'arricciassero le chiome,
quando sentì Rinaldo e Montalbano
sonar per l'aria, il formidato nome.
Fugge col campo d'Africa l'ispano,
né perde tempo a caricar le some;
ch'aspettar quella furia più non vuole,
ch'aver provata anco si piagne e duole.
55
Guidon lo segue, e non fa men di lui;
né men fanno i duo figli d'Oliviero,
Alardo e Ricciardetto, e gli altri dui:
col brando Sansonetto apre il sentiero:
Aldigiero e Vivian provar altrui
fan quanto in arme l'uno e l'altro è fiero.
Così fa ognun che segue lo stendardo
di Chiaramonte, da guerrier gagliardo.
56
Settecento con lui tenea Rinaldo
in Montalbano e intorno a quelle ville,
usati a portar l'arme al freddo e al caldo,
non già più rei dei Mirmidon d'Achille.
Ciascun d'essi al bisogno era sì saldo,
che cento insieme non fuggian per mille;
e se ne potean molti sceglier fuori,
che d'alcun dei famosi eran migliori.
57
E se Rinaldo ben non era molto
ricco né di città né di tesoro,
facea sì con parole e con buon volto,
e ciò ch'avea partendo ognor con loro,
ch'un di quel numer mai non gli fu tolto
per offerire altrui più somma d'oro.
Questi da Montalban mai non rimuove,
se non lo stringe un gran bisogno altrove.
58
Ed or, perch'abbia il Magno Carlo aiuto,
lasciò con poca guardia il suo castello.
Tra gli African questo drappel venuto,
questo drappel del cui valor favello,
ne fece quel che del gregge lanuto
sul falanteo Galeso il lupo fello,
o quel che soglia, del barbato, appresso
il barbaro Cinifio, il leon spesso.
59
Carlo, ch'aviso da Rinaldo avuto
avea che presso era a Parigi giunto,
e che la notte il campo sproveduto
volea assalir, stato era in arme e in punto;
e quando bisognò, venne in aiuto
coi paladini; e ai paladini aggiunto
avea il figliol del ricco Monodante,
di Fiordiligi il fido e saggio amante;
60
ch'ella più giorni per sì lunga via
cercato avea per tutta Francia invano.
Quivi all'insegne che portar solia,
fu da lei conosciuto di lontano.
Come lei Brandimarte vide pria,
lasciò la guerra, e tornò tutto umano,
e corse ad abbracciarla; e d'amor pieno,
mille volte baciolla o poco meno.
61
De le lor donne e de le lor donzelle
si fidar molto a quella antica etade.
Senz'altra scorta andar lasciano quelle
per piani e monti e per strane contrade;
ed al ritorno l'han per buone e belle,
né mai tra lor suspizione accade.
Fiordiligi narrò quivi al suo amante,
che fatto stolto era il signor d'Anglante.
62
Brandimarte sì strana e ria novella
credere ad altri a pena avria potuto;
ma lo credette a Fiordiligi bella,
a cui già maggior cose avea creduto.
Non pur d'averlo udito gli dice ella,
ma che con gli occhi propri l'ha veduto
(c'ha conoscenza e pratica d'Orlando,
quanto alcun altro), e dice dove e quando
63
E gli narra del ponte periglioso,
che Rodomonte ai cavallier difende,
ove un sepolcro adorna e fa pomposo
di sopraveste e d'arme di chi prende.
Narra c'ha visto Orlando furioso
far cose quivi orribili e stupende;
che nel fiume il pagan mandò riverso,
con gran periglio di restar summerso.
64
Brandimarte, che 'l conte amava quanto
si può compagno amar, fratello o figlio,
disposto di cercarlo, e di far tanto,
non ricusando affanno né periglio,
che per opra di medico o d'incanto
si ponga a quel furor qualche consiglio,
così come trovossi armato in sella,
si mise in via con la sua donna bella.
65
Verso la parte ove la donna il conte
avea veduto, il lor camin drizzaro,
di giornata in giornata, fin ch'al ponte
che guarda il re d'Algier, si ritrovaro.
La guardia ne fe' segno a Rodomonte;
e gli scudieri a un tempo gli arrecaro
l'arme e il cavallo: e quel si trovò in punto,
quando fu Brandimarte al passo giunto.
66
Con voce qual conviene al suo furore
il Saracino a Brandimarte grida:
— Qualunque tu ti sia, che, per errore
di via o di mente, qui tua sorte guida,
scendi e spogliati l'arme, e fanne onore
al gran sepolcro, inanzi ch'io t'uccida,
e che vittima all'ombre tu sia offerto:
ch'io 'l farò poi, né te n'avrò alcun merto.
—
67
Non volse Brandimarte a quell'altiero
altra risposta dar, che de la lancia.
Sprona Batoldo, il suo gentil destriero,
e inverso quel con tanto ardir si lancia,
che mostra che può star d'animo fiero
con qual si voglia al mondo alla bilancia:
e Rodomonte, con la lancia in resta,
lo stretto ponte a tutta briglia pesta.
68
Il suo destrier ch'avea continuo uso
d'andarvi sopra, e far di quel sovente
quando uno e quando un altro cader giuso,
alla giostra correa sicuramente;
l'altro, del corso insolito confuso,
venìa dubbioso, timido e tremente.
Trema anco il ponte, e par cader ne l'onda,
oltre che stretto e che sia senza sponda.
69
I cavallier, di giostra ambi maestri,
che le lance avean grosse come travi,
tali qual fur nei lor ceppi silvestri,
si dieron colpi non troppo soavi.
Ai lor cavalli esser possenti e destri
non giovò molto agli aspri colpi e gravi;
che si versar di pari ambi sul ponte,
e seco i signor lor tutti in un monte.
70
Nel volersi levar con quella fretta
che lo spronar de' fianchi insta e richiede,
l'asse del ponticel lor fu sì stretta,
che non trovaro ove fermare il piede;
sì che una sorte uguale ambi li getta
ne l'acqua; e gran rimbombo al ciel ne riede,
simile a quel ch'uscì del nostro fiume,
quando ci cadde il mal rettor del lume.
71
I duo cavalli con tutto 'l pondo
dei cavallier, che steron fermi in sella,
a cercar la rivera insin al fondo,
se v'era ascosa alcuna ninfa bella.
Non è già il primo salto né 'l secondo,
che giù del ponte abbia il pagano in quella
onda spiccato col destrero audace;
però sa ben come quel fondo giace:
72
sa dove è saldo e sa dove è più molle,
sa dove è l'acqua bassa e dove è l'alta.
Dal fiume il capo e il petto e i fianchi estolle,
e Brandimarte a gran vantaggio assalta.
Brandimarte il corrente in giro tolle:
ne la sabbia il destrier, che 'l fondo smalta,
tutto si ficca, e non può riaversi,
con rischio di restarvi ambi sommersi.
73
L'onda si leva e li fa andar sozzopra,
e dove è più profonda li trasporta:
va Brandimarte sotto, e 'l destrier sopra.
Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta
e le lacrime e i voti e i prieghi adopra:
— Ah Rodomonte, per colei che morta
tu riverisci, non esser sì fiero,
ch'affogar lasci un tanto cavalliero!
74
Deh, cortese signor, s'unque tu amasti,
di me, ch'amo costui, pietà ti vegna.
Di farlo tuo prigion, per Dio, ti basti;
che s'orni il sasso tuo di quella insegna,
di quante spoglie mai tu gli arrecasti,
questa fia la più bella e la più degna. —
E seppe sì ben dir, ch'ancor che fosse
sì crudo il re pagan, pur lo commosse;
75
e fe' che 'l suo amator ratto soccorse,
che sotto acqua il destrier tenea sepolto,
e de la vita era venuto in forse,
e senza sete avea bevuto molto.
Ma aiuto non però prima gli porse,
che gli ebbe il brando e dipoi l'elmo tolto.
De l'acqua mezzo morto il trasse, e porre
con molti altri lo fe' ne la sua torre.
76
Fu ne la donna ogni allegrezza spenta,
quando prigion vide il suo amante gire;
ma di questo pur meglio si contenta,
che di vederlo nel fiume perire.
Di se stessa, e non d'altri, si lamenta,
che fu cagion di farlo ivi venire,
per averli narrato ch'avea il conte
riconosciuto al periglioso ponte.
77
Quindi si parte, avendo già concetto
di menarvi Rinaldo paladino,
o il Selvaggio Guidone, o Sansonetto,
o altri de la corte di Pipino,
in acqua e in terra cavallier perfetto
da poter contrastar col Saracino;
se non più forte, almen più fortunato
che Brandimarte suo non era stato.
78
Va molti giorni, prima che s'abbatta
in alcun cavallier ch'abbia sembiante
d'esser come lo vuol, perché combatta
col Saracino e liberi il suo amante.
Dopo molto cercar di persona atta
al suo bisogno, un le vien pur avante,
che sopravesta avea ricca ed ornata,
a tronchi di cipressi ricamata.
79
Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi;
che prima ritornar voglio a Parigi,
e de la gran sconfitta seguitarvi,
ch'a' Mori diè Rinaldo e Malagigi.
Quei che fuggiro io non saprei contarvi,
né quei che fur cacciati ai fiumi stigi.
Levò a Turpino il conto l'aria oscura,
che di contarli s'avea preso cura.
80
Nel primo sonno dentro al padiglione
dormia Agramante; e un cavallier lo desta,
dicendogli che fia fatto prigione,
se la fuga non è via più che presta.
Guarda il re intorno, e la confusione
vede dei suoi, che van senza far testa
chi qua chi là fuggendo inermi e nudi,
che non han tempo di pur tor gli scudi.
81
Tutto confuso e privo di consiglio
si facea porre indosso la corazza,
quando con Falsiron vi giunse il figlio,
Grandonio e Balugante e quella razza;
e al re Agramante mostrano il periglio
di restar morto o preso in quella piazza:
e che può dir, se salva la persona,
che Fortuna gli sia propizia e buona.
82
Così Marsilio e così il buon Sobrino,
e così dicon gli altri ad una voce,
ch'a sua distruzion tanto è vicino,
quanto a Rinaldo il qual ne vien veloce;
che s'aspetta che giunga il paladino
con tanta gente, e un uom tanto feroce,
render certo si può ch'egli e i suo' amici
rimarran morti, o in man degli nimici.
83
Ma ridur si può in Arli o sia in Narbona
con quella poca gente c'ha d'intorno;
che l'una e l'altra terra è forte e buona
da mantener la guerra più d'un giorno:
e quando salva sia la sua persona,
si potrà vendicar di questo scorno,
rifacendo l'esercito in un tratto,
onde al fin Carlo ne sarà disfatto.
84
Il re Agramante al parer lor s'attenne,
ben che 'l partito fosse acerbo e duro.
Andò verso Arli, e parve aver le penne,
per quel camin che più trovò sicuro.
Oltre alle guide, in gran favor gli venne
che la partita fu per l'aer scuro.
Ventimila tra d'Africa e di Spagna
fur, ch'a Rinaldo uscir fuor de la ragna.
85
Quei ch'egli uccise e quei che i suoi fratelli,
quei che i duo figli del signor di Vienna,
quei che provaro empi nimici e felli
i settecento a cui Rinaldo accenna,
e quei che spense Sansonetto, e quelli
che ne la fuga s'affogaro in Senna,
chi potesse contar, conteria ancora
ciò che sparge d'april Favonio e Flora.
86
Istima alcun che Malagigi parte
ne la vittoria avesse de la notte;
non che di sangue le campagne sparte
fosser per lui, né per lui teste rotte:
ma che gl'infernali angeli per arte
facesse uscir da le tartaree grotte,
e con tante bandiere e tante lance,
ch'insieme più non ne porrian due France;
87
e che facesse udir tanti metalli,
tanti tamburi e tanti varii suoni,
tanti anitriri in voce di cavalli,
tanti gridi e tumulti di pedoni,
che risonare e piani e monti e valli
dovean de le longique regioni:
ed ai Mori con questo un timor diede,
che li fece voltare in fuga il piede.
88
Non si scordò il re d'Africa Ruggiero,
ch'era ferito e stava ancora grave.
Quanto poté più acconcio s'un destriero
lo fece por, ch'avea l'andar soave;
e poi che l'ebbe tratto ove il sentiero
fu più sicuro, il fe' posar in nave,
e verso Arli portar commodamente,
dove s'avea a raccor tutta la gente.
89
Quei ch'a Rinaldo e a Carlo dier le spalle
(fur, credo, centomila o poco manco),
per campagne, per boschi e monte e valle
cercaro uscir di man del popul franco;
ma la più parte trovò chiuso il calle,
e fece rosso ov'era verde e bianco.
Così non fece il re di Sericana,
ch'avea da lor la tenda più lontana:
90
anzi, come egli sente che 'l signore
di Montalbano è questo che gli assalta,
gioisce di tal iubilo nel core,
che qua e là per allegrezza salta.
Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,
che quella notte gli occorra tant'alta
e sì rara aventura d'acquistare
Baiardo, quel destrier che non ha pare.
91
Avea quel re gran tempo desiato
(credo ch'altrove voi l'abbiate letto)
d'aver la buona Durindana a lato,
e cavalcar quel corridor perfetto.
E già con più di centomila armato
era venuto in Francia a questo effetto;
e con Rinaldo già sfidato s'era
per quel cavallo alla battaglia fiera;
92
e sul lito del mar s'era condutto
ove dovea la pugna diffinire:
ma Malagigi a turbar venne il tutto,
che fe' il cugin, mal grado suo, partire,
avendol sopra un legno in mar ridutto.
Lungo saria tutta l'istoria dire.
Da indi in qua stimò timido e vile
sempre Gradasso il paladin gentile.
93
Or che Gradasso esser Rinaldo intende
costui ch'assale il campo, se n'allegra.
Si veste l'arme, e la sua alfana prende,
e cercando lo va per l'aria negra:
e quanti ne riscontra, a terra stende;
ed in confuso lascia afflitta ed egra
la gente, o sia di Libia o sia di Francia:
tutti li mena a un par la buona lancia.
94
Lo va di qua di là tanto cercando,
chiamando spesso e quanto può più forte,
e sempre a quella parte declinando,
ove più folte son le genti morte,
ch'al fin s'incontra in lui brando per brando
poi che le lance loro ad una sorte
eran salite in mille schegge rotte
sin al carro stellato de la Notte.
95
Quando Gradasso il paladin gagliardo
conosce, e non perché ne vegga insegna,
ma per gli orrendi colpi e per Baiardo,
che par che sol tutto quel campo tegna;
non è, gridando, a improverargli tardo
la prova che di sé fece non degna:
ch'al dato campo il giorno non comparse,
che tra lor la battaglia dovea farse.
96
Suggiunse poi: — Tu forse avevi speme,
se potevi nasconderti quel punto,
che non mai più per raccozzarci insieme
fossimo al mondo: or vedi ch'io t'ho giunto.
Sie certo, se tu andassi ne l'estreme
fosse di Stige, o fossi in cielo assunto,
ti seguirò, quando abbi il destrier teco,
ne l'alta luce e giù nel mondo cieco.
97
Se d'aver meco a far non ti dà il core,
e vedi già che non puoi starmi a paro,
e più stimi la vita che l'onore,
senza periglio ci puoi far riparo,
quando mi lasci in pace il corridore;
e viver puoi, se sì t'è il viver caro:
ma vivi a piè, che non merti cavallo,
s'alla cavalleria fai sì gran fallo. —
98
A quel parlar si ritrovò presente
con Ricciardetto il cavallier Selvaggio;
e le spade ambi trassero ugualmente,
per far parere il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo s'oppose immantinente,
e non patì che se gli fêsse oltraggio,
dicendo: — Senza voi dunque non sono
a chi m'oltraggia per risponder buono? —
99
Poi se ne ritornò verso il pagano,
e disse: — Odi, Gradasso; io voglio farte,
e tu m'ascolti, manifesto e piano
ch'io venni alla marina a ritrovarte:
e poi ti sosterrò con l'arme in mano,
che t'avrò detto il vero in ogni parte;
e sempre che tu dica mentirai,
ch'alla cavalleria mancass'io mai.
100
Ma ben ti priego che prima che sia
pugna tra noi, che pianamente intenda
la giustissima e vera scusa mia,
acciò ch'a torto più non mi riprenda;
e poi Baiardo al termine di pria
tra noi vorrò ch'a piedi si contenda
da solo a solo in solitario lato,
sì come a punto fu da te ordinato. —
101
Era cortese il re di Sericana,
come ogni cor magnanimo esser suole;
ed è contento udir la cosa piana,
e come il paladin scusar si vuole.
Con lui ne viene in ripa alla fiumana,
ove Rinaldo in semplici parole
alla sua vera istoria trasse il velo,
e chiamò in testimonio tutto 'l cielo:
102
e poi chiamar fece il figliuol di Buovo,
l'uom che di questo era informato a pieno,
ch'a parte a parte replicò di nuovo
l'incanto suo, né disse più né meno.
Soggiunse poi Rinaldo: — Ciò ch'io provo
col testimonio, io vo' che l'arme sieno,
che ora e in ogni tempo che ti piace,
te n'abbiano a far prova più verace. —
103
Il re Gradasso, che lasciar non volle
per la seconda la querela prima,
le scuse di Rinaldo in pace tolle,
ma se son vere o false in dubbio stima.
Non tolgon campo più sul lito molle
di Barcelona, ove lo tolser prima;
ma s'accordaro per l'altra matina
trovarsi a una fontana indi vicina:
104
ove Rinaldo seco abbia il cavallo,
che posto sia communemente in mezzo:
se 'l re uccide Rinaldo o il fa vassallo,
se ne pigli il destrier senz'altro mezzo,
ma se Gradasso è quel che faccia fallo,
che sia condotto all'ultimo ribrezzo,
o, per più non poter, che gli si renda,
da lui Rinaldo Durindana prenda.
105
Con maraviglia molta e più dolore
(come v'ho detto) avea Rinaldo udito
da Fiordiligi bella, ch'era fuore
de l'intelletto il suo cugino uscito.
Avea de l'arme inteso anco il tenore,
e del litigio che n'era seguito;
e ch'in somma Gradasso avea quel brando
ch'ornò di mille e mille palme Orlando.
106
Poi che furon d'accordo, ritornosse
il re Gradasso ai servitori sui
ben che dal paladin pregato fosse
che ne venisse ad alloggiar con lui.
Come fu giorno, il re pagano armosse;
così Rinaldo: e giunsero ambedui
ove dovea non lungi alla fontana
combattersi Baiardo e Durindana.
107
De la battaglia che Rinaldo avere
con Gradasso dovea da solo a solo,
parean gli amici suoi tutti temere,
e inanzi il caso ne faceano il duolo.
Molto ardir, molta forza, alto sapere
avea Gradasso; ed or che del figliuolo
del gran Milone avea la spada al fianco,
di timor per Rinaldo era ognun bianco.
108
E più degli altri il frate di Viviano
stava di questa pugna in dubbio e in tema,
ed anco volentier vi porria mano
per farla rimaner d'effetto scema:
ma non vorria che quel da Montalbano
seco venisse a inimicizia estrema;
ch'anco avea di quell'altra seco sdegno,
che gli turbò, quando il levò sul legno.
109
Ma stiano gli altri in dubbio, in tema, in doglia:
Rinaldo se ne va lieto e sicuro,
sperando ch'ora il biasmo se gli toglia,
ch'avere a torto gli parea pur duro;
sì che quei da Pontieri e d'Altafoglia
faccia cheti restar, come mai furo.
Va con baldanza e sicurtà di core
di riportarne il trionfale onore.
110
Poi che l'un quinci e l'altro quindi giunto
fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,
s'accarezzaro, e fero a punto a punto
così serena ed amichevol fronte,
come di sangue e d'amistà congiunto
fosse Gradasso a quel di Chiaramonte.
Ma come poi s'andassero a ferire,
vi voglio a un'altra volta differire.
CANTO TRENTADUESIMO
1
Soviemmi che cantar io vi dovea
(già lo promisi, e poi m'uscì di mente)
d'una sospizion che fatto avea
la bella donna di Ruggier dolente,
de l'altra più spiacevole e più rea,
e di più acuto e venenoso dente,
che per quel ch'ella udì da Ricciardetto,
a devorare il cor l'entrò nel petto.
2
Dovea cantarne, ed altro incominciai,
perché Rinaldo in mezzo sopravenne;
e poi Guidon mi diè che fare assai,
che tra camino a bada un pezzo il tenne.
D'una cosa in un'altra in modo entrai,
che mal di Bradamante mi sovenne:
sovienmene ora, e vo' narrarne inanti
che di Rinaldo e di Gradasso io canti.
3
Ma bisogna anco, prima ch'io ne parli,
che d'Agramante io vi ragioni un poco,
ch'avea ridutte le reliquie in Arli,
che gli restar del gran notturno fuoco,
quando a raccor lo sparso campo e a darli
soccorso e vettovaglie era atto il loco:
l'Africa incontra, e la Spagna ha vicina,
ed è in sul fiume assiso alla marina.
4
Per tutto 'l regno fa scriver Marsilio
gente a piedi e a cavallo, e trista e buona.
Per forza e per amore ogni navilio
atto a battaglia s'arma in Barcelona.
Agramante ogni dì chiama a concilio;
né a spesa né a fatica si perdona.
Intanto gravi esazioni e spesse
tutte hanno le città d'Africa oppresse.
5
Egli ha fatto offerire a Rodomonte,
perché ritorni (ed impetrar nol puote),
una cugina sua, figlia d'Almonte,
e 'l bel regno d'Oran dargli per dote.
Non si volse l'altier muover dal ponte,
ove tant'arme e tante selle vote
di quei che son già capitati al passo
ha ragunate, che ne cuopre il sasso.
6
Già non volse Marfisa imitar l'atto
di Rodomonte: anzi com'ella intese
ch'Agramante da Carlo era disfatto,
sue genti morte, saccheggiate e prese,
e che con pochi in Arli era ritratto,
senza aspettare invito, il camin prese:
venne in aiuto de la sua corona,
e l'aver gli proferse e la persona.
7
E gli menò Brunello, e gli ne fece
libero dono, il qual non avea offeso:
l'avea tenuto dieci giorni e diece
notti sempre in timor d'essere appeso;
e poi che né con forza né con prece
da nessun vide il patrocinio preso,
in sì sprezzato sangue non si volse
bruttar l'altiere mani, e lo disciolse.
8
Tutte l'antique ingiurie gli remesse,
e seco in Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete pensar che gaudio avesse
il re di lei ch'ad aiutarlo andasse:
e del gran conto ch'egli ne facesse,
volse che Brunel prova le mostrasse;
che quel di ch'ella gli avea fatto cenno,
di volerlo impiccar, fe' da buon senno.
9
Il manigoldo, in loco inculto ed ermo,
pasto di corvi e d'avoltoi lasciollo.
Ruggier ch'un'altra volta gli fu schermo,
e che 'l laccio gli avria tolto dal collo,
la giustizia di Dio fa ch'ora infermo
s'è ritrovato, ed aiutar non puollo:
e quando il seppe, era già il fatto occorso;
sì che restò Brunel senza soccorso.
10
Intanto Bradamante iva accusando
che così lunghi sian quei venti giorni,
li quai finiti, il termine era quando
a lei Ruggiero ed alla fede torni.
A chi aspetta di carcere o di bando
uscir, non par che 'l tempo più soggiorni
a dargli libertade, o de l'amata
patria vista gioconda e disiata.
11
In quel duro aspettare ella talvolta
pensa ch'Eto e Piròo sia fatto zoppo;
o sia la ruota guasta, ch'a dar volta
le par che tardi, oltr'all'usato, troppo.
Più lungo di quel giorno a cui, per molta
fede, nel cielo il giusto Ebreo fe' intoppo,
più de la notte ch'Ercole produsse,
parea lei ch'ogni notte, ogni dì fusse.
12
Oh quante volte da invidiar le diero
e gli orsi e i ghiri e i sonnacchiosi tassi!
che quel tempo voluto avrebbe intero
tutto dormir, che mai non si destassi;
né potere altro udir, fin che Ruggiero
dal pigro sonno lei non richiamassi.
Ma non pur questo non può far, ma ancora
non può dormir di tutta notte un'ora.
13
Di qua di là va le noiose piume
tutte premendo, e mai non si riposa.
Spesso aprir la finestra ha per costume,
per veder s'anco di Titon la sposa
sparge dinanzi al matutino lume
il bianco giglio e la vermiglia rosa:
non meno ancor, poi che nasciuto è 'l giorno,
brama vedere il ciel di stelle adorno.
14
Poi che fu quattro o cinque giorni appresso
il termine a finir, piena di spene
stava aspettando d'ora in ora il messo
che le apportasse: — Ecco Ruggier che viene. —
Montava sopra un'alta torre spesso,
ch'i folti boschi e le campagne amene
scopria d'intorno, e parte de la via
onde di Francia a Montalban si gìa.
15
Se di lontano o splendor d'arme vede,
o cosa tal ch'a cavallier simiglia,
che sia il suo disiato Ruggier crede,
e rasserena i begli occhi e le ciglia;
se disarmato o viandante a piede,
che sia messo di lui speranza piglia:
e se ben poi fallace la ritrova,
pigliar non cessa una ed un'altra nuova.
16
Credendolo incontrar, talora armossi,
scese dal monte e giù calò nel piano;
né lo trovando, si sperò che fossi
per altra strada giunto a Montalbano:
e col disir con ch'avea i piedi mossi
fuor del castel, ritornò dentro invano.
Né qua né là trovollo; e passò intanto
il termine aspettato da lei tanto.
17
Il termine passò d'uno, di dui,
di tre giorni, di sei, d'otto e di venti;
né vedendo il suo sposo, né di lui
sentendo nuova, incominciò lamenti
ch'avrian mosso a pietà nei regni bui
quelle Furie crinite di serpenti;
e fece oltraggio a' begli occhi divini,
al bianco petto, all'aurei crespi crini.
18
— Dunque fia ver (dicea) che mi convegna
cercare un che mi fugge e mi s'asconde?
Dunque debbo prezzare un che mi sdegna?
Debbo pregar chi mai non mi risponde?
Patirò che chi m'odia, il cor mi tegna?
un che sì stima sue virtù profonde,
che bisogno sarà che dal ciel scenda
immortal dea che 'l cor d'amor gli accenda.
19
Sa questo altier ch'io l'amo e ch'io l'adoro,
né mi vuol per amante né per serva.
Il crudel sa che per lui spasmo e moro,
e dopo morte a darmi aiuto serva.
E perché io non gli narri il mio martoro
atto a piegar la sua voglia proterva,
da me s'asconde, come aspide suole,
che, per star empio, il canto udir non vuole.
20
Deh, ferma, Amor, costui che così sciolto
dinanzi al lento mio correr s'affretta;
o tornami nel grado onde m'hai tolto
quando né a te né ad altri era suggetta!
Deh, come è il mio sperar fallace e stolto,
ch'in te con prieghi mai pietà si metta;
che ti diletti, anzi ti pasci e vivi
di trar dagli occhi lacrimosi rivi!
21
Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa
fuor che del mio desire irrazionale?
ch'alto mi leva, e sì ne l'aria passa,
ch'arriva in parte ove s'abbrucia l'ale;
poi non potendo sostener, mi lassa
dal ciel cader: né qui finisce il male;
che le rimette, e di nuovo arde: ond'io
non ho mai fine al precipizio mio.
22
Anzi via più che del disir, mi deggio
di me doler, che sì gli apersi il seno;
onde cacciata ha la ragion di seggio,
ed ogni mio poter può di lui meno.
Quel mi trasporta ognor di male in peggio,
né lo posso frenar, che non ha freno:
e mi fa certa che mi mena a morte,
perch'aspettando il mal noccia più forte.
23
Deh perché voglio anco di me dolermi?
Ch'error, se non d'amarti, unqua commessi?
Che maraviglia, se fragili e infermi
feminil sensi fur subito oppressi?
Perché dovev'io usar ripari e schermi
che la somma beltà non mi piacessi,
gli alti sembianti e le sagge parole?
Misero è ben chi veder schiva il sole!
24
Ed oltre al mio destino, io ci fui spinta
da le parole altrui degne di fede:
somma felicità mi fu dipinta,
ch'esser dovea di questo amor mercede.
Se la persuasione, ohimè! fu finta,
se fu inganno il consiglio che mi diede
Merlin, posso di lui ben lamentarmi,
ma non d'amar Ruggier posso ritrarmi.
25
Di Merlin posso e di Melissa insieme
dolermi, e mi dorrò d'essi in eterno,
che dimostrare i frutti del mio seme
mi fero dagli spirti de lo 'nferno,
per pormi sol con questa falsa speme
in servitù; né la cagion discerno,
se non ch'erano forse invidiosi
dei miei dolci, sicuri, almi riposi. —
26
Sì l'occupa il dolor, che non avanza
loco ove in lei conforto abbia ricetto;
ma, mal grado di quel, vien la speranza
e vi vuole alloggiare in mezzo il petto,
rifrescandole pur la rimembranza
di quel ch'al suo partir l'ha Ruggier detto:
e vuol, contra il parer degli altri affetti,
che d'ora in ora il suo ritorno aspetti.
27
Questa speranza dunque la sostenne,
finito i venti giorni, un mese appresso;
sì che il dolor sì forte non le tenne,
come tenuto avria, l'animo oppresso.
Un dì che per la strada se ne venne,
che per trovar Ruggier solea far spesso,
novella udì la misera, ch'insieme
fe' dietro all'altro ben fuggir la speme.
28
Venne a incontrare un cavallier guascone
che dal campo african venìa diritto,
ove era stato da quel dì prigione,
che fu inanzi a Parigi il gran conflitto.
Da lei fu molto posto per ragione,
fin che si venne al termine prescritto.
Domandò di Ruggiero, e in lui fermosse;
né fuor di questo segno più si mosse.
29
Il cavallier buon conto ne rendette,
che ben conoscea tutta quella corte:
e narrò di Ruggier, che contrastette
da solo a solo a Mandricardo forte;
e come egli l'uccise, e poi ne stette
ferito più d'un mese presso a morte:
e s'era la sua istoria qui conclusa,
fatto avria di Ruggier la vera escusa.
30
Ma come poi soggiunse, una donzella
esser nel campo, nomata Marfisa,
che men non era che gagliarda, bella,
né meno esperta d'arme in ogni guisa;
che lei Ruggiero amava e Ruggiero ella,
ch'egli da lei, ch'ella da lui divisa
si vedea raro, e ch'ivi ognuno crede
che s'abbiano tra lor data la fede;
31
e che come Ruggier si faccia sano,
il matrimonio publicar si deve;
e ch'ogni re, ogni principe pagano
gran piacere e letizia ne riceve,
che de l'uno e de l'altro sopraumano
conoscendo il valor, sperano in breve
far una razza d'uomini da guerra
la più gagliarda che mai fosse in terra;
32
credea il Guascon quel che dicea, non senza
cagion; che ne l'esercito de' Mori
openione e universal credenza,
e publico parlar n'era di fuori.
I molti segni di benivolenza
stati tra lor facean questi romori;
che tosto o buona o ria che la fama esce
fuor d'una bocca, in infinito cresce.
33
L'esser venuta a' Mori ella in aita
con lui, né senza lui comparir mai,
avea questa credenza stabilita;
ma poi l'avea accresciuta pur assai,
ch'essendosi del campo già partita
portandone Brunel (come io contai),
senza esservi d'alcuno richiamata,
sol per veder Ruggier v'era tornata.
34
Sol per lui visitar, che gravemente
languia ferito, in campo venuta era,
non una sola volta, ma sovente;
vi stava il giorno e si partia la sera:
e molto più da dir dava alla gente,
ch'essendo conosciuta così altiera,
che tutto 'l mondo a sé le parea vile,
solo a Ruggier fosse benigna e umile;
35
come il Guascon questo affermò per vero,
fu Bradamante da cotanta pena,
da cordoglio assalita così fiero,
che di quivi cader si tenne a pena.
Voltò, senza far motto, il suo destriero,
di gelosia, d'ira e di rabbia piena;
e da sé discacciata ogni speranza,
ritornò furibonda alla sua stanza.
36
E senza disarmarsi, sopra il letto,
col viso volta in giù, tutta si stese,
ove per non gridar, sì che sospetto
di sé facesse, i panni in bocca prese;
e ripetendo quel che l'avea detto
il cavalliero, in tal dolor discese,
che più non lo potendo sofferire,
fu forza a disfogarlo, e così a dire:
37
— Misera! a chi mai più creder debb'io?
Vo' dir ch'ognuno è perfido e crudele,
se perfido e crudel sei, Ruggier mio,
che sì pietoso tenni e sì fedele.
Qual crudeltà, qual tradimento rio
unqua s'udì per tragiche querele,
che non trovi minor, se pensar mai
al mio merto e al tuo debito vorai?
38
Perché, Ruggier, come di te non vive
cavallier di più ardir, di più bellezza,
né che a gran pezzo al tuo valore arrive,
né a' tuoi costumi, né a tua gentilezza;
perché non fai che fra tue illustri e dive
virtù, si dica ancor ch'abbi fermezza?
si dica ch'abbi inviolabil fede?
a chi ogn'altra virtù s'inchina e cede.
39
Non sai che non compar, se non v'è quella,
alcun valore, alcun nobil costume?
come né cosa (e sia quanto vuol bella)
si può vedere ove non splenda lume.
Facil ti fu ingannare una donzella
di cui tu signore eri, idolo e nume,
a cui potevi far con tue parole
creder che fosse oscuro e freddo il sole.
40
Crudel, di che peccato a doler t'hai,
se d'uccider chi t'ama non ti penti?
Se 'l mancar di tua fé sì leggier fai,
di ch'altro peso il cor gravar ti senti?
Come tratti il nimico, se tu dai
a me, che t'amo sì, questi tormenti?
Ben dirò che giustizia in ciel non sia,
s'a veder tardo la vendetta mia.
41
Se d'ogn'altro peccato assai più quello
de l'empia ingratitudine l'uomo grava,
e per questo dal ciel l'angel più bello
fu relegato in parte oscura e cava;
e se gran fallo aspetta gran flagello
quando debita emenda il cor non lava;
guarda ch'aspro flagello in te non scenda,
che mi se' ingrato e non vuoi farne emenda.
42
Di furto ancora, oltre ogni vizio rio,
di te, crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi tenga il cor, non ti dico io;
di questo io vo' che tu ne vada assolto:
dico di te, che t'eri fatto mio
e poi contra ragion mi ti sei tolto.
Renditi, iniquo, a me; che tu sai bene
che non si può salvar chi l'altrui tiene.
43
Tu m'hai, Ruggier, lasciata: io te non voglio,
né lasciarti volendo anco potrei;
ma per uscir d'affanno e di cordoglio,
posso e voglio, finire i giorni miei.
Di non morirti in grazia sol mi doglio;
che se concesso m'avessero i dei
ch'io fossi morta quando t'era grata,
morte non fu giamai tanto beata. —
44
Così dicendo, di morir disposta,
salta dal letto, e di rabbia infiammata
si pon la spada alla sinistra costa;
ma si ravvede poi che tutta è armata.
Il miglior spirto in questo le s'accosta,
e nel cor le ragiona: — O donna nata
di tant'alto lignaggio, adunque vuoi
finir con sì gran biasmo i giorni tuoi?
45
Non è meglio ch'al campo tu ne vada,
ove morir si può con laude ognora?
Quivi, s'avvien ch'inanzi a Ruggier cada,
del morir tuo si dorrà forse ancora:
ma s'a morir t'avvien per la sua spada,
chi sarà mai che più contenta muora?
Ragione è ben che di vita ti privi,
poi ch'è cagion ch'in tanta pena vivi.
46
Verrà forse anco che prima che muori
farai vendetta di quella Marfisa
che t'ha con fraudi e disonesti amori,
da te Ruggiero alienando, uccisa. —
Questi pensieri parveno migliori
alla donzella; e tosto una divisa
si fe' su l'arme, che volea inferire
disperazione e voglia di morire.
47
Era la sopraveste del colore
in che riman la foglia che s'imbianca
quando del ramo è tolta, o che l'umore
che facea vivo l'arbore le manca.
Ricamata a tronconi era, di fuore,
di cipresso che mai non si rinfranca,
poi ch'ha sentita la dura bipenne;
l'abito al suo dolor molto convenne.
48
Tolse il destrier ch'Astolfo aver solea,
e quella lancia d'or, che, sol toccando,
cader di sella i cavallier facea.
Perché la le diè Astolfo, e dove e quando,
e da chi prima avuta egli l'avea,
non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse, non però sapendo
che fosse del valor ch'era, stupendo.
49
Senza scudiero e senza compagnia
scese dal monte, e si pose in camino
verso Parigi alla più dritta via,
ove era dianzi il campo saracino;
che la novella ancora non s'udia,
che l'avesse Rinaldo paladino,
aiutandolo Carlo e Malagigi,
fatto tor da l'assedio di Parigi.
50
Lasciati avea i Cadurci e la cittade
di Caorse alle spalle, e tutto 'l monte
ove nasce Dordona, e le contrade
scopria di Monferrante e di Clarmonte,
quando venir per le medesme strade
vide una donna di benigna fronte,
ch'uno scudo all'arcione avea attaccato;
e le venian tre cavallieri a lato.
51
Altre donne e scudier venivano anco,
qual dietro e qual dinanzi, in lunga schiera.
Domandò ad un che le passò da fianco,
la figlia d'Amon, chi la donna era;
e quel le disse: — Al re del popul franco
questa donna, mandata messaggera
fin di là dal polo artico, è venuta
per lungo mar da l'Isola Perduta.
52
Altri Perduta, altri ha nomata Islanda
l'isola, donde la regina d'essa,
di beltà sopra ogni beltà miranda,
dal ciel non mai, se non a lei, concessa,
lo scudo che vedete, a Carlo manda;
ma ben con patto e condizione espressa,
ch'al miglior cavallier lo dia, secondo
il suo parer, ch'oggi si trovi al mondo.
53
Ella, come si stima, e come in vero
è la più bella donna che mai fosse,
così vorria trovare un cavalliero
che sopra ogn'altro avesse ardire e posse:
perché fondato e fisso è il suo pensiero,
da non cader per centomila scosse,
che sol chi terrà in arme il primo onore,
abbia d'esser suo amante e suo signore.
54
Spera ch'in Francia, alla famosa corte
di Carlo Magno, il cavallier si trove,
che d'esser più d'ogn'altro ardito e forte
abbia fatto veder con mille prove.
I tre che son con lei come sue scorte,
re sono tutti, e dirovvi anco dove:
uno in Svezia, uno in Gotia, in Norvegia uno,
che pochi pari in arme hanno o nessuno.
55
Questi tre, la cui terra non vicina,
ma men lontana è all'Isola Perduta
(detta così, perché quella marina
da pochi naviganti è conosciuta),
erano amanti, e son, de la regina,
e a gara per moglier l'hanno voluta;
e per aggradir lei, cose fatt'hanno,
che, fin che giri il ciel, dette saranno.
56
Ma né questi ella, né alcun altro vuole,
ch'al mondo in arme esser non creda il primo.
— Ch'abbiate fatto prove (lor dir suole)
in questi luoghi appresso, poco istimo;
e s'un di voi, qual fra le stelle il sole,
fra gli altri duo sarà, ben lo sublimo:
ma non però che tenga il vanto parme
del miglior cavallier ch'oggi port'arme.
57
A Carlo Magno, il quale io stimo e onoro
pel più savio signor ch'al mondo sia,
son per mandare un ricco scudo d'oro,
con patto e condizion ch'esso lo dia
al cavalliero il quale abbia fra loro
il vanto e il primo onor di gagliardia.
Sia il cavalliero o suo vasallo o d'altri,
il parer di quel re vo' che mi scaltri.
58
Se, poi che Carlo avrà lo scudo avuto,
e l'avrà dato a quel sì ardito e forte,
che d'ogn'altro migliore abbia creduto,
che 'n sua si trovi o in alcun'altra corte,
uno di voi sarà, che con l'aiuto
di sua virtù lo scudo mi riporte;
porrò in quello ogni amore, ogni disio,
e quel sarà il marito e 'l signor mio. —
59
Queste parole han qui fatto venire
questi tre re dal mar tanto discosto,
che riportarne lo scudo, o morire
per man di chi l'avrà, s'hanno proposto. —
Ste' molto attenta Bradamante a udire
quanto le fu da lo scudier risposto;
il qual poi l'entrò inanzi, e così punse
il suo cavallo, che i compagni giunse.
60
Dietro non gli galoppa né gli corre
ella; ch'adagio il suo camin dispensa,
e molte cose tuttavia discorre,
che son per accadere: e in somma pensa
che questo scudo di Francia sia per porre
discordia e rissa e nimicizia immensa
fra paladini ed altri, se vuol Carlo
chiarir chi sia il miglior, e a colui darlo.
61
Le preme il cor questo pensier; ma molto
più le lo preme e strugge in peggior guisa
quel ch'ebbe prima, di Ruggier, che tolto
il suo amor le abbia e datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo è sì sepolto,
che non mira la strada, né divisa
ove arrivar, né se troverà inanzi
commodo albergo ove la notte stanzi.
62
Come nave, che vento da la riva,
o qualch'altro accidente abbia disciolta,
va di nochiero e di governo priva
ove la porti o meni il fiume in volta;
così l'amante giovane veniva,
tutta a pensare al suo Ruggier rivolta,
ove vuol Rabican; che molte miglia
lontano è il cor che de' girar la briglia.
63
Leva al fin gli occhi, e vede il sol che 'l tergo
avea mostrato alle città di Bocco,
e poi s'era attuffato, come il mergo,
in grembo alla nutrice oltr'a Marocco:
e se disegna che la frasca albergo
le dia ne' campi, fa pensier di sciocco;
che soffia un vento freddo, e l'aria grieve
pioggia la notte le minaccia o nieve.
64
Con maggior fretta fa movere il piede
al suo cavallo; e non fece via molta,
che lasciar le campagne a un pastor vede,
che s'avea la sua gregge inanzi tolta.
La donna lui con molta istanza chiede
che le 'nsegni ove possa esser raccolta
o ben o mal; che mal sì non s'alloggia,
che non sia peggio star fuori alla pioggia.
65
Disse il pastore: — Io non so loco alcuno
ch'io vi sappia insegnar, se non lontano
più di quattro o di sei leghe, for ch'uno
che si chiama la rocca di Tristano.
Ma d'alloggiarvi non succede a ognuno;
perché bisogna, con la lancia in mano
che se l'acquisti e che se la difenda
il cavallier che d'alloggiarvi intenda.
66
Se, quando arriva un cavallier, si trova
vota la stanza, il castellan l'accetta;
ma vuol se sopravien poi gente nuova,
ch'uscir fuori alla giostra gli prometta.
Se non vien, non accade che si mova:
se vien, forza è che l'arme si rimetta
e con lui giostri, e chi di lor val meno,
ceda l'albergo ed esca al ciel sereno.
67
Se duo, tre, quattro o più guerrieri a un tratto
vi giungon prima, in pace albergo v'hanno;
e chi di poi vien solo, ha peggior patto,
perché seco giostrar quei più lo fanno.
Così, se prima un sol si sarà fatto
quivi alloggiar, con lui giostrar voranno
in duo, tre, quattro o più che verran dopo;
sì che, s'avrà valor, gli fia a grande uopo.
68
Non men, se donna capita o donzella,
accompagnata o sola a questa rocca,
e poi v'arrivi un'altra, alla più bella
l'albergo, ed alla men star di fuor tocca.
