So che, se muori, siàn sempre captivi,
Africa sempre tributaria e mesta.
Africa sempre tributaria e mesta.
Ariosto - Orlando Furioso
Questi uccidean di genti saracine
tanto, che non v'è numero né fine.
19
Ma differendo questa pugna alquanto,
io vo' passar senza navilio il mare.
Non ho con quei di Francia da far tanto,
ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare.
La grazia che gli diè l'apostol santo
io v'ho già detto, e detto aver mi pare,
che 'l re Branzardo e il re de l'Algazera
per girli incontra armasse ogni sua schiera.
20
Furon di quei ch'aver poteano in fretta,
le schiere di tutta Africa raccolte,
non men d'inferma età che di perfetta;
quasi ch'ancor le femine fur tolte.
Agramante ostinato alla vendetta
avea già vota l'Africa due volte.
Poche genti rimase erano, e quelle
esercito facean timido e imbelle.
21
Ben lo mostrar; che gli nimici a pena
vider lontan, che se n'andaron rotti.
Astolfo, come pecore, li mena
dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti,
e fa restarne la campagna piena:
pochi a Biserta se ne son ridotti.
Prigion rimase Bucifar gagliardo;
salvossi ne la terra il re Branzardo,
22
via più dolente sol di Bucifaro,
che se tutto perduto avesse il resto.
Biserta è grande, e farle gran riparo
bisogna, e senza lui mal può far questo:
poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa e ne sta afflitto e mesto,
gli viene in mente come tien prigione
già molti mesi il paladin Dudone.
23
Lo prese sotto a Monaco in riviera
il re di Sarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon che del Danese fu lignaggio.
Mutar costui col re de l'Algazera
pensò Branzardo, e ne mandò messaggio
al capitan de' Nubi, perché intese
per vera spia, ch'egli era Astolfo inglese.
24
Essendo Astolfo paladin, comprende
che dee aver caro un paladino sciorre.
Il gentil duca, come il caso intende,
col re Branzardo in un voler concorre.
Liberato Dudon, grazie ne rende
al duca, e seco si mette a disporre
le cose che appertengono alla guerra,
così quelle da mar, come da terra.
25
Avendo Astolfo esercito infinito
da non gli far sette Afriche difesa;
e rammentando come fu ammonito
dal santo vecchio che gli diè l'impresa
di tor Provenza e d'Acquamorta il lito
di man di Saracin che l'avean presa;
d'una gran turba fece nuova eletta,
quella ch'al mar gli parve manco inetta.
26
Ed avendosi piene ambe le palme,
quanto potean capir, di varie fronde
a lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,
venne sul mare, e le gittò ne l'onde.
Oh felici, e dal ciel ben dilette alme!
Grazia che Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
di quelle frondi, come fur ne l'acque!
27
Crebbero in quantità fuor d'ogni stima;
si feron curve e grosse e lunghe e gravi;
le vene ch'attraverso aveano prima,
mutaro in dure spranghe e in grosse travi:
e rimanendo acute inver la cima,
tutte in un tratto diventaro navi
di differenti qualitadi, e tante,
quante raccolte fur da varie piante.
28
Miracol fu veder le fronde sparte
produr fuste, galee, navi da gabbia.
Fu mirabile ancor, che vele e sarte
e remi avean, quanto alcun legno n'abbia.
Non mancò al duca poi chi avesse l'arte
di governarsi alla ventosa rabbia;
che di Sardi e di Corsi non remoti,
nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.
29
Quelli che entraro in mar, contati foro
ventiseimila, e gente d'ogni sorte.
Dudon andò per capitano loro,
cavallier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava l'armata ancora al lito moro,
miglior vento aspettando, che la porte,
quando un navilio giunse a quella riva,
che di presi guerrier carco veniva.
30
Portava quei ch'al periglioso ponte,
ove alla giostre il campo era sì stretto,
pigliato avea l'audace Rodomonte,
come più volte io v'ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del conte,
e 'l fedel Brandimarte e Sansonetto,
ed altri ancor, che dir non mi bisogna,
d'Alemagna, d'Italia e di Guascogna.
31
Quivi il nocchier, ch'ancor non s'era accorto
degli inimici, entrò con la galea,
lasciando molte miglia a dietro il porto
d'Algieri, ove calar prima volea,
per un vento gagliardo ch'era sorto,
e spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette e in loco fido,
come vien Progne al suo loquace nido.
32
Ma come poi l'imperiale augello,
i gigli d'oro e i pardi vide appresso,
restò pallido in faccia, come quello
che 'l piede incauto d'improviso ha messo
sopra il serpente venenoso e fello,
dal pigro sonno in mezzo l'erbe oppresso;
che spaventato e smorto si ritira,
fuggendo quel, ch'è pien di tosco e d'ira.
33
Già non poté fuggir quindi il nocchiero,
né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu, con Oliviero,
con Sansonetto e con molti altri tratto
ove dal duca e dal figliuol d'Uggiero
fu lieto viso agli suo' amici fatto;
e per mercede lui che li condusse,
volson che condannato al remo fusse.
34
Come io vi dico, dal figliuol d'Otone
i cavallier cristian furon ben visti,
e di mensa onorati al padiglione,
d'arme e di ciò che bisognò provisti.
Per amor d'essi differì Dudone
l'andata sua; che non minori acquisti
di ragionar con tai baroni estima,
che d'esser gito uno o duo giorni prima.
35
In che stato, in che termine si trove
e Francia e Carlo, istruzion vera ebbe;
e dove più sicuramente, e dove,
per far miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor venìa intendendo nuove,
s'udì un rumor che tuttavia più crebbe;
e un dar all'arme ne seguì sì fiero,
che fece a tutti far più d'un pensiero.
36
Il duca Astolfo e la compagnia bella,
che ragionando insieme si trovaro,
in un momento armati furo e in sella,
e verso il maggior grido in fretta andaro,
di qua di là cercando pur novella
di quel romore; e in loco capitaro,
ove videro un uom tanto feroce,
che nudo e solo a tutto 'l campo nuoce.
37
Menava un suo baston di legno in volta,
che era sì duro e sì grave e sì fermo,
che declinando quel, facea ogni volta
cader in terra un uom peggio ch'infermo.
Già a più di cento avea la vita tolta;
né più se gli facea riparo o schermo,
se non tirando di lontan saette:
d'appresso non è alcun già che l'aspette.
38
Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo
corsi in fretta al romore, ed Oliviero,
de la gran forza e del valor stupendo
stavan maravigliosi di quel fiero;
quando venir s'un palafren correndo
videro una donzella in vestir nero,
che corse a Brandimarte e salutollo,
e gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo.
39
Questa era Fiordiligi, che sì acceso
avea d'amor per Brandimarte il core,
che quando al ponte stretto il lasciò preso,
vicina ad impazzar fu di dolore.
Di là dal mare era passata, inteso
avendo dal pagan che ne fu autore,
che mandato con molti cavallieri
era prigion ne la città d'Algieri.
40
Quando fu per passare, avea trovato
a Marsilia una nave di Levante,
ch'un vecchio cavalliero avea portato
de la famiglia del re Monodante;
il qual molte province avea cercato,
quando per mar, quando per terra errante,
per trovar Brandimarte; che nuova ebbe
tra via di lui, ch'in Francia il troverebbe.
41
Ed ella, conosciuto che Bardino
era costui, Bardino che rapito
al padre Brandimarte piccolino,
ed a Rocca Silvana avea notrito,
e la cagione intesa del camino,
seco fatto l'avea scioglier dal lito,
avendogli narrato in che maniera
Brandimarte passato in Africa era.
42
Tosto che furo a terra, udir le nuove,
ch'assediata d'Astolfo era Biserta:
che seco Brandimarte si ritrove
udito avean, ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi in tal fretta si muove,
come lo vede, che ben mostra aperta
quella allegrezza ch'i precessi guai
le fero la maggior ch'avesse mai.
43
Il gentil cavallier, non men giocondo
di veder la diletta e fida moglie
ch'amava più che cosa altra del mondo,
l'abraccia e stringe e dolcemente accoglie:
né per saziare al primo né al secondo
né al terzo bacio era l'accese voglie;
se non ch'alzando gli occhi ebbe veduto
Bardin che con la donna era venuto.
44
Stese le mani, ed abbracciar lo volle,
e insieme domandar perché venìa;
ma di poterlo far tempo gli tolle
il campo ch'in disordine fuggia
dinanzi a quel baston che 'l nudo folle
menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
e gridò a Brandimarte: — Eccovi il conte! —
45
Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi,
che questo Orlando fosse, ebbe palese
per alcun segno che dai vecchi divi
su nel terrestre paradiso intese.
Altrimente restavan tutti privi
di cognizion di quel signor cortese;
che per lungo sprezzarsi, come stolto,
avea di fera, più che d'uomo, il volto.
46
Astolfo per pietà che gli traffisse
il petto e il cor, si volse lacrimando;
ed a Dudon (che gli era appresso) disse,
ed indi ad Oliviero: — Eccovi Orlando! —
Quei gli occhi alquanto e le palpèbre fisse
tenendo in lui, l'andar raffigurando;
e 'l ritrovarlo in tal calamitade,
gli empì di meraviglie e di pietade.
47
Piangeano quei signor per la più parte:
sì lor ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanto.
— Tempo è (lor disse Astolfo) trovar arte
di risanarlo, e non di fargli il pianto. —
E saltò a piedi, e così Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;
e s'aventaro al nipote di Carlo
tutti in un tempo; che volean pigliarlo.
48
Orlando che si vide fare il cerchio,
menò il baston da disperato e folle;
ed a Dudon che si facea coperchio
al capo de lo scudo ed entrar volle,
fe' sentir ch'era grave di soperchio:
e se non che Olivier col brando tolle
parte del colpo, avria il bastone ingiusto
rotto lo scudo, l'elmo, il capo e il busto.
49
Lo scudo roppe solo, e su l'elmetto
tempestò sì, che Dudon cadde in terra.
Menò la spada a un tempo Sansonetto;
e del baston più di duo braccia afferra
con valor tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte ch'addosso se gli serra,
gli cinge i fianchi, quanto può, con ambe
le braccia, e Astolfo il piglia ne le gambe.
50
Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi
da sé l'Inglese fe' cader riverso:
non fa però che Brandimarte il lassi,
che con più forza l'ha preso a traverso.
Ad Olivier che troppo inanzi fassi,
menò un pugno sì duro e sì perverso,
che lo fe' cader pallido ed esangue,
e dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.
51
E se non era l'elmo più che buono,
ch'avea Olivier, l'avria quel pugno ucciso:
cadde però, come se fatto dono
avesse de lo spirto al paradiso.
Dudone e Astolfo che levati sono,
ben che Dudone abbia gonfiato il viso,
e Sansonetto che 'l bel colpo ha fatto,
adosso a Orlando son tutti in un tratto.
52
Dudon con gran vigor dietro l'abbraccia,
pur tentando col piè farlo cadere:
Astolfo e gli altri gli han prese le braccia,
né lo puon tutti insieme anco tenere.
C'ha visto toro a cui si dia la caccia,
e ch'alle orecchie abbia le zanne fiere,
correr mugliando, e trarre ovunque corre
i cani seco, e non potersi sciorre;
53
imagini ch'Orlando fosse tale,
che tutti quei guerrier seco traea.
In quel tempo Olivier di terra sale,
là dove steso il gran pugno l'avea;
e visto che così si potea male
far di lui quel ch'Astolfo far volea,
si pensò un modo, ed ad effetto il messe,
di far cader Orlando, e gli successe.
54
Si fe' quivi arrecar più d'una fune,
e con nodi correnti adattò presto;
ed alle gambe ed alle braccia alcune
fe' porre al conte, ed a traverso il resto.
Di quelle i capi poi partì in commune,
e li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
cavallo o bue, fu tratto Orlando in terra.
55
Come egli è in terra, gli son tutti adosso,
e gli legan più forte e piedi e mani.
Assai di qua di là s'è Orlando scosso,
ma sono i suoi risforzi tutti vani.
Commanda Astolfo che sia quindi mosso,
che dice voler far che si risani.
Dudon ch'è grande, il leva in su le schene,
e porta al mar sopra l'estreme arene.
56
Lo fa lavar Astolfo sette volte;
e sette volte sotto acqua l'attuffa;
sì che dal viso e da le membra stolte
leva la brutta rugine e la muffa:
poi con certe erbe, a questo effetto colte,
la bocca chiuder fa, che soffia e buffa;
che non volea ch'avesse altro meato
onde spirar, che per lo naso, il fiato.
57
Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso
in che il senno d'Orlando era rinchiuso;
e quello in modo appropinquogli al naso,
che nel tirar che fece il fiato in suso,
tutto il votò: maraviglioso caso!
che ritornò la mente al primier uso;
e ne' suoi bei discorsi l'intelletto
rivenne, più che mai lucido e netto.
58
Come chi da noioso e grave sonno,
ove o vedere abominevol forme
di mostri che non son, né ch'esser ponno,
o gli par cosa far strana ed enorme,
ancor si maraviglia, poi che donno
è fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
così, poi che fu Orlando d'error tratto,
restò maraviglioso e stupefatto.
59
E Brandimarte, e il fratel d'Aldabella,
e quel che 'l senno in capo gli ridusse,
pur pensando riguarda, e non favella,
come egli quivi e quando si condusse.
Girava gli occhi in questa parte e in quella,
né sapea imaginar dove si fusse.
Si maraviglia che nudo si vede,
e tante funi ha da le spalle al piede.
60
Poi disse, come già disse Sileno
a quei che lo legar nel cavo speco:
_Solvite me_, con viso sì sereno,
con guardo sì men de l'usato bieco,
che fu slegato; e de' panni ch'avieno
fatti arrecar participaron seco,
consolandolo tutti del dolore,
che lo premea, di quel passato errore.
61
Poi che fu all'esser primo ritornato
Orlando più che mai saggio e virile,
d'amor si trovò insieme liberato;
sì che colei, che sì bella e gentile
gli parve dianzi, e ch'avea tanto amato,
non stima più se non per cosa vile.
Ogni suo studio, ogni disio rivolse
a racquistar quanto già amor gli tolse.
62
Narrò Bardino intanto a Brandimarte,
che morto era il suo padre Monodante;
e che a chiamarlo al regno egli da parte
veniva prima del fratel Gigliante,
poi de le genti ch'abitan le sparte
isole in mare, e l'ultime in Levante;
di che non era un altro regno al mondo
sì ricco, populoso, o sì giocondo.
63
Disse, tra più ragion che dovea farlo,
che dolce cosa era la patria; e quando
si disponesse di voler gustarlo,
avria poi sempre in odio andare errando.
Brandimarte rispose voler Carlo
servir per tutta questa guerra e Orlando;
e se potea vederne il fin, che poi
penseria meglio sopra i casi suoi.
64
Il dì seguente la sua armata spinse
verso Provenza il figlio del Danese.
Indi Orlando col duca si ristrinse,
ed in che stato era la guerra, intese:
tutta Biserta poi d'assedio cinse,
dando però l'onore al duca inglese
d'ogni vittoria; ma quel duca il tutto
facea, come dal conte venìa istrutto.
65
Ch'ordine abbian tra lor, come s'assaglia
la gran Biserta, e da che lato e quando,
come fu presa alla prima battaglia,
chi ne l'onor parte ebbe con Orlando,
s'io non vi séguito ora, non vi caglia;
ch'io non me ne vo molto dilungando.
In questo mezzo di saper vi piaccia,
come dai Franchi i Mori hanno la caccia.
66
Fu quasi il re Agramante abbandonato
nel pericol maggior di quella guerra;
che con molti pagani era tornato
Marsilio e 'l re Sobrin dentro alla terra,
poi su l'armata è questo e quel montato,
che dubbio avean di non salvarsi in terra;
e duci e cavallier del popul Moro
molti seguito avean l'esempio loro.
67
Pure Agramante la pugna sostiene;
e quando finalmente più non puote,
volta le spalle, e la via dritta tiene
alle porte non troppo indi remote.
Rabican dietro in gran fretta gli viene,
che Bradamante stimola e percuote:
d'ucciderlo era disiosa molto;
che tante volte il suo Ruggier le ha tolto.
68
Il medesmo desir Marfisa avea,
per far del padre suo tarda vendetta;
e con gli sproni, quanto più potea,
facea il destrier sentir ch'ella avea fretta.
Ma né l'una né l'altra vi giungea
sì a tempo, che la via fosse intercetta
al re d'entrar ne la città serrata,
ed indi poi salvarsi in su l'armata.
69
Come due belle e generose parde
che fuor del lascio sien di pari uscite,
poscia ch'i cervi o le capre gagliarde
indarno aver si veggano seguite,
vergognandosi quasi, che fur tarde,
sdegnose se ne tornano e pentite;
così tornar le due donzelle, quando
videro il pagan salvo, sospirando.
70
Non però si fermar; ma ne la frotta
degli altri che fuggivano, cacciarsi,
di qua di là facendo ad ogni botta
molti cader senza mai più levarsi.
A mal partito era la gente rotta,
che per fuggir non potea ancor salvarsi;
ch'Agramante avea fatto per suo scampo
chiuder la porta ch'uscia verso il campo,
71
e fatto sopra il Rodano tagliare
i ponti tutti. Ah sfortunata plebe,
che dove del tiranno utile appare,
sempre è in conto di pecore e di zebe!
Chi s'affoga nel fiume e chi nel mare,
chi sanguinose fa di sé le glebe.
Molti perir, pochi restar prigioni;
che pochi a farsi taglia erano buoni.
72
De la gran moltitudine ch'uccisa
fu da ogni parte in questa ultima guerra
(ben che la cosa non fu ugual divisa;
ch'assai più andar dei Saracin sotterra
per man di Bradamante e di Marfisa),
se ne vede ancor segno in quella terra;
che presso ad Arli, ove il Rodano stagna,
piena di sepolture è la campagna.
73
Fatto avea intanto il re Agramante sciorre
e ritirar in alto i legni gravi,
lasciando alcuni, e i più leggieri, a torre
quei che volean salvarsi in su le navi.
Vi ste' duo dì per chi fuggia raccorre,
e perché venti eran contrari e pravi.
Fece lor dar le vele il terzo giorno;
ch'in Africa credea di far ritorno.
74
Il re Marsilio che sta in gran paura
ch'alla sua Spagna il fio pagar non tocche,
e la tempesta orribilmente oscura
sopra suoi campi all'ultimo non scocche;
si fe' porre a Valenza, e con gran cura
cominciò a riparar castella e rocche,
e preparar la guerra che fu poi
la sua ruina e degli amici suoi.
75
Verso Africa Agramante alzò le vele
de' legni male armati, e voti quasi;
d'uomini voti, e pieni di querele,
perch'in Francia i tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il re superbo, chi crudele,
chi stolto; e come avviene in simil casi,
tutti gli voglion mal ne' lor secreti;
ma timor n'hanno, e stan per forza cheti.
76
Pur duo talora o tre schiudon le labbia,
ch'amici sono, e che tra lor s'han fede,
e sfogano la colera e la rabbia;
e 'l misero Agramante ancor si crede
ch'ognun gli porti amore, e pietà gli abbia:
e questo gl'intervien, perché non vede
mai visi se non finti, e mai non ode
se non adulazion, menzogne e frode.
77
Erasi consigliato il re africano
di non smontar nel porto di Biserta,
però ch'avea del popul nubiano,
che quel lito tenea, novella certa;
ma tenersi di sopra sì lontano,
che non fosse acre la discesa ed erta;
mettersi in terra, e ritornare al dritto
a dar soccorso al suo populo afflitto.
78
Ma il suo fiero destin che non risponde
a quella intenzion provida e saggia,
vuol che l'armata che nacque di fronde
miracolosamente ne la spiaggia,
e vien solcando inverso Francia l'onde,
con questa ad incontrar di notte s'aggia,
a nubiloso tempo, oscuro e tristo,
perché sia in più disordine sprovisto.
79
Non ha avuto Agramante ancora spia,
ch'Astolfo mandi una armata sì grossa;
né creduto anco a chi 'l dicesse, avria,
che cento navi un ramuscel far possa:
e vien senza temer ch'intorno sia
che contra lui s'ardisca di far mossa;
né pone guardie né veletta in gabbia,
che di ciò che si scuopre avisar abbia.
80
Sì che i navili che d'Astolfo avuti
avea Dudon, di buona gente armati,
e che la sera avean questi veduti,
ed alla volta lor s'eran drizzati,
assalir gli nimici sproveduti,
gittaro i ferri, e sonsi incatenati,
poi ch'al parlar certificati foro,
ch'erano Mori e gli nimici loro.
81
Ne l'arrivar i gran navili fenno
(spirando il vento a' lor desir secondo),
nei Saracin con tale impeto denno,
che molti legni ne cacciaro al fondo.
Poi cominciaro oprar le mani e il senno,
e ferro e fuoco e sassi di gran pondo
tirar con tanta e sì fiera tempesta,
che mai non ebbe il mar simile a questa.
82
Quei di Dudone, a cui possanza e ardire
più del solito è lor dato di sopra
(che venuto era il tempo di punire
i Saracin di più d'una mal'opra),
sanno appresso e lontan sì ben ferire,
che non trova Agramante ove si cuopra.
Gli cade sopra un nembo di saette;
da lato ha spade e graffi e picche e accette.
83
D'alto cader sente gran sassi e gravi
da machine cacciati e da tormenti;
e prore e poppe fraccassar de navi,
ed aprire usci al mar larghi e patenti;
e 'l maggior danno è de l'incendi pravi,
a nascer presti, ad ammorzarsi lenti.
La sfortunata ciurma si vuol torre
del gran periglio, e via più ognor vi corre.
84
Altri che 'l ferro e l'inimico caccia,
nel mar si getta, e vi s'affoga e resta:
altri che muove a tempo piedi e braccia,
va per salvarsi o in quella barca o in questa;
ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia,
e la man, per salir troppo molesta,
fa restare attaccata ne la sponda:
ritorna il resto a far sanguigna l'onda.
85
Altri che spera in mar salvar la vita,
o perderlavi almen con minor pena,
poi che notando non ritrova aita,
e mancar sente l'animo e la lena,
alla vorace fiamma c'ha fuggita,
la tema di annegarsi anco rimena:
s'abbraccia a un legno ch'arde, e per timore
c'ha di due morte, in ambe se ne muore.
86
Altri per tema di spiedo o d'accetta
che vede appresso, al mar ricorre invano,
perché dietro gli vien pietra o saetta
che non lo lascia andar troppo lontano.
Ma saria forse, mentre che diletta
il mio cantar, consiglio utile e sano
di finirlo, più tosto che seguire
tanto, che v'annoiasse il troppo dire.
CANTO QUARANTESIMO
1
Lungo sarebbe, se i diversi casi
volessi dir di quel naval conflitto;
e raccontarlo a voi mi parria quasi,
magnanimo figliuol d'Ercole invitto,
portar, come si dice, a Samo vasi,
nottole Atene, e crocodili a Egitto;
che quanto per udita io ve ne parlo,
Signor, miraste, e feste altrui mirarlo.
2
Ebbe lungo spettacolo il fedele
vostro popul la notte e 'l dì che stette,
come in teatro, l'inimiche vele
mirando in Po tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi udir si possano e querele,
ch'onde veder di sangue umano infette,
per quanti modi in tal pugna si muora,
vedeste, e a molti il dimostraste allora.
3
Nol vide io già, ch'era sei giorni inanti,
mutando ogn'ora altre vetture, corso
con molta fretta e molta ai piedi santi
del gran Pastore a domandar soccorso:
poi né cavalli bisognar né fanti;
ch'intanto al Leon d'or l'artiglio e 'l morso
fu da voi rotto sì, che più molesto
non l'ho sentito da quel giorno a questo.
4
Ma Alfonsin Trotto il qual si trovò in fatto,
Annibal e Pier Moro e Afranio e Alberto,
e tre Ariosti, e il Bagno e il Zerbinatto
tanto me ne contar, ch'io ne fui certo:
me ne chiarir poi le bandiere affatto,
vistone al tempio il gran numero offerto,
e quindice galee ch'a queste rive
con mille legni star vidi captive.
5
Chi vide quelli incendi e quei naufragi,
le tante uccisioni e sì diverse,
che, vendicando i nostri arsi palagi,
fin che fu preso ogni navilio, ferse;
potrà, veder le morti anco e i disagi
che 'l miser popul d'Africa sofferse
col re Agramante in mezzo l'onde salse,
la scura notte che Dudon l'assalse.
6
Era la notte, e non si vedea lume,
quando s'incominciar l'aspre contese:
ma poi che 'l zolfo e la pece e 'l bitume
sparso in gran copia, ha prore e sponde accese,
e la vorace fiamma arde e consume
le navi e le galee poco difese;
sì chiaramente ognun si vedea intorno,
che la notte parea mutata in giorno.
7
Onde Agramante che per l'aer scuro,
non avea l'inimico in sì gran stima,
né aver contrasto si credea sì duro,
che, resistendo, al fin non lo reprima;
poi che rimosse le tenèbre furo,
e vide quel che non credeva in prima,
che le navi nimiche eran duo tante,
fece pensier diverso a quel d'avante.
8
Smonta con pochi, ove in più lieve barca
ha Brigliadoro e l'altre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca,
fin che si trova in più sicuro mare
da' suoi lontan, che Dudon preme e carca,
e mena a condizioni acri ed amare.
Gli arde il foco, il mar sorbe, il ferro strugge:
egli che n'è cagion, via se ne fugge.
9
Fugge Agramante ed ha con lui Sobrino,
con cui si duol di non gli aver creduto,
quando previde con occhio divino,
e 'l mal gli annunziò, ch'or gli è avvenuto.
Ma torniamo ad Orlando paladino,
che, prima che Biserta abbia altro aiuto,
consiglia Astolfo che la getti in terra,
sì che a Francia mai più non faccia guerra.
10
E così fu publicamente detto
che 'l campo in arme al terzo dì sia istrutto.
Molti navili Astolfo a questo effetto
tenuti avea, né Dudon n'ebbe il tutto;
di quai diede il governo a Sansonetto,
sì buon guerrier al mar come all'asciutto:
e quel si pose, in su l'ancore sorto,
contra a Biserta, un miglio appresso al porto.
11
Come veri cristiani Astolfo e Orlando,
che senza Dio non vanno a rischio alcuno,
ne l'esercito fan publico bando,
che sieno orazion fatte e digiuno;
e che si trovi il terzo giorno, quando
si darà il segno, apparecchiato ognuno
per espugnar Biserta, che data hanno,
vinta che s'abbia, a fuoco e a saccomanno.
12
E così, poi che le astinenze e i voti
devotamente celebrati foro,
parenti, amici, e gli altri insieme noti
si cominciaro a convitar tra loro.
Dato restauro a' corpi esausti e voti,
abbracciandosi insieme lacrimoro,
tra loro usando i modi e le parole
che tra i più cari al dipartir si suole.
13
Dentro a Biserta i sacerdoti santi
supplicando col populo dolente,
battonsi il petto, e con dirotti pianti
chiamano il lor Macon che nulla sente.
Quante vigilie, quante offerte, quanti
doni promessi son privatamente!
quanto in publico templi, statue, altari,
memoria eterna de' lor casi amari!
14
E poi che dal Cadì fu benedetto,
prese il populo l'arme, e tornò al muro.
Ancor giacea col suo Titon nel letto
la bella Aurora, ed era il cielo oscuro,
quando Astolfo da un canto, e Sansonetto
da un altro, armati agli ordini lor furo:
e poi che 'l segno che diè il conte udiro,
Biserta con grande impeto assaliro.
15
Avea Biserta da duo canti il mare,
sedea dagli altri duo nel lito asciutto.
Con fabrica eccellente e singulare
fu antiquamente il suo muro costrutto.
Poco altro ha che l'aiuti o la ripare;
che poi che 'l re Branzardo fu ridutto
dentro da quella, pochi mastri, e poco
poté aver tempo a riparare il loco.
16
Astolfo dà l'assunto al re de' Neri,
che faccia a' merli tanto nocumento
con falariche, fonde e con arcieri,
che levi d'affacciarsi ogni ardimento;
sì che passin pedoni e cavallieri
fin sotto la muraglia a salvamento,
che vengon, chi di pietre e chi di travi,
chi d'asce e chi d'altra materia gravi.
17
Chi questa cosa e chi quell'altra getta
dentro alla fossa, e vien di mano in mano;
di cui l'acqua il dì inanzi fu intercetta,
sì che in più parti si scopria il pantano.
Ella fu piena ed atturata in fretta,
e fatto uguale insin al muro il piano.
Astolfo, Orlando ed Olivier procura
di far salir i fanti in su le mura.
18
I Nubi d'ogni indugio impazienti,
da la speranza del guadagno tratti,
non mirando a' pericoli imminenti,
coperti da testuggini e da gatti,
con arieti e loro altri istrumenti
a forar torri, e porte rompere atti,
tosto si fero alla città vicini;
né trovaro sprovisti i Saracini:
19
che ferro e fuoco e merli e tetti gravi
cader facendo a guisa di tempeste,
per forza aprian le tavole e le travi
de le machine in lor danno conteste.
Ne l'aria oscura e nei principi pravi
molto patir le battezzate teste;
ma poi che 'l sole uscì del ricco albergo,
voltò Fortuna ai Saracini il tergo.
20
Da tutti i canti risforzar l'assalto
fe' il conte Orlando e da mare e da terra.
Sansonetto ch'avea l'armata in alto,
entrò nel porto e s'accostò alla terra;
e con frombe e con archi facea d'alto,
e con vari tormenti estrema guerra;
e facea insieme espedir lance e scale,
ogni apparecchio e munizion navale.
21
Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte,
e quel che fu sì dianzi in aria ardito,
aspra e fiera battaglia da la parte
che lungi al mare era più dentro al lito.
Ciascun d'essi venìa con una parte
de l'oste che s'avean quadripartito.
Quale a mur, quale a porte, e quale altrove,
tutti davan di sé lucide prove.
22
Il valor di ciascun meglio si puote
veder così, che se fosser confusi:
chi sia degno di premio e chi di note,
appare inanzi a mill'occhi non chiusi.
Torri di legno trannosi con ruote,
e gli elefanti altre ne portano usi,
che su lor dossi così in alto vanno,
che i merli sotto a molto spazio stanno.
23
Vien Brandimarte, e pon la scala a' muri,
e sale, e di salir altri conforta:
lo seguon molti intrepidi e sicuri;
che non può dubitar chi l'ha in sua scorta.
Non è chi miri, o chi mirar si curi,
se quella scala il gran peso comporta.
Sol Brandimarte agli nimici attende;
pugnando sale, e al fine un merlo prende.
24
E con mano e con piè quivi s'attacca,
salta sui merli, e mena il brando in volta,
urta, riversa e fende e fora e ammacca,
e di sé mostra esperienza molta.
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca,
che troppa soma e di soperchio ha tolta:
e for che Brandimarte, giù nel fosso
vanno sozzopra, e l'uno all'altro adosso.
25
Per ciò non perde il cavallier l'ardire,
né pensa riportare a dietro il piede;
ben che de' suoi non vede alcun seguire,
ben che berzaglio alla città si vede.
Pregavan molti (e non volse egli udire)
che ritornasse; ma dentro si diede:
dico che giù ne la città d'un salto
dal muro entrò, che trenta braccia era alto.
26
Come trovato avesse o piume o paglia,
presse il duro terren senza alcun danno;
e quei c'ha intorno affrappa e fora e taglia,
come s'affrappa e taglia e fora il panno.
Or contra questi or contra quei si scaglia;
e quelli e questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei di fuor, che l'han veduto
dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto.
27
Per tutto 'l campo alto rumor si spande
di voce in voce, e 'l mormorio e 'l bisbiglio.
La vaga Fama intorno si fa grande,
e narra, ed accrescendo va il periglio.
Ove era Orlando (perché da più bande
si dava assalto), ove d'Otone il figlio,
ove Olivier, quella volando venne,
senza posar mai le veloci penne.
28
Questi guerrier, e più di tutti Orlando,
ch'amano Brandimarte e l'hanno in pregio,
udendo che se van troppo indugiando,
perderanno un compagno così egregio,
piglian le scale, e qua e là montando,
mostrano a gara animo altiero e regio,
con sì audace sembiante e sì gagliardo,
che i nimici tremar fan con lo sguardo.
29
Come nel mar che per tempesta freme,
assaglion l'acque il temerario legno,
ch'or da la prora, or da le parti estreme
cercano entrar con rabbia e con isdegno;
il pallido nocchier sospira e geme,
ch'aiutar deve, e non ha cor né ingegno;
una onda viene al fin, ch'occupa il tutto,
e dove quella entrò, segue ogni flutto:
30
così dipoi ch'ebbono presi i muri
questi tre primi, fu sì largo il passo,
che gli altri ormai seguir ponno sicuri,
che mille scale hanno fermate al basso.
Aveano intanto gli arieti duri
rotto in più lochi, e con sì gran fraccasso,
che si poteva in più che in una parte
soccorrer l'animoso Brandimarte.
31
Con quel furor che 'l re de' fiumi altiero,
quando rompe talvolta argini e sponde,
e che nei campi Ocnei s'apre il sentiero,
e i grassi solchi e le biade feconde,
e con le sue capanne il gregge intero,
e coi cani i pastor porta ne l'onde;
guizzano i pesci agli olmi in su la cima,
ove solean volar gli augelli in prima:
32
con quel furor l'impetuosa gente,
là dove avea in più parti il muro rotto,
entrò col ferro e con la face ardente
a distruggere il popul mal condotto.
Omicidio, rapina e man violente
nel sangue e ne l'aver, trasse di botto
la ricca e trionfal città a ruina,
che fu di tutta l'Africa regina.
33
D'uomini morti pieno era per tutto;
e de le innumerabili ferite
fatto era un stagno più scuro e più brutto
di quel che cinge la città di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indutto
ardea palagi, portici e meschite.
Di pianti e d'urli e di battuti petti
suonano i voti e depredati tetti.
34
I vincitori uscir de le funeste
porte vedeansi di gran preda onusti,
chi con bei vasi e chi con ricche veste,
chi con rapiti argenti a' dei vetusti:
chi traea i figli, e chi le madri meste:
fur fatti stupri e mille altri atti ingiusti,
dei quali Orlando una gran parte intese,
né lo poté vietar, né 'l duca inglese.
35
Fu Bucifar de l'Algazera morto
con esso un colpo da Olivier gagliardo.
Perduta ogni speranza, ogni conforto,
s'uccise di sua mano il re Branzardo,
con tre ferite, onde morì di corto,
fu preso Folvo dal duca dal Pardo.
Questi eran tre ch'al suo partir lasciato
avea Agramante a guardia de lo stato.
36
Agramante ch'intanto avea deserta
l'armata, e con Sobrin n'era fuggito,
pianse da lungi e sospirò Biserta,
veduto sì gran fiamma arder sul lito.
Poi più d'appresso ebbe novella certa
come de la sua terra il caso era ito:
e d'uccider se stesso in pensier venne,
e lo facea; ma il re Sobrin lo tenne.
37
Dicea Sobrin: — Che più vittoria lieta,
signor, potrebbe il tuo inimico avere,
che la tua morte udire, onde quieta
si speraria poi l'Africa godere?
Questo contento il viver tuo gli vieta:
quindi avrà cagion sempre di temere.
Sa ben che lungamente Africa sua
esser non può, se non per morte tua.
38
Tutti i sudditi tuoi, morendo, privi
de la speranza, un ben che sol ne resta.
Spero che n'abbi a liberar, se vivi,
e trar d'affanno e ritornarne in festa.
So che, se muori, siàn sempre captivi,
Africa sempre tributaria e mesta.
Dunque, s'in util tuo viver non vuoi,
vivi, signor, per non far danno ai tuoi.
39
Dal soldano d'Egitto, tuo vicino,
certo esser puoi d'aver danari e gente:
malvolentieri il figlio di Pipino
in Africa vedrà tanto potente.
Verrà con ogni sforzo Norandino
per ritornarti in regno, il tuo parente:
Armeni, Turchi, Persi, Arabi e Medi,
tutti in soccorso avrai, se tu li chiedi. —
40
Con tali e simil detti il vecchio accorto
studia tornare il suo signore in speme
di racquistarsi l'Africa di corto;
ma nel suo cor forse il contrario teme:
sa ben quanto è a mal termine e a mal porto,
e come spesso invan sospira e geme
chiunque il regno suo si lascia torre,
e per soccorso a' barbari ricorre.
41
Annibal e Iugurta di ciò foro
buon testimoni, ed altri al tempo antico:
al tempo nostro Ludovico il Moro,
dato in poter d'un altro Ludovico.
Vostro fratello Alfonso da costoro
ben ebbe esempio (a voi, Signor mio, dico),
che sempre ha riputato pazzo espresso
chi più si fida in altri ch'in se stesso.
42
E però ne la guerra che gli mosse
del pontifice irato un duro sdegno,
ancor che ne le deboli sue posse
non potessi egli far molto disegno,
e chi lo difendea, d'Italia fosse
spinto, e n'avesse il suo nimico il regno;
né per minacce mai né per promesse
s'indusse che lo stato altrui cedesse.
43
Il re Agramante all'oriente avea
volta la prora, e s'era spinto in alto,
quando da terra una tempesta rea
mosse da banda impetuoso assalto.
Il nocchier ch'al governo vi sedea:
— Io veggo (disse alzando gli occhi ad alto)
una procella apparecchiar sì grave,
che contrastar non le potrà la nave.
44
S'attendete, signori, al mio consiglio,
qui da man manca ha un'isola vicina,
a cui mi par ch'abbiamo a dar di piglio,
fin che passi il furor de la marina. —
Consentì il re Agramante; e di periglio
uscì, pigliando la spiaggia mancina,
che per salute de' nocchier giace
tra gli Afri e di Vulcan l'alta fornace.
45
D'abitazioni è l'isoletta vota,
piena d'umil mortelle e di ginepri,
ioconda solitudine e remota
a cervi, a daini, a capriuoli, a lepri;
e fuor ch'a piscatori, è poco nota,
ove sovente a rimondati vepri
sospendon, per seccar, l'umide reti:
dormeno intanto i pesci in mar quieti.
46
Quivi trovar che s'era un altro legno,
cacciato da fortuna, già ridutto:
il gran guerrier ch'in Sericana ha regno,
levato d'Arli, avea quivi condutto.
Con modo riverente e di sé degno
l'un re con l'altro s'abbracciò all'asciutto;
ch'erano amici, e poco inanzi furo
compagni d'arme al parigino muro.
47
Con molto dispiacer Gradasso intese
del re Agramante le fortune avverse:
poi confortollo, e come re cortese,
con la propria persona se gli offerse:
ma che egli andasse all'infedel paese
d'Egitto, per aiuto, non sofferse.
— Che vi sia (disse) periglioso gire,
dovria Pompeio i profugi ammonire.
48
E perché detto m'hai che con l'aiuto
degli Etiopi, sudditi al Senapo,
Astolfo a torti l'Africa è venuto,
e ch'arsa ha la città che n'era capo;
e ch'Orlando è con lui, che diminuto
poco inanzi di senno aveva il capo;
mi pare al tutto un ottimo rimedio
aver pensato a farti uscir di tedio.
49
Io piglierò per amor tuo l'impresa
d'entrar col conte a singular certame.
Contra me so che non avrà difesa,
se tutto fosse di ferro o di rame.
Morto lui, stimo la cristiana Chiesa,
quel che l'agnelle il lupo ch'abbia fame.
Ho poi pensato (e mi fia cosa lieve)
di fare i Nubi uscir d'Africa in breve.
50
Farò che gli altri Nubi che da loro
il Nilo parte e la diversa legge,
e gli Arabi e i Macrobi, questi d'oro
ricchi e di gente, e quei d'equino gregge,
Persi e Caldei (perché tutti costoro
con altri molti il mio scettro corregge);
farò ch'in Nubia lor faran tal guerra,
che non si fermeran ne la tua terra. —
51
Al re Agramante assai parve oportuna
del re Gradasso la seconda offerta;
e si chiamò obligato alla Fortuna,
che l'avea tratto all'isola deserta:
ma non vuol torre a condizione alcuna,
se racquistar credesse indi Biserta,
che battaglia per lui Gradasso prenda;
che 'n ciò gli par che l'onor troppo offenda.
52
— S'a disfidar s'ha Orlando, son quell'io
(rispose) a cui la pugna più conviene:
e pronto vi sarò; poi faccia Dio
di me, come gli pare, o male o bene. —
— Facciàn (disse Gradasso) al modo mio,
a un nuovo modo ch'in pensier mi viene:
questa battaglia pigliamo ambedui
incontra Orlando, e un altro sia con lui. —
53
— Pur ch'io non resti fuor, non me ne lagno
(disse Agramante), o sia primo o secondo:
ben so ch'in arme ritrovar compagno
di te miglior non si può in tutto 'l mondo. —
— Ed io (disse Sobrin) dove rimagno?
E se vecchio vi paio, vi rispondo
ch'io debbo esser più esperto, e nel periglio
presso alla forza è buono aver consiglio. —
54
D'una vecchiezza valida e robusta
era Sobrino, e di famosa prova;
e dice ch'in vigor l'età vetusta
si sente pari alla già verde e nuova.
Stimata fu la sua domanda giusta;
e senza indugio un messo si ritrova,
il qual si mandi agli africani lidi,
e da lor parte il conte Orlando sfidi;
55
che s'abbia a ritrovar con numer pare
di cavallieri armati in Lipadusa.
Una isoletta è questa, che dal mare
medesmo che li cinge, è circonfusa.
Non cessa il messo a vela e a remi andare,
come quel che prestezza al bisogno usa,
che fu a Biserta; e trovò Orlando quivi,
ch'a suoi le spoglie dividea e i captivi.
56
Lo 'nvito di Gradasso e d'Agramante
e di Sobrino in publico fu espresso,
tanto giocondo al principe d'Anglante,
che d'ampli doni onorar fece il messo.
Avea dai suoi compagni udito inante,
che Durindana al fianco s'avea messo
il re Gradasso: onde egli, per desire
di racquistarla, in India volea gire,
57
stimando non aver Gradasso altrove,
poi ch'udì che di Francia era partito.
Or più vicin gli è offerto luogo, dove
spera che 'l suo gli fia restituito.
Il bel corno d'Almonte anco lo muove
ad accettar sì volentier lo 'nvito,
e Brigliador non men; che sapea in mano
esser venuti al figlio di Troiano.
58
Per compagno s'elegge alla battaglia
il fedel Brandimarte e 'l suo cognato.
Provato ha quanto l'uno e l'altro vaglia;
sa che da trambi è sommamente amato.
Buon destrier, buona piastra e buona maglia,
e spade cerca e lance in ogni lato
a sé e a' compagni: che sappiate parme,
che nessun d'essi avea le solite arme.
59
Orlando (come io v'ho detto più volte)
de le sue sparse per furor la terra:
agli altri ha Rodomonte le lor tolte,
ch'or alta torre in ripa un fiume serra.
Non se ne può per Africa aver molte;
sì perché in Francia avea tratto alla guerra
il re Agramante ciò ch'era di buono,
sì perché poche in Africa ne sono.
60
Ciò che di ruginoso e di brunito
aver si può, fa ragunare Orlando;
e coi compagni intanto va pel lito
de la futura pugna ragionando.
Gli avvien ch'essendo fuor del campo uscito
più di tre miglia, e gli occhi al mare alzando,
vide calar con le vele alte un legno
verso il lito african senza ritegno.
61
Senza nocchieri e senza naviganti,
sol come il vento e sua fortuna il mena,
venìa con le vele alte il legno avanti,
tanto che se ritenne in su l'arena.
Ma prima che di questo più vi canti,
l'amor ch'a Ruggier porto mi rimena
alla sua istoria, e vuol ch'io vi racconte
di lui e del guerrier di Chiaramonte.
62
Di questi duo guerrier dissi che tratti
s'erano fuor del marziale agone,
viste convenzion rompere e patti,
e turbarsi ogni squadra e legione.
Chi prima i giuramenti abbia disfatti,
e stato sia di tanto mal cagione,
o l'imperator Carlo, o il re Agramante,
studian saper da chi lor passa avante.
63
Un servitor intanto di Ruggiero,
ch'era fedele e pratico ed astuto,
né pel conflitto dei duo campi fiero
avea di vista il patron mai perduto,
venne a trovarlo, e la spada e 'l destriero
gli diede, perché a' suoi fosse in aiuto.
Montò Ruggiero e la sua spada tolse,
ma ne la zuffa entrar non però volse.
64
Quindi si parte; ma prima rinuova
la convenzion che con Rinaldo avea;
che se pergiuro il suo Agramante trova,
lo lascierà con la sua setta rea.
Per quel giorno Ruggier fare altra prova
d'arme non volse; ma solo attendea
a fermar questo e quello, e a domandarlo
chi prima roppe, o 'l re Agramante, o Carlo.
65
Ode da tutto 'l mondo, che la parte
del re Agramante fu, che roppe prima.
Ruggiero ama Agramante, e se si parte
da lui per questo, error non lieve stima.
Fur le gente africane e rotte e sparte
(questo ho già detto inanzi), e da la cima
de la volubil ruota tratte al fondo,
come piacque a colei ch'aggira il mondo.
66
Tra sé volve Ruggiero e fa discorso,
se restar deve, o il suo signor seguire.
Gli pon l'amor de la sua donna un morso
per non lasciarlo in Africa più gire:
lo volta e gira, ed a contrario corso
lo sprona, e lo minaccia di punire,
se l' patto e 'l giuramento non tien saldo,
che fatto avea col paladin Rinaldo.
67
Non men da l'altra parte sferza e sprona
la vigilante e stimulosa cura,
che s'Agramante in quel caso abbandona,
a viltà gli sia ascritto ed a paura.
Se del restar la causa parrà buona
a molti, a molti ad accettar fia dura.
Molti diran che non si de' osservare
quel ch'era ingiusto e illicito a giurare.
68
Tutto quel giorno e la notte seguente
stette solingo, e così l'altro giorno,
pur travagliando la dubbiosa mente,
se partir deve o far quivi soggiorno.
Pel signor suo conclude finalmente
di fargli dietro in Africa ritorno.
Potea in lui molto il coniugale amore,
ma vi potea più il debito e l'onore.
69
Torna verso Arli; che trovarvi spera
l'armata ancor, ch'in Africa il trasporti:
né legno in mar né dentro alla rivera,
né Saracini vede, se non morti.
Seco al partire ogni legno che v'era
trasse Agramante, e 'l resto arse nei porti.
Fallitogli il pensier, prese il camino
verso Marsilia pel lito marino.
70
A qualche legno pensa dar di piglio,
ch'a prieghi o forza il porti all'altra riva.
Già v'era giunto del Danese il figlio
con l'armata de' barbari captiva.
Non si avrebbe potuto un gran di miglio
gittar ne l'acqua: tanto la copriva
la spessa moltitudine de navi,
di vincitori e di prigioni, gravi.
71
Le navi de' pagani, ch'avanzaro
dal fuoco e dal naufragio quella notte,
eccetto poche ch'in fuga n'andaro,
tutte a Marsilia avea Dudon condotte.
Sette di quei ch'in Africa regnaro,
che, poi che le lor genti vider rotte,
con sette legni lor s'eran renduti,
stavan dolenti, lacrimosi e muti.
72
Era Dudon sopra la spiaggia uscito,
ch'a trovar Carlo andar volea quel giorno;
e de' captivi e de lor spoglie ordito
con lunga pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i prigion stesi nel lito,
e i Nubi vincitori allegri intorno,
che faceano del nome di Dudone
intorno risonar la regione.
73
Venne in speranza di lontan Ruggiero,
che questa fosse armata d'Agramante;
e, per saperne il vero, urtò il destriero:
ma riconobbe, come fu più inante,
il re de Nasamona prigionero,
Bambirago, Agricalte e Farurante,
Manilardo e Balastro e Rimedonte,
che piangendo tenean bassa la fronte.
74
Ruggier che gli ama, sofferir non puote
che stian ne la miseria in che li trova.
Quivi sa ch'a venir con le man vote,
senza usar forza, il pregar poco giova.
La lancia abbassa, e chi li tien percuote;
e fa del suo valor l'usata prova;
stringe la spada, e in un piccol momento
ne fa cadere intorno più di cento.
75
Dudone ode il rumor, la strage vede
che fa Ruggier, ma chi sia non conosce.
Vede i suoi c'hanno in fuga volto il piede
con gran timor, con pianto e con angosce.
Presto il destrier, lo scudo e l'elmo chiede;
che già avea armato e petto e braccia e cosce:
salta a cavallo e si fa dar la lancia,
e non oblia ch'è paladin di Francia.
76
Grida che si ritiri ognun da canto,
spinge il cavallo e fa sentir gli sproni.
Ruggier cent'altri n'avea uccisi intanto,
e gran speranza dato a quei prigioni:
e come venir vide Dudon santo
solo a cavallo, e gli altri esser pedoni,
stimò che capo e che signor lor fosse;
e contra lui con gran desir si mosse.
77
Già mosso prima era Dudon; ma quando
senza lancia Ruggier vide venire,
lunge da sé la sua gittò, sdegnando
con tal vantaggio il cavallier ferire.
Ruggiero, al cortese atto riguardando,
disse fra sé: — Costui non può mentire,
ch'uno non sia di quei guerrier perfetti
che paladin di Francia sono detti.
78
S'impetrar lo potrò, vo' che 'l suo nome,
inanzi che segua altro, mi palese; —
e così domandollo: e seppe come
era Dudon figliuol d'Uggier danese.
Dudon gravò Ruggier poi d'ugual some,
e parimente lo trovò cortese.
Poi che i nomi tra lor s'ebbono detti,
si disfidaro, e vennero agli effetti.
79
Avea Dudon quella ferrata mazza
ch'in mille imprese gli diè eterno onore:
con essa mostra ben ch'egli è di razza
di quel Danese pien d'alto valore.
La spada ch'apre ogni elmo, ogni corazza,
di che non era al mondo la migliore,
trasse Ruggiero, e fece paragone
di sua virtude al paladin Dudone.
80
Ma perché in mente ognora avea di meno
offender la sua donna, che potea;
ed era certo, se spargea il terreno
del sangue di costui, che la offendea
(de le case di Francia istrutto a pieno,
la madre di Dudone esser sapea
Armelina sorella di Beatrice,
ch'era di Bradamante genitrice):
81
per questo mai di punta non gli trasse,
e di taglio rarissimo ferìa.
Schermiasi, ovunque la mazza calasse,
or ribattendo, or dandole la via.
Crede Turpin che per Ruggier restasse,
che Dudon morto in pochi colpi avria:
né mai, qualunque volta si scoperse,
ferir, se non di piatto, lo sofferse.
82
Di piatto usar potea, come di taglio,
Ruggier la spada sua ch'avea gran schena;
e quivi a strano giuoco di sonaglio
sopra Dudon con tanta forza mena,
che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio,
che si ritien di non cadere a pena.
Ma per esser più grato a chi mi ascolta,
io differisco il canto a un'altra volta.
CANTO QUARANTUNESIMO
1
L'odor ch'è sparso in ben notrita e bella
o chioma o barba o delicata vesta
di giovene leggiadro o di donzella,
ch'Amor sovente lacrimando desta,
se spira e fa sentir di sé novella,
e dopo molti giorni ancora resta;
mostra con chiaro ed evidente effetto,
come a principio buono era e perfetto.
2
L'almo liquor che ai meditori suoi
fece Icaro gustar con suo gran danno,
e che si dice che già Celte e Boi
fe' passar l'Alpe e non sentir l'affanno;
mostra che dolce era a principio, poi
che si serva ancor dolce al fin de l'anno.
L'arbor ch'al tempo rio foglia non perde,
mostra ch'a primavera era ancor verde.
3
L'inclita stirpe che per tanti lustri
mostrò di cortesia sempre gran lume,
e par ch'ognor più ne risplenda e lustri,
fa che con chiaro indizio si presume,
che chi progenerò gli Estensi illustri,
dovea d'ogni laudabile costume
che sublimar al ciel gli uomini suole,
splender non men che fra le stelle il sole.
4
Ruggier, come in ciascun suo degno gesto,
d'alto valor, di cortesia solea
dimostrar chiaro segno e manifesto,
e sempre più magnanimo apparea;
così verso Dudon lo mostrò in questo,
col qual (come di sopra io vi dicea)
dissimulato avea quanto era forte,
per pietà che gli avea di porlo a morte.
5
Avea Dudon ben conosciuto certo,
ch'ucciderlo Ruggier non l'ha voluto;
perch'or s'ha ritrovato allo scoperto,
or stanco sì, che più non ha potuto.
Poi che chiaro comprende, e vede aperto
che gli ha rispetto, e che va ritenuto;
quando di forza e di vigor val meno,
di cortesia non vuol cedergli almeno.
6
— Per Dio (dice), signor, pace facciamo;
ch'esser non può più la vittoria mia:
esser non può più mia; che già mi chiamo
vinto e prigion de la tua cortesia. —
Ruggier rispose: — Ed io la pace bramo
non men di te; ma che con patto sia,
che questi sette re c'hai qui legati,
lasci ch'in libertà mi sieno dati. —
7
E gli mostrò quei sette re ch'io dissi
che stavano legati a capo chino;
e gli soggiunse che non gli impedissi
pigliar con essi in Africa il camino.
E così furo in libertà remissi
quei re; che gliel concesse il paladino;
e gli concesse ancor ch'un legno tolse,
quel ch'a lui parve, e verso Africa sciolse.
8
Il legno sciolse, e fe' scioglier la vela,
e se diè al vento perfido in possanza,
che da principio la gonfiata tela
drizzò a camino, e diè al nocchier baldanza.
Il lito fugge, e in tal modo si cela,
che par che ne sia il mar rimaso sanza.
Ne l'oscurar del giorno fece il vento
chiara la sua perfidia e 'l tradimento.
9
Mutossi da la poppa ne le sponde,
indi alla prora, e qui non rimase anco:
ruota la nave, ed i nocchier confonde;
ch'or di dietro or dinanzi or loro è al fianco.
Surgono altiere e minacciose l'onde:
mugliando sopra il mar va il gregge bianco.
Di tante morti in dubbio e in pena stanno,
quanto son l'acque ch'a ferir li vanno.
10
Or da fronte or da tergo il vento spira;
e questo inanzi, e quello a dietro caccia:
un altro da traverso il legno aggira;
e ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel che siede al governo, alto sospira
pallido e sbigottito ne la faccia;
e grida invano, e invan con mano accenna
or di voltare, or di calar l'antenna.
11
Ma poco il cenno, e 'l gridar poco vale:
tolto è 'l veder da la piovosa notte.
La voce, senza udirsi, in aria sale,
in aria che ferìa con maggior botte
de' naviganti il grido universale,
e 'l fremito de l'onde insieme rotte:
e in prora e in poppa e in amendue le bande
non si può cosa udir, che si commande.
12
Da la rabbia del vento che si fende
ne le ritorte, escono orribil suoni:
di spessi lampi l'aria si raccende,
risuona 'l ciel di spaventosi tuoni.
V'è chi corre al timon, chi i remi prende;
van per uso agli uffici a che son buoni:
chi s'affatica a sciorre e chi a legare;
vota altri l'acqua, e torna il mar nel mare.
13
Ecco stridendo l'orribil procella
che 'l repentin furor di borea spinge,
la vela contra l'arbore flagella:
il mar si leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i remi; e di fortuna fella
tanto la rabbia impetuosa stringe,
che la prora si volta, e verso l'onda
fa rimaner la disarmata sponda.
14
Tutta sotto acqua va la destra banda,
e sta per riversar di sopra il fondo.
Ognun, gridando, a Dio si raccomanda;
che più che certi son gire al profondo.
D'uno in un altro mal fortuna manda:
il primo scorre, e vien dietro il secondo.
Il legno vinto in più parti si lassa,
e dentro l'inimica onda vi passa.
15
Muove crudele e spaventoso assalto
da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tant'alto,
che par ch'arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra l'onde in su tal salto,
ch'a mirar giù par lor veder lo 'nferno.
O nulla o poca speme è che conforte;
e sta presente inevitabil morte.
16
Tutta la notte per diverso mare
scorsero errando ove cacciolli il vento;
il fiero vento che dovea cessare
nascendo il giorno, e ripigliò augumento.
Ecco dinanzi un nudo scoglio appare:
voglion schivarlo, e non v'hanno argumento.
Li porta, lor mal grado, a quella via
il crudo vento e la tempesta ria.
17
Tre volte e quattro il pallido nocchiero
mette vigor perché 'l timon sia volto
e trovi più sicuro altro sentiero;
ma quel si rompe, e poi dal mar gli è tolto.
Ha sì la vela piena il vento fiero,
che non si può calar poco né molto:
né tempo han di riparo o di consiglio;
che troppo appresso è quel mortal periglio.
18
Poi che senza rimedio si comprende
la irreparabil rotta de la nave,
ciascuno al suo privato utile attende,
ciascun salvar la vita sua cura have.
Chi può più presto al palischermo scende;
ma quello è fatto subito sì grave
per tanta gente che sopra v'abbonda,
che poco avanza a gir sotto la sponda.
19
Ruggier che vide il comite e 'l padrone
e gli altri abbandonar con fretta il legno,
come senz'arme si trovò in giubbone,
campar su quel battel fece disegno:
ma lo trovò sì carco di persone,
e tante venner poi, che l'acque il segno
passaro in guisa, che per troppo pondo
con tutto il carco andò il legnetto al fondo:
20
del mare al fondo: e seco trasse quanti
lasciaro a sua speranza il maggior legno.
Allor s'udì con dolorosi pianti
chiamar soccorso dal celeste regno:
ma quelle voci andaro poco inanti,
che venne il mar pien d'ira e di disdegno,
e subito occupò tutta la via
onde il lamento e il flebil grido uscia.
21
Altri là giù, senza apparir più, resta;
altri risorge e sopra l'onde sbalza;
chi vien nuotando e mostra fuor la testa,
chi mostra un braccio, e chi una gamba scalza.
Ruggier che 'l minacciar de la tempesta
temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,
e vede il nudo scoglio non lontano,
ch'egli e i compagni avean fuggito invano.
22
Spera, per forza di piedi e di braccia
nuotando, di salir sul lito asciutto.
Soffiando viene, e lungi da la faccia
l'onda respinge e l'importuno flutto.
Il vento intanto e la tempesta caccia
il legno voto, e abbandonato in tutto
da quelli che per lor pessima sorte
il disio di campar trasse alla morte.
23
Oh fallace degli uomini credenza!
campò la nave che dovea perire;
quando il padrone e i galleotti senza
governo alcun l'avean lasciata gire.
Parve che si mutasse di sentenza
il vento, poi che ogni uom vide fuggire:
fece che 'l legno a miglior via si torse,
né toccò terra, e in sicura onda corse.
24
E dove col nocchier tenne via incerta,
poi che non l'ebbe, andò in Africa al dritto,
e venne a capitar presso a Biserta
tre miglia o due, dal lato verso Egitto;
e ne l'arena sterile e deserta
restò, mancando il vento e l'acqua, fitto.
Or quivi sopravenne, a spasso andando,
come di sopra io vi narrava, Orlando.
25
E disioso di saper se fusse
la nave sola, e fusse o vota o carca,
con Brandimarte a quella si condusse
e col cognato, in su una lieve barca.
Poi che sotto coverta s'introdusse,
tutta la ritrovò d'uomini scarca:
vi trovò sol Frontino il buon destriero,
l'armatura e la spada di Ruggiero;
26
di cui fu per campar tanto la fretta,
ch'a tor la spada non ebbe pur tempo.
Conobbe quella il paladin, che detta
fu Balisarda, e che già sua fu un tempo.
So che tutta l'istoria avete letta,
come la tolse a Falerina, al tempo
che le distrusse anco il giardin sì bello,
e come a lui poi la rubò Brunello;
27
e come sotto il monte di Carena
Brunel ne fe' a Ruggier libero dono.
Di che taglio ella fosse e di che schena,
n'avea già fatto esperimento buono;
io dico Orlando: e però n'ebbe piena
letizia, e ringrazionne il sommo Trono;
e si credette (e spesso il disse dopo),
che Dio gliele mandasse a sì grande uopo:
28
a sì grande uopo, come era, dovendo
condursi col signor di Sericana;
ch'oltre che di valor fosse tremendo,
sapea ch'avea Baiardo e Durindana.
L'altra armatura, non la conoscendo,
non apprezzò per cosa sì soprana,
come chi ne fe' prova apprezzò quella,
per buona sì, ma per più ricca e bella.
29
E perché gli facean poco mestiero
l'arme (ch'era inviolabile e affatato),
contento fu che l'avesse Oliviero;
il brando no, che sel pose egli a lato:
a Brandimarte consegnò il destriero.
Così diviso ed ugualmente dato
volse che fosse a ciaschedun compagno
ch'insieme si trovar, di quel guadagno.
30
Pel dì de la battaglia ogni guerriero
studia aver ricco e nuovo abito indosso.
Orlando riccamar fa nel quartiero
l'alto Babel dal fulmine percosso.
Un can d'argento aver vuole Oliviero,
che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso,
con un motto che dica: Fin che vegna:
e vuol d'oro la vesta e di sé degna.
31
Fece disegno Brandimarte, il giorno
de la battaglia, per amor del padre,
e per suo onor, di non andare adorno
se non di sopraveste oscure ed adre.
Fiordiligi le fe' con fregio intorno,
quanto più seppe far, belle e leggiadre.
Di ricche gemme il fregio era contesto;
d'un schietto drappo e tutto nero il resto.
32
Fece la donna di sua man le sopra—
vesti a cui l'arme converrian più fine,
de' quai l'osbergo il cavallier si cuopra,
e la groppa al cavallo e 'l petto e 'l crine.
Ma da quel dì che cominciò quest'opra,
continuando a quel che le diè fine,
e dopo ancora, mai segno di riso
far non poté, né d'allegrezza in viso.
33
Sempre ha timor nel cor, sempre tormento
che Brandimarte suo non le sia tolto.
Già l'ha veduto in cento lochi e cento
in gran battaglie e perigliose avvolto;
né mai, come ora, simile spavento
le agghiacciò il sangue e impallidille il volto:
e questa novità d'aver timore
le fa tremar di doppia tema il core.
34
Poi che son d'arme e d'ogni arnese in punto,
alzano al vento i cavallier le vele.
Astolfo e Sansonetto con l'assunto
riman del grande esercito fedele.
Fiordiligi col cor di timor punto,
empiendo il ciel di voti e di querele,
quanto con vista seguitar le puote,
segue le vele in alto mar remote.
35
Astolfo a gran fatica e Sansonetto
poté levarla dal mirar ne l'onda
e ritrarla al palagio, ove sul letto
la lasciaro affannata e tremebonda.
Portava intanto il bel numero eletto
dei tre buon cavallier l'aura seconda.
Andò il legno a trovar l'isola al dritto,
ove far si dovea tanto conflitto.
36
Sceso nel lito il cavallier d'Anglante,
il cognato Oliviero e Brandimarte,
col padiglione il lato di levante
primi occupar; né forse il fer senz'arte.
Giunse quel dì medesimo Agramante,
e s'accampò da la contraria parte;
ma perché molto era inchinata l'ora,
differir la battaglia ne l'aurora.
37
Di qua e di là sin alla nuova luce
stanno alla guardia i servitori armati.
La sera Brandimarte si conduce
là dove i Saracin sono alloggiati,
e parla, con licenza del suo duce,
al re african; ch'amici erano stati:
e Brandimarte già con la bandiera
del re Agramante in Francia passato era.
38
Dopo i saluti e 'l giunger mano a mano,
molte ragion, sì come amico, disse
il fedel cavalliero al re pagano,
perché a questa battaglia non venisse:
e di riporgli ogni cittade in mano,
che sia tra 'l Nilo e 'l segno ch'Ercol fisse,
con volontà d'Orlando gli offeria,
se creder volea al Figlio di Maria.
39
— Perché sempre v'ho amato ed amo molto,
questo consiglio (gli dicea) vi dono;
e quando già, signor, per me l'ho tolto,
creder potete ch'io l'estimo buono.
Cristo conobbi Dio, Maumette stolto;
e bramo voi por ne la via in ch'io sono:
ne la via di salute, signor, bramo
che siate meco, e tutti gli altri ch'amo.
40
Qui consiste il ben vostro; né consiglio
altro potete prender, che vi vaglia;
e men di tutti gli altri, se col figlio
di Milon vi mettete alla battaglia;
che 'l guadagno del vincere al periglio
de la perdita grande non si agguaglia.
Vincendo voi, poco acquistar potete;
ma non perder già poco, se perdete.
41
Quando uccidiate Orlando, e noi venuti
qui per morire o vincere con lui,
io non veggo per questo che i perduti
domini a racquistar s'abbian per vui.
Né dovete sperar che sì si muti
lo stato de le cose, morti nui,
ch'uomini a Carlo manchino da porre
quivi a guardar fin all'estrema torre. —
42
Così parlava Brandimarte, ed era
per suggiungere ancor molte altre cose;
ma fu con voce irata e faccia altiera
dal pagano interrotto, che rispose:
— Temerità per certo e pazzia vera
è la tua, e di qualunque che si pose
a consigliar mai cosa o buona o ria,
ove chiamato a consigliar non sia.
43
E che 'l consiglio che mi dai, proceda
da ben che m'hai voluto e vuommi ancora,
io non so, a dire il ver, come io tel creda,
quando qui con Orlando ti veggo ora.
Crederò ben, tu che ti vedi in preda
di quel dragon che l'anime devora,
che brami teco nel dolore eterno
tutto 'l mondo poter trarre all'inferno.
44
Ch'io vinca o perda, o debba nel mio regno
tornare antiquo, o sempre starne in bando,
in mente sua n'ha Dio fatto disegno,
il qual né io, né tu, né vede Orlando.
Sia quel che vuol, non potrà ad atto indegno
di re inchinarmi mai timor nefando.
S'io fossi certo di morir, vo' morto
prima restar, ch'al sangue mio far torto.
45
Or ti puoi ritornar; che se migliore
non sei dimani in questo campo armato,
che tu mi sia paruto oggi oratore,
mal troverassi Orlando accompagnato. —
Queste ultime parole usciron fuore
del petto acceso d'Agramante irato.
Ritornò l'uno e l'altro, e ripososse,
fin che del mare il giorno uscito fosse.
46
Nel biancheggiar de la nuova alba armati,
e in un momento fur tutti a cavallo.
Pochi sermon si son tra loro usati:
non vi fu indugio, non vi fu intervallo,
che i ferri de le lance hanno abbassati.
Ma mi parria, Signor, far troppo fallo,
se, per voler di costor dir, lasciassi
tanto Ruggier nel mar, che v'affogassi.
47
Il giovinetto con piedi e con braccia
percotendo venìa l'orribil onde.
Il vento e la tempesta gli minaccia;
ma più la coscienza lo confonde.
Teme che Cristo ora vendetta faccia;
che, poi che battezzar ne l'acque monde,
quando ebbe tempo, sì poco gli calse,
or si battezzi in queste amare e salse.
48
Gli ritornano a mente le promesse
che tante volte alla sua donna fece;
quel che giurato avea quando si messe
contra Rinaldo, e nulla satisfece.
A Dio, ch'ivi punir non lo volesse,
pentito disse quattro volte e diece;
e fece voto di core e di fede
d'esser cristian, se ponea in terra il piede:
49
e mai più non pigliar spada né lancia
contra ai fedeli in aiuto de' Mori;
ma che ritorneria subito in Francia,
e a Carlo renderia debiti onori;
né Bradamante più terrebbe a ciancia,
e verria a fine onesto dei suo' amori.
Miracol fu, che sentì al fin del voto
crescersi forza e agevolarsi il nuoto.
50
Cresce la forza e l'animo indefesso:
Ruggier percuote l'onde e le respinge,
l'onde che seguon l'una all'altra presso,
di che una il leva, un'altra lo sospinge.
Così montando e discendendo spesso
con gran travaglio, al fin l'arena attinge;
e da la parte onde s'inchina il colle
più verso il mar, esce bagnato e molle.
